Criminalita

Enciclopedia del Novecento (1975)

Criminalita

Marshall B. Clinard

di Marshall B. Clinard

Criminalità

sommario: 1. La criminologia: definizione e storia. 2. Differenti aspetti della criminologia in Europa e negli Stati Uniti. 3. Controllo sociale e natura del reato. 4. Arbitrio nell'applicazione della legge e suoi riflessi nelle statistiche sulla criminalità. 5. Natura e cause del comportamento criminale. 6. Tipologia del comportamento criminale. □ Bibliografia.

1. La criminologia: definizione e storia

La criminologia è lo studio scientifico del fenomeno della delinquenza, e il criminologo è lo studioso che si dedica alla criminologia. Più specificamente, la criminologia consiste nell'applicazione di metodi scientifici alla ricerca e all'analisi delle regolarità, dei modelli e delle relazioni causali relativi al delitto e al comportamento criminale. Tre sono le sfere di competenza della criminologia: la sociologia del diritto, lo studio della criminalità, cioè della natura e delle cause del comportamento criminale, e la prevenzione e i provvedimenti da prendersi nei riguardi del delitto. La disamina che segue tratterà principalmente della criminalità.

Malgrado l'interesse per il delitto sia vivo da secoli, soltanto negli ultimi cento anni si è cercato di studiare scientificamente i fattori che sono alla base del comportamento criminale. In precedenza si era meditato e scritto molto sulla natura del delitto, ma ci si era interessati poco al delinquente come persona. Verso la fine del XVIII secolo diversi autori, e in particolare Cesare Beccaria in Italia e Jeremy Bentham in Inghilterra, sostennero che il delitto è semplicemente un atto in cui il piacere dato dal comportamento illegale supera l'eventuale dolore derivante dalla punizione. Questa concezione del delitto era basata sui principi di una psicologia edonistica, secondo la quale il comportamento di ognuno è in tutto e per tutto una questione di responsabilità individuale e la cattiva condotta è motivata dal confronto tra il piacere che ci si ripromette dal delitto da una parte e il dolore e la punizione dall'altra. Da questo punto di vista, tutti gli esseri umani erano supposti egualmente capaci, in potenza, di un comportamento criminale, il delinquente non differendo dal non-delinquente. Ogni individuo era considerato dotato di ‛libero arbitrio', cioè della capacità di scegliere fra azioni giuste e azioni sbagliate.

Fondando le sue idee su questa opinione, ma senza alcuno studio effettivo su delinquenti e non-delinquenti che la dimostrasse, Beccaria espresse il suo pensiero in un'opera famosa: Dei delitti e delle pene (1764). La sua concezione del diritto coincideva con quella della nuova età illuministica, con i suoi ideali umanitari in contrapposizione alle barbare procedure penali del tempo. In un periodo in cui lo stesso delitto veniva punito in maniera differente da giudici diversi o persino dallo stesso giudice, con pene minime o addirittura nulle per i nobili e con grande severità per i servi, Beccaria propose pene uniformi per gli stessi delitti, e punizioni proporzionate alla gravità del delitto. Raccomandò l'abolizione delle torture e delle varie disumane pene corporali, compresa la pena capitale che era allora largamente usata. Fece rilevare che punizioni crudeli e definitive come la pena capitale non necessariamente avevano efficacia preventiva, e che le pene dovevano essere conosciute in anticipo di modo che il rapporto piacere-dolore potesse essere calcolato prima dell'azione e l'entità della punizione fosse più certa. La concezione penale di Beccaria, che prevedeva, ad esempio, un certo numero di anni di detenzione per il furto con scasso e un diverso numero di anni per la rapina, è ancor oggi alla base del codice penale di quasi tutti i paesi.

Comunque la criminologia non ebbe un reale rilievo scientifico fino al 1876, quando Cesare Lombroso, un medico militare e in seguito professore all'Università di Torino, pubblicò la sua opera, L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza e alle discipline economiche. Egli non era interessato a metodi astratti di studio dei delitti; cominciò invece a studiare le caratteristiche fisiche dei vari delinquenti. Lombroso fu influenzato dal lavoro che aveva svolto prendendo varie misure antropometriche su internati in manicomio, e dall'ancora controversa teoria darwiniana dell'evoluzione e dal suo corollario, secondo cui antenati dell'uomo contemporaneo erano stati tipi umani primitivi. Nel corso dell'autopsia di un famoso brigante, Lombroso notò sull'occipitale un clivus netto simile a quello che aveva riscontrato in animali inferiori. Si convinse che i delinquenti erano nati tali ed erano caratterizzati da certe peculiarità fisiche distintive. I delinquenti, egli affermò, sono caratterizzati dall'atavismo, vale a dire dalla regressione all'uomo primitivo. In seguito operò un'ulteriore classificazione dei delinquenti, distinguendo: i pazzi (comprendenti gli epilettici e gli alcolisti), i criminaloidi - cioè le persone che non sono nate con segni fisici distintivi, ma che in realtà hanno innate tendenze al delitto, e la cui criminalità è influenzata da fattori esterni piuttosto che interni -, gli pseudocriminali, i criminali abituali, e coloro che commettono delitti passionali.

Per sviluppare la sua teoria, Lombroso sottopose a rilevazione antropometrica migliaia di delinquenti. Benché alcuni studiosi accettassero l'idea che il deliquente fosse caratterizzato da segni distintivi innati, e proseguissero su questa linea con ricerche e scritti, altri erano convinti che questa idea fosse del tutto assurda. In realtà, la polemica fu esagerata, poiché Lombroso minimizzò sempre più, nella sua analisi, l'importanza della categoria dei delinquenti nati, riducendone negli ultimi anni la consistenza ad un terzo del totale. Lombroso e i suoi due più noti seguaci, E. Ferri e R. Garofalo, costituirono quella che doveva essere nota come la ‛scuola italiana di criminologia', che suscitò in tutto il mondo interesse per questa scienza. Ferri mise in evidenza nel delitto i fattori economici, sociologici e ambientali (La sociologia criminale, Torino 19295), e Garofalo i fattori psicologici (Criminologia, Torino 1885). La loro opera fu molto utile per liberare la criminologia da impostazioni legalistiche, e per indirizzarla verso lo studio scientifico del delinquente. I loro studi si concentrarono sulla relazione fra legge e libero arbitrio, poiché per essi la responsabilità penale era in larga misura prodotto di fattori che sfuggono al controllo individuale.

Le tesi lombrosiane, e in generale quelle dei positivisti italiani, trovarono degni oppositori in G. Tarde, e più tardi in A. Lacassagne, un'autorità in fatto di medicina legale, e in É. Durkheim, i cui lavori esercitarono una grande influenza in senso sociologico sulla spiegazione del comportamento umano, delitto compreso (Les régles de la méthode sociologique, Paris 1895). In Inghilterra fu Ch. Goring che condusse l'attacco principale contro Lombroso, con uno studio (The English convict, London 1913) che non rilevava significative differenze fisiche, salvo che di peso, in un vasto gruppo di studenti universitari e di detenuti in prigioni inglesi. Tarde aveva elaborato una teoria del tutto opposta a quella di Lombroso, di tipo cioè socio-psicologico invece che biologico. Egli riteneva che il delitto nascesse dall'imitazione del comportamento antisociale altrui (La philosophie pénale, Paris 1890). Questa idea gli venne in mente poiché, come giudice, in Francia egli si trovava a condannare prima il padre e poi i figli, e talvolta un fratello maggiore seguito da un fratello minore. Le sue idee generali sui fattori sociali nel delitto erano in anticipo sul suo tempo, benché non fossero valide per ciò che riguardava le leggi dell'imitazione. Nello sviluppo della criminologia, vi sono state in Europa altre figure di primo piano, anch'esse in antagonismo con la ‛scuola italiana'; in particolare W. Bonger, che si collocò da un punto di vista marxista, secondo il quale il delitto è connesso alla stratificazione sociale della società, all'ineguale distribuzione della ricchezza e, in particolare, è il risultato della povertà (Criminality and economic conditions, Boston 1916).

Gli Americani, in tempi molto più recenti, hanno avuto un ruolo importante nello sviluppo della criminologia. H. H. Goddard e altri misero in risalto l'insufficienza mentale come spiegazione del delitto (Feeblemindedness, New York 1914). Nel 1915, a Boston, W. Healy, uno psichiatra, pubblicò la sua famosa opera, The individual delinquent, che, oltre a fornire dati sui delinquenti in generale, per la prima volta offrì una dettagliata casistica individuale, mettendo in evidenza le caratteristiche delle diverse personalità. E. H. Sutherland può forse essere considerato, con Lombroso, come il più stimolante di tutti i criminologi. A partire dal 1939 (Principles of criminology, Chicago 19394) egli sviluppò una vasta e importante teoria sociologica, secondo la quale il delitto è appreso, come ogni altro comportamento, attraverso un processo di associazione differenziale con norme criminali e non criminali. Le tecniche del delitto e le razionalizzazioni, i moventi e le motivazioni ad esso connessi vengono appresi attraverso un'interazione persosonale in gruppi caratterizzati da strette relazioni personali, come le bande minorili, i gruppi di delinquenti professionisti, ecc. In ogni società complessa vigono contrastanti definizioni dei codici giuridici, alcune delle quali favoriscono le violazioni delle leggi, e altre no. Il fatto che una persona diventi o no un delinquente dipende dalla frequenza, dalla durata e dall'intensità relative della sua associazione con modelli favorevoli o avversi al delitto. Questa teoria ha ricevuto un notevole appoggio da un gran numero di autori, e in particolare dagli studi sul comportamento delle bande condotti da F. M. Thrasher (v., 1927), J. Short e F. Strodtbeck (v., 1965), W. B. Miller (v., 1958) e altri, e dagli studi sulla delinquenza, alcuni anche in chiave ecologica, condotti da C. Shaw e H. McKay (v., 1970). J. T. Sellin (v., 1938) ha messo in evidenza il ruolo del conflitto normativo e dei fattori di gruppo nel delitto. La decisiva opera di G. B. Vold (v., 1958) fu fondamentale nel chiarire l'importanza del conflitto tra gruppi e dei fattori culturali, e nel minimizzare l'approccio individualistico. Negli ultimi anni la teoria dell'associazione differenziale ha trovato un sostegno nella teoria comportamentistica del rinforzo (v. Burgess e Akers, 1966), nella teoria degli insiemi (v. De Fleur e Quinney, 1966), e nelle teorie generali socio-psicologiche della socializzazione. La teoria criminologica in America ed in Europa ha dato sempre maggior rilievo ai fattori sociali e di gruppo nella spiegazione del fenomeno della delinquenza. Tuttavia, generalmente, i criminologi europei tendono ancora a dare importanza ai fattori biologici e psicologici individuali molto più di quanto facciano i criminologi americani.

