MUSSO, Cornelio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012)

MUSSO, Cornelio

Patrizio Foresta

– Nacque a Piacenza il 16 aprile 1511 da Francesco Maria de’ Mussi, detto Cervato, nobile piacentino, e da Cornelia Volpi (de’ Volpe) Landi, anch’essa di nobili origini. Battezzato con il nome di Niccolò in onore di un suo avo paterno (Poggiali, 1789, p. 28), assunse quello di Cornelio, in onore della madre, morta poco prima, quando a nove anni entrò come oblato nell’Ordine dei frati minori conventuali in S. Francesco a Piacenza.

Maestro piacentino di Musso fu il famoso predicatore e teologo Giacomo Rosa da Randazzo. Al 1522 è databile l’inizio della sua permanenza presso il convento della basilica del Santo di Padova (De Rosa, 1987, p. 399) e agli stessi anni risale l’amicizia con il gentiluomo veneziano Alvise Cornaro. Studiò filosofia a Venezia, metafisica e scienze sacre a Padova, «seguendo la via di Scoto» sotto la guida del maestro barlettano Padovano de Grassi (Jedin, 1933, p. 209). Già negli anni giovanili a Venezia e Padova mostrò un grande interesse per l’eloquenza e si mise in luce come abile predicatore (si conosce una sua predica padovana del 1530), unendo lo studio delle materie umanistiche a quello della teologia. A 21 anni si addottorò a Padova come maestro dell’Università e fu aggregato al collegio dei teologi. Successivamente studiò il greco ed entrò in contatto con Pietro Bembo.

Nel 1534 fu chiamato come predicatore a Milano e lettore di metafisica all’Università di Pavia dal duca Francesco II Sforza, il cui nipote, Guido Ascanio Sforza, nipote anche di papa Paolo III e legato pontificio a Bologna dal 1536, lo prese sotto la sua protezione e, qualche tempo dopo la morte del duca (avvenuta nel 1535), lo chiamò a Bologna, dove tenne sia lezioni di metafisica sia prediche quaresimali. La sua fama di predicatore giunse a Roma, dove fu chiamato da Paolo III all’inizio del 1538 per diventare teologo del cardinal nipote Alessandro Farnese e allo stesso tempo predicatore nella sua chiesa titolare, S. Lorenzo in Damaso. Le omelie quaresimali di Musso, tenute a Roma tra il 1539 e il 1542, furono pubblicate in diverse edizioni presso l’editore veneziano Giunti a partire dal 1586 (Delle prediche quadragesimali del r.mo mons.or C. M. vescovo di Bitonto, I-II, 1586; Prediche sopra il simbolo degli apostoli, le due dilettioni, di Dio, e del prossimo, il sacro decalogo, et la passione di nostro signor Giesu Christo, I-II, 1590). La vicinanza con la potente famiglia Farnese facilitò la sua carriera ecclesiastica e il 14 novembre 1541 fu nominato vescovo di Bertinoro (Van Gulik - Eubel, 1923, p. 139). A Roma entrò in contatto con il gruppo dei cosiddetti spirituali, tra i quali Gasparo Contarini, Reginald Pole e Jacopo Sadoleto; frequentò inoltre la mensa papale e, su richiesta del pontefice, tenne diverse omelie latine su pericopi evangeliche.

In occasione della prima e fallimentare convocazione del concilio, si recò a Trento, dove giunse l’11 marzo 1543 e predicò due volte con «gran dottrina» nella cattedrale di S. Vigilio, suscitando l’ammirazione del vescovo Cristoforo Madruzzo (Concilium Tridentinum, IV, pp. 318, 328; Il processo inquisitoriale, 1984, p. 560 n. 50). In una di queste due prediche, dedicata al tema della giustificazione, sostenne posizioni dottrinali che trovarono l’approvazione di quasi tutti i presenti e in particolare di Giovanni Morone, il quale ne riferisce nel terzo costituto del processo inquisitoriale a suo carico, datato 6 luglio 1557 (Il processo inquisitoriale, I, 1981, p. 186; II, 1984, p. 560).

