DE ROSSI, Giovanni Bernardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 39 (1991)

DE ROSSI, Giovanni Bernardo

FF. Parente

Nacque il 25 ott. 1742 a Castelnuovo (oggi Villa Castelnuovo), frazione di Sale (oggi Castelnuovo Nigra in prov. di Torino) da Pietro Ubertino ed Anna Caterina Bellino.

Compiuti gli studi primari a Bairo, per quelli di grammatica, umanità e retorica, nel 1756 passò ad Ivrea. Deciso ad abbracciare lo stato ecclesiastico, nel 1758, entrò nel seminario vescovile di Ivrea ove, per un biennio, studiò filosofia e, per un altro biennio, teologia prendendo, nel contempo, lezioni di disegno dal canonico S. Pernotti di Rivarolo. Nel 1762 si recò a Torino per addottorarsi in teologia e l'anno successivo, ottenuta un'abbreviazione del periodo prescritto, prese il baccellierato. Prevedendo le riforme del 1729 dell'università di Torino, per la laurea in teologia, l'obbligo dello studio dell'ebraico, nel 1764 iniziò lo studio di questa lingua sotto la guida di G. F. Marchini.

I progressi furono rapidissimi. Compose, infatti, in ebraico una Lettera ed un Cantico che dedicò al Marchini (Parma, Bibl. Palatina, ms. par. 3452/1-2) e tradusse in latino passi biblici (ms. par. 3450/2) nonché un libro ebraico di preghiere (ms. par. 3453). Del medesimo anno è la sua prima opera a stampa: un poema ebraico con versione latina, in Componimenti poetici per mons. Rorà vescovo di Ivrea (Torino 1764, pp. 60 s.). Come ricorda nelle Memorie (pp. 9-10), la padronanza degli strumenti linguistici gli apparve, fin d'allora, presupposto imprescindibile per la polemica antiebraica che, negli anni successivi. lo occuperà precipuamente e, tra il 1764 e il 1766, si dette infatti allo studio di altre lingue semitiche quali l'ebraico postbiblico, l'aramaico, il siriaco, il samaritano, l'arabo.

La letteratura rabbinica, tema poi dominante nella sua attività di studioso, attirò quindi la sua attenzione fin dal primo suo accostarsi allo studio dell'ebraico: ne sono testimonianza una Raccolta di varj scritti rabbinici in due volumi redatta nel 1765 (ms. par. 3455/2), un Compendio di sentenze rabbiniche ricavato dal Florilegium rabbinicum (1645) di J. Plantavit de la Pause (ms. par. 3455/1) ed una traduzione di poesie liturgiche da un Maḥazor (ms. par. 3455/3). Nello stesso anno redasse varie poesie ebraiche (ms. par. 3445/1-2) e si occupò di siriaco traducendo passi di Efrem (ms. par. 3455/3) e cimentandosi nella composizione di un carme in dialetto occidentale (giacobitico) (ms. par. 3384). Un inedito commento a Giobbe di Yosef ibn Kaspi, Èulḥan kesef (La mensa d'argento) contenuto in un manoscritto di opere del Kaspi della Biblioteca reale di Torino (A.VI. 34: n.XCVII del catalogo Pasini e n. CXCVII del catalogo di B. Peyron) attirò la sua attenzione: ne trascrisse e tradusse ampi brani che utilizzerà nel De praecipuis caussis e in De studio biblico ex rabbinorum praeceptis optime instituendo (inedito: mss. par. 3376 e 3369: compendio italiano). Per questi lavori utilizzò anche un'altra opera ebraica conservata parimenti nella Bibl. reale: il Ma'aséh 'efod (L'opera di Efod), pseudonimo di Profiat Duran, Isaac ben Moses ha-Levi (A. VI. 23: n. XCVI del catalogo del Pasini e n. CLXXXVI del catalogo del Peyron), un trattato di grammatica del quale riuscirà a procurarsi ben quattro esemplari (Parma, Bibl. Palatina, mss. deross. hebr. 755, 800, 806, 1175).

