CORRADO da Offida, beato

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)

CORRADO da Offida, beato

Raoul Manselli

Nacque ad Offida (Ascoli Piceno) da umili genitori, nel 1237. Aveva dunque solo quattordici anni quando, nel 1251, fu accolto nell'Ordine dei frati minori dal ministro generale Giovanni da Parma. Aspirando ad una vita di rinunzia, di penitenza e di preghiera nella solitudine, secondo la rigida prassi ascetica che era stata predicata e praticata da s. Francesco d'Assisi e dai suoi primi compagni, C., sebbene fosse dotato di particolari doti intellettuali ed avesse già dato buona prova di sé, preferì troncare quasi, subito gli studi cominciati nel convento di Assisi per servire i suoi confratelli nei servizi più umili. Trasferito al convento di Forano (custodia di Ancona) nell'Appennino marchigiano, vi conobbe il beato Pietro da Treia e si legò a lui di amicizia fraterna. Come ricordano i Fioretti di S. Francesco, i due giovani, "i quali erano due stelle lucenti nella provincia della Marca e due uomini celestiali", misero in comune le loro esperienze ascetiche: "imperciocché tra loro era tanto amore e tanta carità che uno medesimo cuore e una medesima anima parea in loro due, e' si legarono insieme a questo patto, che ogni consolazione, la quale la misericordia di Dio facesse loro, eglino se la dovessono insieme rivelare l'uno all'altro in carità (cap. XLIV).

L'esempio di penitenza e di sacrificio, la pietà stessa del giovane frate marchigiano, di cui si era sparsa ben presto la fama - ricca di episodi edificanti è la sua, biografia per questi anni -, indussero i suoi superiori a destinarlo alla Verna, dapprima, e a fargli riprendere gli studi interrotti. Ordinato sacerdote, ebbe lo specifico mandato della predicazione: la forza della sua parola, il rigore della sua vita, la fervida adesione al messaggio e alla tradizione di s. Francesco, lo fecero diventare ben presto una delle personalità più eminenti dell'Ordine. Fu in rapporto con i primi compagni di Francesco: in particolare, risulta che fu assai legato a frate Leone, anche se non siamo in grado di determinare - allo stato attuale delle nostre conoscenze - come, dove e quando i due religiosi abbiano avuto occasione e modo di incontrarsi e di conoscersi.

Fedele alla lettera della severa regola francescana specie per quello che riguardava la povertà, insieme con l'amico Pietro da Treia partecipò attivamente al dibattito allora in corso all'interno dell'Ordine, sostenendo apertamente gli "spirituali", quei confratelli che, pauperisti in senso rigorista, intendevano mantenersi fedeli agli austeri ideali del francescanesimo primitivo. E quando gli "spirituali" poterono riunirsi nella Congregazione dei "poveri eremiti e fratelli di papa Celestino" istituita dal nuovo pontefice Celestino V, anche C. con ogni probabilità abbandonò l'Ordine dei minori per entrare in una delle nuove comunità. In questo periodo di tempo fu in contatto con Pierre de Jean Olieu - il riformatore provenzale i cui scritti sulla povertà evangelica si sospettava contenessero errori dottrinali - e con lo stesso Angelo Clareno. Data la reticenza delle fonti a noi note, è difficile cercar di stabilire, ora, la parte avuta da C. nella prima scissione dell'Ordine; così come è difficile precisare i suoi rapporti con Pierre de Jean Olieu, che alcuni storici vogliono limitati ai doveri della fraternità e agli ideali di vita religiosa.

Quando, dopo l'abdicazione di Celestino V (13 dic. 1294), il nuovo pontefice Bonifacio VIII ebbe sciolto nel 1295 la Congregazione dei "poveri eremiti", C. - cui Pierre de Jean Olieu aveva inviato una lettera per esortarlo a consigliare ai confratelli di sottomettersi e di riconoscere il nuovo pontefice - non aderì alla corrente secessionista guidata da Angelo Clareno, ma preferì mantenersi nell'obbedienza: chiamato a giustificarsi davanti al generale dell'Ordine dei minori, riuscì a guadagnarsi la sua benevolenza e la sua comprensione. Riammesso tra i francescani, riprese la sua attività di evangelizzazione, rimanendo rigidamente fedele ai suoi ideali di povertà, di penitenza, di preghiera. Morì a Bastia di Assisi, mentre teneva un ciclo di prediche, il 12 dic. 1306, due anni dopo il suo amico fraterno Pietro da Treia.