Il 27 ottobre 1544 fu nominato vescovo di Bitonto (Van Gulik - Eubel, 1923, p. 138), ma non riuscì a recarsi presso la nuova diocesi, perché in vista dell’apertura del concilio dovette tornare a Trento. Arrivato il 24 marzo 1545 (Concilium Tridentinum, I, p. 162),  il 13 dicembre ebbe l’onore di tenere l’orazione inaugurale dell’assise conciliare, «molto citata e molto discussa» (Jedin, 2009, p. 639).

Esordì con le parole tratte dall’introito della messa del giorno, «Gaudete in Domino», e trattò «multa de necessitate concilii», esortando tutti i presenti «ad novam vitam, ad novos mores imbuendos», a quanto pare in modo così efficace da muovere i padri conciliari alla commozione (Concilium Tridentinum, I, p. 4; IV, pp. 521-529). L’orazione fu giudicata in modo molto severo da Paolo Sarpi (1974, I, pp. 226-228), ma raccolse i pareri benevoli e finanche lusinghieri di Ortensio Lando, Marcello Cervini, Angelo Massarelli e Pietro Sforza Pallavicino (Concilium Tridentinum, I, p. 4 n. 3; IV, p. 521 n. 1; X, p. 274; Tiraboschi, 1792, pp. 1600 s.).

All’inizio delle discussioni conciliari fu «nominato grandemente per detrattore dell’autorità pontificia» (Concilium Tridentinum, X, p. 860), avendo forse appoggiato, in occasione della congregazione generale del 13 gennaio, la minoranza che sosteneva la necessità di aggiungere la formula ‘conciliarista’ «universalem ecclesiam repraesentans» alla titolatura dei decreti (ibid., p. 374). Dal diario di Ercole Severoli, promotore del concilio, risulta che già in un intervento del 18 gennaio 1546 Musso avrebbe sostenuto la necessità di affrontare per prime le questioni dogmatiche e poi quelle disciplinari (la congregazione generale del seguente 22 gennaio avrebbe poi deciso di trattare contemporaneamente «de dogmatibus et reformatione»; ibid., p. 21; IV, p. 572). Forse a causa di queste sue esternazioni, i legati pontifici per alcune settimane ritennero che Musso fosse vicino al partito conciliare antiromano. Dopo un intervento discreto ma deciso di Cervini, Musso scrisse il 27 gennaio 1546 ad Alessandro Farnese e, pur confessando delle ingenuità da parte sua e ammettendo che fu «quasi vicino a errare in grosso per esser colto all’improvvista», protestò la sua buona fede e la sua fedeltà a Roma («havuto poi un cenno solo, non solo mi ritrassi e mi riscossi, ma gli avvisai d’un modo di rimediare ogni cosa, che dagli altri si fusse potuta machinare», ibid., X, p. 338).

In una lettera del 22 gennaio 1546 il cardinal nipote si era lamentato presso Cervini di alcuni «prelati che hanno usato quelle liegerezze, come […] Fr. Cornelio», della mancata comunicazione con Roma sulla questione e infine della reazione non sufficientemente pronta da parte dei legati pontifici (ibid., p. 323). Cervini rispose illustrando la strategia adottata con i «vescovi, che si son mostrati leggieri e maligni»: assicurando loro «di non gli havere ancora accusati a Sua Santità», egli poté parlare con molti di loro, avendone «guadagnati et retirati in la buona strada parecchi, et tra gli altri frate Cornelio, quale in questo punto di dogmi o dela reformatione s’è demonstrato tanto dalla nostra parte, quanto prima haveva fatto il contrario» (ibid., pp. 333 s.). L’incidente si risolse definitivamente il 4 febbraio 1546, quando i cardinali legati scrissero a Farnese di aver «trovato Mons. di Bitonto et ossequente a noi et amorevole a Nostro Signore et alla sede apostolica» (ibid., p. 361). Né gli «atteggiamenti da lui assunti all’inizio dei lavori del concilio» (Il processo inquisitoriale, I, 1981, p. 272) né «le sue prime incerte posizioni dottrinali al concilio» (Simoncelli, 1988, p. 78 n. 228) furono però la causa dei sospetti emersi durante il processo Morone, dovuti invece alla predica tridentina sulla giustificazione tenuta nella primavera del 1543.