Il 21 giugno 1766 conseguì la laurea ed il 9 novembre venne consacrato sacerdote. L'anno successivo compose nove Poëmata anatolico polyglotta in laudem regis Sardiniae Caroli Emmanuelis ac ducum Vict. Amedei ac Bened. Mauritù (ms. par. 3389), con una introduzione copta ed un elogio etiopico. Nel 1768 compose e stampò (con i testi orientali intagliati in tavolette di legno per mancanza di caratteri mobili) due poemi siriaci ed un terzo in varie lingue per la promozione di monsignor Rorà a vescovo di Torino, Taurinensi ᾿Αρχιεπίσκοπῳ ... Francisco Lucerna-Rorengo de Rorà ... Carmina Orientalia Hebr. Syr. Rabb. Samor. et Syro-Estrang. (Augustae Taurinorum 1768), e venne componendo due opere di maggior respiro in cui raccolse i primi frutti del suo lavoro: il cennato De studio biblico, rimasto inedito, e De praecipuis caussis, et momentis neglectae a nonnullis Hebraicarum litterarum disciplinae disquisitio elenchtica (Augustae Taurinorum 1769).

L'opera è importante sotto vari riguardi. Nelle Memorie (p. 13) il D. accenna alle circostanze che lo indussero a redigerla: l'impulso gli era venuto da "discorsi di ... miei compagni, i quali molti e gravi motivi ... producevano contro l'utilità e la necessità della lingua ebrea ...". Si trattava delle tradizionali obiezioni di carattere dogmatico circa l'attendibilità del testo masoretico del quale il D. difenderà sempre la sostanziale integrità (tale sarà il senso della raccolta delle varianti che costituisce l'opera sua maggiore). Il libro consente di identificare la letteratura sulla quale egli (in larga misura autodidatta) compiva la propria formazione e di cogliere, nel loro abbozzarsi, i filoni di interesse che indirizzeranno le sue ricerche nelle loro intrinseche connessioni con la problematica storico-teologica del XVIII secolo. Ai "discorsi dei compagni", cioè alle posizioni teologicamente meno avanzate, risponde citando quei teologi (tra cui lo stesso Bellarmino) che, dopo il concilio tridentino, avevano ritenuto di poter ancora correggere la Vulgata sui testi originali. Nel V capitolo vengono illustrate le caratteristiche del greco neotestamentario non del tutto comprensibile se non a partire dalla lingua parlata in Palestina al tempo di Gesù (tema ripreso poi in Della lingua di Cristo), soffermandosi su quegli autori che avevano illustrato il Nuovo Testamento sulla base della letteratura rabbinica. Tra gli ebraisti italiani del suo tempo, oltre al Pasini e al Marchini, cita il domenicano I. C. Ansaldi e B. Finetti. Nel capitolo X è anticipata la problematica che sarà svolta nella Vana aspettazione: gli Ebrei aspettano ancora il messia perché, immaginandoselo terreno ed umano, errano nell'interpretazione dei passi messianici, ma, per poter discutere con successo con essi, occorre padronanza degli strumenti linguistici e conoscenza approfondita della letteratura rabbinica. L'opera è, quindi, significativa testimonianza della tensione tra teologia e filologia determinatasi nel mondo cattolico sullo scorcio del XVIII secolo a seguito della conoscenza dell'ebraistica protestante facilitata anche da opere quali il Thesaurus dell'Ugolini ed i Critici sacri.

Durante questo periodo il D. andava progettando e distendendo essenzialmente opere di polemica antiebraica rimaste inedite e i cui materiali confluiranno in parte nella Vana aspettazione. Tra esse vanno ricordate: Manuductio, ad Hebraeorum confutationem (ms. par. 3372); Catechismo per li catecumeni ebrei (ms. par. 3372/4); Systema recentioris Iudaeorum theologiae de eorum rege Messia (ms. par. 3372/3). Iniziò altresì la redazione delle Miscellanee (che occuperanno tredici volumi: mss. par. 3390-3402), quaderni in cui, da ogni libro o manoscritto che leggesse, curava "di notare ... tutto quello che era confacente alle concepite mie idee" (Mem., p. 18).

La pubblicazione del De praecipuis caussis gli valse un impiego nel Museo reale di Torino, ma, pochi mesi dopo, ricevette, da parte della corte di Parma, l'invito a diventare professore nella facoltà di teologia di quella università.

