DAL POZZO, Carlo Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

DAL POZZO, Carlo Antonio

Enrico Stumpo

Nacque il 30 nov. 1547 a Biella (Vercelli), da Francesco e da Amedea Scaglia di Verrua.

Ancora bambino, perse la madre e fu allevato dalla seconda moglie del conte Francesco, Caterina Vassallo, insieme ai quattro fratelli maggiori. Il padre Francesco, insieme al fratello Cassiano, era stato uno dei pochi rimasti fedeli ad Emanuele Filiberto in Piemonte durante l'occupazione francese. Consigliere ducale e gran ciambellano della casa ducale, capitano di Santhià e conte di Ponderano, morì nel 1564, senza aver potuto godere a lungo del favore del duca.

Come figlio cadetto, il D. fu quindi costretto a scegliere tra la carriera ecclesiastica e quella giuridica. Studiò dapprima legge a Mondovì , con i celebri giureconsulti G. Menochio e A. Cravetta, quindi passò a Pavia e si fermò ancora a Pisa, Padova e Bologna. In quest'ultima città si addottorò il 1° ott. 1566; con la stessa data gli venne concesso il lettorato di diritto feudale nello Studio di Torino. Ma il giovane D., appena rientrato a Torino, ne ripartì ben presto per seguire come segretario a Roma il cardinal Bobba. In tale occasione incontrò a Roma il cardinal Ferdinando de' Medici, per mezzo del quale venne raccomandato alla corte medicea. Nel 1572 fu quindi chiamato a Firenze, dove si presentò al primo segretario Bartolomeo Concini con una lettera di presentazione di Pierino Belli, assai legato allo zio Cassiano e ai fratelli Ludovico e Fabrizio. Nominato giudice di Ruota, nel settembre 1572 è ricordato come giudice di primo appello del quartiere di S. Maria Novella. Due anni dopo, nel luglio 1574, è nominato auditore fiscale. La carica, di grande importanza, fu dal D. esercitata con grande impegno e autorità. Il Galluzzi affermò anzi che egli fu il primo a farne emergere la vera importanza. Iniziarono così i suoi rapporti con il granduca, al quale scriveva spesso motivati pareri di diversa natura.

Negli anni seguenti il D., pur continuando nel suo ufficio, acquistò a Roma l'ufficio di protonotario apostolico e nel 1578 prese gli ordini sacri. Probabilmente incerto nelle sue scelte, il D. preferì seguire entrambe le vie. È certo che già in quello stesso anno aspirava a succedere al vescovo di Chiusi e l'anno seguente alla nomina a coadiutore del vescovo di Siena. Questi suoi progetti fállirono; tuttavia pochi anni dopo, nel 1582, si rese vacante l'arcivescovado di Pisa e subito il D. scrisse al granduca per ottenere la nomina dal papa. Nonostante varie difficoltà, il cardinal Ferdinando riuscì ad ottenergli la nomina dal papa Gregorio XIII, che pure sosteneva monsignor Giovanni Alberti. Ottenuta la consacrazione, il nuovo arcivescovo continuò a risiedere alla corte medicea, servendo il granduca Francesco I come consigliere segreto, soprattutto per le materie giudiziarie. Partecipò inoltre ai maggiori avvenimenti della corte. Nel 1584 fece parte del seguito che accompagnava la figlia dei granduca, Eleonora, a Mantova per le sue nozze con Vincenzo Gonzaga. L'anno seguente è a Roma come ambasciatore di complimento per casa Medici al neo eletto Sisto V.

Nel 1587, con la morte del granduca Francesco, il fratello cardinal Ferdinando gli succedette al trono e il D. ne divenne uno dei più ascoltati consiglieri, Consiliarius ab intirnis.

In effetti la sua attività spaziò dagli affari privati di casa Medici, ai rapporti e alle relazioni con gli Stati italiani e stranieri, all'amministrazione della giustizia. Il testamento segreto del granduca Ferdinando nel 1592 venne dettato e trascritto parola per parola dal D., che ne dovette anche scrivere altre due copie. Partecipò alle trattative di matrimonio fra il granduca e Cristina di Lorena e a quelle fra Maria, figlia del defunto Francesco I, ed Enrico IV.

In politica estera il consiglio del D. veniva sempre più spesso richiesto. Rappresentò il granduca nelle trattative con Enrico IV Per la stipulazione del trattato di Pomègues, di cui aveva preparato e steso l'introduzione. Quando non è presente a corte è lo stesso granduca che gli scrive a Pisa per richiederne il consiglio.