A più riprese i criminologi hanno avanzato una spiegazione eclettica del comportamento criminale, che, mentre in apparenza sembra di vasto respiro, non è in realtà una vera teoria e crea solo confusione nell'analisi scientifica. Teorie di questo tipo adducono, per spiegare il delitto, una moltitudine di fattori, fra cui le caratteristiche della personalità, la famiglia, la povertà, i compagni, i càttivi alloggi, ecc. (per es. v. Burt, 1925; v. Glück e Glück, 1950). L'approccio eclettico può essere criticato da diversi punti di vista: a) in primo luogo fa confusione fra spiegazioni basate su singoli fattori e una teoria o sistema unico applicabile a tutti i casi; una teoria unica non spiega il delitto in base a un solo fattore, ma presenta spesso un certo numero di variabili; b) in secondo luogo considera tutti i fattori come ‛capaci di produrre il delitto', e alcuni fattori più di altri, senza però esser in grado di determinare l'incidenza di ogni fattore e quindi il suo valore predittivo; c) in terzo luogo un tale approccio implica il presupposto che ‛il male generi il male'; la maggioranza dei fattori addotti implica infatti che gli aspetti ‛cattivi' della società (la povertà, il cattivo alloggio, le famiglie disunite) provochino il delitto, senza tenere conto che in realtà quest'ultimo può svilupparsi anche in situazioni di non povertà, in ‛buone famiglie' e in ‛buoni alloggi'.

Benché il loro numero sia in diminuzione, ci sono stati, e ci sono ancor oggi, numerosi libri ed articoli nel campo della criminologia, i cui autori considerano il comporta- mento criminale in chiave psichiatrica o psicanalitica o anche, entro certi limiti, da un punto di vista di psicologia clinica, partendo da un modello medico. I delinquenti sarebbero persone psicologicamente ‛malate', e tutto il comportamento criminale è presentato come un prodotto di qualche problema interiore dell'individuo, quale una ‛disorganizzazione' o un ‛disadattamento' della personalità. I fattori culturali non sono considerati come cause del comportamento criminale e di quello normale, ma piuttosto come il contesto in cui questi comportamenti si esprimono. Sono quasi esclusivamente le esperienze familiari del fanciullo che fissano il modello di comportamento della sua vita futura, sia esso criminale che non criminale, poiché sono esse che hanno determinato la struttura della sua personalità. Il delinquente è caratterizzato dal possedere in alto grado certe caratteristiche generali della personalità, quali l'insicurezza emotiva, l'immaturità, il senso di inadeguatezza, l'incapacità di manifestare affetto e l'aggressività. Tali caratteristiche si sviluppano nelle prime esperienze infantili in famiglia, e per questa ragione si pone particolarmente in rilievo il bisogno di affetto materno. Poiché le prime esperienze del fanciullo con gli altri avvengono entro il nucleo familiare, se ne deduce che le caratteristiche che da tali esperienze derivano formano la base della struttura dell'intera personalità. Il comportamento criminale diventa spesso un modo di esprimere queste caratteristiche della personalità; per esempio, persone ‛immature' o ‛emotivamente insicure' possono commettere reati. Questa spiegazione del comportamento criminale, che possiamo indicare come formulata secondo il ‛modello medico', ha scarsa validità, per le seguenti quattro ragioni (v. Clinard, 19683, cap. 6).

1. Troppo spesso si assume che il comportamento e la personalità dell'adulto siano quasi completamente determinati dalle esperienze infantili, in larga misura nella famiglia, mentre la maggior parte dei fatti dimostra in maniera schiacciante che il comportamento varia secondo le situazioni e i ruoli sociali, e che la personalità continua a svilupparsi per tutta la vita.

2. Malgrado le loro pretese, la maggior parte delle spiegazioni del comportamento criminale avanzate da psichiatri e da psicanalisti non è stata verificata scientificamente. Generalmente essi hanno trascurato o si sono persino rifiutati di usare situazioni sperimentali, o comunque più suscettibili di verifica, per provare le loro ipotesi, oppure di usare tecniche più rigorose e controllate. Attingono le loro prove dalla rievocazione orale delle esperienze infantili, che poi essi stessi interpretano. Spiegazioni di questo tipo sono state ampiamente criticate per la quantità di fantasia e di congetture che implicano. La maggior parte degli studi di criminologia psichiatrica e psicanalitica si occupa esclusivamente di soggetti delinquenti; solamente in pochi casi si è fatto uso di gruppi di controllo formati da soggetti non delinquenti. Ciò è comprensibile se si considera che la specialità di psichiatri e psicanalisti è la terapia. Comunque essi generalizzano frequentemente senza utilizzare procedimenti scientifici come l'uso di campioni sufficientemente estesi o rappresentativi.

3. Le spiegazioni di tipo psichiatrico e psicanalitico del comportamento criminale sono un esempio della confusione tra ciò che è ‛malattia' e ciò che è semplicemente deviazione dalle norme. Secondo queste spiegazioni la presenza di aberrazioni mentali spiega perché si verifichino azioni antisociali come il reato, e cosi il comportamento criminale o socialmente criminale diventa esso stesso il criterio diagnostico dell'anormalità mentale.

4. Alcuni autori, dopo ampie ricerche, hanno concluso che le diagnosi di tipo psichiatrico e psicanalitico sono spesso inattendibili, e che gli psichiatri stessi non riescono ad accordarsi sui criteri obiettivi da usare nel fissare i livelli di sanità o di aberrazione mentale. È proprio l'assenza di criteri obiettivi sia per la malattia che per la salute mentale che è in larga misura responsabile della tendenza, da parte degli psichiatri e degli psicanalisti, ad equiparare ‛malattia' e delinquenza.

Vari autori, alcuni dei quali d'impostazione marxista, hanno affermato che il comportamento criminale è dovuto alla miseria. Essi hanno sostenuto questa interpretazione soprattuto perché hanno constatato che i delinquenti sono in maggioranza poveri e provengono dalle classi inferiori. Una serie di obiezioni possono esser sollevate contro questa tesi: il concetto stesso di miseria è un concetto relativo; gli studi sulla miseria si sono generalmente fondati su campioni non rappresentativi; i fattori non economici sono spesso di primaria importanza nella criminalità; la criminalità può essere ridotta senza che si verifichino grandi mutamenti nelle condizioni economiche; infine vi sono scarse prove di una relazione tra ciclo economico e comportamento criminale o di uno stretto rapporto tra qualità degli alloggi e comportamento criminale. Sembra inoltre che i reati connessi alle attività professionali siano diffusi tra gli appartenenti alle classi medie e superiori, sebbene siano, in maggioranza, raramente perseguiti.

Ci sono criminologi, come anche altri studiosi, che considerano il comportamento criminale come risultato del conflitto tra mezzi istituzionali e obiettivi culturali, nel tentativo di raggiungere, con mezzi legittimi, il successo in una data società (v. Merton, 1957). La teoria mertoniana dell'anomia è stata riformulata da Cloward e Ohlin (v., 1960) tenendo conto non solo delle differenze nella disponibilità di mezzi legittimi, ma anche delle variazioni nell'accesso a mezzi illegittimi, come quelli disponibili negli slums. Nella formulazione teorica di Merton, il comportamento criminale è messo in relazione soltanto con le differenze nelle possibilità di raggiungere obiettivi di successo con mezzi legittimi, ma Cloward e Ohlin fanno notare che esistono anche differenze nell'accesso ai mezzi illegittimi. Queste differenze di opportunità svolgono un ruolo importante nella distribuzione degli adattamenti di tipo criminale. Strati sociali differenti, quali le classi inferiori e le classi medie, forniscono occasioni diverse per l'acquisizione di ruoli criminali, per lo più tramite il contatto con subculture criminali e l'opportunità di svolgere concretamente, una volta acquisiti, ruoli sociali criminali.

A prima vista, l'avvincente spiegazione del comportamento criminale in termini di anomia è perfettamente logica. Nonostante i tentativi di riformulazione, rimangono però tante obiezioni a questa teoria che non possiamo accettarla (v. Clinard, 1964). Essenzialmente, essa rende troppo semplice un processo, quello del comportamento criminale, che è molto più complesso; qui di seguito menzioniamo alcune delle sue carenze specifiche.

