Corte internazionale di giustizia

Il Libro dell Anno del diritto 2017

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Corte internazionale di giustizia

Fabrizio Marrella

Il presente contributo intende dar conto sinteticamente dell’attività della Corte internazionale di giustizia (CIG) dall’ottobre 2015 al settembre 2016.

La ricognizione

Nel periodo in esame si contano undici ordinanze e cinque sentenze.

Nel periodo di riferimento si segnalano due sentenze della CIG relative ad eccezioni preliminari, pronunciate entrambe il 17.3.2016, tra il Nicaragua e la Colombia1. Tramite la prima pronuncia, la CIG ha, inter alia, ribadito che la propria giurisdizione va accertata in base alle circostanze esistenti al momento della presentazione della domanda attorea. Ciò vale quand’anche il trattato che conferiva inizialmente la giurisdizione alla CIG cessi la propria efficacia o se una Parte ritiri la propria dichiarazione unilaterale di accettazione della competenza della Corte. Pertanto, la CIG ha ritenuto la propria competenza, sulla base dell’art. XXXI del Patto di Bogotà, del 30.4.1948, a decidere una controversia relativa alle eventuali violazioni degli spazi marini commesse dalla Colombia ai danni del Nicaragua in relazione alla sentenza pronunciata dalla stessa Corte il 19.9.2012. Nella seconda sentenza, la CIG si è, inter alia, profusa sul significato del principio della res judicata in diritto internazionale. Quantunque, tale principio, riflesso agli artt. 59 e 60 dello Statuto della CIG costituisca un principio generale di diritto che consacra il carattere definitivo di una decisione, occorre, ai fini della sua corretta applicazione, accertare il contenuto della pronuncia, senza limitarsi a constatare la mera identità delle Parti, dell’oggetto (petitum) e della causa giuridica (causa petendi). La CIG, dunque, ha concluso che non è impedita dal principio della res judicata a pronunciarsi sulla domanda del Nicaragua relativa alla delimitazione della piattaforma continentale oltre le 200 miglia marine dalle sue coste, dal momento che, nella sentenza del 2012, non si era specificamente pronunciata sul punto.

La focalizzazione. Canali, strade e danni ambientali transfrontalieri

In data 16.12.2015, la CIG si è pronunciata in merito alle cause riunite relative a Certe attività condotte dal Nicaragua nelle aree di confine (Costa Rica c. Nicaragua) ed alla Costruzione di una strada in Costa Rica lungo il fiume San Juan (Nicaragua c. Costa Rica)2.

Nel primo caso, il Costa Rica lamentava che il Nicaragua avesse occupato alcuni suoi territori di confine, costruendovi dei canali e ponendo in essere altre attività contrarie al diritto internazionale, come il dragaggio del fiume San Juan.

A propria volta, con autonomo ricorso, il Nicaragua aveva evidenziato l’illecita costruzione, da parte del Costa Rica, di una strada lungo il fiume San Juan. Qui, il Nicaragua lamentava una violazione della propria sovranità territoriale che aveva cagionato danni ambientali sul proprio territorio.

Con due ordinanze del 17.4.2013, la Corte riuniva i ricorsi e riconosceva la propria giurisdizione in entrambi i casi in base all’art. XXXI del Patto di Bogotà.

In relazione al primo caso (Costa Rica c. Nicaragua), occorreva verificare se effettivamente l’attività del Nicaragua si svolgesse in violazione della sovranità territoriale del Costa Rica. La lettura congiunta degli artt. II e VI del Trattato sui confini del 1858, insieme ad altre prove addotte dal Costa Rica, ha indotto la CIG a dare una risposta positiva. Pertanto, il Nicaragua è stato ritenuto responsabile di tali violazioni ed ha l’obbligo di riparare i danni prodotti.

