Cuoio

Enciclopedia Dantesca (1970)

cuoio [plur. cuoia]

Vincenzo Valente

E " pelle di animale " e può significare tanto pelle conciata da lavorare, quanto " spoglia di una fiera ". Col senso di " cuoio da calzolaio " s'incontra in If XX 119 Asdente... / avere inteso al cuoio e a lo spago / ora vorrebbe. In Pd XV 113 andar cinto / di cuoio e d'osso, vale " cintura di cuoio " fermata da fibbia di osso, contrapposta a cintura preziosa fatta di lamine d'oro e d'argento che fosse a veder più che la persona (v. 102). Per " pelle di belva " c. sta due volte in Cv IV XXV 6 vide Polinice coverto d'un cuoio di leone, e vide Tideo coverto d'un cuoio di porco selvatico. È il latino exuviae, ricordo di un passo di Stazio (Theb. I 397): " saetigerumque suem et fulvum adventare leonem ", dove si parla diffusamente dei due eroi.

Col significato di " pergamena " da servire per scritture, secondo la precisa interpretazione del Barbi, la parola si registra in Rime LXXV 4 'l cuoio farà vendetta de la carne (per una diversa interpretazione cfr. Barbi, Problemi II 130 n. 4: " Secondo il Gaspary... cuoio sarebbe qui la pelle di Forese stesso... "). Quest'ultimo senso ritorna nella forma del plurale ‛ cuoia ', in Pd XXIV 93 in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia, che sono le pagine dell'Antico e del Nuovo Testamento, la " carta pecudina " delle pergamene, " imperò che le carte membrane sono di cuoia e di pelli d'animali, come di pecore, montoni, agnelli e cavretti " (Buti). Il traslato non riusciva gradito al Tommaseo, ma la parola, riferita al sacro deposito delle Scritture, induce un sentore di solenne vetustà. V. PELLE; SCIARE.