1. La teoria dell'anomia si fonda esclusivamente sul presupposto che il comportamento criminale sia molto più frequente nelle classi inferiori. Le statistiche e altre rilevazioni ufficiali della delinquenza comune indicano che questa è generalmente la realtà; ma la frode, l'evasione fiscale ed altri reati frequenti nelle classi medie e superiori vengono raramente inclusi nelle statistiche ufficiali della criminalità.

2. Nella maggioranza delle moderne e complesse società industriali, è difficile identificare un insieme di mete culturali universalmente riconosciute. Gli individui fanno parte di molti gruppi diversi ed i loro valori possono non concordare con i valori di altri gruppi.

3. La teoria accentua l'importanza della posizione nella struttura sociale come variabile decisiva nella spiegazione del comportamento criminale. La provata importanza delle subculture criminali, dei gruppi criminali, e il ruolo importante di certe caratteristiche della vita urbana, così come il ruolo degli slums, non vengono riconosciuti.

4. La teoria trascura l'importante ruolo del controllo sociale nel definire chi è un ‛delinquente', cioè il modo in cui l'etichetta viene applicata ad una persona. È ampiamente provato che è più probabile che vengano etichettate come delinquenti persone della classe inferiore piuttosto che persone appartenenti agli strati superiori della società.

2. Differenti aspetti della criminologia in Europa e negli Stati Uniti

Si è valutato che probabilmente non più di 1.500 persone in tutto il mondo si dedicano a pieno tempo alla ricerca criminologica e che circa l'80% di esse lavora nelle università (v. Szabo, 1971). Benché la riflessione e la ricerca criminologiche siano nate in Europa, ‟quivi l'impulso iniziale alla ricerca criminologica sembra essersi in seguito esaurito" (v. Radzinowicz, 1961, p. 169). A partire dal 1920, sono stati compiuti relativamente pochi studi sperimentali sul comportamento criminale in Francia, Germania e Belgio, e pochissimi in Italia, ad eccezione dell'opera di B. Di Tullio e di quella più recente di F. Ferracuti. Negli ultimi quindici anni in Gran Bretagna si è progredito verso una ricerca molto più sistematica, grazie particolarmente all'influenza di H. Mannheim (v., 1961 e 1965) e di L. Radzinowicz (v., 1961), e così nei paesi scandinavi, che sono andati molto oltre le ricerche pionieristiche di O. Kinberg e di K. Sveri in Svezia e di V. Verkko in Finlandia (v. Anttila, 1971).

In nessun paese la criminologia moderna, basata sull'indagine empirica, è oggi così altamente sviluppata come negli Stati Uniti, dove centinaia di persone si dedicano al- l'insegnamento ed alla ricerca. Altrove, fuori dei paesi europei già menzionati, la criminologia ha probabilmente il maggiore sviluppo in Israele, particolarmente per l'influsso di S. Shoham. Sebbene siano stati fondati molti istituti di criminologia, ciò che passa per criminologia nella maggior parte dei paesi europei e nell'America Latina non è ricerca sulla criminalità, ma semplicemente ricerca sulla natura del diritto penale e su altri problemi giuridici. Negli Stati Uniti, dove si è avuto uno sviluppo molto maggiore della sociologia e della psicologia sociale, quasi tutti i criminologi, sia nell'insegnamento che negli scritti, sono dei sociologi, e la criminologia è considerata una branca delle scienze sociali. Come la sociologia, la criminologia è divenuta più sistematica, e nel suo ambito sono stati elaborati nuovi metodi di ricerca, poi applicati ad altri campi della sociologia. In Europa, d'altro canto, i progressi in criminologia, così come il suo riconoscimento quale materia di insegnamento accademico, sono dovuti alle facoltà di legge, in particolare ai professori di diritto penale. La loro prospettiva è stata però esclusivamente giuridica, la relazione fra diritto penale e scienze sociali è stata scarsamente avvertita, e di conseguenza, come Radzinowicz ha messo in evidenza, le più autorevoli scuole di diritto penale ‟nel migliore dei casi sono state indifferenti nei confronti della criminologia" (v. Radzinowicz, 1961, p. 122). Radzinowicz ha inoltre fatto notare che negli Stati Uniti la criminalità è da lungo tempo riconosciuta come un grave problema nazionale, e che l'indagine sui fattori criminologici rilevanti ha dovuto prendere in considerazione la composizione eterogenea della popolazione, la grande mobilità e i diffusi conflitti di valori. Per la verità, alcuni criminologi europei, in particolare O. Kinberg (v., 1935), hanno considerato l'importanza data dagli Americani ai fenomeni del conflitto culturale e della delinquenza come legata in modo esclusivo all'immigrazione su larga scala di popolazioni differenti e alla diffusa mobilità. Sembra tuttavia che una visione più chiara della natura affatto peculiare delle condizioni sociali in America cominci ora a diffondersi in recenti studi europei, in particolare nel lavoro di Ferracuti sulla migrazione europea e la delinquenza. Di pari importanza è stata la concezione americana del delitto come fenomeno relativo, come possibile violazione di una considerevole quantità di codici giuridici che, privi di valore assoluto, sono relativi a standard normativi e culturali. R. Quinney conclude che la tesi secondo la quale il delitto è un fenomeno e un problema definibile in termini sociali e giuridici sta alla base dello studio attuale di argomenti quali la legislazione penale, l'applicazione della legge, l'amministrazione della giustizia, il comportamento criminale e la reazione della società (v. Quinney, The problem..., 1970).

Negli Stati Uniti la maggior parte degli studi criminologici implica un rigoroso programma di ricerca, mirante a verificare concretamente le ipotesi prospettate. Ci si sforza di convalidare le ipotesi e i concetti teorici, e di stabilire la rappresentatività dei campioni studiati. Nelle conclusioni il ricercatore determinerà quali risultanze siano statisticamente significanti e quali no, e se le ipotesi siano state confermate o smentite. Spesso si lavora con un gruppo di delinquenti, o gruppo sperimentale, e con un gruppo di controllo di non delinquenti, e si sottopongono i dati ad analisi comparativa. Studi di questo tipo sono rari in Europa, salvo che in Gran Bretagna e nei paesi scandinavi. La metodologia più frequentemente usata nelle ricerche europee è un'analisi descrittiva di tutte le informazioni e le statistiche disponibili su un dato argomento. Accade spesso che i ricercatori europei esaminino il background storico del problema preso in esame e passino in rassegna la letteratura precedente sull'argomento. Uno studio europeo è raramente progettato per fornire dati statisticamente significativi, visto che le conclusioni sono raggiunte per lo più tramite la logica o la speculazione. Il criminologo norvegese N. Christie ha sostenuto nel 1966, in una rassegna delle ricerche sulla prevenzione della delinquenza in Europa, che finora non è stato pubblicato alcuno studio importante che raggiunga un livello minimo di elaborazione. Nel 1969 F. Ferracuti fu coautore di una rassegna di tutte le monografie ed articoli pubblicati tra il 1965 e il 1969 nelle principali riviste di criminologia. Furono esaminati e classificati per argomento e per tipo 560 articoli in tutto. Si riscontrò che la grande maggioranza degli articoli pubblicati riguardava la criminologia generale (379, cioè il 68%); il 24% verteva sulla delinquenza minorile; il 36% sui metodi di intervento e di correzione; il 42% erano studi o discussioni interdisciplinari; l'i 1o% furono classificati come lavori psichiatrici; l'11% come psicologici ed il 7% come sociologici; l'11% riguardava le cause del reato e della delinquenza; il 10% la fenomenologia criminale; il 9% la diagnosi e la classificazione; ed il 6% erano studi di singoli casi. Gli articoli meno frequenti erano quelli che riguardavano la metodologia della ricerca (2%), che descrivevano programmi d'attività (1%), e gli studi interculturali (0,5%). Gli autori hanno considerato particolarmente deplorevole la penuria di studi sociologici e interculturali, e hanno messo in evidenza la schiacciante influenza delle discipline psicologiche, psichiatriche, mediche e giuridiche sulla criminologia italiana (v. Ferracuti e Giannini, 1969). Comunque l'elenco più recente dei programmi di ricerca criminologica in corso in Europa, compilato dal Consiglio d'Europa, mostra una tendenza verso studi di tipo sociologico e verso l'uso di una metodologia più elaborata.

3. Controllo sociale e natura del reato

Tutte le società e tutti i gruppi, ovunque, elaborano metodi per affrontare ogni comportamento che superi i limiti di tolleranza di date norme della società o del gruppo. Tali metodi sono chiamati di solito ‛sanzioni negative', poiché puniscono coloro il cui comportamento supera questi limiti di tolleranza. Le ‛sanzioni positive', d'altro canto, consistono in speciali ricompense, quali la lode, il riconoscimento o il prestigio che sono dovuti alle persone il cui comportamento si sia conformato alle norme prescritte o sia andato oltre in senso positivo. Sia le sanzioni negative che quelle positive sono misure di controllo sociale, che possono di volta in volta essere classificate come controlli ‛formali' o ‛informali'. Si possono osservare controlli informali del comportamento in forme specifiche quali il pettegolezzo, il ridicolo, i rimproveri, la lode, la critica, la mimica, le occhiate di approvazione e di disapprovazione, il negare o il concedere affetto, l'ostracismo, ecc. Controlli di questo genere sono estremamente importanti in qualsiasi società, e funzionano come ulteriore sostegno ai controlli più formali della legge. Essi sono estremamente efficaci in particolare nelle situazioni in cui prevalgono le relazioni personali primarie.