Il riordino degli statuti dell'università parmense era stato compiuto da C.M. Paciaudi l'anno precedente (Costituzioni per i nuovi registudi, Parma 1768) a seguito della cacciata dei gesuiti dai ducati, episodio saliente della politica antiecclesiastica del Du Tillot. Dopo il rifiuto di G. Gallicciolli, il Paciaudi ottenne la chiamata del D. e l'istituzione per lui della cattedra di "lingue orientali". Il D. venne anche nominato vicepreside della facoltà. Se si tien conto che il Paciaudi e il Du Tillot miravano non soltanto ad innovare le strutture della vecchia università gesuitica, ma altresì (Cesarini Sforza, pp. 125 ss.) a porre sulle cattedre più importanti uomini culturalmente capaci ed aperti alle nuove idee, si comprende come, proprio le posizioni teologicamente avanzate espresse dal D. in De praecipuis caussis, devono aver convinto il Paciaudi a volerlo a Parma.

Il 2 agosto il D. rispose accettando; e l'8 dello stesso mese il Paciaudi gli tracciava il programma d'insegnamento che comprendeva anche il greco; il 14, il D. gli rispondeva chiedendo di essere dispensato "d'insegnare una lingua, in cui sono infatti scolaro e non maestro". Va in effetti, rilevato come, ad onta delle sue importanti osservazioni sul greco ellenistico (lettera del 2 maggio 1773 al Paciaudi, in Tamani, Cart. D.-Paciaudi, pp. 287-288, e la Praeliminaris Dissertatio agli Epithalamia exoticis linguis reddita, pp. XXX-XXXI), questa lingua rimarrà, nel suo orizzonte culturale, sostanzialmente in secondo piano ed i più tardi lavori di filologia biblica concerneranno di prevalenza il testo ebraico.

Con l'invito, il D. aveva ricevuto l'incarico di redigere un "carmen polyglottum" per le nozze del duca Ferdinando I con Maria Amalia d'Austria, che inviò a Parma con la lettera di accettazione del 2 agosto. È questa (Innuptiis Augustorum Principum Ferdinandi Borbonii et Amaliae Austriacae poéma Anatolico-polyglottum..., Parmae 1769) la sua prima opera uscita dai torchi della "tipografia regia", impiantata da G. Bodoni (chiamato a Parma nel marzo dell'anno precedente), iniziandosi così una lunga e feconda collaborazione.

Giunto a Parma il 15 ottobre, dopo una pausa dovuta ad una grave malattia, il 1º apr. 1770, nella sede dell'Accademia Parmense, lesse una Dissertazione sopra l'epoca della prima origine e varietà delle lingue contro la Dissertatio de confusione linguarum di C. Vitringa (ms. par. 3373: sarà stampata negli Annali delle Scienze Religiose, XII[1841], 35, pp. 171-194), ed altre tre sulla lingua parlata in Palestina al tempo di Gesù contro De Christo graece loquente (Neapoli 1767) di D. Diodati, il quale, contro l'opinione tradizionale, aveva sostenuto che tale lingua fosse il greco. Le tre dissertazioni, rispettivamente concernenti L'introduzione dell'ellenismo in Palestina; L'uso dell'ellenismo negli ebrei palestinesi e L'uso dell'ellenismo in Cristo particolarmente e negli Appostoli (ove "ellenismo" sta per "greco ellenistico"), vennero stampate dal Bodoni nel 1772 col titolo: Della lingua propria di Cristo e degli Ebrei nazionali della Palestina da' tempi de' Maccabei, dissertazioni ... in disamina del sentimento di un recente scrittore italiano.

Il D. dimostrava in modo "convincente" (Schweitzer) l'uso, da parte degli Ebrei palestinesi del tempo, di un dialetto aramaico che indicava, con termine allora usitato, come "sirocaldeo". Nonostante indubitabili debolezze, l'opera si pone come un contributo di rilievo alla discussione di un problema centrale della filologia neotestamentaria (Méyer, Jesu Mutterspr., pp. 7-35).

Nel 1773 il D. pubblicò a Roma Della vana aspettazione degli Ebrei del loro re Messia dal compimento di tutte le epoche. Trattato ... con dedica a Vittorio Amedeo III.

