Cosmopolitismo

Enciclopedia dei ragazzi (2005)

cosmopolitismo

Marzia Ponso

Essere cittadini del mondo

Il cosmopolitismo è un indirizzo di pensiero che attribuisce a ciascun individuo la cittadinanza del mondo, ritenendo irrilevanti le distinzioni politiche, etniche, culturali o religiose tra le nazioni. Alla base del concetto vi è l'idea che tutti gli esseri umani sono uguali e godono degli stessi diritti, indipendentemente dallo Stato cui appartengono. Il cosmopolita riconosce come sua patria il mondo intero

L'antichità

Le prime tracce del cosmopolitismo apparvero in Grecia, quando le pòleis democratiche manifestarono i primi segni di crisi (seconda metà del 5° secolo a.C.). Per i filosofi Democrito, Platone e Diogene il cosmopolitismo aveva un carattere culturale: il saggio è per sua natura cittadino del mondo. La scuola filosofica dello stoicismo sosteneva invece un cosmopolitismo esteso a tutta la società umana, affermando la fratellanza di tutti gli uomini e la loro dipendenza da una legge comune naturale. Con l'affermazione di un potere universale sotto Alessandro Magno e lo sviluppo della civiltà ellenistica (ellenismo), la diffusione di ideali cosmopolitici fu favorita dall'adozione della lingua greca come mezzo di comunicazione per tutti i popoli mediterranei. Nell'antica Roma il cosmopolitismo si affermò con il declino del repubblicanesimo, per influenza della cultura greco-ellenistica. Cicerone affermò, in termini utilitaristici, che "patria è ovunque ci si trovi bene". Il filosofo Seneca difese sotto l'imperatore Nerone i valori di umanità e filantropia. L'idea della civitas universalis venne sancita dall'imperatore Caracalla nel 212 d.C., ma soltanto nel senso che fu conferita la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi residenti nei confini dell'Impero. Con la fine della civiltà antica le concezioni cosmopolitiche scomparvero per molti secoli, per tornare in auge in epoca moderna.

L'età moderna

Anche in età moderna si ripropose la duplice interpretazione del cosmopolitismo: ogni individuo viene considerato cittadino di una comunità universale, intesa o in senso reale (come repubblica mondiale o monarchia universale) o in senso ideale, come repubblica delle lettere, limitata agli intellettuali di ogni nazionalità.

L'umanista olandese Erasmo da Rotterdam sostenne che la comunità universale degli uomini si fonda non soltanto sull'universalismo del cristianesimo, ma anche, come insegnarono gli stoici, sulla comune natura razionale. La filosofia settecentesca dell'Illuminismo rappresentò la seconda e maggiore stagione della dottrina cosmopolitica. In Francia tornò con Voltaire il cosmopolitismo culturale che ribadiva la cittadinanza universale del filosofo; J.-B. d'Alembert, D. Diderot e M.-J.-A. Condorcet affermarono il diritto di ogni uomo a cambiare patria nel caso in cui lo Stato di appartenenza non garantisse i diritti di libertà e il benessere dei cittadini. Spesso il cosmopolitismo moderno presupponeva la fiducia nel generale progresso storico e credeva nel graduale miglioramento del genere umano dal punto di vista culturale e morale, assumendo i caratteri dell'utopia: in nome della ragione (identica per tutti gli uomini) e di una legge naturale (uguale per tutti i popoli), riteneva possibile la creazione di un ordine giuridico-politico universale tale da garantire la libertà e la fratellanza di tutti. I tedeschi G. E. Lessing, J.W. Goethe e I. Kant esortarono alla pace perpetua universale e a una cultura tollerante e priva di pregiudizi.

Cosmopolitismo, marxismo, globalizzazione

Nel corso dell'Ottocento il cosmopolitismo subì una trasformazione radicale a opera del marxismo, che sostenne l'internazionalismo della lotta di classe proletaria: il movimento operaio rifiuta le divisioni nazionali e intende diffondersi su scala planetaria. Nel Novecento, soprattutto tra le guerre mondiali, il cosmopolitismo venne recuperato nella sua versione culturale, come atteggiamento proprio dell'intellettuale libero da ogni pregiudizio patriottico.

Oggi al cosmopolitismo è subentrata la globalizzazione, che, se rappresenta l'interdipendenza dei processi economici e politici, in realtà è una riduzione delle vocazioni universalistiche all'omogeneizzazione del mercato mondiale.

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