I controlli formali, d'altro canto, comportano sistemi organizzati, con agenti specializzati e tecniche uniformi; ne esistono due tipi principali: quelli istituiti da enti diversi dallo Stato, e quelli imposti dallo Stato. Si procede alla formulazione di regole astratte, e per la loro interpretazione ed applicazione viene attribuita autorità ad organizzazioni quali il clero e la polizia. Viene stabilita una serie di provvedimenti specifici per punire i trasgressori e per ricompensare coloro la cui conformità alle norme sia uguale o superiore all'aspettativa del gruppo. Organismi non pubblici, come le aziende e le organizzazioni religiose o professionali, fanno uso di ricompense e di punizioni. Altri controlli formali sono imposti dallo Stato. Un minorenne cade sotto la speciale giurisdizione dei tribunali minorili, mentre un trasgressore che abbia raggiunto la maggiore età è soggetto alle pene previste dal codice penale. Egli può essere posto in libertà vigilata, multato, imprigionato, e perfino condannato a morte. In passato i governi hanno autorizzato diversi altri metodi crudeli e inumani per punire i criminali. Comminare pene in base al codice penale è solo uno dei molti metodi di controllo formale, e costituisce solo una piccola parte dell'intero sistema di controlli sociali che operano per creare e mantenere l'ordine nella società.

Il codice penale può essere definito come un corpo di regole particolari di una società politicamente organizzata, contenente provvedimenti punitivi da applicare in nome dello Stato quando una violazione sia stata comprovata da un procedimento giudiziario. La maggior parte delle leggi penali hanno origine da conflitti sociali. In ogni società, come normale conseguenza della vita sociale, sono inevitabili conflitti tra ceti, gruppi ed unità culturali, e in ciascun gruppo la coesione è assicurata da forme di coercizione e costrizione mediante il codice penale applicato da determinate persone o gruppi che hanno il potere di determinare la condotta di altre persone e gruppi. Perciò R. Quinney (v., The social..., 1970) ha messo in evidenza che ciò che costituisce il reato è in realtà un comportamento contrastante con gli interessi di quei settori della società che hanno il potere di decidere l'atteggiamento da tenere nei confronti dell'attività criminale. Inoltre, quei settori sociali che hanno il potere di regolare l'amministrazione e l'applicazione del codice penale tramite organismi come la polizia ed i tribunali, determinano quali leggi penali si debbano far effettivamente osservare.

Molti studiosi del problema ritengono comunque che il ‛reato' debba essere definito, in termini più ampi di quanto non faccia il codice penale, come ogni atto punibile dallo Stato, indipendentemente dalla natura della sanzione, se cioè sia penale, amministrativa o civile (v. Sutherland, 1949; v. Clinard, 1952). Essi ritengono che la definizione strettamente giuridica di un reato, cioè soltanto in base al codice penale, sia di gran lunga troppo limitata ed unilaterale. Ad esempio, oggigiorno le violazioni della legge sono divise generalmente in due categorie distinte: i reati convenzionali, come il furto, lo scasso e la rapina, e quelle violazioni della legge che vanno ormai sotto il nome di ‛reati da colletto bianco' (white-collar crimes) o sotto quello, forse più appropriato, di ‛reati legati alla professione' (occupational crimes), giacché vengono commessi per lo più da persone non appartenenti alle classi superiori o dai ‛colletti bianchi'. Mentre i reati della prima categoria sono di solito puniti in base al codice penale, quelli della seconda lo sono raramente. Può accadere che si usino altre misure, come provvedimenti amministrativi e civili, per punire piccole e grandi aziende, agricoltori, uomini politici e impiegati statali, esponenti sindacali, medici, avvocati ecc., per violazioni della legge connesse alle loro attività. Nel contestare pagamenti arretrati di tasse o dichiarazioni fiscali fraudolente il governo può esigere pagamenti suppletivi tali da costituire una severa sanzione; esso può interdire a un medico, a un avvocato o a un farmacista l'esercizio della professione, e può sospendere a un oste o a un gestore di ristorante la licenza d'esercizio per alcuni giorni, un anno, o anche in modo permanente. Se un individuo o una società produce qualcosa illegalmente, oppure se un'azienda confeziona alimenti in violazione alle leggi contro le sofisticazioni alimentari, il governo può sequestrare i prodotti e distruggerli senza indennizzo. Se un'azienda o un sindacato viola una legge, il governo può emettere tramite la magistratura un'ingiunzione a ‛cessare e desistere' (cease and desist) da ulteriori violazioni e, se le violazioni continuano, può dare inizio a procedimento per ‛oltraggio alla corte'.

Nelle forme comuni di reati legati alla professione e da ‛colletto bianco' commessi da uomini d'affari rientrano le attività illegali delle commissioni per i fallimenti e le bancarotte, e inoltre le limitazioni al libero scambio, come il monopolio, i ribassi illegali, la violazione di brevetti, marchi di fabbrica e copyright; false dichiarazioni nella pubblicità, scorrettezze nei rapporti di lavoro, manipolazioni finanziarie e reati commessi in tempo di guerra, come il mercato nero. L'appropriazione indebita è una forma particolarmente comune di reato da ‛colletto bianco'. Nei paesi in sviluppo, gli uomini d'affari sono particolarmente inclini a violare le leggi sulle imposte, la regolamentazione dell'importazione e dell'esportazione, e le misure di controllo valutario. Uomini politici e funzionari governativi commettono infrazioni da ‛colletto bianco', inclusa l'appropriazione indebita diretta di fondi pubblici e l'appropriazione indiretta di tali fondi tramite falsificazione dei libri-paga o iscrizione in essi di propri parenti. Di solito le loro attività illegali sono però più sottili, poiché uomini politici e funzionari governativi ottengono vantaggi finanziari rendendo favori alle aziende, come commissioni illegali su pubblici contratti, rilascio di licenze e certificati fraudolenti, esenzioni dalle tasse oppure stime fiscali inferiori al vero. I dirigenti sindacali possono commettere reati quali l'appropriazione indebita o la distrazione di fondi del sindacato; la mancata applicazione di leggi che arrecherebbero un danno al loro sindacato; la collusione con datori di lavoro a discapito dei lavoratori; l'uso di mezzi fraudolenti per mantenere il controllo sul sindacato. I medici possono prescrivere illegalmente stupefacenti, procurare aborti illeciti, compilare falsi referti in casi di incidente, ecc. Se sono avvocati a commettere reati, quali la malversazione di fondi nell'ufficio di curatori fallimentari, l'estorsione di false deposizioni o la complicità in richieste fraudolente di risarcimento per danni, è probabile che i trasgressori, se scoperti, vengano radiati dall'ordine professionale, piuttosto che perseguiti legalmente.

Ovviamente, se la definizione di ‛reato' si restringe soltanto ai reati convenzionali, si sottovaluta la vera estensione della criminalità e i suoi effetti sulla società. Le ricerche hanno mostrato la diffusione dei reati ‛legati alla professione' e da ‛colletto bianco', ma questi reati sono assai più difficili da catalogare dei reati comuni. Le statistiche nazionali sulla criminalità registrano soltanto le violazioni del codice penale, non quelle delle norme amministrative e del codice civile, e trascurano così la maggior parte dei reati legati alla professione o da ‛colletto bianco'. Sebbene si possano ottenere informazioni su questo tipo di reati da relazioni di parecchi enti governativi e da inchieste, ciò richiede uno sforzo considerevole, e spesso la documentazione completa è difficile da ottenere. I danni finanziari per la società prodotti da un singolo reato da ‛colletto bianco' possono eguagliare i danni prodotti da migliaia di furti, scassi e rapine, e tuttavia la società non riesce ancora a concepire il delinquente dal ‛colletto bianco' come un vero delinquente. Ciò si riscontra chiaramente nel fatto che i trasgressori poveri e relativamente ignoranti sono di solito condannati al carcere, mentre i delinquenti dal ‛colletto bianco' raramente finiscono in prigione.

4. Arbitrio nell'applicazione della legge e suoi riflessi nelle statistiche sulla criminalità

La Francia, a partire dal 1927, è stata di guida al mondo nella preparazione e nell'analisi di statistiche sulla criminalità. Primo paese al mondo a iniziare la pubblicazione regolare di statistiche criminali, ha dato un notevole contributo con le sue analisi della criminalità come fenomeno sociale, in particolare con le opere di A. M. Guerry; in Belgio l'opera di A. Quetelet segue le stesse direttrici. Oggi le statistiche ufficiali sulla criminalità sono sottoposte a forte critica e si è concordi nel ritenerle inadeguate per la ricerca scientifica. Non tutti i comportamenti criminali sono noti alla pubblica amministrazione. Quindi le statistiche ufficiali non presentano un quadro del comportamento criminale nella sua totalità. Le statistiche sulla criminalità si basano sui reati registrati, cioè sui delitti denunciati dai singoli cittadini o dalle pattuglie di polizia, e i reati registrati sono soltanto un campione rispetto alla totalità della criminalità. Gli studi mostrano che un gran numero di reati non sono denunciati e rimangono ignoti alla polizia. Il numero dei reati registrati varia a seconda del tipo di reato, delle circostanze concomitanti e dell'atteggiamento della vittima. È molto probabile che le rapine vengano denunciate, poiché la vittima consegna i suoi beni sotto la minaccia della forza, così come vengono di solito denunciati omicidi, rapine a banche e ad aziende, scippi, falsificazioni di assegni, e furti di oggetti di valore considerevole. È invece improbabile che siano denunciati piccoli furti, risse e aggressioni senza gravi conseguenze, e certi reati sessuali. Nei casi in cui la parte lesa è la collettività o il governo, è meno probabile che i privati cittadini denuncino i reati. Questi reati comprendono le violazioni del codice stradale, il gioco d'azzardo o la prostituzione. Talvolta soltanto coloro che vi prendono parte sono a conoscenza del reato, come nel caso di aborti illegali, di rapporti sessuali illeciti, di uso di droghe, ecc.; e quindi tali reati, nella loro grande maggioranza, non divengono mai di dominio pubblico.