La CIG si è poi soffermata sul principio di prevenzione, un principio generale di diritto internazionale dell’ambiente, e sulla due diligence. Fermi restando tali principi, nel caso di specie, il Nicaragua aveva effettivamente condotto uno studio dal quale era risultato che non vi era un rischio di danno transfrontaliero significativo in relazione al progetto di dragaggio del fiume San Juan e, pertanto, non sussisteva un ulteriore obbligo di effettuare una valutazione d’impatto ambientale (VIA). Né, nella fattispecie, erano stati violati specifici obblighi di informazione in base ai vigenti trattati, come aveva sostenuto il Costa Rica senza però apportare prove decisive.

Da ultimo, la Corte rilevava un ulteriore illecito internazionale da parte del Nicaragua in quanto aveva impedito ad alcuni cittadini del Costa Rica la libera navigazione nel fiume San Juan, libertà sancita dal summenzionato trattato del 1858. Qui, la pronuncia della CIG è stata ritenuta, in se, una adeguata soddisfazione per il Costa Rica.3

In relazione al ricorso del Nicaragua contro il Costa Rica, la CIG ha, a propria volta, accertato la responsabilità del Costa Rica in quanto, proprio quest’ultimo Stato aveva omesso di effettuare una VIA prima della costruzione della strada lungo il fiume San Juan. L’obbligo di effettuare una VIA, osserva la Corte, sussiste ex ante e non è sufficiente effettuare studi parziali ex post sui lavori già realizzati. La pronuncia della CIG è valsa, anche qui, quale adeguata soddisfazione per il Nicaragua che, comunque, non è riuscito a provare l’esistenza di gravi pregiudizi transfrontalieri derivanti dalla costruzione della strada de qua. Così pronunciando, la Corte ha ricordato ad entrambi gli Stati l’importanza dell’obbligo di cooperazione in relazione al fiume San Juan.

I profili problematici. Esiste un diritto sovrano all’accesso al mare?

In data 24.9.2015, la CIG, tramite una sentenza sulle eccezioni preliminari, ha riconosciuto la propria giurisdizione in merito ad una controversia tra Bolivia e Cile, relativa all’esistenza di un obbligo, gravante sul Cile, di negoziare l’accesso della Bolivia all’Oceano Pacifico.

Nello specifico, la Bolivia aveva chiesto alla Corte di accertare l’esistenza di un obbligo internazionale, gravante sul Cile, di garantire alla Bolivia un accesso pieno ed effettivo al mare.

Lo Stato attore chiedeva altresì che la Corte accertasse che l’adempimento del succitato obbligo dovesse essere eseguito in buona fede, entro un tempo ragionevole, in via formale e in maniera tale da porre la Bolivia nella posizione di poter godere effettivamente dell’asserito diritto.

Secondo la Bolivia, la giurisdizione della Corte si basa sull’art. XXXI del Patto di Bogotà, del 30 aprile 1948, di cui entrambi gli Stati in causa sono Parti. La giurisdizione della Corte in subiecta materia, invece, è stata contestata dal Cile, ma tale eccezione è stata respinta dalla CIG con la sentenza in esame. La CIG, infatti, a larghissima maggioranza (solo due i voti contrari, tra cui quello del giudice ad hoc), ha radicato la propria giurisdizione sulla norma generale dell’art. VI del Patto di Bogotà giacché, nel caso di specie, la questione controversa non risulta né «risolta da un accordo tra le Parti, o da un lodo arbitrale o da una decisione di un tribunale internazionale», né è stata «regolata da accordi o trattati in vigore al momento della conclusione del Patto di Bogotà».

Occorrerà dunque ora attendere la pronuncia nel merito della Corte, atteso che si tratta di un importante sentenza che arricchirà il contributo dato dalla Corte alla soluzione pacifica delle controversie in materia marittima e preciserà l’eventuale esistenza di un diritto sovrano di accesso al mare.

Note

1 Entrambe riprodotte in Riv. dir. int., 2016, 538 ss., nonché nel sito della CIG: www.icjcij.org.

2 Entrambe riprodotte in Riv. dir. int., 2016, 199 ss., nonché nel sito della CIG: www.icjcij.org.

3 In generale e sulla soddisfazione in relazione alla responsabilità internazionale v. per tutti Carreau, D. - Marrella, F., Diritto internazionale, Milano, 2016, 524 ss.

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