Ristampata a Roma nel 1840, l'opera è preparata da numerosi lavori rimasti inediti cui si è accennato ed è importante (Parente, Confronto, pp. 371-373) soprattutto come presa di coscienza, lucidamente esposta nel prologo, della totale insufficienza della letteratura controVersistica cristiana, dovuta perlopiù ad autori privi dei necessari strumenti linguistici e delle più elementari conoscenze della teologia ebraica. Appunto per tale risvolto polemico, essa fu attaccata con violenza estrema da due domenicani, G. Masi e L. Ceruti, in un'opera anonima pubblicata a Venezia l'anno successivo: Riflessioni teologico-critiche contro il libro del teologo Giambernardo De Rossi Della vana ... stampato in Parma l'anno 1773, esposte al suddetto in una lettera di Azaria Natani ed alcune osservazioni del Teologo N. N. Espressione, verosimilmente, della reazione all'atteggiamento di tolleranza del Ganganelli, l'opuscolo accusava il D. di essersi "immerso nella lettura dei Rabbini" e di esser "caduto in non pochi errori di costoro" difendendone la buona fede e mostrando "una soverchia, nauseante circospezione a non offendere questi empi", atteggiamento che "fa ribrezzo". Il D. dovette averne conoscenza prima della stampa poiché il 1º ag. 1773 scriveva da Parma al Paciaudi (Tamani, Cart. D.-Paciaudi, p. 290) di essere occupato "per la risposta di due frati, per le iscrizioni stravagantissime, per la dissertazione ...". Stava, infatti, occupandosi di una iscrizione fenicia di Cagliari a proposito della quale era stato interpellato dall'Amaduzzi, che pubblicò la sua lettera di risposta (datata 3 ag. 1773) nelle Efemeridi letterarie di Roma, XLVI, [29 ott.] 1774, pp. 348a-351a; vedi Guzzo Amadasi, Le iscrizioni, pp. 83-87 e tav. XVII: iscrizione arcaica di Nora), e della Praeliminaris dissertatio qua generatim exoticarum linguarum origo, fontes, progressus ... natura atque charactere illustrantur, che verrà pubblicata l'anno successivo in Epithalamia exoticis linguis reddita. Nel 1774, intanto, il Bodoni dava alle stampe In solemni baptismate Ludovici parmensis principis Inscriptiones exoticae cum latina versione ac Joannis Baptistae Bodoni praefatione per la nascita del primogenito del duca con venti iscrizioni in lingue orientali e relativa versione latina opera del De Rossi. I caratteri orientali erano stati incisi e fusi espressamente; e l'opera venne stampata anche in italiano.

Il D. era comunque angustiato dal libello dei due domenicani che, in una lettera al Paciaudi del 28 dicembre 1774 (Tamani, Cart. D.-Paciaudi, pp. 297-298), definiva "una cosa la più bislacca del mondo, piena di abbagli indegni di due uomini di senso". La risposta, Esame delle riflessioni teologico-critiche contro il libro Della vana aspettazione ... (Parma 1775), fu, comunque, pacata e, nonostante fosse rimasto ferito da tanta "inurbanità" "in un secolo si civilizzato" (Mem., pp. 32-33), volle, trovandosi a Bologna, render visita al Masi. Si preoccupò, comunque, che la risposta avesse sufficiente eco e ne scrisse all'Amaduzzi l'8 sett. 1775 (Bonola, Il semitista, pp. 423-424) per averne una recensione favorevole sulle Efemeridi, che avevano ribattuto (X [11 marzo] 1775, c. 70a-b) le accuse di affrettata condiscendenza rivolte dal Masi e dal Ceruti alla rivista per la favorevole recensione alla Vana aspettazione ivi comparsa (XXXVIII [11 sett.] 1773, cc. 292b-295a) e ciò nel timore che l'editto di Pio VI contro gli Ebrei (5 aprile) potesse rendere ora difficile un nuovo intervento. Ma l'Amaduzzi mostrò coraggio e, in due riprese (XXXIX [30 sett.] 1775, cc. 306a-308a e XL [7 sett.] 1775, cc.315b-318a), recensì la "trionfale risposta" del D. definendo il Masi e il Ceruti "due critici imbecilli armati di uno zelo incomodo e puerile".

In quell'anno il Bodoni stampò un libro che "fece epoca negli annali della tipografia": Epithalamia exoticis linguis reddita. In nuptiis Augustorum principuni Caroli Emmanuelis Ferdinandi Subalpinae Galliae Principis et Mariae Adelaidis Clothildis Ludovici XVI Francorum Regis Sororis Epithalamia dovuti al D. e preceduti (pp. VII-XLI) dalla cennata dissertazione. Diverse lingue (e relativi caratteri tipografici) compaiono qui per la prima volta: etiopico, palmireno, giudaico-tedesco, gotico, russo, tibetano, georgiano. È questo l'ultimo saggio di virtuosismo poliglotta del D., ché, d'ora innanzi, egli si dedicherà a lavori di bibliografia ebraica ed alla raccolta delle varianti del testo biblico e, nel trentennio successivo, questi saranno, quasi esclusivamente i temi delle sue ricerche. Nel condurle innanzi, egli si gioverà perlopiù della propria privata biblioteca, il "gabinetto", com'egli la chiamava, alla cui formazione già da tempo dedicava ogni sforzo, anche finanziario, giungendo, più avanti negli anni, a formare una delle principali raccolte di manoscritti e stampati ebraici d'Europa.

