CUMA

Enciclopedia Italiana (1931)

CUMA (Κύμη, Cumae)

Amedeo Maiuri

Città antica posta sul litorale occidentale della Campania, lungo la via Domitiana che staccandosi da Sinuessa (oggi Mondragone) e passando per Liternum e Cumae, giungeva a Puteoli (Pozzuoli). Per la posizione stessa, su di un piccolo colle isolato (m. 82) sorgente sulla bassa spiaggia dunosa del litorale occidentale della Campania, il luogo doveva essere già abitato da popolazioni italiche. Stando alla tradizione più attendibile, Cuma sarebbe stata fondata dai Greci dell'isola di Eubea e verosimilmente da quegli stessi coloni di Calcide e di Eretria che, secondo Dionisio di Alicarnasso e Strabone, si erano stanziati nella vicina isola d'Ischia (Pithecusai). Altre fonti (Eforo) attribuiscono invece la fondazione ai Greci dell'eolica Kyme d'Asia o a una compartecipazione di elementi eolici e calcidesi.

Non ugualmente accettata dalla critica storica è la data tradizionale della fondazione che Eusebio e Velleio fanno risalire all'anno 1050 a. C., e che Strabone afferma come più antica di quella delle altre colonie greche della Sicilia e della Magna Grecia; si ammette invece generalmente chi essa sia da stabilire entro il sec. VIII a. C.

Oscuro e incerto è il periodo delle origini della città, documentato più che altro dai corredi di alcune tombe di carattere orientalizzante e da poche ma preziose iscrizioni arcaiche che attestano come ai Greci di Cuma si debba l'introduzione dell'alfabeto calcidese e la sua adozione da parte delle altre popolazioni italiche.

Comunque, fra il sec. VII e il VI, il dominio della città si estese rapidamente a tutta la regione flegrea e i porti naturali di Capo Miseno e tutto il golfo di Puteoli vennero a far parte ben presto dello stato cumano: seguì la fondazione di Neapolis con la quale si stabilì un'effettiva egemonia cumana su tutto il litorale della Campania.

Ma contro Cuma si allearono le popolazioni italiche della Campania, i Dauni, gli Arunci e gli Etruschi di Capua, per i quali ultimi soprattutto l'egemonia marittima dei Greci costituiva il maggior ostacolo all'espansione economica e politica. E si ebbe così la grande battaglia del 524 a. C. Secondo Dionisio (VII, 2-11) l'esercito etrusco sarebbe stato composto da 500.000 fanti e 18.000 cavalieri: cifre evidentemente esagerate. I Cumani invece, sotto il comando di Aristodemo, detto il Malaco, sarebbero stati forti solo di 4500 fanti e 600 cavalli. I Cumani attaccarono battaglia in luogo assai favorevole, fortemente accidentato, con laghi e alture, dove batterono pienamente i nemici che non poterono schierare le loro forze. Né mancò ben presto ad Aristodemo favorevole occasione di far sentire agli Etruschi tutto il peso dell'ostilità cumana, ché, alleatosi con i Latini, intervenne al loro fianco quando gli Etruschi minacciati dalla lega latina assediavano Aricia e, assunto il comando, riuscì a battere per la seconda volta i Tirreni e a liberare la città. Ma né le vittorie conseguite né il favore popolare assicurarono ad Aristodemo una pacifica dittatura; una congiura, tramata da profughi politici con il favore del partito aristocratico, portò alla rivoluzione e alla morte di questo tiranno, a cui si deve il consolidamento della potenza e della grandezza di Cuma.

Ucciso Aristodemo, travagliata la città da discordie interne, gli Etruschi tentarono la riscossa, e Cuma ricorse per aiuto a Gerone, potente principe di Siracusa. La flotta siracusana apparve nelle acque di Cuma e qui, nel 474, gli Etruschi furono per la terza volta e definitivamente battuti dai Greci federati della Sicilia e della Campania. Le sorti dell'ellenismo furono ancora salve, ma per poco. Cuma cadde in potere dei Sanniti, o verso il 438 (Diodoro, XII, 76) o verso il 421 (Livio, IV, 44) e, pur conservando culti e costumi greci, diventò una città osco-sabellica.

