Convulsioni febbrili

Dizionario di Medicina (2010)

convulsioni febbrili


Crisi convulsive che si manifestano durante un episodio febbrile in un bambino, peraltro sano, di età compresa tra i 6 mesi e i 5 anni, e nel quale non vi sia evidenza di una sottostante infezione del sistema nervoso centrale né vi sia una storia precedente di epilessia. Le c. f. sono il più comune tipo di crisi presente in età infantile, con una prevalenza del 5%. Sebbene siano di fatto crisi epilettiche, le c. f. si differenziano da una vera epilessia (➔) perché non sono spontanee, ma compaiono solo in occasione di un evento esterno di scatenamento, rappresentato dalla febbre. Le c. f. configurano una manifestazione clinica benigna, che si esaurisce entro i 5 anni d’età e senza conseguenze sulla normale evoluzione del soggetto affetto. Sono la risultante della interazione tra fattori di predisposizione genetica e fattori ambientali di scatenamento. È nel periodo tra 6 mesi e 5 anni che la suscettibilità all’insorgenza di convulsioni è più forte e la febbre, in tale periodo, agisce come fattore ambientale di precipitazione. Le c. f. sono spesso familiari, talora con modalità di trasmissione autosomica dominante. Sebbene la convulsione sia l’evento più frequentemente riscontrato, possono essere segno di crisi febbrili anche uno stato di assenza con abbandono (ipotonia), o scosse muscolari isolate (mioclonie), senza disturbo della coscienza. Per questo la dizione più corretta sarebbe quella di crisi febbrili. Le c. f. possono essere semplici o complesse.

Convulsioni febbrili semplici

Per fare una diagnosi di c. f. semplice è necessario che la convulsione, durante un episodio febbrile e in una età compresa tra i 6 mesi e i 5 anni, sia di breve durata (sotto i 15 minuti) e non presenti segni focali, ossia non vi sia una prevalenza delle manifestazioni motorie da un lato del corpo. Dopo la crisi il bambino, sebbene febbrile, presenta uno stato neurologico di normalità. La familiarità per c. f. semplice è la migliore conferma della diagnosi. In presenza di questi fattori (assenza di segni di lateralizzazione, breve durata, normalità del bambino dopo la crisi e familiarità per c. f.) nessun altro accertamento neurodiagnostico è richiesto. La ricorrenza dell’evento convulsivo febbrile non è prevedibile alla prima crisi, tenendo presente tuttavia che il 30÷40% dei bambini avrà una seconda crisi entro un anno dalla prima. Il rischio di ricorrenza dipende da alcune variabili quali l’età alla prima crisi, la familiarità per c. f., la temperatura al momento della crisi, l’intervallo di tempo tra inizio della febbre e comparsa della crisi. In modo particolare la precoce età di insorgenza, la familiarità e la bassa temperatura al momento della crisi sono fattori altamente predittivi di ricorrenza.

Convulsioni febbrili complesse

Si definisce c. f. complessa una convulsione in corso di febbre che duri oltre i 15 minuti o presenti segni focali (contrazioni muscolari solo a un lato del corpo, o deviazione degli occhi o della testa da un lato) o ancora che si manifesti oltre i 5 anni di età. In questi casi è altamente suggestivo che una causa, oltre alla sola predisposizione genetica per c. f., sia alla base del fenomeno. Un EEG può chiarire se alla base dell’evento vi sia una focalità epilettica cerebrale che esprima una sottostante epilessia, la cui prima manifestazione sia stata scatenata dalla febbre. Anche con EEG normale, ma in presenza di crisi febbrili precoci, di lunga durata e a lato alterno, è possibile ipotizzare forme di epilessia genetica che esordiscono nel primo anno di vita, ma per le quali la febbre è il solo elemento di scatenamento, e che vanno conseguentemente indagate e diagnosticate. Queste forme fortunatamente sono rare e rappresentano una piccola percentuale anche delle c. f. complesse.

Intervento in una convulsione febbrile

Durante la crisi convulsiva è opportuno girare il bambino su un fianco per far fuoriuscire dalla bocca eventuali secrezioni che potrebbero creare un ingombro tracheale. Non è opportuno tentare di aprire la bocca. La lingua non viene inghiottita e la sola deviazione laterale del corpo e del capo sarà sufficiente a evitare l’ingombro tracheale alla ripresa del respiro spontaneo. È opportuno monitorare la durata della crisi perché alla fine del secondo minuto, se la crisi non accenna a ridursi spontaneamente, si può utilizzare il microclisma di diazepam per interrompere l’episodio. Se la crisi perdura dopo la prima somministrazione di diazepam endorettale, è opportuno recarsi a un pronto soccorso per poter procedere con sicurezza all’uso di ulteriore diazepam che potrebbe avere come effetto collaterale, se in dosi massicce, una depressione respiratoria.

Procedure diagnostiche

Opportuna appare un’attenta anamnesi familiare perché spesso le c. f. non sono catalogate come eventi importanti e vengono dimenticate dalle generazioni precedenti. Una familiarità per c. f. è in genere la migliore garanzia che l’evento presentato dal bambino sia della stessa origine e non nasconda sottostanti patologie. Nel caso di convulsioni in corso di febbre ma con segni focali o di lunga durata, è necessario procedere con un esame EEG che permetta di capire se vi sia un tratto genetico epilettiforme sottostante che predisponga, oltre che alla convulsività con febbre, anche a una futura epilessia. Non appare necessaria una diagnostica neuroradiologica nella convulsività febbrile semplice, mentre risulta obbligatoria nella convulsività febbrile complessa.

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