CRITICISMO

Enciclopedia Italiana (1931)

CRITICISMO

Pantaleo Carabellese

. Col nome di criticismo si designa, in generale, la dottrina filosofica che prospetta il problema della possibilità della conoscenza e si oppone quindi tanto al dogmatismo quanto allo scetticismo, che entrambi l'ignorano, l'uno affermando l'altro negando a priori il valore della conoscenza stessa. Questa antitesi delimita negativamente la posizione del criticismo: quanto al suo contenuto positivo, si hanno invece due concezioni opposte. Secondo l'una, fondamentale nel criticismo è la tesi della limitatezza del conoscere, rispetto a cui l'essere appare sostanzialmente come presupposto: criticismo importa perciò fenomenicità del conoscere, limitazione di esso di fronte all'essere. Secondo l'altra, invece, fondamentale in esso è l'idea dell'assolutezza della conoscenza umana, in quanto autocoscienza. In verità il criticismo, come tale, non pare caratterizzato né dall'una né dall'altra di tali estreme determinazioni: l'una delle quali scambia il problema del criticismo, scoperto e formulato da Kant, con la soluzione particolare datagli dallo stesso Kant, mentre l'altra fa lo scambio opposto, cioè ritiene soluzione quella che è soltanto posizione del problema critico.

Per orientarsi circa il concetto del criticismo, bisogna quindi intendere il problema posto da Kant e vedere come ne siano sorte, idealmente e storicamente, quelle due opposte interpretazioni. Per Kant la conoscenza scientifica (cioè la vera conoscenza) deve essere necessaria e universale: perciò non può derivare dall'esperienza, che, per sua natura, non è necessaria, e, per ampia che sia, non è mai universale. La scienza, quindi, come tale, deve derivare dalla ragione (cioè dallo stesso conoscere al suo più alto grado) ma pura (cioè non commista a qualcosa che conoscere non sia). Una tale scienza, constata Kant, esiste di fatto, ma solo in talune forme determinate: la matematica e la fisica pura. Tale invece non è ancora quella che si presenta come scienza veramente universale e quindi assoluta ed unica scienza: la metafisica. Ora, Kant si chiede se è mai possibile che una tale scienza ci sia. Una risposta affermativa non può essere certo data dal fatto dei sistemi metafisici esistenti, che, proprio nel loro essere tanti, provano di non essere la metafisica che si cerca, la metafisica-scienza, universale e necessaria e perciò unica. Ma, per questa stessa ragione, neanche può venirne una risposta negativa: se la metafisica-scienza non c'è ancora, nulla prova che non possa sorgere, o che, magari ignorata o inconsapevole essa stessa del suo più profondo valore, non esista già. L'esperienza, che constata l'esistenza dei sistemi, non può giudicare di tale possibilità, per lo stesso motivo per cui dall'esperienza non può derivare, in genere, la vera scienza. A giudicarne non resta dunque che quella stessa ragione pura che dovrebbe costruire tale metafisica, quando essa risultasse possibile. Ed è appunto in quanto compie tale giudizio, chiamando dinnanzi al proprio tribunale sé stessa in quanto costruttrice di metafisica, che la ragione pura si dice critica: tale è il significato della Critica della ragion pura di Kant. In questo concetto della critica non c'è parola che significhi limitazione del conoscere; anzi in questa possibilità che la critica riconosce alla ragion pura di chiamare, essa sola, sé stessa dinnanzi al suo tribunale c'è l'esplicito riconoscimento dell'assoluta sovranità del conoscere. D'altra parte, non c'è neppure parola che significhi che il conoscere stia soltanto in questo giudizio che la ragione dà di sé stessa in quanto conoscente: anzi ammetterla conoscente e come tale indagarla è ammetterla insieme con l'essere che è oggetto della sua conoscenza.

Ma, passando da tale posizione del problema alla sua soluzione (per i particolari della quale v. kant), il fondatore del criticismo cade in realtà in una contraddizione. Egli infatti da una parte considera qui come principio del conoscere umano la cosa in sé, che però, come tale, non è da esso direttamente attinta, ma soltanto provoca, attraverso le forme dell'intuizione, la conoscenza fenomenica. La ragione critica segna così i limiti della conoscenza, condannando insieme la ragione metafisica, la quale non può raggiungere mai quell'essere in sé, che dovrebbe attingere per costruire la metafisica. Ma Kant stesso dice d'altra parte che principio attivo del conoscere è lo stesso conoscente, il quale, in questo suo conoscere, lungi dall'essere determinato da una cosa in sé che gli rimanga estranea, dà, con questo suo conoscere, le sue proprie leggi all'essere. Questo è l'apriorismo kantiano, secondo cui la ragione pura può costruire la scienza, come assoluta conoscenza: la limitazione, che si deve riconoscere propria dell'esperienza in quanto tale, non può riguardare la scienza. Così la ragione critica, riconoscendo sé come assoluta, si pone essa stessa come ragione metafisica. Da una parte, dunque, limitazione della conoscenza ed esclusione della metafisica; dall'altra, assolutezza della conoscenza e quindi affermazione della metafisica. L'una è la soluzione esplicita che Kant dà al problema critico; l'altra è l'impostazione del problema critico, che, con la sua stessa impostazione, esclude quella soluzione.