Con l'occupazione romana della Campania, Cuma ebbe da Roma la civitas sine suffragio (anno 334) e tutto il distretto dell'agro cumano e capuano venne sottoposto alla giurisdizione dei praefecti Capuam Cumas (anno 318). Durante l'invasione annibalica, Cuma, al contrario di Capua, restò fedele a Roma e presso il villaggio di Hamae, a nord di Cuma, l'esercito campano subì una sconfitta dai romani (anno 215). Per questa sua fedeltà, Cuma ebbe nel 180 a. C. il diritto di servirsi della lingua latina negli atti ufficiali, e poi, già prima, è da credere, della guerra sociale, i pieni diritti di cittadinanza. Nella guerra civile fu una delle piazzaforti di Ottaviano che, con il valido ausilio di Agrippa, poté fare di Cuma, del lago d'Averno e di Miseno, una formidabile base navale da opporre alla flotta di Sesto Pompeo. Ebbe da Augusto una colonia militare. Durante l'impero, toccata appena dalla Via Domitiana, restò al di fuori del grande movimento urbanistico che si accentuò nella vicina Puteoli (Giovenale, III, 2; Stazio, Silv., IV, 3, 65). Ma restò ancora nel periodo del basso impero una delle cittadelle meglio fortificate della Campania: occupata nel 536 d. C. da Belisario, ripresa da Totila nel 542 e nuovamente espugnata nel 553 da Narsete (Procopio, De bello goth., I, 14; III, 6; IV, 34-5).

Delle vicende politiche ed economiche dello stato cumano è anche documento la storia della sua monetazione. Le più antiche monete vengono riferite ai primi decennî del sec. V a. C., e cioè al periodo stesso della costituzione della tirannide di Aristodemo Malaco; la monetazione avrebbe seguito in un primo tempo il sistema eolico-attico (500): più tardi (490) vengono adottati didramme ed oboli euboici e in seguito (480-400), la monetazione viene ragguagliata al sistema focese.

Topografia. - La topografia di Cuma venne diligentemente rilevata fin dal 1822 dal dotto napoletano De Iorio, quando, prima dell'intensa opera di coltivazione e di bonifica, più numerosi e integri affioravano i ruderi della città e della necropoli.

La pianta generale della città comprende: a) il colle dell'acropoli; b) la città bassa; c) il proasteion; d) la necropoli.

L'acropoli formata da un massiccio di duplice carattere geologico (di roccia trachitica verso il fronte ovest, sud e nord, di roccia tufacea verso il fronte est), costituisce un'inespugnabile rocca di difesa; unica via di accesso fra l'acropoli e la città bassa è la porta di cui restano tuttora gli avanzi sul lato meridionale del colle. Resti cospicui d'una cinta murale del sec. V a. C. si seguono ancora lungo il ciglio dirupato della terrazza inferiore del lato settentrionale, e un bel tratto di muraglia dissepolto negli scavi del 1912, costituisce uno dei più perfetti esempî della tecnica murale greca: altri avanzi di mura greche, seminascosti dalle posteriori difese del periodo bizantino, si scorgono in prossimità dell'ingresso dell'acropoli. Ma i più insigni avanzi monumentali sono costituiti dai grandiosi ruderi del tempio dedicato alla divinità massima della città greca, ad Apollo, sulla terrazza inferiore, e del tempio, supposto di Giove, coronante l'altura dell'acropoli; una via romana, muovente dalla città bassa, metteva in comunicazione i due templi. Costruiti indubbiamente nel periodo del maggior fiorire della colonia greca, sui resti di più antichi e forse non meno nobili templi arcaici, essi vennero nel periodo augusteo interamente ricostruiti; modificati durante l'impero e, da ultimo, adattati a basilica bizantina con la quale si collegano tombe cristiane scavate nel vivo della platea greca.

Al disotto della terrazza del tempio di Apollo, alle ime radici del colle, si apre l'antro oracolare della Sibilla, uno dei santuarî più venerandi dell'Italia antica. I Romani, al tempo della guerra civile, dovettero mutare la natura religiosa dell'antro, perforando la collina da un lato all'altro con un'arditissima galleria sotterranea in continuazione dell'altra galleria che fu aperta da Agrippa fra il lago di Averno e Cuma; ma, dopo la battaglia di Azio (31 a. C.), ristabilirono e reintegrarono con maggior decoro il culto sibillino e apollineo. L'antro, quale attualmente ci appare dopo gli scavi 1924-1930, si apre dal lato del mare con una galleria d'ingresso: s'innalza con un grandioso vestibolo rivestito di opera muraria in tufo; si amplia in forma di speco scavato nel vivo della roccia tufacea; ridiventa infine galleria, con sbocchi e cunicoli misteriosi e ampie grotte artificiali che, in età più tarda, vennero adoperate per riserva di acque. Il carattere delle cortine murarie che rivestono le pareti della galleria ci riporta al primo periodo augusteo, al periodo cioè in cui Virgilio viveva a Napoli: da ciò la perfetta rispondenza fra la descrizione virgiliana (Eneide, VI) e la realtà dei luoghi.