Le rilevazioni del comportamento criminale variano a seconda di chi le fa. Ad esempio, le statistiche della polizia sulle persone arrestate sono meno comprensive di quelle basate sui reati denunciati. Molti trasgressori della legge infatti non sono arrestati, l'efficienza dei reparti di polizia varia, e variano i criteri seguiti negli arresti, come anche quelli seguiti nei procedimenti giudiziari. Il numero di arresti per i diversi tipi di crimine varia moltissimo. Ad esempio, negli Stati Uniti il 90% di tutti i casi denunciati di omicidio volontario o colposo si risolve generalmente con l'arresto, mentre per i furti e le rapine si scende al 20%.

È ovvio che i procedimenti ufficiali contro i delinquenti sono inficiati da elementi di contingenza, casualità, o assoluto arbitrio. Benché azioni analoghe siano compiute da molti, solo alcune persone, con l'arresto, sono definite ‛delinquenti'. Il numero di delinquenti che la società riesce a smascherare rimane relativamente stabile, poiché la loro identificazione è ostacolata dalla limitatezza dei mezzi a disposizione e dalle difficoltà che la società incontra nell'occuparsi dei delinquenti, una volta identificati, sia sotto il profilo giudiziario che sotto quello correzionale. Ne consegue che la maggior parte degli organismi preposti all'applicazione della legge operano semplicemente per mantenere la criminalità entro certi limiti. Che un trasgressore sia arrestato, giudicato e condannato, dipende dal potenziale umano disponibile. Ma le risorse sono limitate. I dipartimenti di polizia hanno personale insufficiente per effettuare arresti, i magistrati sono insufficienti, e le prigioni sono piccole in confronto al numero dei delinquenti. Ne risulta che alcune leggi sono applicate più rigorosamente di altre, e che alcune persone o gruppi sono in certo modo selezionati per la prigione, mentre è più improbabile che altri siano presi e processati (v. LaFave, 1965; v. Skolnick 1966)

Questo processo di selezione e di etichettatura dei delinquenti dipende da fattori quali la classe sociale, la professione, la provenienza razziale ed etnica, l'età, i precedenti penali, la situazione in cui si sviluppa il comportamento, le pressioni dell'opinione pubblica, le forze disponibili per operare arresti e procedere contro i trasgressori. Spesso non si compiono arresti per reati banali (per es., l'ubriachezza), oppure per un comportamento che si ritiene rifletta i modelli tipici degli slums (per es., zuffe fra coniugi). Spesso non si procede all'arresto se la vittima non sporge o non vuole sporgere denuncia, se un arresto rischia di risultare inadeguato o inefficace, se può causare la perdita dell'appoggio dell'opinione pubblica alla polizia, o qualora l'arresto del trasgressore comporti per la vittima (per es. nel caso di esibizionismo o di corruzione di minorenne) un danno più grave del rischio che si corre non perseguendo il reato. Al contrario, accade che si arresti una persona qualora non mostri il dovuto rispetto per la polizia (per es., il trasgressore minorenne che replica in tono provocatorio ai poliziotti); ancora, si possono compiere arresti per dare al pubblico l'impressione di piena applicazione della legge (per es., nei confronti della prostituzione), oppure per favorire le indagini su altri delitti o su altri delinquenti. Un'analoga discrezionalità si verifica nei procedimenti giudiziari, in cui alcuni casi sono archiviati, mentre altri, di minor gravità, possono dar luogo a verdetto di colpevolezza (v. Miller, 1966; v. Newman, 1966; v. Quinney, 1969). In modo altrettanto discrezionale si comportano i giudici e le giurie nelle dichiarazioni di colpevolezza e nelle condanne dei trasgressori, nel porli in libertà vigilata o nell'inviarli al carcere preventivo o in prigione. Molti di quelli che vengono mandati in prigione, ad esempio, sono coloro che non potevano permettersi un buon avvocato, che non potevano influire efficacemente sugli inquirenti o sui giudici, oppure, in alcuni paesi, persone discriminate perché appartenenti a gruppi minoritari. Le persone che sono processate o hanno a che fare con il sistema giudiziario non costituiscono quindi la totalità dei delinquenti, nè sono necessariamente i delinquenti peggiori.

5. Natura e cause del comportamento criminale

Alla base sia del comportamento criminale che di quello non criminale operano gli stessi processi fondamentali (v. Clinard, 19683). Le differenze emergono nei processi secondari; se non ci fossero, non sarebbe possibile spiegare il comportamento criminale. La struttura biologica dell'uomo ha poca importanza nella spiegazione del comportamento criminale o non criminale, essendo l'uomo privo di istinti che possano determinare tale comportamento. Il comportamento criminale non può essere ereditato, e su di esso i difetti fisici non hanno un'influenza diretta, ma in certi casi possono avere un'influenza indiretta. Il comportamento dell'uomo è un prodotto della sua socializzazione; nello studio del comportamento criminale e non criminale è importante la natura sociale più che quella fisica dell'uomo. Essa include la formazione di atteggiamenti e di motivazioni, l'acquisizione di un'autoidentificazione come delinquente, e lo svolgimento di vari ruoli sociali, che sono tutti importanti componenti del comportamento sociale, acquisito in primo luogo tramite le relazioni con gli altri. Nella maggioranza dei casi l'attività criminale è appresa, ed è un prodotto dell'adesione differenziale a norme criminali. Un aspetto importante del ruolo di trasgressore è la misura in cui il fuorilegge si appropria le tecniche, le razionalizzazioni e la filosofia propria della carriera criminale. Poiché l'attività criminale è appresa soprattutto nell'interazione con altre persone, i legami personali esercitano la più grande influenza nell'acquisizione di norme criminali. È probabile che la maggior parte di questi legami sia di natura collettiva, e che si esplichino nelle compagnie, nei luoghi di lavoro, nelle comunità locali. La frequenza e la durata di tali legami hanno molta importanza nello sviluppo di una carriera criminale, soprattutto nel caso di soggetti giovani. L'intensità del legame dipende dal prestigio delle persone - che svolgono attività criminali - alle quali un individuo si associa, e dal suo modo di reagire ad esse. Il fenomeno della delinquenza nasce da un processo di interazione simbolica (v. Blumer, 1969).

La criminalità implica l'interiorizzazione di norme e atteggiamenti che conducono alla violazione della legge. Ogni società fornisce molte occasioni per la formazione di tali atteggiamenti. La disobbedienza alla legge può essere un fenomeno esteso in una data società, e la conoscenza di ciò può servire a razionalizzare la violazione della legge. Molto più comune di una disobbedienza generalizzata alla legge, però, è la tendenza delle persone a obbedire alla legge in modo selettivo. Invece di obbedire a tutte le leggi, si prendono in considerazione soltanto quelle leggi che riguardano direttamente il proprio lavoro o la propria classe sociale. Un atteggiamento di grande scetticismo nei confronti della probità e dell'onestà dei tutori della legge, dei magistrati inquirenti e dei tribunali può servire a minare il rispetto verso il codice penale e le altre leggi dello Stato.

Dalle ricerche risulta che, in generale, i mezzi di comunicazione di massa contribuiscono a produrre il delitto, ma non ne sono la causa (v. Ferracuti e Lazzari, 1968). Secondo i risultati di varie ricerche, è improbabile che persone che non abbiano avuto in precedenza modelli devianti di comportamento siano indotte alla delinquenza unicamente sulla base di suggestioni dei mezzi di comunicazione di massa. D'altro canto, i giornali, i film, la televisione e altri mezzi di comunicazione possono contribuire a orientare una società verso la delinquenza esaltando il delitto e chi lo commette. Essi contribuiscono inoltre a perpetuare l'immagine del ‛deliquente' come un membro delle classi inferiori, piuttosto che descrivere la criminalità diffusa tra i ‛colletti bianchi'.

Il ruolo della famiglia nei confronti della delinquenza non sembra essere così importante come molti hanno pensato. È scarsamente provato che la famiglia sia la fonte di modelli delinquenziali o che le famiglie disunite siano correlate in modo significativo con la delinquenza. Analogamente, non è provato in modo conclusivo che la carenza di sicurezza affettiva nei rapporti familiari conduca alla delinquenza. L'integrazione familiare varia considerevolmente, e molte altre istituzioni e influenze sono ora diventate la fonte di norme devianti. L'influenza dei vicini, in particolare negli slums e in certi luoghi di lavoro, può essere una favorevole premessa allo sviluppo del comportamento criminale (v. Clinard, 1966; v. Suttles, 1968). La frequentazione di amici e di bande criminali ha in ciò un'estrema importanza (v. Thrasher, 1927). Tali bande diffondono le tecniche per commettere i delitti, aiutano il delinquente isolato a proseguire nell'attività criminosa, sono fonti di stimoli reciproci e di attività comuni legate al delitto, danno uno status sociale al delinquente e sviluppano l'opposizione all'autorità. La subcultura delle bande criminali si può spiegare con la mancanza di comunicazione tra i vari gruppi di età, dovuta al progredire dell'urbanesimo e al conseguente sviluppo di subculture di adolescenti, come anche all'acquisizione in tutte le aree urbane, ma in particolare negli slums, di norme devianti sentite come forme di status e di prestigio. Varie teorie specifiche dei motivi dell'adesione dei giovani alle bande hanno tentato di fornire uno schema generale alla spiegazione della delinquenza mediante concetti basilari quali la classe sociale, il ruolo, le aspirazioni ad uno status. J. Short e F. Strodtbeck (v., 1965) hanno sostenuto che la spiegazione più probabile è l'acquisizione di uno status all'interno della banda. W. B. Miller (v., 1958) spiega il comportamento delinquenziale di gruppo come riflesso dei valori della cultura delle classi inferiori. Molto meno plausibili sono le teorie di Cloward e Ohlin (v., 1960) circa l'assenza di opportunità determinata dalla struttura sociale, e quella di A. Cohen (v., 1955), secondo la quale i ragazzi delle classi inferiori si costituiscono in bande per la frustrazione derivante dalla loro incapacità di acquisire le norme della classe media. La maggior parte di tali teorie sono in realtà tentativi di spiegare le ragioni dell'esistenza di bande criminali nelle aree occupate dalle classi inferiori all'interno delle grandi comunità urbane degli Stati Uniti. Ciascuna di queste teorie sembra portare un contributo, ma ognuna di esse è insufficiente come spiegazione globale; in ogni caso, si deve osservare che troppo poche ricerche sono state finora compiute per confermarle o smentirle.