Il primo saggio di bibliografia ebraica comparve nel 1776 stampato dal Bodoni: De hebraicae typographiae origine ac primitiis, seu antiquis ac rarissimis hebraicorum librorum editionibus saec. XV. Disquisitio historico-critica (rist. ad Erlangen da W.F. Hufnagel nel 1778). Vi sono descritte 50 edizioni anteriori al 1500 (di cui soltanto 15 non possedute dal D.) con attenzione alle varianti riscontrabili nei testi biblici ed alle censure cristiane negli scritti rabbinici.

Nel 1778 il D. dette alle stampe un saggio su uno dei più rari e preziosi manoscritti dell'Ambrosiana (C 313 inf.), proveniente dal monastero della Madre di Dio a Wâdi'n Natrûn nel Basso Egitto e contenente gli agiografi, i profeti e taluni apocrifi della versione di Paolo di Tellá, detta "siro-esaplare" perché condotta sul testo dei Settanta secondo la recensione origeniana completa di asterischi ed obeli, del quale A. M. Ceriani avrebbe dato, nel 1874, una edizione fotolitografica. Scoperto da J.J. Biörnståhl nel 1773, nel 1778, contemporaneamente, il D. e P. J. Bruns ne fecero oggetto delle loro ricerche. Il D. pubblicò il testo del primo salmo col testo masoretico, con quello dei Settanta, della Peèiṭtāe con le note origeniane: Specimen ineditae et hexaplaris Bibliorum versionis Syro-estranghelae cum simplici atque utriusque fontibus graeco et hebraeo, collatae. Edidit ac diatribam de rarissimo codice ambrosiano unde illud haustum est, praemisit J. B. De Rossi (Parmae 1778) e, del Bruns, comparve (in Rep. für bibl. und morgenl. Litt., III[1777], pp. 166-187) Von einem syrischhexaplarischen Manuscripte in der AmbrosianischenBibliothek zu Mailand con la pubblicazione di Dan., 9.24-27. Ricevuta che ebbe la pubblicazione, l'editore (J. C. Eichhorn) la ristampò di seguito all'articolo del Bruns con una premessa: Johann Bernhard De Rossi von der syrisch-hexaplarischen Handschriff zu Mayland, nebst ein Vorbericht (pp. 187-212: 187-197 premessa dello Eichhorn; 197-209, introduzione del D.; 209-212 testo, solo siro-esaplare).

Nel settembre del 1778 il D. partì per Roma ove si trattenne per tre mesi. Scopo del viaggio era quello di raccogliere materiale per dar corpo al progetto che andava disegnando dopo la pubblicazione del primo volume della raccolta delle varianti del Vecchio Testamento di B. Kennicott (Vetus Test. hebraicum cum variis lectionibus, Oxonii 1776): dare una nuova collazione fondata su un numero maggiore di manoscritti. Poté esaminarne un gran numero tra cui due particolarmente importanti: una Bibbia rabbinica di proprietà di Pio VI ed un codice samaritano della Biblioteca Barberini. Delle varianti contenute in questi dette un saggio che sarà stampato a Roma nel 1782: Specimen variarum lectionum sacri textus et chaldaica Estheris additamenta cum latina versione ac notis ex singulari codice Pii VI. P.O.M., edidit variisque dissertationibus illustravit I. B. De Rossi. Accedit eiusdem auctoris appendix de celeberrimo Codice Tritaplo Samaritano Bibliothecae Barberinae et Censoris [Gabriel Fabricy] theologi diatribe qua bibliographiae antiquariae, et sacrae critices capita aliquot illustrantur.

