ALVARO, Corrado

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

ALVARO, Corrado

Ferdinando Virdia

Nacque a San Luca (Reggio Calabria) il 15 apr. 1895. Figlio di un maestro elementare, piccolo proprietario di terre, dopo aver compiuto i primi studi, s'allontanò dalla Calabria per frequentare il ginnasio e il liceo a Napoli, a Roma e in altre città. Tuttavia, nella sua memoria di scrittore, il paese natale, l'ambiente umano e sociale della sua regione, con i miti e le tradizioni di una gente ancora legata a strutture economiche quasi primitive, non si cancellarono; si fissarono anzi come un elemento fondamentale d'ispirazione e formarono il più ricco sedimento di valori poetici e morali nella coscienza di scrittore dell'Alvaro.

Il mondo dell'infanzia, dell'adolescenza, i luoghi stessi delle sue origini si riverberano, talora, nei modi di una favolosa trasfigurazione, in romanzi come l'Età breve e Mastrangelina, in un racconto lungo come Gente in Aspromonte e in molti altri di minore estensione, nonché in saggi e pagine autobiografiche; e anche affiorano, non solo come fondo mitico di lontane esperienze, ma come sentimento di umana, consapevole partecipazione morale, in personaggi e situazioni di romanzi e racconti dettati dai successivi contatti dell'A. con la vita e la cultura dell'Europa contemporanea.

Anche il periodo precedente alla prima guerra mondiale fu determinante per la formazione intellettuale dell'A.: trapiantato in una realtà cittadina assai diversa da quella dei paesi della sua infanzia, egli scopriva gli aspetti di una civiltà matura e complessa, alla cui elaborazione i suoi conterranei erano rimasti forzatamente assenti o vi avevano solo parzialmente contribuito, comunque senza loro vantaggio, di una società nella quale i contatti umani si presentavano per lui più difficili, e in ogni modo non riducibili alla misura dei rapporti in gran parte elementari della sua umile gente. Si delineavano in tal modo nella coscienza dell'A. i termini di quel problema meridionale dietro il quale egli percepiva la storica frattura dell'Italia postrisorgimentale, ma che allora poteva sentire anzitutto come conflitto individuale e suo personale, di giovane studente meridionale perduto, col bagaglio di una educazione umanistica e tradizionale di cui avvertiva forse ancora confusamente i limiti e le insufficienze, nel corpo di un paese indifferente, se non ostile, alle sue esigenze, e che egli doveva affrontare vincendo anche le difficoltà di un linguaggio così diverso da quello allusivo, essenziale e sostanzialmente prerazionale e presintattico della società dalla quale proveniva.

Questo assillo, tipicamente meridionale, verso la conquista di uno strumento espressivo valido anche come mezzo di una effettiva liberazione da una condizione plurisecolare di subordinazione e per l'acquisto di una coscienza civica, nazionale e morale, era da lui in gran parte ereditato dal padre, la cui figura l'A. evoca spesso nella sua opera di narratore e di diarista, cosi fittamente intessuta di ricordi e riferimenti familiari, o ricrea in personaggi emblematici come quello di Filippo Diacono, padre di Rinaldo, protagonista dell'Età breve e di Mastrangelina. Sono questi comunque i dati (in parte forniti dallo stesso A. in pagine e note autobiografiche) che ci consentono di seguire dall'interno la carriera dello scrittore e di valutare le incertezze dei primi confusi tentativi letterari, tra i quali va ricordato un esile volume dal titolo Polsi, edito nel 1911.

Alla guerra 1915-18 l'A. partecipò come ufficiale di fanteria rimanendo ferito in combattimento sul Carso nel 1916. L'anno seguente appare quella che si può considerare la sua vera e propria opera prima, Poesie grigioverdi. Qui è già organicamente delineato nella sua fervida trama di affetti ed emozioni il mondo dell'A. quale sarà caratterizzato in tutta la sua opera, mentre si intravedono quelle che saranno le complesse esperienze di un artista tra i più inquieti e sensibili del nostro tempo.

