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COSTANZO II imperatore

di Alberto Olivetti - Enciclopedia Italiana (1931)
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COSTANZO II (Flavius Iulius Constantius) imperatore

Alberto Olivetti

Figlio di Costantino il Grande e dell'imperatrice Fausta, cesare dal 323 o 324 al 337, augusto dal 337 al 361. Nacque probabilmente a Sirmio in Pannonia, il 7 agosto 317 o 318. Fu eletto cesare dal padre l'8 novembre 323 o 324 e nel 326 fu insignito del consolato. Nella divisione dell'Impero fatta da Costantino nel 335, a C. fu assegnata la prefettura d'Oriente; poco dopo egli sposò una figlia di Giulio Costanzo, fratellastro di Costantino. Morto il padre (22 maggio 337), partecipò ai solenni funerali di lui che si svolsero a Costantinopoli e che furono seguiti da un'orribile strage nella famiglia imperiale: in un tumulto militare, che C. non ebbe sufficiente energia per reprimere, trovarono la morte il cesare Delmazio e Annibaliano, nipoti di Costantino e da lui designati eredi insieme ai figli, i fratellastri del morto imperatore, Giulio Costanzo e Delmazio, e altri congiunti di Costantino.

Il 9 settembre 337 il senato nominò augusti i tre figli di Costantino. Nel 338 C. si trovò coi fratelli a Sirmio o a Viminacio, dove fu concordata una nuova divisione dell'Impero: a C. fu confermata l'attribuzione della prefettura d'Oriente con l'aggiunta della Tracia, compresa Costantinopoli, assegnata in un primo tempo a Costantino II (v.). Due anni dopo (340) scoppiava però fra questo e il fratello Costante una lotta nella quale Costantino II trovava la morte; i suoi possessi passavano a Costante, senza che C., occupato nella guerra contro i Persiani, potesse in alcun modo intervenire. Fino dal principio del suo regno C. si era trovato infatti coinvolto, in circostanze particolarmente sfavorevoli, in una lunga guerra contro i Persiani dovuta alle ambiziose mire del re Sapore II sulla Mesopotamia e sull'Armenia, ma, nonostante qualche insuccesso, riuscì ad arginare le incursioni nemiche. Gli avvenimenti più importanti nel periodo dal 337 al 350 furono la battaglia di Singara (344 o 348) persa dai Romani, e i tre assedî di Nisibi in Mesopotamia (338, 346 [o 348], 350) per parte dei Persiani, tutti e tre respinti.

L'usurpazione del potere imperiale da parte di Magnenzio (v.) e la morte violenta di Costante (18 gennaio 350), costrinsero C. ad abbandonare il confine orientale e a muovere verso le regioni occidentali dell'Impero; per fortuna Sapore non approfittò di queste gravissime circostanze e, dopo il terzo assedio di Nisibi, sospese le ostilità fino al 359. Mentre C. dalla sua residenza di Antiochia moveva verso l'Europa, la situazione si era ancor più complicata, perché le legioni della Pannonia avevano acclamato augusto il loro generale Vetranione (10 marzo 350) e a Roma aveva assunto il titolo imperiale Nepoziano, figlio di Eutropia, sorellastra di Costantino (3 giugno 350). Ma Nepoziano fu ucciso e Vetranione depose il potere, appena C. giunse al confine pannonico (dicembre 350 o gennaio 351). Intanto Magnenzio, che aveva nominato cesare il fratello Decenzio lasciandolo a presidiare la Gallia, era penetrato in Pannonia. Dopo un periodo di vane trattative tra C. e l'usurpatore, questi occupò Siscia e attaccò l'esercito di C. nelle pianure intorno a Mursa (l'odierna Esseg) e rimase sconfitto (28 settembre 351). Nel 352 C. invase l'Italia, sconfisse Magnenzio a Ticinum (Pavia), occupò per mezzo della flotta la Sicilia, l'Africa e la Spagna e costrinse l'usurpatore a rifugiarsi in Gallia. Qui Magnenzio tentò un'ultima difesa, ma nel 353 fu sconfitto a Monteseleuco (l'attuale La-Bâtie-Neuve nel dipartimento delle Hautes-Alpes) e si uccise a Lione (10 agosto 353); pochi giorni dopo Decenzio ne seguiva l'esempio. Così C. era padrone assoluto dell'Impero.

La necessità di riparare ai danni prodotti dalla lunga guerra civile e le minacciose incursioni dei popoli germanici trattennero C. nelle provincie occidentali fino al 359. Al governo dell'Oriente aveva provveduto fino dal marzo 351, nominando un cesare nella persona del suo cugino Gallo, sopravvissuto insieme col fratello Giuliano alle stragi del 337; C. gli diede in moglie la propria sorella Costanza (v.). Ma Gallo, dopo aver represso una rivolta di Ebrei in Palestina e aver sconfitto Isauri e Saraceni, cominciò a mostrarsi ambizioso e a commettere ingiustizie e soprusi: C. lo richiamò, lo fece processare e decapitare (dicembre 354).