6. Tipologia del comportamento criminale

I delinquenti possono essere classificati a seconda della loro carriera criminale, del sostegno di gruppo, del rapporto esistente tra il loro comportamento e il comportamento lecito, della reazione della società, e del tipo di procedimento giudiziario (v. Clinard e Quinney, 19722). La carriera criminale del delinquente è determinata dal grado in cui il suo comportamento è orientato verso attività e modelli definiti come criminali; essa abbraccia i ruoli sociali da lui svolti, il concetto che ha di se stesso, il suo progredire nell'attività criminosa, e il suo identificarsi con la figura del delinquente. I delinquenti differiscono per il grado in cui il comportamento criminale è diventato parte dell'organizzazione globale della loro vita. Il comportamento di ogni delinquente è sostenuto, in varia misura, dalle norme dei gruppi ai quali appartiene. Coloro che sono definiti delinquenti agiscono secondo modelli normativi appresi nei relativi ambienti sociali e culturali.

Il sostegno di gruppo al comportamento criminoso varia a seconda dell'adesione del delinquente a norme differenziali e della sua integrazione in gruppi sociali. Nella società i modelli di comportamento criminale vengono definiti in relazione a modelli leciti e legali di comportamento e quindi i primi variano nella misura in cui sono correlati ai secondi.

I comportamenti definiti come criminali sono differenti per il tipo e l'intensità della reazione della società o per l'etichetta che ricevono dalla gente e dalla società in generale (v. Becker, 1963; v. Lemert, 1967; v. Schur, 1971). Le reazioni della società vanno dall'approvazione o disapprovazione fino a procedimenti penali veri e propri. Per ogni tipo di comportamento criminoso si stabiliscono ed applicano criteri differenti di trattamento e punizione. Le reazioni della società sono condizionate anche dalla maggiore o minore evidenza del reato e dal grado in cui il comportamento criminoso si adatta o no agli interessi della struttura di potere della società. Infine, esistono differenze nei metodi usati dal sistema giudiziario per procedere contro questi diversi tipi di comportamento criminale.

In una prospettiva più ampia, i delinquenti possono essere classificati anche come delinquenti professionisti e non professionisti. La maggior parte dei delitti contro la persona sono commessi da delinquenti non professionisti, o di tipo primario, mentre i delitti contro la proprietà sono più probabilmente da ascriversi al tipo secondario, o dei delinquenti di professione (v. Lemert, 1967). La carriera criminale, in quanto distinta da quella non criminale, comporta un'organizzazione dei ruoli della propria vita intorno a caratteristiche criminali, come l'identificazione col crimine, la coscienza di sé come delinquente, ampi contatti con delinquenti e attività criminose, e, infine, il progredire nel delitto. Progredire nell'attività criminale significa acquisire tecniche più complesse, commettere un maggior numero di delitti, significa dipendenza completa dal crimine come abituale o come unico mezzo di sostentamento. Nella delinquenza professionale sono estremamente importanti i fattori di gruppo e quelli subculturali. I delinquenti si possono suddividere in tipi secondo una gamma continua che va dai non professionisti ai professionisti, tenendo presenti il tipo di sostegno di gruppo, il rapporto con i valori non criminali e la reazione della società. Ad un estremo della gamma vi sono i responsabili di violenze contro la persona e coloro che solo occasionalmente commettono delitti contro la proprietà; all'altra estremità i delinquenti professionisti e organizzati. Nel mezzo sono i trasgressori dell'ordine pubblico, i piccoli delinquenti abituali, i responsabili di reati legati alla professione, e tutte le altre carriere criminali convenzionali.

I responsabili di violenze contro la persona compiono delitti quali l'omicidio, l'aggressione e la violenza carnale. Gli omicidi e gli autori di violenze di solito non hanno una carriera criminale, non si considerano dei veri delinquenti, e il comportamento criminoso non ha una parte importante nell'organizzazione della loro vita. La maggior parte di loro crede che il ‛delinquente' sia uno che ruba. Sembra che sia il generale modello culturale e subculturale a determinare la frequenza dei reati di violenza. L'accettazione dell'uso della violenza varia da paese a paese, da regione a regione, da Stato a Stato. Nelle città varia a seconda del vicinato, della classe sociale, dell'occupazione, della razza, del sesso e dell'età. L'esistenza di subculture della violenza, o di sistemi normativi di un gruppo o di gruppi più piccoli dell'intera società, è stata proposta per spiegare tali variazioni, in primo luogo da M. Wolfgang e F. Ferracuti (v., 1967). Secondo questa teoria, in determinate popolazioni esistono differenze circa l'uso della violenza analoghe alle differenze di classe sociale, di gruppo etnico, ecc. Un insieme di norme favorevoli alla violenza vengono trasmesse tramite la cultura. Ad esempio, la percentuale di omicidi in Sardegna è più alta che in ogni altra parte d'Italia, e ciò ha suggerito una recente ricerca intensiva, in cui i responsabili di violenze in Sardegna erano studiati in comparazione con i responsabili di reati di altro tipo - sempre in Sardegna - e poi con i responsabili di violenze di altre parti d'Italia (v. Ferracuti, Lazzari e Wolfgang, 1970). Nel caso dei delinquenti sardi, nessun dato ha smentito l'ipotesi di una sub-cultura della violenza o l'esistenza di risposte violente apprese e consolidate dal contesto sociale; i test psicologici danno risultati poco differenziati. L'uso della violenza, in particolare negli omicidi per vendetta, è regolato da un insieme di norme o ‛codici' che prevale di gran lunga sul codice penale italiano.

L'aggressione sessuale è la conseguenza di esperienze selettive di socializzazione del maschio, tali cioè da spingerlo all'aggressione quando incontri femmine il cui comportamento presenti incoraggiamenti triconosciuti' a relazioni sessuali (v. Amir, 1971). La violenza carnale è generalmente commessa da maschi giovani, celibi, tra i quindici e i venti anni, provenienti dalle classi inferiori. Il comportamento della vittima sembra essere spesso in stretta relazione con la violenza subita. Parimenti, in dispute suscettibili di condurre ad altri tipi di violenza, la vittima è spesso, per la parte avuta nel litigio, causa del proprio danno o della propria morte. Le ricerche hanno dimostrato che in generale esistono strette relazioni tra aggressori e vittime della violenza, tanto che i tre quarti di tutti i casi di omicidio e di aggressione riguardano parenti, amici o conoscenti. L'omicidio e l'aggressione sono reati affini, e spesso non c'è ragione dì credere che il colpevole di omicidio sia in partenza più intenzionato a far del male di quanto non lo sia uno che commetta una violenza aggravata.

I gruppi socio-economici medi e superiori hanno codificato norme di legge che proibiscono l'uso della violenza. Questi codici penali non riconoscono l'esistenza di diverse norme subculturali vigenti tra i gruppi che ritengono legittimo l'uso della forza per risolvere i contrasti. Mentre, in generale, neanche i gruppi delle classi inferiori approvano l'omicidio, approvano però l'uso di atti violenti suscettibili di condurre all'omicidio, dimostrando quindi una incoerenza nel loro sistema di valori.

I responsabili occasionali di reati contro la proprietà raramente commettono più di un reato di un certo genere, come il taccheggio, la falsificazione di assegni, o i furti d'auto. I reati sono marginali rispetto al modo di vita di chi li commette, che non si guadagna da vivere col delitto né svolge ruoli criminali. Questo tipo di comportamento criminale ha di solito carattere fortuito: spesso il reato è commesso senza complici e il sostegno del gruppo o i contatti precedenti con criminali sono scarsamente rilevanti. Questi trasgressori occasionali non si considerano delinquenti, e la maggior parte di essi sono in grado di razionalizzare i propri reati in modo da spiegarli ai propri occhi come azioni non criminali. Mostrano di possedere tecniche criminali poco elaborate e non conoscono il gergo della malavita. Il delinquente occasionale non fa alcuno sforzo per impegnarsi in tipi di reati che richiedono conoscenze e maggiore abilità, e raramente ha precedenti penali. Nella maggior parte dei casi la reazione della società verso i delinquenti occasionali non è severa. Di solito sono rilasciati, o assolti dai tribunali o posti in libertà vigilata.

