CORNICE

Enciclopedia dell' Arte Antica (1959)

CORNICE

G. Matthiae
W. Ehlich

Architettura. - È la parte terminale di ogni costruzione; costituita da una serie di modanature progressivamente aggettanti assolve il compito di difendere le strutture sottostanti dall'acqua e di raccogliere quella proveniente dalla copertura per convogliarla ai doccioni di sbocco. Da questa derivano le altre di marcapiano o di davanzale, sussidiarie alla principale, che, in tal caso, prende il nome di cornicione, e la c. d'imposta dell'arco. La c. assume talvolta importanza molto notevole per il suo aggetto o per la sua ricchezza decorativa.

In Egitto, fin dalla formazione del tipo di casa rettangolare, la c. prende una forma che si trasferisce poi al tempio; essa consta di un piccolo toro, un guscio avanzante piuttosto sviluppato ed un listello terminale come nella stele di Nefer-yu che raffigura una facciata di casa o nel tardo tempio di Kōm Ombo. Un complesso di modanature analoghe non molto sviluppate si trovano anche nelle tombe rupestri della Persia, che possono dare un'idea di quanto si praticasse nei fabbricati. Nel tempio greco la c. è la parte della trabeazione sovrapposta al fregio e si compone essenzialmente del gèison, modanatura in aggetto, e della sima o gocciolatoio, profilata a sguscio o a gola, con ornati fittili o dipinti, spesso con protomi leonine. Notevole sviluppo decorativo viene dato alla c. nei templi dorici dell' Italia meridionale.

A Roma si ebbero dapprima forme di c. assai semplici, ma già nel sec. I a. C. questo elemento si sviluppa e si arricchisce di mensole; poi le modanature si complicano fino a dare splendidi esempî per vivacità d'intaglio come quello del tempio della Concordia sotto il Campidoglio. In Oriente la complicazione delle modanature e l'intensità delle ombre negli intagli profondi si accentua nel corso dei secoli II e III (Efeso, Palmira, Baalbek, ecc.). Quando la trabeazione si spezza su colonne isolate anche la c. si spezza: ne ricorrono esempî dal Foro di Nerva fino al mausoleo di Spalato e a S. Costanza a Roma, dove la c. ricorre, con le sue profilature multiple, fino sopra le coppie di colonne.

Il largo impiego degli ordini sovrapposti sviluppò d'altra parte l'uso della c. di marcapiano; l'uso dei pilastri con semicolonna addossata portò a quello delle c. di imposta degli archi, suscettibili delle più svariate applicazioni. Non di rado nell'età paleocristiana si ebbero c. correnti sui colonnati anche arcuati, come a S. Demetrio di Salonicco, o come marcapiani negli edifici concentrici a due piani, come SS. Sergio e Bacco, S. Sofia a Costantinopoli o S. Vitale a Ravenna.

Bibl.: A. Choisy Histoire de l'archirecture, Parigi 1889; E. Bosc, Dictionnaire raisonné d'architecture, Parigi 1876-80; P. Planat Enciclopédie de l'architecture, Parigi 1888-92.

(G. Matthiae)

La cornice applicata alla pittura. - La pittura greca su tavola, che dal 500 a. C. circa raggiunse un alto livello, portò con sé l'impiego della c. quale noi la intendiamo e che aveva già i suoi presupposti nelle civiltà più antiche. A parte il contrasto, che già suggerisce un limite conclusivo, tra la bordura formata da una serie di elementi decorativi disposti fra linee e della apposita nicchia destinata ad accogliere le rappresentazioni figurate, gli Egiziani nel Regno Antico sapevano già costruire cornici a telaio e cornici a battente e, in una porta di Tebe, nel Nuovo Regno, fu provata l'esistenza di cornici in legno smontabili per finestre. Già si aveva cura di proteggere, con un bordo rialzato, i rilievi e le tavolette per scrivere o per dipingere; di sospendere mediante chiodi, corde o nastri le insegne e le tavolette di argilla o simili; di circondare di bordure decorate o di galloni le lucide lamine metalliche rotonde degli specchi a mano. Lo scudo con le sue insegne spesso bordate di metallo e dipinte si avvicinava particolarmente alla immagine su tavola, incorniciata, e veniva, a volte, in tempo di pace, sospeso alle pareti della casa, oppure espressamente eseguito per farne offerta nel tempio, come dono votivo (v. clipeate, immagini). Anche la mummia eretta nel sarcofago durante le cerimonie funebri fu mutata in una figura incorniciata, quando il sarcofago, come vediamo in quelli di terracotta di Clazomene, in Grecia, ricevette un largo bordo decorato.

