Cristianesimo

Dizionario di Storia (2010)

cristianesimo


La religione rivelata da Gesù Cristo e, per estensione, la civiltà cristiana. Gesù Cristo è in pari tempo il fondatore del c. e oggetto di culto, di latrìa: riguardato cioè come iniziatore e profeta non meramente umano, ma come Verbo di Dio incarnato, vero Dio e vero uomo, rivelatore e al tempo stesso rivelato, e salvatore e redentore dell’umanità. Dal punto di vista tipologico delle religioni, il c. si presenta come religione fondata e rivelata, risalente cioè a un personaggio che per primo la predicò agli uomini, portatore di una rivelazione divina dogmatica, missionaria e supernazionale, anzi universalistica. Per tutti questi caratteri, cui è da aggiungere il possesso di un canone di Scritture sacre, il c. si può classificare tra le religioni di tipo «moderno» (tipologicamente, più che cronologicamente), da cui tuttavia differisce per il fatto che, mentre né Mosè né Maometto né il Buddha aspirarono ad avere culto divino, il Cristo è invece adorato come Dio. Ulteriore elemento differenziante è l’essere il c. storicamente nato in seno a una religione a sua volta rivelata e fondata – il giudaismo – e con un suo canone di Scritture sacre, nei confronti della quale il c. si presenta come innovatore e conservatore al contempo.

Età antica

In Palestina e nell’ambiente giudaico emerse presto il contrasto tra i più rigidi osservanti delle prescrizioni giudaiche e i più aperti alla cultura del mondo classico, gli «ellenisti»: dissenso che si acuì a mano a mano che il c. si propagava nelle regioni circonvicine, predicato in misura sempre più larga e costante a gentili. Sorsero chiese nelle maggiori città dell’impero romano, ma anche in centri minori e ai margini dell’impero stesso a Oriente. Il c. divenne così, tra la fine del 1° e la metà del 2° sec., una religione diffusa ormai prevalentemente tra gentili. Contribuirono a ciò le crisi del giudaismo, con la sollevazione duramente domata da Vespasiano e da Tito, quindi con la guerra conclusasi con la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio. Nel 1° sec. ebbero inizio le repressioni nei confronti dei cristiani: la loro fede fu giudicata dall’autorità pubblica come incompatibile con l’esistenza dell’impero romano, sia perché essa minava la congiunzione tra organizzazione statale e religione pubblica ufficiale sia perché propugnava concezioni e valori del tutto estranei alla tradizione politica e culturale della società romana. La politica di repressione del c. fu iniziata da Nerone (64) e proseguì sotto i suoi successori; Settimio Severo (193-211) vietò il proselitismo cristiano, mentre vere e proprie persecuzioni furono quelle sancite dagli editti di Decio, Valeriano e Diocleziano (tra il 249 e il 304). Con l’Editto di Milano (313), Costantino ammetteva il c. nel pantheon delle religioni professate nell’impero; nel 380 Teodosio ratificava l’Editto di Tessalonica, con il quale il c. diveniva unica religio licita dell’impero (da allora impero romano cristiano), e dava il via a una dura repressione antipagana.