I trasgressori dell'ordine pubblico violano le leggi che si riferiscono alla prostituzione, all'ubriachezza, all'uso di droghe e, in alcuni paesi, ai rapporti omosessuali. Molti di questi reati sono ‛reati senza vittime', in quanto o non ci sono vittime o la vittima è consenziente (v. Schur, 1971). La maggior parte di questi trasgressori non considera il proprio comportamento veramente delittuoso, e lo razionalizza in svariatissimi modi. Se tali trasgressori sviluppano una più definita coscienza di sé come delinquenti, ciò di solito non dipende dal comportamento in se stesso, ma dai contatti con l'autorità giudiziaria. Il comportamento delle prostitute e degli intossicati da droga è appreso in larga misura da altri e si sviluppa sempre di più con la pratica della prostituzione e l'ingresso nelle subculture della droga. In tali ambienti si creano razionalizzazioni, si apprendono tecniche, e spesso ci si assicura reciproca protezione dalla polizia.

Alcuni settori della società reagiscono duramente contro questi comportamenti, ma le leggi di solito sono indulgenti e di rado vengono applicate rigidamente. Solo una piccola parte dei responsabili di tali comportamenti vengono arrestati. In alcuni paesi, in particolare in Svezia, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, si è discusso molto della eliminazione o della ‛depenalizzazione' dei reati contro l'ordine pubblico. Molti vorrebbero depenalizzare non soltanto la prostituzione, il comportamento omosessuale, l'ubriachezza in luogo pubblico, l'alcolismo cronico e l'uso della droga, ma anche il gioco d'azzardo, l'aborto, la pornografia e le offese alla pubblica moralità, l'adulterio, gli atti osceni, il concubinato, la bigamia e l'incesto (v. Packer, 1968; v. Morris e Hawkins, 1969; v. Duster, 1970). Si aggiunge però che certe trasgressioni dovrebbero continuare ad essere considerate dei reati se compiute ai danni di persone al di sotto di una certa età, se le droghe superassero un quantitativo stabilito o se fossero oggetto di smercio, o se si commettesse qualche atto illecito in stato di intossicazione.

Gli argomenti addotti a favore della eliminazione dei reati contro l'ordine pubblico si possono così riassumere: a) tali atti non dovrebbero interessare lo Stato; b) l'interferenza dello Stato spesso peggiora la situazione; molti possono essere spinti a legarsi ad altri già inseriti nella subcultura criminale; i poliziotti che si occupano di questi settori sono spesso corrotti, e a causa loro i delinquenti organizzati ricavano enormi profitti; spesso vengono violati i diritti civili degli individui sia nel modo di intrappolarli sia con perquisizioni illegali; c) il controllo di questo tipo di delitti dà scarsi risultati; non è in grado di modificare il comportamento di persone che abbiano siffatte inclinazioni; d) procedere legalmente contro tali reati crea serie difficoltà ad un sistema giudiziario già insufficiente e sovraccarico. Gli arresti per i reati contro l'ordine pubblico negli Stati Uniti sono circa la metà del totale, se non si considerano gli arresti per infrazioni al codice della strada. Se i sei milioni annui di arresti, la maggioranza dei quali danno poi il via a un procedimento giudiziario, potessero essere ridotti a tre milioni, ci si potrebbe occupare con maggiore efficacia dei delitti più gravi.

I responsabili abituali di reati lievi contro la proprietà rappresentano un'alta percentuale delle persone arrestate; ma, poiché raramente commettono reati gravi, vengono di solito detenuti in carceri municipali o di contea. In generale iniziano le loro attività criminali da giovani e - benché accumulino molti precedenti penali, mantengano ampie ralazioni con la malavita e si considerino essi stessi dei delinquenti - la loro attività criminosa non è molto elaborata, non adoperano tecniche raffinate, e non sono particolarmente abili nell'‛arrangiarsi' in tribunale. Il modello criminale dei delinquenti abituali è complicato dal fatto che essi si considerano dei falliti nell'adattamento sociale; il che ha un considerevole fondamento reale, poiché sono per lo piu pigri, incapaci e irresponsabili. Inoltre, vengono arrestati di frequente per alcolismo, per spaccio o uso di droga o per vagabondaggio. Di conseguenza, una volta diffusa nella comunità la loro cattiva reputazione, diventa sempre più difficile per essi trovare e mantenere un posto di lavoro, e quindi diventa maggiore la probabilità che siano arrestati.

Quanto ai responsabili di delitti politici, tutti gli Stati hanno leggi apposite, che in realtà sono strumenti politici creati per legittimare e mantenere il controllo dello Stato nella società. Un delitto è politico ogniqualvolta si fa uso di queste leggi per punire coloro che rappresentano una minaccia per lo Stato. I delitti politici comprendono la cospirazione politica contro lo Stato, il tradimento, la sedizione, il sabotaggio, l'assassinio politico, il ratto e la rapina a scopo politico, la violazione dei regolamenti militari di leva (come è avvenuto negli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam), le violazioni derivanti dal sostegno dato a certe idee ed azioni ‛estremiste' (sia di sinistra che di destra), e dal non conformarsi a certe leggi per ragioni religiose o di natura razziale. Chi commette reati politici di solito non si considera un delinquente, né considera sempre criminale il proprio comportamento. Infatti, quasi tutti i responsabili di delitti politici affermano che le loro azioni sono dettate dai più alti principi morali e mirano al miglioramento della società. Sotto questo aspetto i responsabili di delitti politici differiscono da tutti gli altri tipi di delinquenti. Di solito non agiscono individualmente e si identificano o si associano con persone che hanno valori simili. Per questa ragione le razionalizzazioni della loro fede e le loro ideologie sono apprese in grande parte da altri. Comunque, nel caso di questi reati, le reazioni ufficiali tendono ad essere severe. Talvolta si hanno persecuzioni continue e vengono applicate pene severe, comprese condanne a lunghi periodi di detenzione o addirittura condanne a morte. L'atteggiamento dell'opinione pubblica verso i delitti politici dipende dalla misura in cui essa accetta o non accetta la politica e le azioni del governo.

Un tipo opposto di delitto politico comprende i reati commessi dallo Stato, o da suoi agenti, per asserite ragioni di Stato. Delitti di Stato sono: a) violazioni delle libertà e dei diritti civili stabiliti dalla costituzione e dalla legislazione sui diritti civili; b) atti criminosi commessi nell'applicare le leggi dello Stato, come aggressioni o assassini compiuti dalla polizia e dalle guardie carcerarie. Le reazioni contro i delitti di Stato dipendono in parte dall'informazione che ne ha l'opinione pubblica e dalla forza dell'opposizione.

I responsabili di reati legati alla professione sono coloro che commettono reati nello svolgimento delle loro legittime attività. Rientrano in questa categoria uomini d'affari più o meno importanti, uomini politici, impiegati statali, medici, farmacisti, e altre categorie professionali. Per queste professioni di elevata condizione sociale, si usa spesso il termine di ‛reati da colletto bianco'. Le maggiori differenze tra il reato legato alla professione e le altre forme di reato sono connesse all'idea che il trasgressore ha di se stesso. Il responsabile di reati legati alla professione non svolge un ruolo criminale coerente come quello di altri tipi di delinquenti. È probabile che egli si consideri un cittadino rispettabile e che sia considerato così dagli altri, cosicché, tutt'al più, pensa di essere un ‛trasgressore', non un ‛delinquente'. In molti settori dell'attività delittuosa legata alla professione si hanno spesso alti livelli di organizzazione. Nel comparaggio, ad esempio, deve esserci una complicità dei medici, e nei casi di corruzione politica c'è una collusione organizzata con uomini d'affari od organizzazioni criminali. In alcune professioni le persone imparano a violare impunemente la legge, e il principiante può apprendere le tecniche necessarie allo scopo. Egli si precostituisce inoltre, per le proprie trasgressioni, una serie di razionalizzazioni, espresse ad esempio da dichiarazioni come ‟gli affari sono affari", oppure ‟in nessun altro modo si può svolgere proficuamente la professione o gli affari". Talvolta le violazioni possono derivare dal tentativo di far fronte ad attività illegali dei concorrenti. Le persone respingono o colgono le occasioni di compiere reati legati alla professione a seconda del modo di considerare il proprio ruolo e dell'atteggiamento verso i valori generali della società. Alcuni dei fattori determinanti sono la maggiore o minore importanza attribuita al denaro come simbolo di status, e la maggiore o minore importanza attribuita alla reputazione personale, o familiare, o professionale.

L'appropriazione indebita e simili violazioni del rapporto fiduciario in materia finanziaria sono casi piuttosto comuni di reati legati alla professione. D. Cressey (v., 1953) ha elaborato quella che, secondo lui, è una spiegazione universale di siffatte violazioni del rapporto fiduciario. A suo avviso tre sono gli elementi necessari in questo tipo di reato. In primo luogo le occasioni di compiere un simile reato e la presenza di un problema finanziario inconfessabile che, se scoperto, provocherebbe per l'interessato la perdita della stima di persone che egli tiene in grande considerazione. Il secondo elemento necessario consiste nel sapere come effettuare praticamente il reato, e il terzo nella possibilità di darsi spiegazioni accettabili che permettano ai responsabili di un'appropriazione indebita di salvare l'opinione che hanno di sé (col dire ad esempio - razionalizzando - di aver preso dei fondi solo ‟in prestito", o cose simili).

Le pene per i reati legati alla professione variano considerevolmente, e contrastano in modo impressionante con le pene per i delitti comuni. Quando vengono comminate, esse sono di solito assai lievi e possono anche esser lasciate del tutto agli ordini professionali. Il reato legato alla professione si differenzia anche per lo status del trasgressore, per la tolleranza dell'opinione pubblica e per il sostegno che i trasgressori possono ricevere da altri gruppi sociali. Reati di questo genere non suscitano di solito grande risentimento pubblico, e ciò è dovuto in gran parte al fatto che vengono presentati in modo diverso dagli altri reati.

