Dativo

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Caso della declinazione latina, ma anche greca e di altre lingue, che occupa il terzo posto nella tradizione grammaticale classica, e perciò detto anche terzo caso. Indica la destinazione, il punto d’arrivo di un’azione, ed è perciò in primo luogo il caso del complemento di termine (es., lat. dare patri «dare al padre»); per analogia, si parla talora di d. anche per lingue prive di veri e propri casi, come l’italiano, con riferimento a nomi o pronomi adoperati in funzione di complemento di termine (per es.: «le forme dative mi, ti, ci, vi dei pronomi personali»).

Sono proprie del latino, ma estese spesso all’italiano, anche le denominazioni di altri usi del d., come il d. di comodo e d’incomodo, o d. di vantaggio e di svantaggio, che indica il vantaggio o il danno che deriva alla persona espressa nel d. (per es.: «non è per me che lo faccio ma per voi»), e il d. etico o d’interesse, che rileva l’interesse della persona per quanto avviene o si fa (per es.: «all’ultimo momento, eccoti arrivare lui»). Altri usi del d. latino sono il d. d’agente, che indica la persona cui viene attribuito il compimento di un’azione (hoc mihi est faciendum), e il d. d’appartenenza con il verbo essere (mihi est «io ho»).

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