Indipendentemente da questa ispirazione poetica, la guerra influi decisamente sulla formazione dell'A., gli apri gli orizzonti di una cultura più moderna ed europea, lo immise nel flusso di quel rinnovamento intellettuale che in Italia si era operato per l'impulso teorico dell'idealismo crociano e per quello attivo e militante del movimento vociano. I suoi interessi politici si precisavano anche in questi anni del dopoguerra in una direzione democratico-liberale d'impronta albertiniana e amendoliana, entro la quale s'innestavano le sue sofferte inquietudini di meridionale e un sentimento civico di consapevole partecipazione, di tradizione familiare e di lontana origine umanistica e illuministica; sulla vocazione letteraria, forse ancora incerta, parve prevalere allora la passione politica. Sono gli anni della sua attività di giornalista prima a Il Resto del Carlino, poi nella redazione de Il Corriere della Sera. Nel 1920 si laureava in lettere a Milano e pubblicava il primo volume di racconti La siepe e l'orto; quindi, stabilitosi a Roma con la moglie Laura Babini, traduttrice e scrittrice, fu chiamato nel 1922 da G. Amendola alla redazione del quotidiano Il Mondo, dove rimase fino alla soppressione del giornale nel 1926, prendendo parte accanto all'Amendola alla battaglia contro il fascismo. Fatto segno perciò a violenze squadristiche e successivamente a persecuzioni, lasciò per qualche tempo l'Italia, soggiornando a lungo a Parigi e a Berlino.

Nel 1926 apparve il suo primo romanzo L'uomo nel labirinto, opera che in un certo senso riassume le precedenti esperienze letterarie dell'A, e che risente, specie nella prima farraginosa e disordinata redazione (una seconda molto snellita apparirà nel 1934 nel volume Il Mare), d'influenze pirandelliane ed espressionistiche.

Dopo Rubé di Borgese, questo romanzo alvariano è la prima testimonianza nella letteratura italiana di quella crisi psicologica e morale del dopoguerra, la cui analisi costituiva uno degli interessi principali della narrativa europea contemporanea. Babe, il protagonista, un ex combattente meridionale incapace d'inserirsi, anche a causa di una sua frustrata sensualità e di un nodo di irrazionali, forse ancestrali inibizioni, nella società cittadina, è il primo esemplare di quei velleitari sradicati dal mondo delle loro origini, di cui sarà gremito il romanzo italiano dopo Moravia.

Chiusa forzatamente l'esperienza politica e giornalistica dell'A., si chiude anche la prima fase della sua vita e della sua opera. Costretto, come egli stesso testimonia in una nota di diario apparsa molto tempo dopo nel volume Quasi una vita, alla sola attività letteraria, escluso dal giornalismo politico militante, l'A. chiarisce a se stesso e approfondisce i nuclei più autentici e vitali della sua ispirazione e allarga la sua considerazione a temi e problemi della società contemporanea, a quell'Europa degli "anni venti" che gli appare irta di intime contraddizioni e di pericoli per la stessa civiltà umanistico-liberale alla quale lo scrittore si era educato. La letteratura assume ora per lui il senso di un impegno totale, che coinvolge la sua responsabilità anche morale di scrittore italiano ed europeo, cosciente cioè che la fedeltà al suo mondo originario debba favorire anziché precludere il suo inserimento nel flusso della cultura europea. La sua collaborazione alla rivista 900, fondata da M. Bontempelli con un sottotitolo, Cahiers d'Italie et d'Europe, che è un'esplicita dichiarazione di spirito antiprovinciale e antiparticolaristico, ha appunto questo significato di chiaro valore polemico verso un regime che ostentava l'autosufficienza intellettuale dell'italia verso l'Europa.

