Cuneo fiscale

Dizionario di Economia e Finanza (2012)

cuneo fiscale

Angelo Castaldo

Perdita di efficienza allocativa, detta anche eccesso di pressione tributaria, che trae origine dall’introduzione di un’imposta. L’onere (costo) economico complessivo generato da un’imposta, salvo il caso di quelle fisse o capitarie (➔ lump-sum taxes; imposta capitaria), è dato dalla simultanea presenza di due elementi principali: l’ammontare di reddito che il contribuente versa alla pubblica amministrazione (effetto-reddito) e la perdita di valore economico associata al compiere scelte diverse (effetto-sostituzione) rispetto a quelle che si sarebbero poste in essere in assenza d’imposta. In altri termini, la perdita di efficienza rappresentata dal c. f. deriva dalla differenza tra il benessere sociale ex ante e quello ex post imposta. Giacché  il tributo comporta che le risorse sottratte al contribuente vadano a incrementare in egual misura quelle a disposizione della pubblica amministrazione, esso, in primo luogo, è un flusso monetario che si trasferisce dal contribuente alla pubblica amministrazione, senza far registrare perdite per la collettività nel suo insieme. È altrettanto vero, in secondo luogo, che l’imposta, alterando le scelte dei contribuenti, genera loro una diminuzione di valore economico che, non essendo recuperata da nessuno, concorre a formare una vera e propria perdita secca di benessere sociale.

Triangolo di Harberger

Il c. f., associato all’effetto-sostituzione generato dall’imposta, è usualmente misurato con l’area del triangolo di Harberger (➔), la cui base rappresenta l’ampiezza della distorsione della scelta in funzione dell’introduzione del tributo, mentre l’altezza, la magnitudine dell’onere impositivo per unità di attività considerata. È possibile fornire esempi pratici per verificare la presenza del c. fiscale. La variazione dei prezzi dei beni, in virtù di un’imposta indiretta, provoca distorsioni nelle scelte dei consumatori (o delle imprese in caso in cui incida sugli input di produzione). Sul versante della domanda individuale, quindi, in presenza di imposta indiretta, mutando i prezzi, ruota la retta di bilancio (o dei costi; ➔ costi, minimizzazione dei) e si modificano le condizioni di scelta dei consumatori (o delle imprese), con conseguente distorsione delle condizioni di efficienza allocativa. Un’imposta sul salario, determinando un apprezzamento relativo del riposo, produce la conseguenza immediata di disincentivare il lavoro (se l’effetto-sostituzione domina sull’effetto-reddito).

Principali tematiche di studio

A livello empirico, la misurazione delle perdite di efficienza associate all’imposta ha una tradizione molto antica, che risale ai lavori di A.J. Dupuit (1844) e H.C. Jenkin (1871). Tuttavia, nel corso degli anni 1960, A.C. Harberger, con i suoi studi sulle distorsioni generate dall’imposta sul reddito e sul capitale negli Stati Uniti, gettò le basi per rilanciare l’analisi empirica del c. f. all’interno di un quadro metodologico più sistematico. A seguito dello sforzo di Harberger, altri autori hanno approfondito il tema del c. f., con riferimento agli effetti sul welfare delle diverse forme impositive. J.R. Hines (2008) ha evidenziato come tale approccio sia alla base delle analisi svolte nel decennio 1974-84 da E.K. Browning  (sull’imposta sul lavoro), J.B. Shoven (sull’imposta sulle società), M.S. Feldstein (sull’imposta sul risparmio) e da R.G. King (sull’imposta sul consumo). Tuttavia, vanno rilevati due importanti ordini di criticità. In primo luogo, laddove si utilizzino le curve di domanda e offerta marshalliane (➔ Marshall, Alfred), la misurazione dell’eccesso di pressione ‘alla Harberger’ è influenzata dall’ordine con cui i tributi vengono introdotti (path dependency). In secondo luogo, le imposte incidono sulle scelte a disposizione dei contribuenti che interagiscono con altre scelte a esse collegate. Pertanto, l’eccesso di pressione associato all’imposta provoca distorsioni sia dirette sia indirette.

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