Dal ritratto psicologico al "ritratto di stato"

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Manuela Gianandrea
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

La tendenza generale che sembra percorrere la ritrattistica del XVI secolo è quella di una progressiva spersonalizzazione del modello: dal ritratto psicologico, messo a punto da Leonardo da Vinci e Raffaello, si giunge all’aulica impersonalità del "ritratto di stato", in cui dell’effigiato contano, soprattutto, gli attributi del suo status. Una tappa importante di tale processo è la nascita del ritratto emblematico.

Ritrattistica e cultura letteraria

Negli ultimi decenni del Quattrocento, in Italia si assiste al tramonto della civiltà umanistica e all’affermarsi della cultura cortigiana, e proprio in questo contesto deve essere inquadrata la nascita del ritratto psicologico. Nell’umanesimo l’arte della ritrattistica si conformava ai modelli dell’antichità, alle conquiste della prospettiva, alla lenticolare esattezza dei particolari che i pittori italiani mutuavano dalla pittura fiamminga, come dimostrano l’orgogliosa e minuziosa chiarezza dei ritratti di Antonello da Messina (Ritratto virile, 1476), che influenzerà profondamente la pittura lombarda e veneta, o quelli di Giovanni Bellini (il luminoso Ritratto del doge Leonardo Loredan, 1505 ca.). Ma il profondo mutamento culturale che investe l’Europa tra il XV e il XVI secolo, e soprattutto l’Italia delle corti, porta alla ribalta una serie di problematiche del tutto nuove.

In campo letterario, al quale la ritrattistica si lega inestricabilmente nell’arco di pochi anni, al latino si sostituisce il volgare, ai temi e ai motivi classici si preferisce il recupero dell’esperienza petrarchesca, e cioè la lirica amorosa, la descrizione degli effetti della passione d’amore sul poeta. I pittori impegnati nel genere del ritratto si concentrano allora sul dato psicologico, cercando di rendere visibile ciò che è più intimo, ineffabile e sfuggente.

Negli anni milanesi Leonardo riflette a lungo sulla possibilità di raffigurare "i moti dell’animo", secondo una sua efficace espressione. Il ritratto della cosiddetta Cecilia Gallerani rappresenta un perfetto esempio di penetrazione psicologica: la costruzione volumetrica del busto, con la sua torsione a spirale, viene contrapposta all’anatomica esattezza dell’ermellino; seguendo l’andamento irregolare di tale costruzione, lo spettatore viene poi escluso dalla partecipazione all’evento raffigurato, in quanto la giovane donna si è voltata, per rivolgere l’attenzione a qualche cosa che l’ha distratta, forse un suono; "la fa che par ch’ascolti, e non favella", commenta esattamente Bernardo Bellincioni, un poeta di corte amico di Leonardo.

Il ritratto di Cecilia Gallerani, con il suo probabile pendant letterario, non è che un esempio del profondo legame che accomuna la letteratura e le arti figurative tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento: non si tratta soltanto di una questione di convergenze tematiche, ma di una rete di rapporti, anche personali, che legano reciprocamente i protagonisti della cultura letteraria e figurativa del periodo. È noto, del resto, che Bramante, lo stesso Leonardo o lo scultore Giancristoforo Romano si occupano anche di poesia volgare, di musica (Leonardo, Ritratto di musico) e di allestimenti teatrali o feste, fiancheggiando i letterati di corte.

Gli struggimenti psicologici di poemi come l’Arcadia di Jacopo Sannazaro, la cui prima stesura risale agli anni Ottanta, o i modelli di comportamento e i consigli di moda elaborati da Baldassare Castiglione nel Libro del cortegiano si accompagnano agli esempi della ritrattistica di Leonardo, Raffaello, Giorgione, secondo indirizzi e modalità diverse. Se Leonardo da Vinci approfondisce la resa dei "moti dell’animo" (con la Belle Ferronière e, soprattutto, con la celeberrima Monna Lisa), il più giovane Raffaello, accanto alle riprese leonardesche, svolte tuttavia in una luce meno problematica (Ritratto di Maddalena Doni, 1506 ca.), presta grande attenzione alla moda e ai suoi mutamenti: il Ritratto di Baldassare Castiglione è il documento di un sodalizio intellettuale molto profondo. Diverso è il caso di Giorgione che alle ricerche squisitamente pittoriche accompagna sempre un’accurata conoscenza dei temi prediletti dall’élite cortigiana, ma anche un’instancabile ricerca psicologica. Alcuni suoi ritratti, come Laura o il Doppio ritratto della collezione Ludovisi, sono letteralmente imbevuti di rimandi a temi e a motivi in auge presso i poeti volgari del tempo, mentre in opere tarde Giorgione mette a punto un inedito ed estremamente suggestivo taglio in "primissimo piano", come mostra il Ritratto Ferris.

I temi e i motivi della cultura cortigiana influenzano la ritrattistica anche per il vasto repertorio di immagini e simboli che possono venire immessi nei ritratti, a volte a scapito della somiglianza fisica del dipinto al modello e della resa del dato psicologico: in un ritratto femminile attribuito a Bartolomeo Veneto, l’autorevole italianista Giovanni Pozzi ha individuato una puntuale restituzione pittorica del "canone delle bellezze" femminili esemplato da Petrarca, dove i capelli sono comparati all’oro, gli occhi "assomigliano a stelle", la pelle è "candida come neve" e così via.