Tutte queste nozioni dovevano condurre, quando si diffuse in Grecia l'uso della pittura su tavola, già nota del resto agli Egiziani, ma che adesso produceva immagini consapevolmente conchiuse in se stesse, alla cornice come oggetto a sé stante, specialmente poi quando si tentarono pitture di formato maggiore per le quali non era più possibile servirsi di un asse scavato, privo ormai della larghezza sufficiente. Furono quindi formate tavole composte di assi congiunte, che venivano poi racchiuse entro una cornice per evitare che le tavole si muovessero. Così al posto del bordo rialzato, si impiegò una incorniciatura fatta a listello, o una cornice a sé stante con scanalatura, e più tardi con incastro e calettature. La cornice non ebbe più soltanto funzione protettiva, ma anche una finalità estetica. Quanto più la pittura si allontanava dal disegno piano colorato (come era stata praticata in tutta l'antichità orientale e nell'età arcaica della Grecia) per affrontare problemi di spazio e di prospettiva, tanto più sorgeva la necessità di separare lo spazio dipinto dall'ambiente circostante, mediante un elemento neutrale di natura architettonica. La tendenza alla preziosità del singolo oggetto indusse i Greci a trattare quadro e cornice come un tutto, come ancora mostrano alcune rappresentazioni di pittori di età romana.

L'impiego della pittura su tavola e le varie possibilità di incorniciamento, possono essere illustrati, oltre che dai singoli ritrovamenti sul suolo egiziano e dalle fonti letterarie, da rilievi, da illustrazioni di manoscritti del primo Medioevo, ma anzitutto dalle pitture parietali di età romana.

Le prime incorniciature di pitture su tavola devono essere state di una estrema semplicità. Le più antiche e, durante secoli, le più usate, erano cornici in cui quattro fianchi, con incastri agli angoli, formavano l'ossatura superando il punto di incastro, in otto terminazioni libere, donde la opportunità di indicarle come "cornici ad otto punte". Una immagine di divinità incorniciata in questo modo, rinvenuta dal Rubensohn in un edificio rurale di Tebtunis, conferma l'ipotesi che molte incorniciature dipinte che troviamo, siano da considerarsi come vere e proprie cornici, a parte il fatto che ancora il II stile pompeiano riproduce forme tecnicamente realizzabili (elenco in Ehlich, Bild u. Rahmen, p. 82).

Un ritratto femminile racchiuso in doppia cornice, trovato da Flinders Petrie in una tomba del Fayyūm, ha confermato che i cosiddetti ritratti di mummie venivano spesso eseguiti in vita ed esposti nella casa. La sua cornice esterna ad otto punte può considerarsi una anticipazione della nostra cornice mobile moderna, poiché viene tenuta insieme mediante biette che permettono la scomposizione di essa allo scopo di una sostituzione del dipinto. Per adattare meglio il ritratto - che aveva sostituito la maschera d'oro antica - al bendaggio della mummia, esso veniva privato della cornice, reciso agli angoli e, in genere, circondato da una lista di stucco dorato, foggiato talora in forma di tralcio di vite, che veniva posato, a volte anche libero, a formare un arco rotondo sul ritratto.

Nell'epoca dei principati ellenistici, specialmente dediti al lusso, si cercò di accrescere il valore delle tavole dipinte mediante incorniciature oltremodo fastose. Vi furono così cornici con decorazioni dipinte o a stucco; ma la pittura parietale ne indica anche talune con i fianchi laterali prolungati, racchiudenti maschere o pitture su tavola rappresentanti maschere, di cui si desume la originaria collocazione all'aperto, e per il verde del fondo posteriore delle maschere stesse, e per l'inclinazione del lato superiore della cornice, nell'intento di favorire lo scolo dell'acqua piovana. Tali immagini di maschere furono decorate, secondo il culto, con fasce (taeniae).

L'ornamento preferibilmente usato anche per le incorniciature era formato da chiodi e borchie di foglia metallica; talora la cornice è arricchita con ornamenti applicati. Ai piccoli specchi erano destinate, per esempio, cornici di argento con motivi vegetali a volute, mentre le pitture parietali mostrano grandi e snelle cornici, con applicazioni in bronzo o ad intaglio.

La tendenza ad utilizzare motivi architettonici come incorniciatura a scopo protettivo e di abbellimento, si manifesta anche in quelle edicole che hanno perduto la loro profondità in favore della superficie, come ad esempio una stele funeraria egiziana del 400 circa a. C., munita di un foro nel lato posteriore per poterla sospendere: alcune porte di templi, riccamente dipinte ed intagliate, fissate ad incastro sopra un asse di legno, incorniciano qui l'immagine di un egiziano mummificato (con maschera d'oro), che può venire celata da porticine. Probabilmente però, anche pitture di grandi dimensioni, come quella su tela alta 120 piedi (circa 35 m) rappresentante Nerone, (Plin., Nat. hist., xxxv, 51), erano applicate a un telaio e inquadrate in una cornice che, per la sua grandezza e per una maggiore stabilità, e forse anche per ottenere un maggiore effetto rappresentativo, sarà stata composta, come più tardi per i quadri da altare, di una base, di colonne, di un architrave e di un frontone.