Il corpo di C., che fu nel 1320 traslato nella chiesa di S. Francesco in Perugia, si trova ora nel vicino oratorio di S. Martino. La fama di santità, di cui godé già in vita, non tardò a trasformarsi in venerazione dopo la sua morte: "Il detto frate Currado da Offida, mirabile zelatore della evangelica povertà e della Regola di santo Francesco, fu di sì religiosa vita e sì gran merito appresso Iddio, che Cristo benedetto nella vita e nella morte l'onorò di molti miracoli" (Fioretti di s. Francesco, XLIII). Pio VII, nel 1817, ne approvò il culto. La festa di C. ricorre il 12 dicembre.

L'adesione di C. alla linea rigorista all'interno del francescanesimo si precisa nel fatto che egli rinunciò a formarsi una preparazione teologica, preferendo dedicarsi - secondo quanto riferisce la tradizione - per ben dieci anni alla cucina dei frati e alla questua. In ogni caso, da quanto risulta dal complesso dei dati tradizionali giunti sino a noi, ebbe ben presto una posizione di rilievo assai caratteristica tra i frati minori delle Marche. Pur senza partecipare al movimento di opposizione alla gerarchia dell'Ordine - opposizione che proprio nelle Marche aveva i suoi esponenti di maggior rilievo in fra' Liberato e in fra' Pietro da Macerata -, ne accettò e mise in pratica, piuttosto che teorizzare, le idee orientatrici di una povertà radicale, in direzione di una vita di silenziosa ascesi e di ritiro eremitico, iniziando una prassi che sarà esemplare anche in seguito per i seguaci del rigorismo o, come poi si dissero, degli "spirituali".

È interessante comunque rilevare che C. sembra essere stato uno dei confidenti di frate Leone, il quale lo avrebbe informato soprattutto di quella che oggi si suole chiamare la "gnosi francescana" e quel complesso di rivelazioni, che s. Francesco stesso e i suoi compagni più diretti avrebbero avuto e comunicato sul destino di decadenza e di rinnovamento dell'Ordine. In ogni caso e prescindendo dal problema - allo stato attuale non risolvibile - del se e fino a che punto C. abbia rielaborato, esasperato ed accentuato quanto aveva appreso da frate Leone, è da ritenere che appunto egli sia stato colui che, avendo goduto della confidenza del grande compagno di s. Francesco, ha dato diffusione e credibilità a queste tradizioni profetiche, che, riprese successivamente dal più giovane Ubertino da Casale e inserite da Angelo Clareno nella sua Historia septem tribulationum, hanno avuto la più larga influenza sia sugli "spirituali", sia, alla fine del Trecento, su quella ripresa minoritica, che conosciamo come Osservanza.

C. visse la grande esperienza della speranza provocata dall'elezione di Celestino V: fu appunto C. che consigliò a Pietro da Macerata e ad Angelo Clareno di rivolgersi a lui per ottenere la formazione della Congregazione dei "pauperes eremitae Domini Celestini", che ha indubbiamente appoggiato, anche se non è del tutto certo che egli ne abbia fatto parte.