Per undici mesi dopo la morte di Gallo, C. fu solo a portare il titolo imperiale. Ma, in seguito alla breve usurpazione, avvenuta a Colonia, del magister militum Silvano (estate 355) e alla grave situazione militare in Gallia, C., forse consigliato dalla sua seconda moglie Eusebia da lui sposata nel 353, nominò cesare l'ultimo suo parente superstite, Giuliano, dandogli in moglie la propria sorella Elena (6 novem. 355) Giuliano (v.) sconfisse Franchi e Alamanni, e rese libera la navigazione del Reno (356, 357, 358, 359). Per parte sua C. sconfisse i due re alamanni Gundomado e Vadomario (356), batté in Pannonia i Quadi e i Sarmati, dando ai secondi come re il loro capo Zizais (358), e respinse i Limiganti, popolo danubiano che minacciava la Pannonia (358). Nel 359 Sapore, re di Persia, riaprì le ostilità in Mesopotamia, occupando dopo 73 giorni d'assedio la città di Amida. L'anno dopo (360) anche Singara e Bezabda caddero in potere dei Persiani; C. allora da Costantinopoli si recò ad Antiochia, mandando contemporaneamente Decenzio presso Giuliano a Lutezia (Parigi) per chiedergli un forte contingente di truppe. Ma i soldati delle Gallie si ribellarono e acclamarono Giuliano augusto (febbraio 360).

Giuliano mandò a C. un'ambasciata chiedendogli di riconoscere il fatto compiuto, pur dichiarando che si considerava sempre in posizione subordinata. C. rifiutò e le trattative si trascinarono inutilmente per circa un anno; nel frattempo morirono quasi contemporaneamente le mogli dei due contendenti, Eusebia ed Elena, che avrebbero potuto efficacemente servire da intermediarie. Finalmente Giuliano lasciò la Gallia e piombò inaspettato in Pannonia (estate 361). C., che aveva sposato intanto in terze nozze Massima Faustina, lasciò ai suoi generali la spedizione intrapresa contro i persiani, e si preparò a opporsi alla minacciosa avanzata del cugino; giunto a Mopsucrene in Cilicia, fu colto da violentissimo attacco di febbri e morì a soli 44 anni (2 novembre 361). Ammiano Marcellino (XXI, 15,2) riferisce che avrebbe designato come successore lo stesso Giuliano. Certo quest'ultimo gli successe senza contrasti. C. lasciò la sua terza moglie incinta di una figlia che si chiamò Costanza (v.) e andò sposa all'imperatore Graziano.

Cristiano convinto, C., d'accordo col fratello Costante, promosse una legislazione apertamente persecutrice del paganesimo. Fino dal 341 C. e Costante emanarono una legge (Cod. Theod., XVI, 10,2) che fu vero grido di guerra contro le antiche credenze: Cesset superstitio, sacrificiorum aboleatur insania. In una seconda legge del 346 (Cod. Theod., XVI, 10,4) la proibizione dei sacrifici fu solennemente rinnovata e anzi, mentre la legge precedente non conteneva precise sanzioni, questa comminava addirittura la pena di morte. Peraltro a questa egislazione così severa non corrispose che in piccola parte la pratica. Nelle stesse leggi indizî di una certa tolleranza non mancano. Una legge del 342 (Cod. Theod., XVI, 10,3), pur confermando l'orientamento generale della politica religiosa (quamquam omnis superstitio penitus eruenda sit), dispose che venissero protetti i templi più famosi del suburbio romano; un'altra legge del 349 (Cod. Theod., IX, 17, 2) riconobbe tra l'altro ai pontefici il diritto di giudizio nelle cause attinenti alla violazione dei sepolcri pagani. Questa tolleranza s'impose tanto più a C. quando, dopo la morte di Costante, venne in Occidente, dove il paganesimo era tuttora diffuso. Notevole soprattutto il rispetto dimostrato da C. per i templi e i sacerdozî pagani durante la sua visita (357) a Roma (cfr. Simmaco, Epist., X, 3). In seno alla chiesa cristiana, C. fu favorevole all'arianesimo (v., per la sua azione durante la controversia ariana, arianesimo). In punto di morte C., come il padre, fu battezzato da un vescovo ariano, ciò che non impedì che si formasse anche fra gli ortodossi la leggenda di un coro angelico, il quale avrebbe salutato il trasporto funebre dell'imperatore sulla cima del Tauro (Greg. Naz., Or., V, 16).

