POMIS, David de'

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

POMIS , David de'

Guido Bartolucci

POMIS (Pomi), David de’. – Nacque a Spoleto nel 1524.

Le principali biografie segnalano come anno di nascita il 1525. La data è forse ricavata dal racconto che il de’ Pomis fece della perdita di parte del patrimonio del padre negli anni 1526-27, dove riporta che ciò avvenne nell’anno 5287, due anni dopo la sua nascita (Dittionario novo Hebraico, 1587, p. 5r; Toaff, 1975, p. 133). La data ebraica è stata interpretata con l’anno cristiano 1527, stabilendo la nascita al 1525. In una lettera scritta a Ferdinando I de’ Medici nell’agosto del 1593, però, de’ Pomis dichiara esplicitamente di essere nato nel 1524 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, vol. 840, f. 882r: «perciò che sono nasciuto nel 24»). Un’altra testimonianza a conferma dell’anno 1524 si trova nell’introduzione al trattato medico Enarratio brevis, pubblicato a Venezia nel 1588, in cui dichiara di avere 64 anni (c. 2v). È probabile dunque che, dato l’inizio dell’anno ebraico a fine settembre, l’anno citato da de’ Pomis 5287 sia da intendere come 1526.

Egli proveniva da un’antica famiglia romana, che secondo lo stesso de’ Pomis, fu tra le quattro condotte a Roma da Tito, e che si trasferì a Spoleto dopo il 1260 a causa della tragica fine del rabbino Elia de’ Pomis, condannato al rogo dall’Inquisizione.

Il nome della famiglia deriva dal termine ebraico tapuchim, ‘pomi’, e nelle opere di David oscilla tra la grafia de’ Pomi (nelle opere volgari, ma de’ Pomis nel Breve discorso) e de’ Pomis (nelle opere latine); nelle uniche due lettere conservate indirizzate a Ferdinando I, David si firma come de’ Pomis ed è questa forma, dunque, che va considerata come conforme alle volontà dell’autore.

Nella prima parte della sua vita seguì l’attività del padre banchiere Isacco, abitando a Bevagna e a Todi. In questa città, dopo il 1532, studiò i primi rudimenti di medicina e filosofia con gli zii Yechiel Rechabjà e Moses Alatino. Nel 1545 si trasferì a Perugia per studiare medicina, dove si laureò sei anni dopo, il 27 novembre 1551, davanti a una commissione composta dai professori di medicina e filosofia Pietro Vermiglioni e Francesco Colombo detto Platone (Scalvanti, 1910, pp. 34-37).

Iniziò la pratica medica a Magliano Sabino, che però dovette interrompere a causa dei decreti emanati da Paolo IV con i quali si impediva agli ebrei di esercitare la professione medica nei confronti dei cristiani. Lasciate le terre dello Stato della Chiesa, de’ Pomis fu accolto al servizio del conte Niccolò Orsini, che gli permise di esercitare l’arte medica per cinque anni nelle tre città di Pitigliano, Sorano e Sovana. A Pitigliano, racconta lo stesso medico ebreo (Dittionario, p. 5r), perse la moglie, membro della famiglia di medici e rabbini dei da Viterbo, mentre a Sovana morirono i suoi due figli maschi. In seguito passò al servizio della famiglia Sforza, nella contea di Santa Fiora, dove si fermò per tre anni. Venne poi chiamato dalla città di Chiusi come medico condotto, ma il vescovo impedì il suo traferimento. De’ Pomis decise di chiedere giustizia a Roma, presso il papa Pio IV, davanti al quale pronunciò una forbita orazione in latino. L’orazione ebbe successo e gli fu concessa licenza di esercitare la professione presso la popolazione cristiana.

Il papa morì dopo solo cinque giorni e con la salita al soglio pontificio di Pio V la legislazione antiebraica fu applicata in modo ancora più restrittivo, costringendo de’ Pomis a lasciare la città. Si risposò ad Ancona con Speranza Cohen Lunel e in seguito si trasferì a Venezia. Qui divenne il medico personale del doge Alvise Mocenigo e poté operare anche presso la popolazione cristiana.

È a questo periodo che si deve l’inizio della sua intensa attività di scrittore (non solo di opere di carattere medico), in ebraico, latino e italiano. Tali scritti dimostrano le vaste conoscenze del de’ Pomis sia della tradizione greco-latina sia di quella ebraica, e segnalano, attraverso la lettura delle lettere di dedica, la rete di amicizie che egli aveva intessuto in quegli anni anche al di là dei confini della città lagunare.