Superate queste prime difficoltà, Musso fu tra i padri conciliari incaricati dell’elaborazione delle materie dogmatiche, divenendo membro della deputazione teologica sugli abusi derivanti dall’uso improprio della Scrittura nella predicazione e partecipando alla deputazione e alla commissione teologica che redassero il decreto sulla giustificazione, della quale fu anche portavoce. Il contributo di Musso al decreto fu, secondo Jedin, il punto più alto della sua vita di predicatore e vescovo (Jedin, 1933, pp. 214 s., 250; Mobilia, 1960).

In una lettera dell’11 aprile 1546 ad Alessandro Farnese Musso tornò sul tema della riforma della Chiesa, da fare «quanto più presto […] perché fin’hora il maggior numero delli prelati è d’Italia» (Concilium Tridentinum, X, p. 452), in modo quindi da evitare, nei limiti del possibile, ogni ingerenza straniera e soprattutto imperiale. La riforma della Chiesa è per Musso non un attacco portato a Roma, ma il mezzo migliore per conservarne il potere e l’influenza; il papa non deve temere alcuna diminuzione della «plenitudine della potestà pontificia», perché «quando non fusse mai altra ragione che la grandezza d’Italia, la nostra cara patria, la più sana parte [dei vescovi] vorrà col sangue defender la grandezza della sedia apostolica» che, una volta persa, avrebbe significato per i vescovi italiani diventare «tutti preda, non pur d’imperador et regi, ma d’ogni minimo signoruccio» (ibid., p. 452; Alberigo, 1959, pp. 461 s.).

Alla traslazione del concilio a Bologna l’11 marzo 1547, Musso si era già recato a Padova per assistere il padre malato. Prese però parte ai lavori conciliari dall’aprile 1547 e rimase a Bologna almeno fino al 29 febbraio 1548. Dopo la morte del padre, nell’estate del medesimo anno, chiese e ottenne la facoltà di recarsi a Bitonto, dove cominciò a lavorare alla riforma della diocesi, seguendo il modello episcopale tridentino rappresentato da Borromeo: egli fu «a Carlo Borromeo with a smaller diocese» (Norman, 1998, p. 11). Tra le altre iniziative, tenne un sinodo diocesano e visitò un convento di benedettine (Jedin, 1933, p. 220).

Dopo aver chiamato a Bitonto il suo antico maestro Padovano de Grassi in qualità di vicario generale, con cui tuttavia ebbe di lì a poco dei contrasti sull’obbligo di residenza in diocesi, si recò nuovamente a Padova, dove sperava di risolvere i problemi di salute che lo obbligarono a rifiutare l’invito di Alessandro Farnese a predicare in S. Lorenzo in Damaso durante la quaresima del 1550.

Si recò a Roma subito dopo l’elezione di papa Giulio III l’8 febbraio 1550 e vi rimase almeno fino all’inizio del 1551. Alla riapertura del concilio, il 1° maggio, si trovava a Padova; giunse a Trento il 24 settembre, dopo l’inizio dei lavori, partecipando alle deputazioni incaricate di redigere i canoni sulla messa e sull’eucarestia, che abbandonò entrambe il 10 gennaio 1552 in segno di protesta per non esser stato creato cardinale nel concistoro del 20 novembre precedente (ibid., pp. 224, 266).