Sono del 1929 e del 1930 le raccolte di racconti L'Amata alla finestra, La Signora dell'isola e Misteri e avventure, frutto dell'assidua collaborazione dell'A. alla terza pagina de La Stampa e ad altri giornali italiani e stranieri. Alcuni di questi racconti sono tra i più belli, anche da un punto di vista stilistico, di tutta la folta produzione novellistica dell'A.: qui il racconto alvariano si presenta ormai con la sua precisa fisionomia, nel taglio breve, nella struttura spesso antinarrativa e sempre sospesa al limite di una impostazione saggistica, nella scrittura talora oscillante tra la resa discorsiva e il compiacimento formalistico, in cui traspaiono l'impegno di scavo interiore e le inquietudini del moralista, tipici dell'arte dell'Alvaro.

La fama dello scrittore, però, s'impose definitivamente nel 1930, anche fuori d'Italia, con l'altra raccolta di racconti, Gente in Aspromonte (riedita nel 1931 e una terza volta nel 1955), e con il romanzo Vent'anni (una nuova edizione ampiamente riveduta fu pubblicata nel 1953), cui toccò il Premio de La Stampa. Il lungo racconto che apre e dà il titolo alla raccolta suddetta è forse la testimonianza lirico-narrativa più alta del legame dell'A. alla sua terra.

Sin dall'inizio l'A. pur nel tono di una evocazione favolosa mette in evidenza la dura condizione umana della gente d'Aspromonte, e in tutta la narrazione s'avverte la presenza morale dello scrittore. Protagonista è Antonello, figlio primogenito del pastore Argirò, che ha perduto i buoi del signor Filippo Mezzatesta, precipitati in un burrone. Antonello scende col padre dalla montagna al paese, e assiste alla rovina che, con la richiesta del risarcimento del danno, il ricco proprietario decreta per Argirò. Questi però, lavorando faticosamente riesce a porre riparo alla sventura e anche a mantenere in seminario il secondo figlio, Benedetto. Anche Antonello dovrà sacrificarsi per lui, perché il fratello prete significa che la sua famiglia non sarà più sottoposta a soprusi e avrà diritto al rispetto dei potenti del paese, finché esasperato da nuove violenze dei Mezzatesta, egli si vendicherà, rifugiandosi poi sulle montagne e divenendo simbolo di giustizia per la povera gente.

Non è difficile avvertire nello schema esterno della vicenda, con isuoi contrasti sociali lineari e la sua drammatica soluzione, le suggestioni più che di una letteratura regionale, di fatti di cronaca e di storie paesane, echi di eventi e di personaggi reali o inimmaginati dalla fantasia popolare. Ma è evidente, accanto ad una ispirazione verghiana del racconto - nello sviluppo corale della narrazione, come ne I Malavoglia, nel rilievo dei personaggi centrali e minori visti nel quadro di quel vincolo familiare, tipicamente meridionale, gelosamente custodito fino al totale sacrificio, ma sempre minacciato dalla disgregazione economica -, la presenza di una fantasia tutta alvariana che si traduce nella rinata concitazione del racconto, nel dialogo allusivo, nel monologo interiore dei personaggi che a volte lo scrittore sembra far suo, appunto in un climà di favola e di invenzione.

La particolare poetica degli umili dell'A. assimila l'insegnamento verghiano e lo traduce in un'evocazione mitico-lirica della realtà, mentre il gusto assai sottile e moderno dello scrittore per l'indagine psicologica lo porta a indulgere sulle singole figure e sui loro reciproci rapporti.

Se Gente in Aspromonte è il racconto degli umili calabresi, Vent'anni  è il romanzo di un'umile Italia per la quale la guerra, quella del '15-'18, si presenta come un evento tragico ed eversivo, che impone uno smisurato sforzo individuale e una sofferenza collettiva che mette a nudo i difetti e la scarsa coscienza politica e morale della nostra società. "Libro in costume" ebbe a definirlo, forse con una certa ironia, lo stesso A., volendo alludere evidentemente all'intento di rappresentare in una sorta di grande tela la vita italiana di quegli anni, osservata attraverso il dramma della partecipazione alla guerra di alcuni giovani personaggi.

