Costituzionalismo

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La nozione di costituzionalismo è strettamente intrecciata con quella di costituzione e di diritto costituzionale. Generalmente, per costituzionalismo si intende l’insieme delle dottrine politico-giuridiche che affrontano il tema del potere politico e dei suoi limiti. In linea di massima, si può dire che il costituzionalismo moderno si ricolleghi all’adozione di costituzioni scritte, quali documenti solenni che legittimino e, allo stesso tempo, limitino il potere politico; ciò con la rilevante eccezione dell’esperienza giuridica britannica, da cui ha origine sin dalla seconda metà del XVII secolo il costituzionalismo moderno, che non sfociò nella redazione di un testo costituzionale scritto.

È merito di uno storico inglese, McIlwain, avere sottolineato gli elementi di continuità dell’idea di costituzione che, a partire dalla riflessione platonica sul «governo degli uomini» e sul «governo delle leggi», trovarono un’immediata applicazione nella architettura istituzionale della Roma repubblicana, sviluppandosi per tutto il Medioevo e l’età moderna, per arrivare sino al XX secolo. In particolare, si mette in evidenza l’importanza della distinzione operata dal giurista inglese Bracton tra gubernaculum (quale sfera in cui il Monarca poteva agire senza trovare alcun limite) e iurisdictio (quale sfera in cui il Sovrano era sottomesso, invece, ai principi del common law), nonché la redazione di un documento come la Magna Charta Libertatum (1215), che sanciva una serie di limiti invalicabili al potere monarchico. Peraltro, l’idea che il Monarca (Capo dello Stato) non potesse agire sciolto da ogni vincolo è presente anche nel primo grande teorico della sovranità, Bodin, secondo il quale le c.d. leggi fondamentali del Regno erano sottratte al potere legislativo regio.

Tuttavia, è solo con l’affermazione dello Stato democratico che, accanto al tema della limitazione del potere, assume centralità anche quello della legittimazione del potere. In particolare, è centrale nel costituzionalismo del Novecento l’affermazione di una pluralità di compiti che vengono ad essere assunti da parte dei pubblici poteri, con il contestuale superamento della concezione liberale ottocentesca della costituzione come mero limite al potere. Trarrebbe forma la c.d. democrazia costituzionale, fondata da un lato sul principio della sovranità popolare, ma anche, ad un tempo, sulla garanzia dei diritti costituzionali, presidiati da un organo di giustizia costituzionale (Corte costituzionale).

Dalla consapevolezza dei complessi fenomeni che investono gli Stati costituzionali contemporanei ha tratto origine un recente indirizzo di filosofia del diritto chiamato «neocostituzionalismo», che, più che interrogarsi sul rapporto tra costituzione e potere politico, è tornato sulla relazione esistente tra il diritto e la morale, in virtù del ruolo fondamentale assunto dai principi (e dai valori) costituzionali nell’ambito degli ordinamenti giuridici del tempo presente. Secondo questo filone di pensiero – che trae origine dalla riflessione di Dworkin ed annovera tra i suoi esponenti Alexy, Santiago Nino, Habermas – il diritto costituzionale finirebbe per essere quasi un diritto naturale con una veste nuova.

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Per uno studio comparativo del diritto costituzionale di Angelo Antonio Cervati

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