Il primo lavoro che pubblicò è una traduzione in italiano del libro dell’Ecclesiaste dedicato a Giovanni Grimani, cui fece seguire l’anno dopo (1572) un Discorso sulla miseria umana sempre nella stessa lingua, dedicato a Margherita di Savoia e pensato come un commento al testo biblico tradotto.

Già da queste prime prove emerge la volontà di de’ Pomis di ‘universalizzare’ la tradizione ebraica, trasformando il contenuto di un’opera come quella dell’Ecclesiaste in un trattato di etica: egli, infatti, insiste sul valore morale della legge mosaica e si spinge fino a inserire nella sua trattazione (a conferma del suo ragionamento) citazioni tratte direttamente dalla letteratura rabbinica (che nelle intenzioni dell’autore dovevano essere riportate originariamente anche in ebraico).

Sono di questo periodo altri due discorsi volgari, pensati come elogi della Repubblica di Venezia che lo aveva accolto, rimasti entrambi manoscritti. Il primo, dedicato a Giacomo Contarini, paragona le istituzioni della città lagunare con quelle mosaiche per mostrarne la divinità ed efficienza; il secondo, invece, composto alla vigilia della battaglia di Lepanto nel 1571 e dedicato ad Antonio Veranzio de Schybenik, arcivescovo di Gran e primate d’Ungheria, propone un’interpretazione in chiave anti-ottomana di alcune profezie ebraiche (Isaia e i quattro regni di Daniele). Quest’ultima opera (di cui si conserva una seconda versione venduta dalla casa d’asta Christie’s nel 1998), si conclude con la profezia della sconfitta dell’Impero ottomano grazie agli sforzi della Lega cristiana, che non avrebbe solo riportato la pace in Europa ma avrebbe permesso agli ebrei di ritornare a Gerusalemme.

Questa apertura profetica sul destino del suo popolo si lega a un’altra opera scritta da de’ Pomis interamente in ebraico (l’unica a nostra conoscenza) e rimasta manoscritta, che a partire dagli stessi passi di Isaia e di Daniele pronosticava la venuta della redenzione e della fine dell’esilio (Budapest, Accademia magiara delle scienze, ms. Kaufmann 556, cc. 43-97). Anche queste opere proseguono nella direzione intrapresa al principio: de’ Pomis infatti cerca di dimostrare l’affinità di cultura e tradizione tra ebraismo e cristianesimo, sia analizzando e comparando le strutture politiche, sia reinterpretando i messaggi profetici tradizionali immaginando la sconfitta dell’Impero di Selim II come portatrice della fine della minaccia ottamana (per Venezia e l’Europa cristiana) e il ritorno a Gerusalemme (per gli ebrei).

Dopo alcune opere di carattere medico contenenti rimedi contro la peste (Brevi discorsi, 1577) e sulla vecchiaia (Enarratio brevis, de senum affectibus, 1588), de’ Pomis diede alle stampe le sue opere più importati, il dizionario trilingue, ebraico, latino e volgare (Tzemach David. Dittionario novo Hebraico, 1587) e la difesa del ruolo del medico ebreo nella società cristiana (De medico hebraeo, 1588).

Il primo testo rappresenta un’assoluta novità nel panorama della letteratura ebraica. L’opera nasce su sollecitazione di amici del de’ Pomis, sia cristiani sia ebrei, i quali gli chiesero di rendere pubblico un lessico ebraico che il medico spoletino andava componendo sin dalla giovane età. Ne risultò un’opera su due colonne (l’una dedicata ai lemmi ebraici e l’altra ai lemmi stranieri fatti propri dalla lingua ebraica) in cui de’ Pomis presentava i principali termini della lingua ebraica in tre idiomi. La peculiarità del lavoro è l’uso estremamente preciso che egli fa delle tre lingue: ogni lemma infatti ha una spiegazione in ebraico e in latino che quasi coincidono per contenuto e lunghezza e una trattazione distinta in volgare. La ragione è da ricercarsi nella volontà dell’autore di aiutare gli eruditi ebrei a perfezionare il latino e i cristiani l’ebraico, mentre il volgare è riservato a spiegare in modo più approfondito alcuni aspetti, o per presentare aneddoti sulla sua vita o sulla storia dell’ebraismo (Berns, 2014).