Negli anni successivi, in cui appaiono fra l'altro l'almanacco popolare Calabria (1931), il Viaggio in Turchia (1932), raccolta di corrispondenze giornalistiche per lo più per La Stampa, e il primo volume di Itinerario italiano (1533), la produzione dell'A. riflette più nettamente temi e suggestioni, anche d'ordine stilistico, della cultura europea, specie dell'espressionismo tedesco e russo e del movimento di scrittori e letterati francesi fiorito attorno alla Nouvelle Revue Française. Il fervore artistico di quella Babele intellettuale che fu la Berlino tra il 1918 e l'avvento del nazismo lo affascina, ma anche lo sgomenta, perché l'A. v'intravede il cammino dell'Europa verso la sua rovina. Documento di questo stato d'animo dello scrittore sono tanto un libretto di confessioni del 1934, Cronaca (o fantasia), quanto i romanzi brevi pubblicati nello stesso anno col titolo Il Mare, dove la difficoltà di rapporti tra l'italiano, protagonista delle vicende narrate, e gli stranieri svela la perplessità dell'autore di fronte al groviglio delle grandi città europee e a un mondo talora incomprensibile.

Nel primo di questi romanzi il protagonista Mosco, un meridionale preso dalla febbre degli affari nell'atmosfera del caotico dopoguerra, è al centro di un'avventurosa storia di traffici clandestini tra Parigi e Costantinopoli; nel secondo, Solitudine, un giovane intellettuale italiano rimasto solo nella Berlino postbellica è incapace di inserirsi in quel mondo anche attraverso i rapporti con le donne; ne Il Mare, infine, un ragazzo meridionale posto di fronte alle sue prime esperienze amorose avverte con stupore e quasi con angoscia il mito della donna straniera come uno degli aspetti di una realtà estranea, dalla quale è nello stesso tempo sopraffatto e reso maturo.

Nel 1938 apparve il romanzo L' Uomo è forte, il documento narrativo forse più importante e significativo dell'esperienza europea dell'A. e della sua profonda inquietudine per la sorte dell'uomo di fronte alle ideologie totalitarie. Benché suggerito in gran parte dalle grandi epurazioni staliniane nella Unione Sovietica (che egli visitò come inviato speciale de La Stampa in quegli anni, raccogliendo nel '38 i suoi servizi nel volume I Maestri del Diluvio), il libro svolge la sua implicita polemica in più direzioni, coinvolgendovi il giudizio sullo stesso regime fascista e la responsabilità degli italiani di formazione democratica e liberale, come l'A., di fronte a questi eventi. La vicenda è collocata in un paese immaginario all'indomani di una rivoluzione e nel corso di una guerra civile; un emigrato vi torna ed è immediatamente preso dal ferreo meccanismo di una spietata polizia ideologica di cui la sua stessa donna è conscio strumento. Romanzo, quindi opera di fantasia, non pamphlet politico, L' Uomo è forte è nella sua sostanza un libro apocalittico che corrisponde a quel tanto di visionario che era nella natura dell'A., al suo ansioso moralismo, alla stessa cultura filosofica di questo conterraneo e attento lettore di Campanella, che egli studiò particolarmente e di cui curò per una collana diretta da U. Ojetti un'antologia di scritti (Le più belle pagine di T. Campanella, Milano 1935), premettendovi un'acuta prefazione.

L' Uomo è forte chiude idealmente, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, un altro periodo della vita e dell'opera dell'A. La guerra e gli avvenimenti a essa legati, che egli commenta nelle note del suo diario, iniziato sin dal 1927, con tono d'indignazione e di ripulsa morale, preparano il suo rientro nell'attività politica e nel giornalismo militante. Il crollo della dittatura nel '43, che gli detta altre bellissime pagine di diario, lo porta alla direzione di un giornale romano, Il Popolo di Roma, che tenne con grande equilibrio e acuto senso della situazione sino a che, dopo l'8 settembre, fu costretto a rifugiarsi sotto falso nome a Chieti, per sfuggire alla ricerca della polizia.