Dopo l'eliminazione dei "pauperes eremitae" voluta da Bonifacio VIII, C., che da tempo conosceva i cardinali Colonna, si schierò dalla loro parte contro il nuovo pontefice, di cui contestò la validità dell'elezione. A questo proposito emerge un dato fermo nella biografia di C., in quanto a lui venne inviata da Pierre de Jean Olieu la ricordata lettera, la cui importanza non deve davvero essere sottovalutata. Questa lettera, in data 14 sett. 1295, discute appunto le idee degli "spirituali" italiani ed è, non a caso, diretta a C.: questi, pur rigorista, era per altro il più disponibile ad intendere per la vita dell'Ordine un indirizzo che non fosse soltanto di appassionata polemica, ma anche e piuttosto ragionata riflessione su dati e fatti di natura storica e giuridica insieme. Da questa lettera inoltre emerge una caratterizzazione precisa del rigorismo italiano, di cui C. era dunque un esponente di prim'ordine, e del rigorismo della Francia meridionale, di cui era in quel momento vertice Pierre de Jean Olieu. Questi - non si dimentichi che è alla fine del Duecento forse il più grande teologo ed esegeta dell'Ordine - si lasciava dirigere soltanto da una concezione coerente ed organica del potere ecclesiastico, incarnato nella gerarchia con in cima il pontefice, senza lasciarsi prendere la mano da tradizioni magari venerande, ma senza l'appoggio di una consistente riflessione sugli aspetti concreti della vita e dell'organizzazione ecclesiastica. L'influenza di questa lettera su C. si riscontra immediatamente nei differenti atteggiamenti che, rispetto al pontefice e al ministro generale dell'Ordine, Giovanni Minio di Morrovalle designato a sostituire il deposto Raimondo "Gaufridi" (29 ott. 1295), ebbero appunto C. ed il suo compagno di idee Iacopone da Todi. Mentre per vario tempo erano stati fianco a fianco, come quando si erano recati da Celestino V per ottenere la formazione dei "poveri eremiti", anche dopo la lettera di Pierre de Jean Olieu, Iacopone rimase legato ai Colonna, di cui sottoscrisse il cosiddetto "manifesto di Lunghezza", finendo quindi imprigionato fra il 1298 e il 1305. Invece C., che doveva essere rimasto profondamente colpito dalla lettera di Pierre de Jean Olieu (questi aveva, nello stesso tempo, composto un apposito trattato sulle dimissioni di Celelestino V, la Quaestio de renuntiatione papae), sirecò - come si è detto - a fare atto di sottomissione al nuovo ministro generale, il quale gradì moltissimo questo gesto di obbedienza e considerò da allora in poi con molto rispetto il frate di Offida, come testimonia esplicitamente, tra gli altri, anche Angelo Clareno. Secondo quest'ultimo, infatti, Giovanni Minio avrebbe mandato a chiamare C. per rimproverargli tutti i precedenti gesti di indisciplina e di ribellione più o meno esplicita, di cui era stato accusato dai suoi avversari. C. alle parole di rimprovero del generale avrebbe risposto con tanta semplicità ed umiltà che Giovanni Minio "mise da parte l'amarezza che aveva concepito contro di lui e crebbe nell'amore e nella reverenza tanto che, da allora in poi, fino alla morte, lo faceva chiamare di frequente e ne aveva grandi consolazioni nel vederlo e nell'ascoltarne i discorsi" (Angeli Clareni Historia septem tribulationum, V, 12, a cura di F. Ehrle, in Archiv für Literatur- und Kirchengeschichte des Mittelalters, II[1886], pp. 249 s.).

Cogliamo in questo episodio l'essenza e i limiti del rigorismo di C., quale era stato indirizzato e corretto da lui; in particolare veniva riconfermata la necessità dell'obbedienza e del rispetto dei superiori, contro ogni tentazione di disunione e di dissenso. In questo, però, non bisogna pensare ad una sottomissione supina e, per così dire, inerte, quanto piuttosto al sentimento di una profonda rassegnazione ad un piano provvidenziale, che lo stesso Pierre de Jean Olieu, come altri, sentiva dover essere la prova suprema del francescanesimo, inteso come umile sottomissione, sacrificio, obbedienza, che dovevano coronare e completare la vita di povertà e di emarginazione di cui s. Francesco stesso aveva dato esempio.

Riteniamo a questo punto di dover perciò sottolineare la singolarità e l'importanza della personalità di C. nell'ambito del francescanesimo in genere ed in particolare dello spiritualismo italiano, di cui rimase la personalità più interessante, anche se meno battagliera e contestatrice.

Dopo quanto si è detto, si può lasciare da parte l'aneddotica, che non mancò di manifestarsi nei suoi riguardi come nei confronti dei restanti francescani di qualche rilievo. Si ricorda perciò appena la visione, che egli avrebbe avuto, della Vergine con il figlio in braccio (Fioretti di s. Francesco, cap. XLII); o l'episodio del lupo che, inseguito dai cacciatori, sarebbe stato salvato essendosi rifugiato nel romitorio di C., il quale lo avrebbe poi condotto, mansueto come un agnello, nel convento; 0, ancora, la liberazione della fanciulla indemoniata, che il Santo avrebbe liberato, allontanandosi però subito dopo dal luogo del miracolo "per non essere trovato e onorato dal popolo" (ibid.). Anche da parte si lasciano gli episodi relativi alla Verna e alla dama Benvenuta, che da C. sarebbe stata avviata ad una vita di più intensa religiosità, operando poi in aiuto dei frati.