Con il sorgere delle corporations, è stata creata una legislazione penale per colpire reati come limitazioni alla libertà di scambio, pubblicità menzognera, vendite fraudolente, contraffazioni di marchi di fabbrica, produzione di cibi e farmaci dannosi, ecc. Gli amministratori e le società responsabili di trasgressioni hanno uno status sociale elevato e generalmente non si considerano delinquenti né sono considerati tali dagli altri, opinione pubblica compresa. I reati sono parte integrante degli affari e le violazioni sono razionalizzate come necessarie per la conduzione dell'azienda. I reati commessi da società e da amministratori hanno l'appoggio degli amministratori e delle aziende affini, anche se concorrenti.

I reati legati all'attività delle aziende (corporate crimes) richiedono un notevole grado di organizzazione fra coloro che li compiono, e l'infrazione della legge è diventata in molte società un modello normativo. Ciò è coerente con l'ideologia prevalente, che incoraggia la produzione e il consumo illimitati. Solo di recente si è sviluppata un'etica diversa, che contesta il sostegno dato a questo tipo di rea- ti. A causa del loro potere e della loro influenza, di solito non si dà corso a gravi azioni legali contro le società o i loro funzionari. Le azioni legali hanno per lo più assunto la forma di diffide, di provvedimenti amministrativi, o di ingiunzioni civili piuttosto che di provvedimenti penali veri e propri. Tanto le reazioni del pubblico che i procedimenti penali contro i reati di questo genere vanno però intensificandosi.

Le carriere criminali ‛convenzionali' cominciano con l'affiliazione a bande minorili per giungere al comportamento criminale adulto di tipo più grave: anzitutto il furto con scasso, il furto di automobili o la rapina. Tali carriere implicano precoci esperienze criminali di gruppo in bande minorili, i cui membri si adattano a parecchi ruoli sociali e acquisiscono uno status elevato con la partecipazione alle attività della banda. A mano a mano che si procede dai reati lievi a quelli più gravi, si verifica una continua acquisizione sia di tecniche che di razionalizzazioni, miranti a giustificare la propria attività criminosa. Tutto ciò porta di solito i trasgressori a contatti sempre più frequenti con la polizia, i tribunali, i centri per i minorenni, i riformatori e infine il carcere. Gli aspetti negativi di queste esperienze fissano ancor più il delinquente nel suo status e nella sua attività, e favoriscono, insieme con il fatto di essere etichettato come delinquente con vari precedenti penali, l'autoidentificazione come delinquente. Il grado di progresso e di perfezionamento dei delinquenti comuni nell'attività criminosa è molto minore che nei delinquenti professionisti, e per questa ragione le loro carriere sono denominate carriere criminali ‛convenzionali'. Di solito esse hanno termine all'incirca tra i venti e i trent'anni o poco oltre.

La reazione della società verso i delinquenti di tipo ‛convenzionale' è forte, e, le pene per coloro che commettono furti con scasso e rapine tendono ad essere severe. Queste pene rappresentano, almeno in parte, il desiderio della società di tutelare la proprietà. Inoltre, poiché questi delinquenti hanno in genere molti precedenti penali per reati compiuti fin da quando erano ragazzi, può facilmente accadere che i magistrati inquirenti abbiano di loro un'idea preconcetta.

La delinquenza organizzata è propria dei sindacati del crimine, i cui membri si dedicano alle attività criminose considerandole come una fonte di mezzi di sostentamento. Di solito i sindacati del crimine sono ben organizzati, e le loro attività si estendono spesso oltre i confini della città, dello Stato, della nazione. Anche se il numero delle persone implicate non è considerevole, grande è l'estensione delle loro attività criminose, come anche la loro influenza sulla società. Caratteristica peculiare e specifica della delinquenza organizzata è una gerarchia di tipo feudale che implica un sistema di relazioni esattamente definite, con obblighi e privilegi reciproci (v. Tyler, 1962; v. Cressey, 1969). Per lo più l'organizzazione del crimine negli Stati Uniti è affine alla mafia, che negli Stati Uniti è chiamata da alcuni ‛Cosa nostra'. Un sindacato organizzato del crimine è tenuto insieme da potenti capi (che possono contare sulla fedeltà di vari luogotenenti e seguaci), da stretti legami di devozione personale, da un codice morale, da alleanze ed accordi con i capi rivali e dalla solidarietà contro le forze della società organizzata. Rapporti di interdipendenza tra i sindacati e tra singoli capi possono significare che un dato sindacato o un dato capo opera contemporaneamente in parecchi settori dell'attività criminale. Collusioni con gli apparati politici o con la polizia e i tribunali comportano un'immunità quasi permanente dall'arresto o procurano ‛accomodamenti' qualora si arrivi all'arresto. L'organizzazione ‛feudale' di un sindacato del crimine rende difficile dare indicazioni generali circa la provenienza dei suoi membri. La maggior parte dei membri di un sindacato proviene dagli slums e ha precedenti penali. Le loro storie somigliano alle carriere criminali convenzionali; vi si riscontra infatti una progressione in una lunga serie di atti criminosi e l'affiliazione ad una banda di giovani delinquenti. Ma, invece di interrompere la loro carriera tra i venti e i trent'anni di età, essi la continuano entrando in qualche sindacato del crimine. La banda minorile degli slums genera il ‛gangster' adulto, che usa metodi violenti ed è impiegato proprio a questo scopo dai gruppi criminali organizzati.

La delinquenza organizzata opera prevalentemente in quei settori di attività a proposito dei quali il giudizio morale dell'opinione pubblica è diviso. Fra i settori più importanti in cui ha operato la delinquenza organizzata troviamo la prostituzione, la vendita illegale di droga e di alcolici, il gioco d'azzardo, e la ‛protezione' di certe categorie di lavoratori e di certe attività industriali e commerciali. La delinquenza organizzata si infiltra anche in attività lecite, facendovi investimenti, e se ne vale come schermo per i suoi obiettivi criminosi. Negli Stati Uniti, ad esempio, essa ha estesi interessi nell'impianto di macchine distributrici di sigarette e di juke-boxes, e possiede una varietà di ditte per la vendita al dettaglio, nonché ristoranti e bar, alberghi, compagnie di trasporti, ditte per la fornitura di cibo e biancheria, per la raccolta dei rifiuti, fabbriche, interessi nel campo dello spettacolo e del gioco d'azzardo. Benché le reazioni della società contro la delinquenza organizzata siano forti, si sono avute poche misure repressive efficaci. Di solito è difficile ottenere condanne dei capi e comunque solo per reati minori; membri di secondo piano possono essere condannati per reati lievi. Ciò è dovuto a varie ragioni: a) difficoltà di ottenere prove; b) mancanza di mezzi efficaci per fronteggiare i sindacati del crimine, la cui attività si estende su scala nazionale; c) mancanza di coordinamento tra organismi locali e nazionali; d) mancato sviluppo di una rete di informatori; e) insufficiente e inefficace uso delle sanzioni disponibili, cosicché spesso le condanne non sono proporzionate al guadagno ricavato dalle attività illegali; f) insufficiente impegno pubblico e privato per liquidare la delinquenza organizzata.

Fra tutti i delinquenti, il delinquente professionista è quello che raggiunge i maggiori traguardi in fatto di carriera, di status sociale e di capacità. L'uso del termine onorevole di ‛professionista' in riferimento ad attività criminose richiede qualche spiegazione. Poiché il criminale professionista possiede status e capacità riconosciuti, la definizione di ‛professionista' può essere contestata solo con l'argomento che tale termine è applicato ad attività i cui mezzi e fini difficilmente si possono considerare leciti. Come altri membri della società, i delinquenti professionisti hanno un'occupazione e s'impegnano in una quantità di reati altamente specializzati. Taluni sviluppano un altissimo grado di abilità in particolari reati, come il borseggio, il taccheggio, il furto nei negozi, il furto nelle gioiellerie, i furti in camere d'albergo, l'emissione di assegni falsi e i raggiri. Lo status di questi delinquenti si riflette nell'atteggiamento degli altri delinquenti, della polizia, dei magistrati, ecc. Ciò deriva da parecchi fattori, fra cui l'abilità tecnica, la situazione finanziaria, le relazioni, le influenze, il modo di vestire, le maniere e le ampie conoscenze acquisite in una vita nomade (v. Sutherland, 1937). Sotto il profilo del ruolo sociale, secondo E. H. Sutherland ‟una persona accettata dal gruppo e riconosciuta come ladro professionista, è un ladro professionista". Questo ruolo deriva da estesi contatti con altri ladri, e i ladri professionisti hanno in comune conoscenti, affinità di sentimenti, simpatie, intese, accordi, regole, codici di comportamento e una lingua particolare o gergo, gran parte del quale è in uso da secoli.

Spesso i delinquenti professionisti sono reclutati tra persone di venti o trent'anni che dimostrano abilità potenziali, ma che non hanno necessariamente precedenti penali. I falsari, ad esempio, possono reclutare uno che lavori come incisore. Durante il suo periodo di apprendistato, egli apprende la morale e l'‛etichetta' della sua professione ed acquista l'‛istinto del furto', impara come disporre del maltolto e come ‛cavarsela'. Si crea relazioni con altri criminali e con i tutori della legge che possono tornargli utili. Se riesce, è ammesso a pieno titolo fra gli altri professionisti. Non ci sono molti delinquenti professionisti e soltanto pochi di essi sono condannati o vanno in prigione; sono infatti estremamente abili nell'evitare di essere scoperti e sanno come ‛comprare' protezione o, se arrestati, come trovare un ‛accomodamento' per evitare la pena.

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