Tornato a Parma, nel 1780, il D. dette alle stampe due opere di bibliografia ebraica: De typographia hebraeo-ferrariensi. Commentarius historicus, quo ferrarienses judaeorum editiones hebraicae, hispanicae, lusitanae recensentur et illustrantur (con le varianti del Pentateuco ferrarese del 1555, pp. 46-62), ristampata dallo Hufriagel ad Erlangen l'anno successivo con l'aggiunta di una Epistola del D., qua nonnulla ferrariensis typographiae capita illustrantur e, in appendice alla Vita di Vespasiano Gonzaga di I. Affò (pp. 137-167), pei tipi del Carmignani, Annali ebreo- tipografici di Sabbioneta (tirati anche separatamente) che, tradotti in latino da J. F. Roos, vennero pubblicati ad Erlangen nel 1783 con un'appendice dell'autore (pp. 49-52).

La sua attenzione era, comunque, ormai interamente volta alla collazione delle varianti il cui più volte dichiarato intento era quello di dimostrare la sostanziale attendibilità del testo masoretico. Per il suo scopo ricercava, oltre a testi completi del Vecchio Testamento, anche frammenti di manoscritti. E dei manoscritti del D., cento, almeno, sono, in effetti, frammentari.

Nel 1782 venne pubblicato a Roma (e, l'anno successivo, a Tubinga con un'aggiunta dell'autore) il cennato Specimen variarum lectionum con in appendice (pp. 227-479) uno scritto di G. Fabricy, dottore della Biblioteca Casanatense, col quale il D. aveva stretto "grande amicizia" nel tempo del suo soggiorno romano, durante il quale era altresì entrato in stretti rapporti col prefetto di quella biblioteca, G. B. Audiffredi.

Nello Specimen, redatto nel 1778, il D. dava già notizia (p. 10) del progetto delle varianti. Il 3 genn. 1782 ne lanciò la sottoscrizione con un Programma pubblicato a Parma che ebbe vastissima diffusione e fu tradotto e ristampato in Olanda, Danimarca e Germania. Anche nei lavori a carattere bibliografico, l'attenzione alle varianti è, d'altra parte, ormai dominante, come appare dall'appendice alla ristampa della Biblioteca sacra di J. Le Long pubblicata da A. F. Masch a Erlangen (1778-1790 in due parti e cinque volumi): De ignotis nonnullis antiquissimis hebr. Textus Editionibus ac critico eorum usu. Accedit de editionibus hebraeobiblicis Appendix historicocritica ad nuperrimam Bibliothecam sacram Le Longio-Maschianam (Erlangae 1782; rist. fotogr., Amsterdam 1969). Si tratta di due lavori distinti, il primo dei quali è una sistematica rilevazione delle varianti contenute in una serie di edizioni del Vecchio Testamento non registrate nel Le Long-Masch. Pochi mesi dopo il Programma, per "far meglio conoscere ... tutte le ricchezze letterarie che destinava a quest'opera" (Mem., p. 43), il D., descrivendovi 413 manoscritti e 159 edizioni del Vecchio Testamento in suo possesso, stampò a Parma un Apparatus hebraeo-biblicus, seu mss. editique codices sacri textus, quos possedit novaeque variarum lectionum collationi destinat auctor.

Ormai universalmente noto, in quell'anno ricevette l'offerta di una cattedra di lingue orientali e della carica di bibliotecario nell'università di Pavia, ma rifiutò, come farà con altre offerte analoghe (nel 1784 a Madrid come bibliotecario per le lingue orientali nella Biblioteca reale; nel 1805 a Roma, su espresso invito di Pio VII).

Nel 1784, avendo la sottoscrizione ottenuto un grande successo, venne pubblicato il primo volume delle varianti bibliche: Variae lectiones Veteris Testamenti ex immensa mss. editorumque codicum congerie haustae, et ad samaritanum textum, ad vetustissimasversiones, ad accuratiores sacrae criticae fontes acleges examinatae. I. Prolegomena, clavis codicum, Genesis, Exodus, Leviticus dedicato a Vittorio Amedeo III dal quale ebbe una pensione ed una medaglia d'oro. L'anno seguente venne pubblicato il secondo volume: Numeri, Deuteronomium, Josue, Judices, libri Samuelis ac Regum; nel 1786, il terzo: Isaias, Jeremias, Ezechiel, XII Prophetae minores, Canticum, Ruth, Threni, Ecclesiastes, Esther; nel 1788, infine, il quarto: Psalmi, Proverbia, Job, Daniel, Ezras, Nehemias, Chronica seu Paralip., Appendix con una Dissertatio praeliminaris de hujus collationis praestantia, utilitate et usu (pp. III-XXI) che tratta soprattutto del rapporto con l'analoga opera del Kennicott.