Così, per es., nell'aprile 1605 Ferdinando gli chiese come comportarsi nella lotta tra il papa e i Veneziani. Moltissime lettere restano ancor oggi a testimoniare lo stretto legame fra il granduca e il suo consigliere, come pure si conservano molti pareri del D. in materia monetaria, sulla riforma del protocollo di corte, sulla riforma dello Studio di Pisa, sulla contabilità della Casa, sugli investimenti. Ma soprattutto pareri sull'amministrazione giudiziaria. Nella relazione dell'ambasciatore veneto Tommaso Contarini si legge "L'arcivescovo di Pisa ha nelle sue mani tutto il governo delle cose giuditiali ...". Nella lunga causa per l'eredità di Cosimo fra il granduca e il fratello don Pietro, il D. fu il primo degli avvocati di Ferdinando e il più attivo.

Anche se gran parte della sua attività fu politica, il D. si occupò sempre attivamente della sua diocesi. Dal suo carteggio con il vicario Giuseppe Bocca emerge chiaramente con quanta attenzione seguisse ogni avvenimento e ogni problema della diocesi.

Assai rigido verso il clero regolare e secolare, non esitava a ricorrere alla galera, al tratti di corda, alle multe più severe, a volte alla tortura. Fondò a Pisa un piccolo seminario, restaurò a sue spese il palazzo arcivescovile e quando nel 1595 l'antico duomo di Pisa venne distrutto da un furioso incendio, si dedicò subito alla ricostruzione, grazie all'aiuto finanziario del granduca. Egli stesso concorse a sue spese ai lavori e donò al capitolo numerose opere d'arte e preziosi paramenti. Nel 1599 fondò una commenda, detta Putea, dal nome latinizzato della famiglia, con diritto di patronato alla sua famiglia, nell'Ordine dei cavalieri di S. Stefano. Pochi anni più tardi, l'8 dic. 1604 fondò il Collegio Puteano, dopo aver ottenuto la facoltà dal pontefice Clemente VIII, con una bolla e un breve dello stesso anno, a favore degli studenti piemontesi che volessero recarsi a studiare a Pisa. L'anno seguente entrarono già i primi sei alunni e il granduca approvò la fondazione del collegio. Molti altri atti testimoniano della pietà e generosità dell'arcivescovo. Nel 1603 donò 6.000 scudi alla Pia Casa della misericordia per l'assistenza agli infermi a domicilio. Chiamò a Pisa i padri barnabiti, presso i quali aveva studiato a Pavia, concedendo loro l'antica chiesa di S. Frediano. restaurata a sue spese, e assegnando loro 300 scudi d'oro di rendita l'anno, sul suo patrimonio.

Del D., importante testimonianza della sua attività come giureconsulto oltre ai numerosi pareri e consigli conservati nei fondi dell'archivio mediceo, si conservano due codici cartacci nella Biblioteca Laurenziana di Firenze (Catal. Medic. Palat., mss. 47-48) contenenti il suo opus magnum, un ritratto in sette tomi sul principe o meglio De iis quae ad Principem attinent.

Non si tratta tuttavia di un'imitazione dei vari trattati sul principe allora in circolazione, bensì di un esame sotto l'aspetto esclusivamente giuridico della figura del principe. E in effetti non si trovano tracce di citazioni del De Monarchia di Dante o di Machiavelli, mentre abbondano i passi dei Padri della Chiesa, della Bibbia, dei giureconsulti allora più noti, come il Menochio o il Cravetta, maestri del D. nello Studio di Mondovì. Vi si trovano inoltre citazioni di altre due opere del D., un trattato De feudis in tredici libri e una raccolta, De communibus iureconsulti opinionibus. Il primo fu composto probabilmente a Torino, quando il D. era lettore di diritto feudale in quella città; ambedue queste opere ci sono note solo attraverso questa citazione.

Dalla lettura del suo trattato come pure da quella delle sue lettere non rifulge certo la virtù letteraria del Dal Pozzo. Molto spesso si trovano frasi scritte in piemontese e i lunghi anni trascorsi in Toscana non avevano giovato alla purezza del suo scrivere. La sua stessa conoscenza della lingua latina, utilizzata sia nelle lettere sia in tutte le sue opere, è quella tipica di un giurista, con nessuna conoscenza dei classici.