Tutti questi episodi, ed altri ancora, che qui si tralasciano, tendono a formare quell'alone di leggenda che caratteristicamente si è realizzata intorno alle personalità di maggior rilievo all'interno del francescanesimo.

La tradizione francescana attribuisce a C. un'opera, i cosiddetti Verba fratris Conradi, che raccolgono, in significativo sviluppo della progressiva formazione della leggenda di s. Francesco, una serie di elementi che vengono presentati, almeno in parte, come di origine leoniana e che si propongono di dare, di S. Francesco, una visione fondamentalmente rigorista pur senza l'esasperazione di talune tendenze dello spiritualismo; questi Verba contribuiscono perciò a sistemare e collocare un momento, legato comunque a C., della varia e molteplice serie di toni ed atteggiamenti della spiritualità francescana tra la fine del Duecento e l'inizio del Trecento. In questo senso rappresentano una testimonianza significativa delle molte reazioni che la formazione dell'Ordine francescano provocò nella seconda metà del Duecento fra coloro che, per varie ragioni ed a vario titolo, più volevano collegarsi, passando al di sopra di formalità e norme giuridiche, a quello che era stato esempio vivo e palpitante di Francesco d'Assisi. Con i Verba, quindi, ci troviamo di fronte ad un testo di singolare rilievo, da collocare tra rigorismo vero e proprio e tradizione di continuità dell'esempio di S.Francesco.

È stata discussa da H. Grundmann (Liber de Flore ..., in Historisches Jahrbuch, XLIX [1929] pp. 77-80) l'ipotesi che C. possa essere stato l'autore del ben noto Liber de fiore, fin'ora tenacemente anonimo. Una serie di considerazioni, che partono da argomenti interni ed esterni, lo inducono ad accantonare questa eventualità.

Fonti e Bibl.: Chronica XXIV Generalium O.F.M., in Analecta franciscana..., III, Quaracchi 1897, pp. 422-428; F. Bartoli, Tractatus de indulgentia S. Mariae de Porziuncola, a cura di P. Sabatier, Parisiis 1900, pp. 30, 41, LX; Verba fratris Conradi, a cura di P. Sabatier, in Opuscles de critique historique, I, Paris 1903, pp. 366-392; Catalogus sanctorum Fratrum Minorum, a cura di L. Lemmens, Romae 1908, p. 8; Petri Iohannis Olivi De renunciatione Papae Celestini V quaestio et epistula, a cura di L. Oliger, in Arch. franc. histor., XI (1918), pp. 33-39, 366-375; Angeli a Clarino Chronicon seu Historia septem tribulationum Ordinis Minorum, a cura di A. Ghinato, Roma 1959, pp. 162 ss.; Gratien de Paris, Histoire de la fondation et de l'évolution de l'Ordre des Frères Mineurs au XIIIe siècle, Paris 1928, ad Indicem;G. Oddi, La Franceschina, Firenze 1931, 1, pp. 350-355; II, pp. 369 ss.; A. Canaletti Gaudenti, Il beato Pietro da Treia nella storia e nella leggenda, in Miscellanea franc., XXXVI (1936), pp. 166-193; XXXVII (1937), pp. 77-87; F. Fazi, Sulla data di nascita del beato C. da O., ibid., XXXVIII (1938), pp. 211 ss.; L. de Clary-G. C. Guzzo, Aureola serafica, VI, Venezia 1954, pp. 311-317; R. Manselli, La "Lectura super Apocalipsim" di Pietro di Giovanni Olivi. Ricerche sull'escatologismo medioevale, Roma 1955, pp. 172-176; L. M. Kortleven, Conrad d'O., in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., XIII, Paris 1956, col. 495; R. Sciammannini, C. da O., in Bibliotheca sanctorum, IV, Roma s. d. (ma [1964], coll. 206 s.; J. Moorman, A history of the Franciscan Order from its origins to the year 1517, Oxford 1968, ad Indicem; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, III, p. 614; Enc. Catt., IV, coll. 636 s.

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