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CORALLO

di Basilio Liverino - Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)
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CORALLO

Basilio Liverino

(XI, p. 345)

Riproduzione e sviluppo del corallo. − La carenza di studi aggiornati su tale celenterato induce tuttora a far riferimento alla Histoire naturelle du Corail di Lacaze-Duthiers (1864), quale testo completo − ma certamente superato − di tutto quanto concerne il corallo. È accertato che la riproduzione avviene in due fasi: sessuata e per ''gemmazione'' (blastogenesi). Premettendo che le colonie sono in prevalenza unisessuate, nella sua tesi di laurea (1965-66) G. Barletta, biologo milanese, osserva: "alcuni polipini sono stati trovati anche privi di gonadi; mai si riscontrano gonadi maschili e femminili non solo in una stessa colonia, ma neppure su rami diversi della medesima colonia". La fecondazione è esterna all'organismo e affidata al gioco delle correnti marine; i polipini maschi emettono gli spermatozoi che, diffondendosi nel mare e incontrando le cellule germinali femminili (ovociti), danno luogo alla fecondazione. A questa succede uno sviluppo embrionale e uno larvale, che si completano in circa 30 giorni. La planula, cioè la larva, vaga nel mare finché incontrando un qualsiasi corpo solido (scogli, ciottoli, massi, valve di conchiglie, preesistenti cormi di c., resti di manufatti di ogni genere) vi si fissa per porre la prima pietra della colonia corallifera. Seguono complessi fenomeni naturali alla fine dei quali appare il primo polipino e alcune ''spicole'', che concludono la riproduzione sessuata. Inizia, quindi, il processo di gemmazione: su quel primo individuo comparirà una minuscola escrescenza (detta gemma, mutuando la terminologia dei vegetali) che si trasformerà nel secondo polipino. Questo fenomeno si ripeterà un'infinità di volte fino a portare, gradualmente, alla bellissima costruzione di quel cormo da noi conosciuto come corallo.

Parassiti del corallo. − Questi alberelli-animali subiscono l'attacco di minuscoli quanto feroci parassiti; i più frequenti sono ventotto: sette molluschi e ventuno spugnette. Quelli che producono i maggiori danni sono una piccola conchiglia, la Pseudo-simnia Carnea (17 mm al massimo), e una spugnetta perforante, la Cliona Sarai.

Banchi e giacimenti. − Sono così denominate quelle zone sottomarine in cui si trova il Corallium. Il banco vero e proprio indica la zona su cui nascono, si sviluppano e riproducono le colonie coralligene viventi; il relativo c. è, quindi, ''vivo''. I banchi assumono differenti denominazioni a seconda della loro estensione, della morfologia, dell'inclinazione, ecc. Il giacimento invece è un enorme deposito di c. ''decaduto'' (cioè morto) trasportatovi, nel corso di decenni o secoli, dalle correnti sottomarine. Nei recenti anni 1981 e 1983 si sono verificati due ritrovamenti di giacimenti; il primo nelle acque dell'isola di Alboran (Spagna), a opera di una nave aragostiera siciliana; il secondo lungo la corrente di Pantelleria, nei pressi dei famosi giacimenti scoperti a fine Ottocento.

Habitat. − Tra i tanti fenomeni ancora non chiari della vita del c. c'è quello del suo habitat, in quanto ciò che pareva accertato sino ad alcuni anni fa è stato, poi, revocato in dubbio. Fino al 1965 si riteneva infatti che i cormi potessero vivere a una profondità massima di 350 m, che fossero indispensabili acque calme e pure, con salinità relativamente elevata, luminosità media, temperatura oscillante tra i 10 e i 29 °C. Questi requisiti hanno subito delle variazioni e, comunque, sono ritenuti ora non più indispensabili dopo la scoperta (1965; 1981) del Corallium (di specie non tutte classificate) nell'area che dalle isole Hawaii si estende a nord-ovest del Pacifico; infatti, la profondità fino a oggi raggiunta è di 2000 m e, di conseguenza, la luminosità, che scompare del tutto sotto i 600 m, risulta irrilevante per la vita del c., come pure la temperatura che può scendere fino a 0 °C.

Pesca: metodi e luoghi. − Attualmente, l'imbarcazione per la pesca del c. nel Mediterraneo arriva alle 20 t di stazza, mentre quelle che operano nel Pacifico settentrionale, partendo dai porti del Giappone o di Formosa, stazzano fino a 250 tonnellate.

L'attrezzo (''ingegno''), trascinato dall'imbarcazione, opera non a strascico, bensì a salti e soltanto i gruppi di ''retazze'' (vecchie reti), di cui è munito, vanno a toccare i cespi imprigionandoli nelle proprie maglie. L'''ingegno'', legato a una estremità a una grossa e lunga fune di canapa con anima di acciaio, viene calato in mare a mezzo di argano che provvede, naturalmente, a tirarlo a bordo con il carico di corallo. A Torre del Greco, da secoli capitale del c., l'imbarcazione viene appositamente costruita per la specifica pesca e assume la denominazione di corallina (e i pescatori sono detti corallini).