Medioevo ed Età moderna

Concili convocati dagli imperatori (a Nicea nel 325; a Costantinopoli nel 381 ecc.) tentarono di definire una dottrina unitaria, ma gli sforzi oscillarono tra le due posizioni estreme: di chi nel fondatore del c. ravvisava soprattutto il maestro di morale, il profeta, l’uomo Gesù, che Dio per grazia speciale aveva elevato a suo figlio («adozionismo»), e di chi non percepiva in lui se non il Cristo divino, che solo in apparenza («docetismo») aveva assunto un corpo di uomo, e patito. Sulla base di discussioni di questo tipo nestoriani e monofisiti si separarono dando vita a Chiese cristiane autonome. Discussioni e scismi proseguirono per tutto l’alto Medioevo senza tuttavia produrre durature diversificazioni. Una nuova e più grave frattura si ebbe nel 1054 quando greci e latini, scomunicatisi reciprocamente per le questioni dogmatiche (la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio) e disciplinari (autorità del papato, consacrazione in azimo ecc.) che li dividevano da un pezzo, si separarono in maniera definitiva, assumendo rispettivamente i nomi di Chiese ortodosse e Chiesa cattolica. Alla fine del Medioevo l’affermarsi delle monarchie nazionali provocò nuove scissioni nel c. cattolico, a cui si tentò di rimediare con l’azione dei concili di Costanza e Basilea, e con tentativi di dare alla Chiesa una costituzione nuova. Di fronte a questi tentativi di «riforma cattolica» si mantenevano nondimeno assai forti le tendenze alla scissione; alle affermazioni di autonomia della Chiesa gallicana (1438), si aggiunse la nuova e gravissima separazione dei protestanti (➔ ) provocata da Lutero, che si trascinò appresso gran parte della nazione tedesca (➔ ). A queste prime scissioni ne seguirono altre, tra cui in primo luogo quella di Calvino (➔ ), e intanto la Riforma penetrò anche in Inghilterra (➔ Chiesa anglicana). La Chiesa cattolica si riposizionò grazie al Concilio di Trento, ma rimase a lungo una federazione di Chiese nazionali ove il papato conservò piena giurisdizione su gran parte della sola realtà italiana; nel mondo riformato notevole fu l’espansione del calvinismo e di altre espressioni del c. riformato, anche radicali. Il predominio planetario europeo che caratterizzò l’Età moderna acquisì al c. le Americhe, ma ne consentì una più o meno significativa diffusione, anche con l’azione degli ordini religiosi antichi e nuovi (specialmente i gesuiti), in India, dove nel Sud esisteva però già un’antichissima comunità cristiana, in Cina, in Giappone. All’interno delle diverse esperienze cristiane, esauritasi la fase più accesa delle guerre di religione, si tentarono, in partic. nel 18° sec., riletture critiche e tentativi di rinnovamento della dottrina: tra questi si annoverano il metodismo in area protestante e l’insegnamento di Alfonso Maria de’ Liguori o il giansenismo in quella cattolica.

Età contemporanea

Nel sec. 19° il c. si caratterizzò tra l’altro per l’attività missionaria promossa da tutte le confessioni e che accompagnò (presto anche in modo critico) gli sforzi colonialisti condotti dalle potenze occidentali. Nel contempo, le società economicamente più sviluppate furono caratterizzate da un forte processo di secolarizzazione e nel Novecento il c. si scontrò con la concorrenza di ideologie totalitarie. In Europa restò salda la presenza della Chiesa cattolica e di quelle riformate e ortodosse tradizionali; altrove, e specialmente nelle Americhe, ma anche in Africa e in Asia, esplosero le sette, che mantengono ancora una forte capacità espansiva. A partire dalla fine del 20° sec. si è assistito a un marcato processo di regionalizzazione, congiunto in maniera al tempo stesso inseparabile e dialettica al più generale fenomeno della globalizzazione. Soprattutto in tale contesto le comunità cristiane si trovano sfidate a situarsi in maniera originale e creativa nei più diversi ambiti sociali, culturali e spirituali; a confrontarsi con esigenze e richieste sempre diverse da valorizzare o regolare cercando di armonizzarle con identità e tradizione. Ma la fine del Novecento e gli inizi del 3° millennio sono stati caratterizzati anche dall’idea del contrasto insanabile tra la «civiltà» cristiana e quella islamica. Il risveglio dell’idea di crociata ha caratterizzato sezioni importanti dell’uno e dell’altro mondo, ove pure restano significativi settori che conservano forte inclinazione al dialogo. In tutto questo, il processo mai interrotto di secolarizzazione si trova a coesistere con uno speculare movimento di ritorno al sacro. Statistiche, sia pur necessariamente approssimative, dicono che oggi i cristiani sono un terzo della popolazione della terra. Di questi 2 miliardi di individui, la metà è cattolica, 500 milioni ca. sono i protestanti, 240 milioni gli ortodossi e poco più di questa cifra gli altri.

Si veda anche I cristianesimi nella storia

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