Negli anni 1552-54 visse tra Padova e Roma. Nel 1553 prese parte al capitolo generale del suo ordine a Genova, dove predicò il lunedì di Pentecoste. Alla morte di Marcello II e all’elezione di papa Paolo IV si trovava a Bitonto, dove riprese il suo programma di riforme visitando la diocesi nel 1555. Nella seconda metà degli anni Cinquanta rimase prevalentemente nella sua sede episcopale e fu impegnato in una serie di scontri istituzionali con gli ufficiali reali spagnoli in difesa delle libertà della chiesa bitontina.

La morte di Paolo IV nell’agosto e l’elezione di papa Pio IV nel dicembre 1559 inaugurarono una nuova fase della sua vita. Nel giugno 1560 fu inviato a Vienna, per curare gli interessi del futuro cardinal nipote, Mark Sittich von Hohenems, ma anche per discutere la nuova convocazione del concilio e influenzare in senso filocattolico Massimiliano II d’Asburgo, entrando così in parziale conflitto con il nunzio Stanislao Osio. Predicò alla corte imperiale il 25 luglio e il 5 agosto 1560 (Prediche del reveren. mons. C. M. da Piacenza vescovo di Bitonto, fatte in Vienna alla sacra maestà cesarea, Blado, Roma 1560), suscitando però il disappunto dell’imperatore (Jedin, 1933, pp. 234 s.). Tornato a Roma nell’ottobre 1560, vi rimase  fino al 1564, non partecipando alla terza convocazione del concilio. Secondo il nipote Giuseppe Musso, autore della Vita del rever.mo monsignor C. M., vescovo di Bitonto, premessa all’edizione veneziana del 1586 delle Prediche quadragesimali e importante fonte biografica, fu impiegato da Pio IV presso l’Inquisizione, fatto confermato dalla sua partecipazione, come «assai equo giudice», al processo di Pietro Carnesecchi nel maggio 1561 (I processi inquisitoriali, I, pp. LXXXVIII-XCI; II, p. 910), e presso la congregazione del Concilio. Dopo il concistoro del 1° marzo 1564, nel quale Pio IV invitò i vescovi allora residenti a Roma a recarsi nelle proprie diocesi, attese ancora qualche mese e tornò a Bitonto nell’ottobre seguente.

Cominciò allora un periodo di isolamento dalle grandi vicende ecclesiastiche e politiche del tempo, durante il quale lavorò alla sua grande impresa erudita, i De divina historia libri tres, che aveva iniziato a scrivere tra il 1545 e il 1547 e che uscirono postumi per cura di Giuseppe Musso presso Giunta (Venezia 1587), e ai primi tre libri delle Prediche. Durante gli ultimi anni bitontini si impegnò nuovamente nella riforma della sua diocesi e nell’applicazione dei decreti tridentini. Intorno al 1565 tenne un sinodo e una visita pastorale. Nel periodo 1564-66 si rivolse ai gesuiti Nicolás Bobadilla e Alfonso Salmerón per fondare un collegio a Bitonto; in alternativa, offrì alla Compagnia di Gesù di dirigere il seminario diocesano, rivolgendosi anche a Carlo Borromeo (Bobadillae Monumenta, 1913, pp. 440 s., 456 s., 460; Epistolae P. Alphonsi Salmeronis, 1907, pp. 73-75, 77; Jedin, 1933, pp. 242 s., 270 s.). Nessuna delle sue iniziative fu però coronata da successo a causa dell’opposizione della città, con la quale il vescovo si scontrò ancora nel 1566 e nel 1568.

Sugli ultimi anni di vita si hanno scarse notizie. Si recò forse a Urbino nel 1568, predicò a Napoli nell’estate del 1570 e andò a Roma subito dopo l’elezione di Gregorio XIII il 15 maggio 1572.

A Roma trascorse gli ultimi mesi fino alla morte, avvenuta il 9 gennaio 1574. Fu sepolto nella basilica dei Ss. Apostoli, chiesa dei frati minori conventuali.