Ben presto l’influenza italiana si fa sentire anche nel resto d’Europa: attraverso i viaggi italiani di Albrecht Dürer e la mediazione di Hans Holbein, letterati quali Erasmo da Rotterdam e Tommaso Moro – se pure ancora legati alle preferenze della classica iconografia umanistica di stampo anticheggiante divengono modelli per i ritratti maggiormente caratterizzati dal punto di vista psicologico e costruiti con una volumetria tipica della cultura figurativa delle corti settentrionali.

Sviluppi del ritratto psicologico

Nell’età della Maniera, per l’esplorazione psicologica si aprono nuove vie: a Firenze, Piero di Cosimo persegue nei suoi rari ritratti un effetto di visionaria bizzarria (come nel dipinto di Simonetta Vespucci a Chantilly o nel Ritratto di Francesco Giamberti ad Amsterdam). Discepolo di Piero di Cosimo, Jacopo da Pontormo esprime le proprie inquietudini esistenziali nelle posizioni instabili e negli sguardi trasognati o allucinati dei ritratti (Ritratto di alabardiere).

In area veneta, l’estrema aderenza psicologica giorgionesca viene presto abbandonata da Tiziano – discepolo del pittore di Castelfranco – che dipinge ritratti di elegante solennità, impreziositi da una sfavillante gamma cromatica; è Lorenzo Lotto a proseguire l’indagine sui sentimenti impostata con estremo rigore da Giorgione. Nei suoi ritratti, giocati su luci fredde e mezzi toni, Lotto si concentra sulla psicologia dei personaggi, ritraendo i modelli in pose inconsuete (come l’antiquario Andrea Odoni, circondato da frammenti di statue antiche) e ricorrendo spesso all’inserimento di elementi che hanno funzione emblematica e simbolica. Così, nel Gentiluomo dell’Accademia (1527 ca.) i petali di rosa sparsi sul tavolo e il ramarro alludono verosimilmente alla fuggevolezza del tempo e alla brevità della vita; mentre nel Ritratto di Lucina Brembati custodito a Bergamo, il plenilunio che illumina il paesaggio non è solo un’occasione per dar prova di virtuosismi luministici, ma anche un espediente per inscrivere nel dipinto, come in una crittografia, il nome della donna ritratta. Sulla stessa direzione, ma con minor attenzione all’aspetto psicologico, a tutto vantaggio di un simbolismo talvolta ermetico, si trovano alcuni ritratti di Parmigianino (Ritratto di Galeazzo Sanvitale) e Correggio (Ritratto di Ginevra Rangone).

La predilezione per l’emblematica, molto in voga nel XVI secolo, incontra notevole fortuna anche nella ritrattistica delle corti europee: ne sono esempio, su due versanti opposti, la rarefazione intellettualistica di alcuni ritratti della scuola di Fontainebleau e lo sfarzoso memento mori dipinto in anamorfosi da Hans Holbein negli Ambasciatori di Londra.

Il ritratto di Stato

Mentre il ritratto psicologico e il ritratto simbolico si diffondono soprattutto tra il pubblico dell’élite intellettuale e cortigiana, ben diverse sono le richieste degli effettivi rappresentanti del potere: principi, duchi e sovrani debbono mantenere inalterata la loro aura di uomini di governo, e non cedono alle lusinghe dello psicologismo. Così, all’aprirsi del secolo la marchesa Isabella d’Este, pur essendo impegnata in prima fila nel dibattito culturale cortigiano, si fa ritrarre da Leonardo da Vinci in una posa rigida, di profilo, secondo un impianto di evidente derivazione numismatica.

Ben presto anche la ritrattistica ufficiale si adegua alle conquiste pittoriche della Maniera moderna, ma lo sforzo dei pittori che effigiano le sembianze dei principi appare teso soprattutto a rendere ben evidente, nel dipinto, il loro status politico e sociale. Ci si concentra, dunque, sui più evidenti attributi del potere e della ricchezza (preziosissime stoffe, ricchi apparati e così via...), mentre il modello viene raffigurato, percorrendo una via opposta a quella del ritratto psicologico, con sembianze assorte e impenetrabili, quasi a sottolinearne l’impersonale immutabilità e impermeabilità al corso degli eventi. Tale modello, che la critica moderna ha definito state portrait (ritratto di parata), viene messo a punto nella cerchia romana di Raffaello, per ritratti di papi quali quello di Giulio II e quello di Leone X.

Spesso il ritratto di Stato percorre le vie del simbolismo e dell’allegoria. Tiziano, che è tra i pochi pittori del Cinquecento maturo a non adeguare la sua ritrattistica ai dettami della spersonalizzazione imposta dalla ritrattistica ufficiale, nel 1547 dipinge il Ritratto equestre di Carlo V, dove l’imperatore viene raffigurato come defensor fidei. A Firenze, Giorgio Vasari ritrae Alessandro de’ Medici nelle sembianze di un condottiero antico; sempre a Firenze, Agnolo Bronzino raggiunge risultati altissimi con i suoi ritratti di notabili impassibili, quasi raggelati, e riccamente abbigliati (Ritratto di Eleonora di Toledo con il figlio, 1545 ca.). Con il progredire del secolo, i dettami della Controriforma portano a un’ulteriore spersonalizzazione, tanto che Federico Zeri parla di "arte senza tempo" per definire la pittura di Scipione Pulzone, autore del Ritratto di cardinale (1578-1583 ca.), e anche Tintoretto a Venezia realizza molti ritratti di Stato per i dogi.

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