LEBRECHT, Danilo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005)

LEBRECHT, Danilo (Lorenzo Montano)

Patrizia Bartoli Amici

Nacque a Verona il 19 apr. 1893 da Carlo, facoltoso industriale, appartenente a una famiglia israelita di origine polacca. Compiuti gli studi classici al liceo Scipione Maffei di Verona, si iscrisse dapprima alla facoltà di lettere dell'Università di Roma e in seguito alla facoltà di giurisprudenza a Padova, ma senza laurearsi. Inseritosi nell'attività imprenditoriale di famiglia, continuò però a coltivare gli studi letterari, cui si era dedicato con passione sin dall'adolescenza.

Il bagaglio culturale del L., formatosi su un'attenta lettura dei classici, si ampliò in seguito con l'apprendimento delle lingue straniere. A disagio nel chiuso ambiente dell'alta borghesia veronese, il L. si legò d'amicizia con L. Fiumi, con cui poteva scambiare impressioni sulle nuove correnti letterarie e sulle letture dei più importanti scrittori europei ancora poco noti in Italia.

La propensione per le istanze dell'avanguardia è percepibile nella prima raccolta di versi del L., Discordanze (Firenze 1915), nella quale spicca per intensità Gilnara, una lirica dai toni cupi molto apprezzata da D. Campana.

La scelta stessa del titolo testimonia la ricerca di uno stile dissonante, in linea con il programmatico rifiuto del classicismo propugnato dalla rivista fiorentina Lacerba, portatrice di tendenze antiretoriche e provocatorie vicine al futurismo, di cui il L. divenne collaboratore pubblicandovi alcune liriche, apparse tra il febbraio e il maggio 1915. In tali composizioni la ricerca del verso libero, svincolato da costrizioni metriche, e il gusto per il calembour sono evidenti.

Tuttavia la formazione umanistica e lo spessore culturale del L. lo portarono in breve a prendere le distanze dal futurismo e già in Ariette per piffero (La Spezia 1917) egli approda a una lirica più intima e rigorosa. Nella raccolta Il figlio di Marte (in L'Ardire, 1° febbr. 1924), composta da quattro poesie dedicate a L. Russo - insieme con il quale aveva combattuto in prima linea sul Carso con il grado di sottotenente dei granatieri di Sardegna durante la prima guerra mondiale -, si fa strada una approfondita meditazione sulla vita e sulla morte, filtrata però dal L. attraverso un disincanto nei confronti delle vicende umane che sarebbe rimasto un tratto significativo e qualificante di tutta la sua produzione.

Il L., nell'arco di un trentennio, scrisse anche parecchi racconti, a partire da Avventura del 1914 (poi in Avanscoperta [Roma], 25 febbr. 1917), fino a L'uomo nel pozzo (Roma 1946).

I racconti, diversi per genere e ispirazione, hanno comunque in comune la cifra stilistica di un narratore colto e raffinato il quale guarda alla materia trattata con un atteggiamento aristocratico e distaccato che accompagna all'attenzione vigile e sensibile per l'attualità una prosa sobria ed elegante, modellata dalla rigorosa preparazione umanistica.

Alla fine della prima guerra mondiale il L., che già durante il conflitto era stato destinato per motivi di salute a Roma, conobbe nella capitale artisti e intellettuali, legandosi in particolare d'amicizia con E. Cecchi - con cui condivideva l'amore per la letteratura inglese - e con V. Cardarelli, i quali, nell'aprile 1919, lo chiamarono a far parte del comitato di redazione della nuova rivista mensile La Ronda.