I manoscritti utilizzati (479 per il primo volume) erano, alla fine, giunti al numero di 617 di cui 134 di altre biblioteche che, con i 579 della collazione del Kennicott, 116 samaritani, nonché le 310 edizioni del D. e le 42 di altre biblioteche, formavano un totale di 1.698 manoscritti e edizioni di solo testo senza contare le versioni, i commenti e le fonti di natura diversa. Vengono riportate le varianti "più interessanti" (Mem., p. 46) tralasciando gli errori dei copisti e le "minuzie" masoretiche prendendo a base l'edizione di E. van der Hooght (Amstelaedami-Ultraiccti 1705) con la traduzione latina e l'indicazione del manoscritto da cui la variante è tratta.

Nel 1798 il D. pubblicherà un quinto volume (indipendente dagli altri per non obbligare i sottoscrittori del Programma, che ne prevedeva quattro, ad acquistarlo) col titolo Scholia critica inV. T. libros seu Supplementaad varias sacritextus lectiones ove sono registrate con gli stessi criteri le varianti nel frattempo individuate in altri 165 mss. acquistati tra il 1788 e il 1798 (v. Mem., pp. 49-50).

Con la pubblicazione delle Variae lectiones, la fama del D. giunse, nel mondo dei dotti, al suo apice e la pubblicazione dell'Apparatus hebraeo-biblicus col catalogo dei manoscritti del suo "gabinetto" ebbe una risonanza vastissima.

Nel 1785 Pio VI gli fece conoscere il suo desiderio di acquistare la raccolta per la Biblioteca Vaticana; analoghe richieste gli perverranno dalla corte spagnola, da Vittorio Amedeo III e, nel 1790, da Carl Eugen, duca del Württemberg.

In ogni caso, il D. intendeva cederla soltanto dopo averne compilato il catalogo completo e "nelle mani d'un principe che me ne avesse lasciato l'uso" (Mem., p.86); pertanto, prese col duca di Parma un impegno in tal senso. Proseguiva, comunque, la sistematica ricerca di manoscritti e stampati ebraici: in una lettera del 22 ag. 1786 (in Boselli, Cart. bodoniano, p. 229) il Bodoni si felicitava con lui per "il fausto incontro di acquistare in Milano que' codici che tanto sospirava di ottenere". Si tratta (lettera del 9 agosto del D. al Bodoni in Tamani, Cart. D-Bodoni p. 50) di "tutti i codici ebraici biblici" della biblioteca del conte Carlo Giuseppe di Firmian (v. Biblioth. Firmiana..., VIII, Mediolani 1783).

L'arricchimento della sua biblioteca lo portò, nel 1795, a pubblicare un rifacimento del catalogo degli incunaboli ebraici comparso diciannove anni innanzi, Annales hebraeo-typographici sec. XV. Descripsit fusoque illustravit auctor, ove sono descritte, separatamente, 51 edizioni datate 35 non datate e 67 false (Luzzatto, in Ugoni, Lett., pp. 190-197), Continuato, nel 1799 col catalogo delle edizioni ebraiche nei quarant'anni successivi, Annales hebraeo-typographici ab anno MDI ad MDXL digesti, notisque histcriticis ab auctore instructi, con la medesima partizione, comprendente 292 edizioni datate, 49 senza data e 185 rettificate (Mem., p. 50, Luzzatto, in Ugoni, Lett., pp. 198-200) con la descrizione di parecchie edizioni stampate a Costantinopoli e nel Levante (i due volumi sono ristampati insieme con la data di Amsterdam 1969).

Nel 1800 il D. dette un nuovo saggio di bibliografia ebraica, ma organizzato, questa volta, tematicalnente: Bibliotheca judaica antichristiana qua editi et inediti Judaeorum adversus Christianam religionem libri recensentur (rist. fotogr., Amsterdam 1964) che comprende la descrizione di 182 opere manoscritte e stampate in ebraico, giudaico-tedesco, spagnolo e italiano perlopiù in difesa della religione ebraica: per il D., infatti, "qualunque scritto nel quale venga ... illustrato il senso letterale di qualche profezia, è ... un'opera anticristiana" (Luzzatto, in Ugoni, Lett., pp. 198-200). Nonostante questa indubbia ipoteca teologica, l'opera rimane un insostituito strumento di lavoro ove è, tra l'altro, segnalata per la prima volta una opera di Leon da Modena (n. 16 = ms. Deross. hebr. 1141).