Interessi politici - un breve ritorno al giornalismo militante con la direzione del quotidiano di Napoli Il Risorgimento (1946-47) - e letterari parimenti vivi caratterizzano questo terzo periodo che si apre con la Liberazione. Nel 1945 appare un breve e appassionato saggio politico L'Italia rinunzia?; del 1946 è il terzo romanzo di A., L'età breve, primo di una trilogia della quale è stata pubblicata postuma (1960), a cura di A. Fratelli, la seconda parte, Mastrangelina, mentre è ancora medita la terza, Tutto è accaduto. Con questa trilogia l'A. concepi il disegno di tracciare, nel grande arco della vita e delle esperienze del protagonista Rinaldo Diacono (personaggio affine tanto alle giovani figure di Gente in Aspromonte e d'altri racconti, quanto ai trasognati eroi di Vent'anni), il quadro di un processo di evoluzione della società meridionale nel cuore di tutta la vita italiana.

Ritornano nell'Età breve temi e situazioni del primo A., ma filtrati attraverso più mature esperienze umane e di cultura e soprattutto attraverso la maggiore coscienza storica dello scrittore, che non gli impedisce il libero corso della fantasia. Si è detto dell'Età breve e di Mastrangelina che essi sono - benché privi di un preciso appiglio biografico - una sorta di "ritratto dell'artista da giovane".

L'ambiente del primo romanzo è quello di un paese della Calabria agli inizi del secolo, dove Rinaldo compie la sua iniziazione alla vita in una densa atmosfera di affetti e di contrasti evocati con sottile psicologia; nel secondo romanzo la figura del ragazzo è posta più in ombra e viene in primo piano quella di Mastrangelina, la fanciulla rivelatasi sorella naturale di Rinaldo, il quale ha avuto con lei un legame non del tutto innocente.

Il quadro è spostato alla vigilia della prima guerra mondiale in una piccola città della Calabria dove i due giovani si sono rifugiati dopo la morte del padre di Rinaldo e dove emergono dall'analisi e dalla descrizione di alcuni personaggi femminili i profondi complessi che caratterizzano la moralità sessuale della borghesia del sud.

Nel decennio successivo alla Liberazione, l'ultimo della vita dell'A., la produzione del narratore s'alterna con più intensità che nel passato a quella del giornalista e del saggista, consegnata in gran parte nei volumi Il nostro tempo e la speranza, Itinerario italiano II, Roma vestita di nuovo, Un treno nel Sud, postumi gli ultimi due così come il romanzo fantastico e utopistico Belmoro, frutto più che di una vera disposizione narrativa, di un'inesauribile, talora paradossale vena di moralista. Del resto, l'ispirazione del saggista e quella del narratore non sono sempre facilmente separabili nell'opera dell'A. La sua attività, varia ma non dispersiva (di cui è possibile seguire il filo interiore nelle pagine fitte di annotazioni di Quasi una vita, riconosciuto come uno dei suoi libri più intensi e premiato a Viareggio nel 1957, e dell'Ultimo Diario, edito postumo nel 1959 a cura di A. Fratelli), è in definitiva il segno di un'umanità ricca, talora addirittura esuberante, ma sempre partecipe e mai pienamente paga dei propri risultati d'arte. Moralista inquieto, scrittore assai sensibile al problema della resa poetica del suo mondo, e consapevole nel tempo stesso delle proprie responsabilità umane e civili proprio in quanto scrittore, l'A. concepì, al pari di altri scrittori affermatisi durante il ventennio tra le due guerre, per esempio i più giovani Brancati e Moravia, la letteratura come impegno, non come evasione.