La prima concezione della critica, come riconoscimento dei limiti della conoscenza, si affermò già col Reinhold e altri minori, e, durante lo sviluppo idealistico della dottrina kantiana, si chiarì e si precisò sempre più come criticismo in antitesi all'idealismo stesso, che così si voleva escluso dall'atteggiamento critico del pensiero. E si ebbe quindi il criticismo psicologico del Fries, che pretese dare nella psicologia la base di cui la critica kantiana aveva bisogno. Così, dopo il grande sviluppo dell'idealismo, criticismo volle dire abbandono di questo e ritorno alla vera critica concepita come il primo termine della contraddittoria soluzione kantiana, e fu svolto da quegli indirizzi filosofici, che pur professando, più o meno rigorosamente, l'apriorismo kantiano, continuarono in certo modo l'empirismo precritico. Il fondamentale concetto kantiano del conoscere come chiudentesi in sé medesimo fu conservato; ma non perché in questo chiudersi esso riassorbisse in sé stesso l'essere in sé che ne doveva costituire l'oggetto, bensì perché si segregava da esso. Su questo fondamento comune sorsero tante diverse, e talora opposte, determinazioni del criticismo. Si ebbe così in Germania un criticismo fisiologico col Lange e il Helmholtz; metafisico a base realistica col Liebmann e il Volkelt; empiristico (o empiriocriticismo) con l'Avenarius e il Mach; metodologico con H. Cohen e la cosiddetta scuola di Marburgo; realistico col Riehl; relativistico col Simmel; psicologico col Nelson; e finalmente un criticismo dei valori col Windelband, col Rickert, col Münsterberg (indirizzo, quest'ultimo, che, avvicinandosi a Fichte, mediò fra le due ali estreme del criticismo). E un ritorno a Kant, in tal senso, si tentò anche fuori della Germania, come giusto mezzo fra la pseudoscientifica baldanza del positivismo e l'arretrato spiritualismo dogmatico. Si ebbe quindi il criticismo personalistico del Renouvier in Francia, il realismo critico del Hodgson e dell'Adamson in Inghilterra, il neokantismo del Masci in Italia, ecc.

Ma c'era l'altro termine della contraddittoria soluzione kantiana, il quale fu sviluppato e messo in valore dall'idealismo, da Fichte a Hegel. Se la critica ha valore, si disse, la conoscenza, in questo suo chiudersi in sé, proprio mediante il processo critico, è assoluta. Criticismo è questo riconoscere l'assolutezza della critica, come riflettersi in sé del conoscere, al di là di ogni cosa in sé, che è soltanto una negazione. Il vero criticismo è sempre e assolutamente idealismo: lo riconobbe lo stesso Kant, pur volendolo chiamare soltanto idealismo critico. Per essere critici fondamentalmente, bisogna abbandonare questa limitazione: se non la si abbandona, si deve abbandonare la critica, il che per altro è impossibile.

Ma, se, come si è detto, non è vero criticismo il primo che si attribuisce tale nome, non è neppure vero criticismo il secondo, che lo riduce a idealismo del soggetto assoluto. L'uno e l'altro credono di risolvere la contraddizione kantiana con l'affermare il valore dell'uno dei due termini a discapito dell'altro. Gli uni s'irrigidiscono nella soluzione kantiana, gli altri nella pura sua posizione del problema. Ma la nuova affermazione della critica kantiana non è né quella della fenomenicità del conoscere in quanto limitato dall'essere, né quella dell'attività assoluta del soggetto. Kant, con la posizione del problema critico da una parte, e l'affermazione del noumeno dall'altra, afferma invece l'imprescindibilità del concreto come sintesi di soggettività e oggettività. Il concreto è la soluzione del problema critico. La ragione critica, sottoponendo al suo esame la ragione metafisica, trova che questa è possibile perché l'in sé che si vuol conoscere a priori, e che è l'oggetto della metafisica, è noumeno, cioè costituisce l'idea essenziale alla ragione e costitutiva di essa. La soluzione fenomenistica (limitatrice) e quella dialettica (assoluta) del problema critico negano, non risolvono il problema stesso, in quanto non vedono con chiarezza il concreto che nella posizione stessa del problema critico è implicito e pongono tal concreto l'una nella relatività soggettiva ritenendola oggettività conosciuta, l'altra nell'assolutezza oggettiva dicendola soggetto assoluto. L'una posizione, abolendo la metafisica, si toglie anche come critica e quindi si contraddice, si elimina da sé stessa. L'altra posizione, considerando la critica come la stessa metafisica, e involgendo il noumeno nella negazione della cosa in sé, chiude la critica in sé stessa e quindi la nega in quanto critica. Anche questa posizione quindi si elimina da sé stessa.

Criticismo è dunque ogni posizione speculativa che da una parte riconosca nell'ambito della filosofia, e cioè del sapere universale e perciò schiettamente oggettivo, uno speciale problema di sé stessa, che si dice appunto problema critico; e che, dall'altra, proprio come filosofia, che col risolvere il problema critico dimostra la sua possibilità, riconosca il suo principio non in sé stessa, ma in quella concretezza che la critica ha scoperta.

Bibl.: Per le varie concezioni del criticismo v., dopo le tre Critiche di Kant, le opere dei pensatori citati. Fra le trattazioni speciali intorno al criticismo e alla sua storia (nelle quali il criticismo è inteso soprattutto nel senso fenomenistico), v. A. Riehl, Der philosophische Kriticismus, voll. 3, Lipsia 1876-87; G. Cesca, Storia e dottrina del criticismo, Verona 1884. Per la concezione del criticismo svolta in questo articolo cfr. P. Carabellese, Critica del concreto, Pistoia 1921; id., La filosofia di Kant, Firenze 1927; id., Il problema della filosofia da Kant a Fichte, Palermo 1929.

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