Le cornici architettoniche, lungamente discusse, che si riscontrano nel centro delle pareti dipinte di Roma e di Pompei (specialmente nel cosiddetto II stile, fase D) sono state identificate come appartenenti a decorazione da scenario. Le pareti della scena erano munite di aperture a forme architettoniche (thyròmata), che formavano la rigida cornice esterna dei pìnakes, grandi tavole di legno dipinte e mobili, circondate da una cornice per evitarne la torsione, come testimonia un elenco del materiale e delle spese per il lavoro dell'artigiano, un certo Epikrates, in una iscrizione relativa al teatro di Delo. Anche le quinte girevoli, come i perìaktoi (περίακτοι) a forma prismatica, consistevano essenzialmente in tavole dipinte poste in cornici scanalate. Le cornici per il trasporto di affreschi, menzionate da Vitruvio (ii, c. 8, 9) e da Plinio (Nat. hist., xxxv, 173) devono essere state, al contrario, solo delle semplici bordure.

Per la fabbricazione delle cornici si impiegavano, in genere, le seguenti qualità di legno: acacia, pino, tiglio ed abete, e, per l'intaglio, anche il bosso, il cedro ed il pioppo. La connessione degli angoli si realizzava mediante l'incastro, la laminazione, la forgiatura, la fissazione per mezzo di chiodi e cunei e l'incollatura. Indizi lasciano supporre che anche l'augnatura sia stata praticata.

Le incorniciature contenevano generalmente, come le pitture su tavola, una base di gesso e colla, su cui si dorava con fogliette d'oro e si dipingeva con colori ad acqua; indubbiamente potevano essere coperte in modo da renderle insensibili alle intemperie. La cornice trovata da Flinders Petrie era munita di una seconda scanalatura; questa ha potuto servire, secondo quanto si deduce dai resti di vetri da finestre racchiusi in cornici di bronzo o di legno trovati a Pompei, per lo scorrimento di una lastra protettiva, o, più probabilmente, di una tavoletta in legno. Sono stati ugualmente utilizzati, per la protezione dei dipinti, sportellini o tessuti, in parte anche per ragioni di culto. I numerosi dipinti su tavola (pìnakes) che si riscontrano riprodotti nella pittura parietale, per lo più in cornici "ad otto punte", presentano uno o due paia di sportellini pieghevoli, molto varî nel loro aspetto artistico, come nelle possibilità di rotazione e di chiusura. Questi dipinti erano generalmente collocati sulla modanatura di una parete, oppure sospesi per mezzo di ganci, corde di canapa, chiodi. Talvolta, come attestano sia Plinio che gli scavi di Pompei (v.) ed Ercolano, venivano inseriti nella parete stessa. Tavole con pitture, racchiuse in cornici, furono collocate anche su mensole delle pareti, su candelabri, su supporti di bronzo, oppure su colonne, quali offerte votive nei boschi sacri, o addirittura portati sopra un'asta come insegna di campo. In Plinio (Nat. hist., xxxv, 6) e in Vitruvio (vi, 3) troviamo indicazioni sulle incorniciature da dare alle immagini degli antenati.

Quando la pittura ornamentale parietale soppiantò la pittura su tavola, e quindi favorì la possibilità di dipingere con maggiore economia le figure incorniciate direttamente sulla parete, gli antichi dipinti, in seguito al riconoscimento del loro valore, furono accuratamente raccolti in gallerie pubbliche o private, presumibilmente con le loro originarie cornici, destinate a completare gli effetti della forma e del colore. Anche nella pinacoteca dei Propilei di Atene vi sarebbero stati "dipinti con cornici di legno" (Paus., i, 22, 6).

Della grande pittura antica su tavola non restano altri esempî che i ritrovamenti egiziani, limitati alla pittura di ritratti, e con essi al tipo di cornici ad otto punte, documentate fino all'epoca tardo-antica. La uniformità dei ritratti di mummie e la frequente ricorrenza delle cornici ad otto punte nella pittura parietale, conducono alla conclusione per la produzione in serie e la comune diffusione di esse. Questo corrisponde all'opinione del Mau, che pensava a "fabbricanti di cornici" e al fatto che esistevano "fabbricanti di ritratti". Tuttavia la facilità con cui era possibile farsi incorniciare un quadro portava ad una continua superficialità della grande arte della pittura e della incorniciatura, che Plinio già riconosceva.

Bibl.: O. Rubensohn, Bilder aus den römisch-griechischen Häusern des Fayums und von Tebtynis, in Jahrbuch, XX, 1905, p. 16 ss.; W. M. Flinders Petrie, Hawara, Biahmu and Arsinoe, Londra 1889, p. 1; id., The Hawara Portfolio, Paintings of the Roman Age, Londra 1913; Roman Portraits at Memphis, (IV), Londra 1911; A. Mau, Pompeji in Leben und Kunst, Lipsia 1900, 2a ediz., pp. 482-500; id., Wandschirm und Bildträger in der Wandmalerei, in Röm. Mitt., XVII, p. 179 s.; id., Tafebild oder Prospekt., in Röm. Mitt., XVIII, p. 222; W. Ehlich, Bild und Rahmen im Altertum, Lipsia 1955.

(W. Ehlich)

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