Le grosse imbarcazioni dei mari asiatici solo nella stagione idonea si armano dell'attrezzatura per la pesca del c.: si tratta di numerosi (fino a 28 su ogni barca) mini-ingegni che, però, differiscono totalmente da quello usato nel Mediterraneo; consistono infatti di un grosso sasso di circa 10 kg, perfettamente levigato e quanto più possibile sferico, con un'armatura esterna di filo di ferro dalla quale pendono alcuni gruppi di reti lunghe 2 m. Anche qui, ogni mini-ingegno è legato a una fune di canapa di lunghezza proporzionata alla profondità da raggiungere, e viene azionato da un argano.

Dal 1957, al metodo di superficie si è affiancato con notevole efficacia quello a immersione, effettuato dai pescatori subacquei, ai quali è necessaria una sofisticata e costosa attrezzatura che consente loro di raccogliere il c. con le proprie mani fino a 130 m di profondità. È un'attività, questa, peculiare del Mediterraneo, dove operano subacquei italiani, francesi, spagnoli, greci, tunisini e marocchini. Nel Pacifico la pesca a immersione non viene esercitata; negli ultimi 15 anni sono stati adoperati piccoli sommergibili, muniti all'esterno di un braccio metallico estensibile, che asporta parzialmente o integralmente i cormi a mezzo di una particolare tenaglia posta all'estremità dello stesso braccio. Le zone in cui si pesca il c. sono in continua evoluzione. Il Mediterraneo, per es., ''culla'' da millenni di quest'attività, pescosissimo nel passato, risulta oggi un'avara fonte di grezzo, non perché non esista c. nei fondali ma solo perché, mancando una mappa dei banchi, è difficile la localizzazione. Le acque maggiormente fertili sono comunque quelle della Sardegna, della Sicilia, della Corsica e quelle che dall'arco ligure, lungo tutto il Tirreno, raggiungono lo Jonio. Dei mari italiani l'alto Adriatico è l'unico infecondo. La Costa Azzurra e la Costa Brava sono anch'esse coralligene; nelle acque iugoslave e albanesi il c. viene sporadicamente raccolto da sub, così come in tutto l'arcipelago dell'Egeo. La Tunisia e l'Algeria, anche perché da decenni sottoposte a severe leggi sulla pesca del c., concentrano nei loro mari la maggiore quantità di cespi di tutto il nostro bacino. Al di fuori del Mediterraneo sporadici episodi di pesca di Corallium rubrum si registrano nell'Atlantico: nel 1870 e nel 1982 a Capo Verde (Senegal) e dal 1989 fino a oggi nelle acque del Marocco, che da Arcila scendono fino ad Agadir (di fronte alle Isole Canarie)

Le quattro specie ''tradizionali'' di c. (vedi tab.) nel Pacifico si pescano nelle acque del Giappone (Tosa, isole di Goto, Ogasawara, Okinawa, Amami Miyado, Hachijo, Sumisu), di Taiwan, nella corrente di Hong Kong e al largo di Hainan. A seguito della scoperta di c., di specie non tutte classificate, nell'area a nord-ovest delle isole Hawaii, l'attività ha raggiunto le isole Midway (1965), spostandosi successivamente (1970-1981) fino all'Emperor Seamounts. La lavorazione del c., suddivisa in due branche, e cioè quella del ''liscio'' (manufatti a superficie liscia) e quella ''artistica'' (manufatti incisi e sculture), resta ancora oggi artigianale; utilizzando i vari e spesso vecchi attrezzi quali la spada, la tenaglia, la lima, l'archetto e la pietra arenaria, la mano dell'uomo si pone quale unico mezzo per ottenere veri splendidi pezzi unici di elevatissimo valore intrinseco e artistico. Da alcuni decenni anche nell'area del Sud-Est asiatico si pratica la lavorazione del c.; dapprima il Giappone, poi Formosa e le Isole Pescadores. Questi paesi, nuovi in tale attività, fin dall'inizio hanno adottato tutto quanto la tecnologia poteva offrire a servizio di strutture ad alta potenzialità produttiva, totalmente automatizzate e, quindi, a basso costo gestionale e distributivo. Basate su criteri assolutamente differenti, la lavorazione nostrana e quella asiatica non potranno mai essere concorrenziali tra loro. Mentre la lavorazione di Torre del Greco, conservando i caratteri di un'arte vera e propria, mantiene alta la qualità del prodotto per il quale gode di prestigio secolare nel mondo, quella orientale punta, invece, sulla quantità non avendo una tradizione o un nome da salvaguadare.

Bibl.: H. Lacaze-Duthiers, Histoire naturelle du corail, Parigi 1864; G. Barletta, Ricerche sul corallo rosso, Milano 1966 (tesi di laurea discussa presso la facoltà di Scienze dell'università di Milano - Anno accademico 1965-66); B. Liverino, Il corallo, Bologna 1984.

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