Meno determinabile è la pianta della città bassa che si estende su di una lunga terrazza pianeggiante a sud dell'acropoli: ma la linea delle mura elleniche, ruderi di edifici, altre grotte e caverne artificiali, sono tuttora visibili lungo il margine e il pendio della terrazza volto verso il mare.

Altri insigni monumenti pubblici vennero nell'epoca romana costruiti nel proasteion della città: fra questi è l'anfiteatro conservato e visibile solo nella linea esterna dell'ellisse, il cosiddetto Tempio dei Giganti, da cui sembra provenire un busto colossale di Giove, e l'Arco Felice, ardito fornice alto più di 20 m., la cui costruzione deve risalire all'epoca in cui Domiziano per aprire un più comodo valico alla Via Domitiana fra Cumae e Puteoli fece tagliare il monte Grillo.

Assai vasta e non ancora ben delimitata, nonostante le innumerevoli scoperte di tombe, è l'area della necropoli: si estende da ogni lato della città, ma più estensivamente e riccamente nella zona a nord e nei terreni paludosi, ora bonificati, del Lago di Licola. La necropoli cumana abbraccia un periodo lunghissimo che va dai sepolcreti preellenici del sec. IX-VIII a. C. ai colombarî imperiali; monumento singolare di architettura funeraria del periodo sannitico, è la tomba a tholos scoperta nel 1902 nel fondo Artiaco.

Le prime scoperte nel territorio della città si ebbero al principio del sec. XVII; ma i primi scavi sistematici nel sottosuolo e nell'area della necropoli più antica vennero fatti praticare dal conte di Siracusa fra il 1852 e il 1857 e notizie e illustrazioni delle suppellettili ricuperate vennero date dal Minervini e dal Fiorelli.

Più sistematicamente condotta e più fruttuosa fu la lunga campagna di scavo promossa dallo Stevens fra il 1878 e il 1893 (con una breve ripresa nel 1896); e i materiali, presso il Museo nazionale di Napoli, illustrati dal Gabrici, costituiscono ancora la più ampia documentazione delle necropoli cumane. Nel 1902 si ebbe la scoperta del singolare gruppo di tombe a incinerazione con corredo d'arte orientalizzante e della tomba a tholos rinvenuto e illustrato dal Pellegrini. Nel 1912 s'iniziarono i lavori di scavo sull'acropoli della città, e sulla terrazza inferiore apparvero gli avanzi imponenti del tempio di Apollo; mentre gli scavi ripresi fra il 1924 e il 1930, con più vasto programma d'esplorazione e di sistemazione, hanno messo completamente in luce il grandioso Antro della Sibilla, la via d'accesso all'acropoli e, sulla vetta del colle, il tempio attribuito provvisoriamente a Giove.

Bibl.: J. Weiss, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XI, coll. 2476-78; F. von Duhn, Kyme, in Reallexicon für Vorgeschichte, 1926. Per la storia e la topografia: J. Beloch, Campanien, 2ª ed., Breslavia 1890, p. 145 segg.; H. Nissen, Ital. Landesk., II, Berlino 1902, p. 721 seg.; E. Ciaceri, Storia della Magna Grecia, I, p. 329 segg., pp. 317 seg., 388 seg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, I-II (v. indice); E. Pais, Italia antica, p. 303 seg. (tavv. 149-152). Per le scoperte e i materiali archeologici, oltre a numerose relazioni di scavi ed a studî particolari pubblicati nel Boll. arch. napoletano, nelle Notizie degli scavi, nel Boll. paletnologico italiano, sono da ricordare: G. Fiorelli, Monumenti cumani, I-II (incompiuto), Napoli 1853; A. Pellegrini, Tombe greche arcaiche e tomba greco-sannitica a tholos, in Monum. ant. d. Lincei, XIII (1903), pp. 205-294; E. Gabrici, Cuma, in Monum. ant. d. Lincei, XXII (1913-14), con 123 tavole (ampia raccolta di materiali di scavo); per la necropoli e i corredi funebri pregevole è la particolareggiata analisi di von Duhn, Ital. Gräberkunde, Heidelberg 1924, I, pp. 535-547. Sugli scavi dell'antro della Sibilla, A. Maiuri, in Not. d. scavi, 1926, p. 85 segg.; sui varî problemi dell'archeologia cumana, vedi A. Maiuri, in Historia, IV (1930), p. 56 segg.; Per le monete, A. Sambon, Les monnaies antiques de l'Italie, I, p. 140 e B. V. Head, Hist. Num., 2ª ed., Oxford 1911, p. 35 seg.

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