Musso fu uno dei più celebri predicatori italiani del tempo, come testimoniano tra l’altro i cinque volumi delle Prediche del reverend. monsignor C. M. vescovo di Bitonto, usciti in numerose edizioni a Venezia, Pesaro e Torino tra il 1554 e il 1586 e dedicati a personaggi quali Vittoria Farnese, Pio IV, Carlo Borromeo e Ottavio Farnese. Per Sarpi (1974, I, p. 194) Musso fu «il più eloquente predicatore di quei tempi». La prima analisi del suo stile oratorio e omiletico è quella di Bernardino Tomitano nel Discorso dell’eccell. dottore m. Bernardin Tomitano sopra l’eloquentia et l’artificio delle Prediche di monsignor C. M., che accompagna l’edizione veneziana delle Prediche del 1554. Musso ebbe occasione di affrontare i temi più controversi dell’epoca, come quello del «beneficio di Cristo», in prediche che proponevano all’uditorio dei fedeli «veri e propri trattati dottrinali […] in termini molto elementari», ben oltre la polemica controriformista d’occasione (Simoncelli, 1983, p. 69). Per Hubert Jedin (1933, pp. 254 s.) Musso fu un retore e un predicatore completamente partecipe della tradizione francescana, che rivestì con una forma di gusto umanista, giudizio sostanzialmente condiviso da Corrie E. Norman (1998), secondo la quale Musso trovò un punto di equilibrio tra gusto umanista e valori francescani. Gabriele De Rosa (1987), infine, ha offerto una lettura politica delle lettere e delle prediche di Musso, dalla quale emergerebbe la sua visione della Chiesa.

Opere: tutta l’opera di Musso è catalogata in appendice alla monografia di Norman, che raccoglie anche la bibliografia fondamentale su di lui (1998, pp. 159-162, 167 s.). Molte opere furono pubblicate postume: gli In B. Pauli apostoli epistolam ad Romanos absolutissima commentaria (Venezia 1588); le Lettioni di monsignor C. M. fatte in Roma ne’ sabbati d’una Quadragesima, sopra il Salmo 129. Deprofundis (ibid. 1588); le Prediche sopra il simbolo degli apostoli, le due dilettioni, di Dio e del prossimo, il sacro decalogo, et la passione di nostro signor Giesu Christo, descritta da s. Giovanni Evangelista (ibid. 1590); la Vita di Maria Vergine madre di Christo discritta da monsignor C. M. vescovo di Bitonto (Napoli 1592). Il volume Synodus bituntina r.mi patris f. Cornelii Mussi episcopi Bituntini, totam fere ecclesiasticam disciplinam sermonibus, constitutionibus, legibus synodalibus, complectens pubblicato nel 1579 a Venezia presso Giolito a cura di Giuseppe Musso, non contiene degli atti sinodali, ma una raccolta di prediche sulla disciplina ecclesiastica. Delle prediche italiane uscirono a Colonia due traduzioni latine: le Conciones evangeliorum de dominicis aliquot et festis solennioribus totius anni, ac quadragesimalibus feriis nonnullis (1594) e le Chrysostomi Italorum, id est, Rmi P.F. Cornelii Mussi, Franciscani Episcopi Bitontini, conciones aliquot Romae habitae, in canticum Deiparae Virginis Magnificat (1618).

La Biblioteca apostolica Vaticana conserva tre copie manoscritte dei De divina historia libri tres: Vat. lat. 4627, Vat. lat. 5449, Chig. A. VI.191 (Jedin, 1933, p. 257) e un cospicuo regesto della corrispondenza di Musso (Fondo Borg. lat. 300), descritto nel dettaglio da Jedin (pp. 259-275), pubblicando dieci lettere datate tra il 1548 e il 1568.