Per due anni il L. vi tenne una rubrica fissa, "Commento alla cronaca", una sorta di osservatorio sulla società che rappresentava in certo modo l'occhio critico della rivista - dedita principalmente a temi squisitamente letterari - sulla realtà contemporanea. La posizione ideologica della Ronda - tesa a riportare la letteratura italiana nel solco della sua classica tradizione dopo gli eccessi del dannunzianesimo e dell'avanguardia, sottraendosi nel contempo a qualsiasi impegno politico e arroccandosi in un aristocratico isolamento - si manifesta con particolare evidenza nella rubrica del L., il quale si attenne al ruolo di testimone attento e ironico, capace di descrivere con aneddoti gustosi i fatti del giorno, sempre però prendendo le distanze da ogni concreta rivendicazione grazie a un garbato disincanto. Fra i pezzi più riusciti ricordiamo Medardo o L'armistizio, apparso nel primo numero della rivista, in cui vengono affermati l'inutilità della guerra e il riscatto della dignità dell'uomo in quanto tale, e Descrizione di Montecitorio, dove si traccia un'impietosa immagine del Parlamento, assimilato a una chiassosa scolaresca, e del capo del governo G. Giolitti, caratterizzato come un inelegante notaio di provincia. Gli articoli della rubrica vennero in seguito raccolti nel volume Il perdigiorno (Bologna 1928), fra i migliori del L., recensito, fra gli altri, da G. Ungaretti con un giudizio fondamentalmente favorevole, sia pur con una punta di acuta ambiguità quando definisce il L. come: "il nostro migliore moralista sociale, o per esprimerci meglio, lo scrittore che sa trovare con più efficacia nella materia sociale e politica l'argomento di una favola" (in Il Resto del carlino, 6 febbr. 1929).

L'incisività e l'arguzia dei "Commenti alla cronaca" non si ritrovano invece nella seconda serie della rubrica, tenuta su La Fiera letteraria tra il 1926 e il 1927, che appare più scialba e irrilevante sia nella forma, sia nel contenuto. Terminata l'esperienza della Ronda il L. si era cimentato nella narrativa, pubblicando Viaggio attraverso la gioventù secondo un itinerario recente (Milano 1923).

In tale romanzo dal timbro autobiografico, pervaso da un sentimento di malinconia per il tempo passato e dalla convinzione che la felicità è un'illusione di gioventù, l'autore immagina di aver ricevuto da un amico archeologo due diari in cui vengono descritte due storie d'amore, ambedue caratterizzate dalla consapevolezza della fugacità dei sentimenti e dalla necessità del protagonista di allontanarsi dalla persona amata, spinto da un'irrequietezza che lo induce a partire. Nonostante il L. rinnegasse in seguito il romanzo, ritenendolo opera di un dilettante della narrativa o meglio di un "bighellone", come egli amava definirsi con il consueto understatement, la felice sintesi di stile e approfondimento psicologico dei personaggi venne apprezzata dalla critica, che lo giudicò un esempio di raggiunta maturità artistica, soprattutto nel paragone con la narrativa coeva ancora per tanta parte ispirata all'estetismo dannunziano.

Dedicatosi costantemente alla saggistica, con articoli e recensioni di arte e letteratura apparsi in riviste e quotidiani, il L. compilò una sorta di antologia personale in cui raccolse quello che riteneva fosse il meglio della sua produzione letteraria e giornalistica, che quindi pubblicò in una sezione, intitolata Scelta di pareri, di Carte nel vento. Scritti dispersi (Firenze 1956).

Grande conoscitore e collezionista di opere d'arte, si interessò vivamente alla pittura moderna e contemporanea, scrivendo su A. Spadini, G. Morandi, A. Savinio, P. Picasso e H. Matisse. In qualità di critico letterario invece il L. si dedicò soprattutto al Seicento e al Settecento italiano, e in particolare studiò L. Magalotti, lasciandoci con Le più belle pagine di Lorenzo Magalotti scelte da Lorenzo Montano (Milano 1924) una monografia di grande rigore filologico, in cui risulta evidente la sua inclinazione per la personalità del raffinato e poliedrico erudito seicentesco. Il L. seppe comunque apprezzare anche i grandi autori del XIX e XX secolo, dimostrandosi aperto alla comprensione della letteratura europea contemporanea; gli interventi su George Eliot, S. Mallarmé, F. Kafka, Ungaretti, T.S. Eliot, T. Mann testimoniano l'ampiezza dei suoi orizzonti culturali, integrata inoltre dalle curatissime traduzioni di classici stranieri, tra le quali ricordiamo La ninfea bianca, di Mallarmé (in La Ronda, gennaio 1920); Candido, ovvero dell'ottimismo, di Voltaire (Milano 1924); Sentimento del tempo, di Mann (in Il Convegno, maggio 1929); Tutto il mondo è paese, di A. Huxley (Milano 1935); La petizione respinta e La coscrizione, di Kafka (in Letteratura, II [1938], 1, pp. 108-115); Due frammenti da T.S. Eliot (in Il Mese, febbraio 1945); Pandora di J.W. Goethe (Firenze 1945).