La seconda opera, in difesa dei medici ebrei, uscì a stampa nel 1588, probabilmente come reazione alla bolla di Gregorio XIII Contra medicos Hebraeos del 1581-82 con la quale papa Boncompagni inaspriva i divieti per gli ebrei di curare i cristiani. Il lavoro del de’ Pomis, però, non è un’apologia della rispettabilità dei dottori ebrei, ma si trasforma in una vera e propria difesa del popolo ebraico che ha ben pochi precedenti nella storia dell’ebraismo italiano dell’età moderna. Dedicata al duca d’Urbino Francesco Maria II della Rovere e distinta in 12 capitoli, l’opera esalta la legge che vincola gli ebrei a non danneggiare né i propri correligionari né i gentili e che, unica tra le leggi divine, è stata esplicitamente e pubblicamente donata al popolo ebreo, invece di essere trasmessa segretamente. Il medico spoletino usa una teoria di fonti amplissima, che comprende opere cristiane (anche antigiudaiche) ed ebraiche, fino a stampare in appendice una versione latina (tra le prime nel suo genere) di alcune parti del trattato mishnaico dei Pirke Abot.

Gli ultimi anni della sua vita furono caratterizzati dall’insoddisfazione per la sua residenza nella città lagunare. Lo testimonia la lettera che egli scrisse a Ferdinando I de’ Medici il 29 agosto 1593, in cui, oltre a esaltare le politiche filoebraiche del Ducato, si proponeva come insegnante di medicina o di lingua ebraica allo Studio pisano. Tale richiesta non ebbe seguito e de’ Pomis morì probabilmente a Venezia dopo il 1594.

L’opera del de’ Pomis è sicuramente paragonabile con la produzione di altre importanti figure dell’ebraismo rinascimentale italiano, quali Abraham Colorni, Leone de’ Sommi o per certi altri aspetti Yehuda Moscato e Avraham Portaleone. L’ebraismo italiano di questo periodo cercò, infatti, attraverso l’uso sia linguistico (ebraico, latino e volgare) sia contenutistico di costruire ponti tra le diverse tradizioni di cui facevano parte. De’ Pomis, però, presenta un aspetto in più: il suo sforzo di confrontare la tradizione ebraica e quella cristiana, di spiegare l’ebraismo e le sue tradizioni e di cercare, per esempio nei suoi scritti sulle profezie, un destino comune ai due popoli è originato dal trauma che egli visse per l’espulsione dalla sua casa di Spoleto e dagli Stati della Chiesa. È questa vicenda, che ha punti di contatto con la ben più nota espulsione spagnola e con la produzione degli intellettuali ebrei che ne seguì, che rende così riconoscibile l’opera del de’ Pomis e fa della sua vita un frammento ancora poco studiato della più ampia storia dell’ebraismo italiano.

Opere. Breve discorso nel quale se dimostra la maestà divina haver particolar cura e custodia della republica Venetiana e che li oderni di essa sono nel publico governo alle divine Mosaice constitutioni conformi, Modena, Biblioteca Estense, Fondo estense, Italiano 981; Discorso meraviglioso di David de Pomis, fisico ebreo, sopra la guerra promossa da Selim, imperator de’ Turchi […], Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, ms. A 428. Una copia simile è stata venduta dalla casa d’Aste Christie’s nel 1998, New York, lot. 408, Sale number 8105, già London, Robinson Trust, ms. 2535, cfr. P.O. Kristeller, Iter Italicum, IV, p. 231b; Espositione sopra Daniele (in ebraico), Budapest, Accademia magiara delle Scienze, ms. Kaufmann 556, cc. 43-97; L’Ecclesiaste di Salomone. Novamente dal testo hebreo tradotto e secondo il vero senso nel volgar idioma dichiarato dall’eccellente phisico M. David de’ Pomi Hebreo, In Venetia, apresso Giordano Ziletti, 1571; Discorso intorno a l’humana miseria e sopr’al modo di fuggirla […], In Venetia, appresso Giordano Ziletti e compagni, 1572; Brevi discorsi et efficacissimi ricordi per liberare ogni città oppressa dal mal contagioso […], in Venetia, appresso Gratioso Perchacino, 1577; Tzemach David. Dittionario novo Hebraico, molto copioso, Dechiarato in tre lingue, con bellissime annotationi e con l’indice latino e volgare, de tutti li suoi significati, Venetiis, apud Ioannem de Gara, 1587; De medico hebraeo. Enarratio apologica […], Venetiis, apud Ioannem Variscum, 1588; Enarratio brevis de senum affectibus […], Venetiis, Apud Ioannem Variscum, 1588.