C., ariano e nemico dei pagani, è stato giudicato soprattutto in base a passi di scrittori ortodossi (Atanasio, Socrate, Teodoreto, Ilario di Poitiers, Paolo Orosio) o pagani (Giuliano, Ammiano Marcellino, Aurelio Vittore, Eutropio) alcuni dei quali (Atanasio, Giuliano, Ammiano) furono per di più suoi nemici personali. Egli non ebbe certo le qualità superiori di organizzatore e di condottiero, che resero illustre il padre; la sua intransigenza religiosa lo portò spesso ad eccessi, egli inoltre subì in soverchia misura l'ascendente di cortigiani e di vescovi ariani (come Valente di Mursa e Ursacio di Singiduno), e dimostrò spesso un'indole eccessivamente sospettosa. Ma il suo vigile senso di responsabilità e di dignità, la sua frugalità, la rigidità e l'austerità dei suoi costumi ce lo fanno apparire come una figura tutt'altro che spregevole.

Fonti: Per gli ultimi otto anni della vita di C. la fonte più diffusa e autorevole è Ammiano Marcellino (v.); per la storia politica di tutto il regno di C., Aur. Vittore, Caesares, 41, 22-42; Epitome de Caesaribus, 49, 19-42, 21; Eutropio, Breviarium, X, cap. 9-15; Rufo Festo, Breviarium Rerum Gestarum Populi Romani, cap. 27; S. Girolamo, Chronicon, 2353-2376; Paolo Orosio, Historia adversus paganos, VII, 29; Zosimo, Historia Nova, II, 39; III, 10; cfr. A. Olivetti, Osservazioni sui capitoli 45-53 del libro II di Zosimo e sulla loro probabile fonte, in Riv. fil. clas., XLIII, 1915; Teofane, Chronographia, 5829-5852; Zonara, Epitome, XIII, 5-11, oltre ai frammenti 7-8 di Eunapio, 16-17 di P. Patricio, 172-176 di Giovanni Antiocheno (in Müller, Fragm. Histor. Graec., IV). Cfr. anche i Panegirici di Giuliano (Or., I-III) e di Libanio (Or., 59) e l'Epistola al senato e al popolo di Atene di Giuliano. Per la storia religiosa: Atanasio, Historia arianorum.; ad monachos; Apologia ad Constantium; Ilario di Poitiers, Oratio ad Constantium; Socrate, Hist. Eccl., II; Sozomeno, Hist. eccl., III, fr.1,4,12,22,23, IV,1-3,7-8, V, 15 (ed. Bidez, Lipsia 1913); le leggi nel Codice Teodosiano e in piccola parte nel Codice Giustinianeo; le iscrizioni in Corpus Inscriptionum Latinarum; le monete in Cohen, Descr. hist. des monnaies frappées sous l'Empire Romain, VII, Parigi 1890, pp. 438-494.

Bibl.: E. Gibbon, Decline and fall of the Roman Empire, ed. Bury, II, Londra 1897, pp. 220-87, 357-415; H. Schiller, Geschichte der röm. Kaiserz., II, Gotha 1887, pp. 238-331; O. Seeck, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, colonne 1043-1094; id., Gesch. des Untergangs der antiken Welt, IV, Berlino 1911, pp. 1-302 e App., pp. 377-492; E. Ferrero, in De Ruggiero, Diz. epigr., II, pp. 663-676; E. Stein, Gesch. des spätröm. Reiches, I, Vienna 1928, pp. 201-245; E. Albertini, L'Empire Romain, Parigi 1929, pp. 368-373, 400; L. Homo, L'Empire romain, Parigi 1930, pp. 118-122; P. Allard, Julien l'Apostat, I, Parigi 1906; J. Bidez, La vie de l'empereur Julien, Parigi 1930. Per le relazioni tra lo stato e la chiesa: A. De Broglie, L'Église et l'Empire Romain au IVe siècle, parte 2ª, Parigi 1859; H. Gwatkin, Studies of Arianism, Londra 1882; id., The Arian controversy, Londra 1889; Hefele e Leclerq, Histoire des conciles, I, Parigi 1906; L. Duchesne, Histoire ancienne de l'Église, II, Parigi 1910; P. Batiffol, La Paix Constantinienne et le Catholicisme, Parigi 1914; J. Geffcken, Der Ausgang des griechisch-römischen Heidentums, Heidelberg 1920. Su questioni particolari, v. A. Olivetti, Sulle stragi di Costantinopoli del 337, in Rivista di fil. classica, XLIII, 1915 (sullo stesso argomento, v. Stein, cit., I, p. 203); id., Osservazioni storiche e cronologiche sulla guerra di C. contro i Persiani, Torino 1915; A. Solari, Ancora sulle leggi di C. contro il culto pagano, in Rend. Acc. Scienze di Bologna, s. 2ª, IX (1924-25).

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