Il D. fu anzitutto un buon politico e un ottimo consigliere di Stato, abilissimo nello svolgimento di vari e difficili incarichi. Eccelleva quindi nella pratica e nell'attività politica, assai meno in quella teorica e nello studio, essendo più , che altro un erudito. Probabilmente fu anche un buon arcivescovo, anche se all'attività pastorale preferì sempre quella politica. Essendo un uomo ambizioso, aspirò al cardinalato, ma non riuscì ad ottenerlo (anche se il Galluzzi, erroneamente, lo afferma). Tentò lo stesso granduca Ferdinando, ma invano, di ottenerlo per lui. Del resto nella stessa Curia romana non era particolarmente ben visto, sia perché troppo legato ai Medici, sia perché mal conciliava l'attività pastorale con quella politica.

Durante gli anni del suo soggiorno in Toscana il D. si era spesso recato in Piemonte, a volte anche con lettere del granduca per Carlo Emanuele I, mantenendo sempre vivi i legami con i fratelli e la famiglia. Così da Torino aveva invitato a Firenze il cugino Antonio, figlio del celebre Cassiano, presidente del Senato di Piemonte, che più tardi fu nominato uditore delle Bande del granduca. A Pisa inoltre, dal 1598, tenne presso di sé il figlio di Antonio, Cassiano iunior, il quale fu fatto cavaliere di S. Stefano all'età di dieci anni, come titolare della commenda istituita dall'arcivescovo. Il giovanissimo Cassiano iunior restò a Pisa presso lo zio fino al 1606, ottenendo il dottorato in utroque iure presso lo Studio pisano.

Il D. morì il 13 luglio 1607, mentre si trovava nella sua residenza estiva di Seravezza, presso Massa (in provincia di Lucca), e fu seppellito a Pisa.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Arch. di corte, Protocolli ducali, 1566, ottobre 1°, v. 232, f. 298, dott. C. A. D. lettore di diritto feudale nello Studio di Torino; Archivio Dal Pozzo della Cisterna (ora depositato presso l'Archivio di Stato di Vercelli), Storia della famiglia, mm. 14, 15 (1547-1607); Ibid., Affari Personali e privati, mm. 2, 4; Ibid., Lettere del senatore Tesauro e del presidente Cassiano Dal Pozzo (1576-1601);Ibid., Testamenti e successioni, mm. 9-10-11; Ibid., Fondazioni, mm. 3,6, 7.Numerosissime sono le fonti relative al D., lettere, pareri, consigli, nell'Archivio di Stato di Firenze: si cfr. in particolare Mediceo del Principato, ff. 306, c. 241; 674. c. 297; 696, c. 13; 701, c. 146; 703, cc. 206 s.; 755, cc. 108-140, 436, 616; 5109, c. 103; 5117, c. 125; Ibid., Miscellanea Medicea, f. 14, n. 14; f. 25, n. 15; Ibid., Carte Strozziane, ff. 21-22; Ibid., Arch. della Ruota, f. 3099, c. 11; Ibid., Arch. della Camera fiscale, f. 1635, C. 1. Molti atti e documenti, che qui si omettono per brevità, si conservano inoltre a Pisa, presso l'Arch. di Stato (Arch. dell'Opera della Primaziale, Pia Casa della Misericordia, Arch. dell'Ordine di S. Stefano), presso l'archivio dell'arcivescovado (Arch. segreto, Arch. della Mensa, Arch. della Curia), presso l'archivio della Pia Casa della misericordia, e soprattutto presso l'archivio dei conti Agostini Venerosi Della Seta, palazzo Agostini. Qui si conservano le lettere inviate dal D. al vicario G. Bocca. Cfr. inoltre: A. Corsi, Oraz. in lode dell'ill.mo e rev.mo mons. C. A. D., arcivescovo di Pisa, Firenze 1608; F. Bocchi, De laudibus Caroli Antonii Putei, Florentiae 1608; F. L. Barelli, Mem. dell'origine, fondazione... dei chierici regolari di S. Paolo, Bologna 1707, II, pp. 75 ss.; F. Ughelli, Italia sacra..., III,Romae 1647, pp. 489 s.; C. Tenivelli, Biogr. piemontesi, II, Torino 1785, pp. 281-308; R. Galluzzi, Storia del granducato di Toscana, Livorno 1841, III, pp. 327 s.; IV, pp. 9, 151; V, pp. 26 s.; D. Valla, Vita di C. A. D., arcivescovo di Pisa, fondatore del Collegio Puteano, in Mem. della R. Acc. delle scienze di Torino, s. 2, LIII (1908), pp. 221-252 (con append. documentaria); G. Lumbroso, Notizie sulla vita di Cassiano Dal Pozzo, Torino 1874, pp. 134ss.; F. Diaz, Il granducato di Toscana, I Medici, Torino 1976, pp. 94, 175, 241 s., 253, 278, 281 s., 368, 410, 457, 473.

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