Ingegno sottile e analitico, da immediato più che profondo osservatore di fatti e costumi, seppe rivelare le sue qualità meglio nel racconto che nel romanzo. I 75 racconti, la raccolta quasi completa della sua produzione novellistica apparsa nel 1955, è da questo punto di vista il volume alvariano più importante e significativo. Qui è davvero difficile stabilire una precisa linea di demarcazione tra saggio e racconto: l'A. non si abbandona mai interamente al flusso della narrazione; la vicenda non si esaurisce mai in sé, ma gli offre lo spunto di un commento, di una riflessione morale che spesso interrompe il filo e il ritmo del raccontare, operando quella continua mutazione di piani psicologici tra l'autore e il personaggio, che costituisce una delle più importanti peculiarità della pagina alvariana. La prosa nervosa, depurata per un verso da ogni elemento dialettale e regionale, affrancata dall'altro da ogni ipoteca aulica, aiuta questo sforzo di evocazione e penetrazione per cui l'A. riesce a compiere le più sottili e talora capillari indagini all 'intemo dei personaggi.

Non va dimenticata, per la completa conoscenza dell'opera dell'A., la sua produzione teatrale, iniziata nel 1923 con Il Paese e la città (sintesi drammatica messa in scena da A. G. Bragaglia al teatro degli Indipendenti di Roma), ripresa nel 1939 con Il Caffè dei naviganti (edito in Comoedia, XXI [1939], p. 6; derivato dal romanzo breve Il Mare e rappresentato dalla compagnia Pagnani-Cervi) e dieci anni dopo con La lunga notte di Medea (rappresentata da Tatiana Pavlova con scene e costumi di G. De Chirico e musiche di I. Pizzetti; edita in Sipario, IV pp. 40-41), trasposizione in chiave morale e moderna del famoso mito. L'A. ridusse per il teatro delle Arti di Roma I Fratelli Karamazov di Dostoevskji e la Celestina di F. de Rojas, di cui anche curò una traduzione integrale con prefazione (Milano 1943); esercitò anche attività di sceneggiatore di films e documentari e fu critico drammatico e cinematografico di alcuni giornali tra cui il settimanale romano Il Mondo.

Morì a Roma l'11 giugno 1956.

Opere: Polsi, Napoli 1511; Poesie grigio-verdi, Roma 1917; La siepe e l'orto, Firenze 1920; Luigi Albertini, Roma 1925; L'uomo nel labirinto, Milano 1926; L'amata alla finestra, Torino 1929; Misteri e avventure, L'Aquila 1930; La signora dell'isola, Lanciano 1930; Calabria, Firenze 1931; Viaggio in Turchia, Milano 1932; Itinerario italiano, Roma 1933; Cronaca (o fantasia), ibid. 1934; Il Mare, Milano 1934; I maestri del diluvio (viaggio nella Russia sovietica), ibid. 1935; L'uomo è forte, ibid. 1938; Incontri d'amore, ibid. 1940; Il viaggio (poesie), Brescia 1942; L'Italia rinuncia?, Roma 1945; L'età breve, Milano 1946; Lunga notte di Medea, ibid. 1949; Quasi una vita, diario di uno scrittore, ibid. 1950; Il nostro tempo e la speranza, ibid. 1953; Vent'anni (ediz. riveduta), ibid. 1953; Gente in Aspromonte (seconda ediz.), ibid. 1955; 75 racconti, ibid. 1955; Itinerario italiano, II, ibid. 1957; Belmoro, ibid. 1957; Roma vestita di nuovo, ibid. 1957; Un treno nel Sud, ibid. 1958; Ultimo diario, ibid. 1959; Mastrangelina, ibid. 1960. Rimangono tuttora inedite altre opere dello scrittore, tra le quali i romanzi Domani e Tutto è accaduto, quest'ultimo terzo della trilogia che si apre con L'età breve, e dovranno essere raccolti ancora in volume, sotto il titolo Passioni ed errori, saggi sparsi, già pubblicati in giornali e riviste, e in parte inediti. Sarà anche pubblicato in volume tutto il Teatro dello scrittore.

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