Fonti e Bibl.: Fino al 1588 la fonte principale per la vita del de’ Pomis è l’introduzione in ebraico al suo Dittionario novo Hebraico, cit., cc. 5r-v. Si veda inoltre la lettera a Ferdinando I de’ Medici del 29 agosto 1593 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, vol. 840, f. 882r); E. Carmoly, Histoire des medicins Juifs, I, Bruxelles 1844, pp. 150-153; C. Neppi - M.S. Ghirondi, Tholedot ghelolè Israel, Trieste 1853, pp. 84 ss.; E. Teza, Delle operette minori di D. de’ P., in Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, s. 7, 1894-95, vol. 6, pp. 965-985; O. Scalvanti, Lauree in Medicina di studenti israeliti a Perugia nel secolo XVI, in Annali della facoltà di giurisprudenza, VIII (1910), pp. 91-129: 34-37; C. Roth, The history of the Jews in Venice, Philadelphia 1930, pp. 186 s.; H. Friedenwald, Apologetic works of Jewish physicians, in Jewish Quarterly review, n.s., XXXII (1942), 3, pp. 227-255; 4, pp. 407-426, in partic. pp. 407 s. (l’articolo contiene la traduzione inglese del capitolo XI del De Medico Hebraeo); Id., The Jews and medicine, II, Baltimore 1944, pp. 575-576; L. Münster, «Enarratio Brevis De Senum Affectibus» de Davis de Pomis, le plus grand médecin israélite en Italie au XVI siècle, in Revue d’histoire de la médecine hébraique, 1954, vol. 20, pp. 7-16; vol. 22, pp. 125-136 (ora in Mélanges d’histoire de la médicine hébraïque, études choisies de la “Revue d’histoire de la médicine hébraïque” (1948-1985), a cura di G. Freudenthal - S. Kottek, Leiden 2003, pp. 161-182); C. Roth, The Jews in the Renaissance, New York 1959, pp. 223-225; A. Mecchia, Cenni di geriatria in un’opera del medico umbro D. de’ P. (1525-1600), in Pagine di storia della medicina, X (1966), pp. 58-62; A. Toaff, Gli Ebrei a Perugia, Perugia 1975, pp. 146-149; A. Toaff, Il commercio del denaro e le comunità ebraiche ‘di confine’ (Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano) tra Cinque e Seicento, in Italia Judaica. Gli ebrei in Italia tra Rinascimento ed Età barocca, Atti del II Convegno internazionale, Genova1984, Roma 1986, pp. 99-117, in partic. pp. 99 s.; J.L. Fuchs, Jewish Medical Compendia and Jewish-Christian Relations in Early Modern Europe, in Tenth World Congress of Jewish studies, II, Gerusalem 1990, pp. 83-90; A. Toaff, The Jews in Umbria (1484-1736), III, Leiden 1994, ad ind.; W. Schleiner, Medical Ethics in the Renaissance, Washington D.C. 1995, pp. 68-70; A. Toaff, Mostri giudei. L’immaginario ebraico dal Medioevo alla prima età moderna, Bologna 1996, pp. 163-181; Venice: a documentary history 1450-1630, a cura di D. Chambers - B. Pullan, London 1996, pp. 340 s.; L. Luzzati, Le famiglie de Pomis da Spoleto e Cohen da Viterbo e l’emigrazione ebraica verso la Toscana meridionale nella seconda metà del Cinquecento, in Tracce: percorsi storici culturali e ambientali per Santa Fiora, VI, 2004, pp. 149-160; G. Bartolucci, Venezia nel pensiero politico ebraico Rinascimentale: un testo ritrovato di D. de P., in Rinascimento, n.s., 2005, vol. 44, pp. 225-247; A. Guetta, Ebraismo come nazione e come religione universale: forme del pensiero ebraico in Italia tra 500 e 700, in Italia. Studi e ricerche sulla storia, la cultura e la letteratura degli Ebrei d’Italia, 2009, vol. 19, pp. 23-42; A. D. Berns, The Bible and natural philosophy in Renaissance Italy, Cambridge 2014, pp. 109-193; A. Guetta, Italian Jewry in the early modern era. Essays in intellectual history, Boston 2014, ad indicem.

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