Nel 1938 il L. collaborava con il periodico Letteratura, diretto da A. Bonsanti, il quale, sulla linea che era stata della Ronda e poi di Solaria, cercava di procedere lungo la strada dell'"autonomia della repubblica delle lettere"; ma per il L., di famiglia israelita, dopo la promulgazione delle leggi razziali non era più possibile restare in Italia. Insieme con la moglie inglese, M. Ellis, si rifugiò temporaneamente nell'isola di Man.

Tale periodo venne rievocato dal L. in Atlantis, terra sotto il mare. Il problema dell'Italia (a cura di G.M. Cambie, Verona 2002), una sorta di favola swiftiana, in cui si narra la scomparsa di Atlantide e la fuga dalla catastrofe di due coniugi che trovano scampo su una piccola imbarcazione. La drammaticità degli avvenimenti viene ancora una volta, secondo la propensione del L., stemperata con il ricorso a una dimensione mitologica e lirica.

Successivamente il L. si trasferì a Londra, dove fu chiamato a dirigere la sede locale della Mondadori. Nella capitale britannica egli visse in prima persona la condizione della città assediata dai continui bombardamenti tedeschi.

Frutto della terribile esperienza fu L'assedio di Londra, una composizione letta dallo stesso L. presso la società Dante Alighieri di Losanna nell'aprile 1954, in cui l'abituale raffinatezza formale sottolinea piuttosto che nascondere la drammatica esperienza di tutto un popolo.

Dall'ottobre 1943 al dicembre 1945 il L. fu direttore de Il Mese, un periodico promosso dalle autorità inglesi in vista dell'imminente liberazione dei territori italiani, al fine di riattivare lo scambio culturale fra i due Paesi, interrottosi per lunghi anni. Per iniziativa del L. vennero così tradotti e pubblicati nella rivista testi di autori italiani contemporanei, sconosciuti in Inghilterra e articoli divulgativi sulla realtà culturale e sociale italiana. Rientrato in Italia, tra il 1954 e il 1956 collaborò con vari quotidiani, tra cui il Corriere della sera e il Corriere d'informazione, con articoli ed elzeviri poi raccolti nel volume A passo d'uomo (Milano 1957), che gli valse il premio Bagutta nel gennaio del 1958.

Il libro, una miscellanea di elzeviri, appunti di viaggio e saggi di diversa caratura, è godibile per il suo carattere di diario personale, nel quale con grande umanità il L. riesce a intrattenere il lettore su ricordi, esperienze e incontri che riassumono quaranta anni di vita.

Negli ultimi anni della sua esistenza il L. visse a Mentone e poi in Svizzera, dove si spense improvvisamente a Montreux, il 27 ag. 1958.

Fonti e Bibl.: Per una bibliografia esaustiva del L. e sul L. si rimanda a F. Chiappelli, Gli scritti di Lorenzo Montano, in Letteratura, III (1955), 15-16, pp. 102-115 e a G. Centorbi, Lorenzo Montano, in Letteratura italiana, I contemporanei, IV, Milano 1974, pp. 269-289. Si segnalano inoltre: A. Camerino, Prefaz. a Viaggio attraverso la gioventù secondo un itinerario recente, Milano 1959, pp. 5-17; G. Luti, I. Svevo e altri studi sulla letteratura italiana del primo Novecento, Milano 1961, pp. 442 s.; R. Bacchelli, Piccola guida di Lorenzo Montano, in Id., Confessioni letterarie, Milano 1973, pp. 549-551.

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