Fonti e Bibl.: C. Poggiali, Memorie per la storia letteraria di Piacenza, II, Piacenza 1789, pp. 28-60; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII/4, 2a ed., Modena 1792, pp. 1599-1602; Concilium Tridentinum. Diariorum, actorum, epistularum, tractatuum nova collectio, edidit Societas Goerresiana, I-XIII, Freiburg im Br. 1901-2001; Epistolae P. Alphonsi Salmeronis Societatis Jesu ex autographis vel originalibus exemplis potissimum depromptae, a cura di F. Cervós, II, Madrid 1907; Bobadillae Monumenta. Nicolai Alphonsi de Bobadilla sacerdotis e Societate Jesu gesta et scripta ex autographis aut archetypis potissimum deprompta, a cura di D. Restrepo, Madrid 1913; G. Van Gulik - C. Eubel, Hierarchia Catholica Medii et Recentioris Aevi, 2a ed., a cura di L. Schmitz-Kallenberg, III, Münster 1923; H. Jedin, Der Franziskaner C. M., Bischof von Bitonto. Sein Lebensgang und seine kirchliche Wirksamkeit, in RömischeQuartalschrift, XLI (1933), pp. 207-275; G. Cantini, C. M. dei frati minori conventuali (1511-1574). Predicatore, scrittore e teologo al concilio di Trento, in Miscellanea francescana, XLI (1941), pp. 145-174, 424-463; R.J. Bartman, Cornelius Musso,Tridentine theologian and orator, in Franciscan Studies, V (1945), pp. 247-276; G. Odoardi, Fra C. M., O. F. M. Conv. (1511-1574). Padre, oratore e teologo al concilio di Trento, in Miscellanea francescana, XLVIII (1948), pp. 223-242, 450-478; XLIX (1949), pp. 36-71; G. Alberigo, I vescovi italiani al concilio di Trento (1545-1547), Firenze 1959; A. Mobilia, C. M. e la prima forma del decreto sulla giustificazione, Napoli 1960; A. Poppi, La spiegazione del Magnificat di C. M. (1540), in Problemi e figure della scuola scotista del Santo, a cura di B. Costa - S. Domini, Padova 1966, pp. 415-489; Id., Il commento della lettera di s. Paolo ai romani di C. M., in Il Santo, VI (1966), pp. 225-260; P. Sarpi, Istoria del concilio tridentino, seguita dalla «Vita del padre Paolo» di Fulgenzio Micanzio, a cura di C. Vivanti, Torino 1974, pp. 194, 226-228; V. Robles, Bitonto durante l’episcopato di C. M. (1544-1574), in Studi bitontini, XXVII-XIX (1979), pp. 11-28; Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M. Firpo, I, Roma 1981; II, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, ibid. 1984; P. Simoncelli, Noterelle sul beneficio di Cristo nella letteratura religiosa della Controriforma, in Rivista di storia e letteratura religiosa, XIX (1983), pp. 63-83; H. Jedin - G. Alberigo, Il tipo ideale di vescovo secondo la riforma cattolica, Brescia 1985; G. De Rosa, Il francescano C. M. dal concilio di Trento alla diocesi di Bitonto, in Id., Tempo religioso e tempo storico. Saggi e note di storia sociale e religiosa dal Medioevo all’età contemporanea, I, Roma 1987, pp. 395-442; P. Simoncelli, Inquisizione romana e Riforma in Italia, in Rivista storica italiana, C (1988), pp. 5-125; C.E. Norman, Humanist taste and franciscan values. C. M. and catholic Preaching in sixteenth-century Italy, New York 1998; I processi inquisitoriali di Pietro Carnesecchi (1557-1567), a cura di M. Firpo - D. Marcatto, I-II, Roma 1998-2000; Testi mariani del secondo millennio. 5. Autori moderni dell’Occidente (secc. XVI-XVII), a cura di S. De Fiores - L. Gambero, Roma 2003, pp. 278-286; M.T. Girardi, C. M., predicatore e vescovo francescano dell’età conciliare, in Studia Borromaica, XXI (2007), pp. 307-324; H. Jedin, Storia del concilio di Trento, 4a ed., I, Brescia 2009.

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