Negli anni immediatamente successivi il D. pubblicò due opere di grande impegno: un dizionario degli autori ebraici ed il catalogo dei manoscritti della propria collezione. Nato dall'avvertita esigenza di fornire uno strumento più maneggevole delle classiche opere del Bartolocci e del Wolf (pp. III-IV) e contenente sommarie indicazioni bio-bibliografiche sui singoli autori, il Dizionario storico degli autori ebrei e delle loro opere venne pubblicato in due volumi nel 1802 (rist. fotogr., Bologna 1978) ed ebbe una traduzione tedesca, Historisches Wörterbuch der jüdischen Schrifisteller und ihrer Werke, a Lipsia nel 1839 (una seconda edizione non reca indicazione di anno), dovuta a C. H. Hamburger. Nel 1846, sempre a Lipsia, A. Jellinek ne pubblicò un indice preparato da H. Jolowicz: Ausfürliches Sachund Namenregister zu de Rossis historischem Wörterbuch der jüdischen ... Mit onomastischen Bemerkungen (rist. fotogr. con la trad. ted., Amsterdam 1967). A detta dello Steinschneider (Cat. Bodl., coll. 2152-2153), la traduzione è "negligentia excellens". I tre volumi. MSS. codices hebraici bibliothecae J. B. D. accurate descripti et illustrati. Accedit appendix qua continentur mss. codices reliqui aliarum linguarum, furono stampati a Parma nel 1803: vi sono descritti 1-377 manoscritti ebraici e 194 in altre lingue orientali ed europee (III, pp. 160-200) non senza errori ed inesattezze.

Stampato che fu l'ultimo volume, il D. ne fece tirare a parte il titolo "con una iscrizione latina a tergo che dava un'idea succinta del gabinetto ... e lo dichiarava a giuste condizioni vendibile" (Mem., p. 60). La vendita della biblioteca sarebbe avvenuta soltanto tredici anni più tardi e il D. continuerà ad arricchirla e ad illustrarla, ma la stagione dei lavori di grande respiro può dirsi ormai conclusa: d'ora in avanti, egli si limiterà ad illustrare singoli manoscritti della sua collezione, a tradurre testi biblici e a pubblicare manuali scolastici allargando, però, il suo campo di interessi all'arabistica.

Il Lexicon hebraicum selectum, quo ex antiquo et inedito R. Parchonis lexico novas ac diversas variorum ac difficiliorum vocum significatione sistit J.B.D., pubblicato nel 1805 è una breve serie di estratti (dai manoscritti deross. hebr. 764 e 1038 già usati per le Variae lect.) di un lessico ebraico compilato da Salomon Parlion, spagnolo stabilitosi a Salerno, nel 1161 sulla base di opere lessicografiche composte in arabo (Mem., pp. 61-62; Luzzatto, in Ugoni, Lett., pp. 207-208). Dello stesso anno è De Corano arabico Venetiis Paganini typis impresso sub in [eunte] sec. XVI dissertatio (in forma di lettera allo Schnurrer) su una edizione veneziana del Corano non anteriore al 1530 della quale veniva posta in dubbio l'esistenza. D'importanza notevole è la pubblicazione, l'anno seguente, di alcuni estratti (con trad. lat. parallela) del commento ai Salmi del noto poeta R. Immanu'el da Roma: R. Immanuelis F. Solomonis Scholia in selecta loca psalmorum ex inedito eius commentario... con, in appendice (pp. 17-18), l'elenco di 13 opere del poeta. Su Immanu'el, il D. aveva già lavorato (pur restando tali lavori inediti: ms. par. 3385: Mem., pp. 62-63) possedendo egli ben 22 manoscritti di sue opere.

L'unico contributo del D. agli studi di arabistica è il Dizionario storico degli autori arabi più celebri e delle loro opere, pubblicato a Parma nel 1807 e nato dalla constatata carenza di opere di tal genere, nonché della scarsa maneggevolezza della Bibliotheca orientalis di Barthélemy d'Herbelot (pp. VI-VII). Nel medesimo anno videro la luce due operette ad uso scolastico, da lungo tempo preparate ed usate per le lezioni, ma mai stampate (Mem., p. 65): Synopsis institutionum hebraicarum e Perbrevis anthologia hebraica, complectens sapientiae laudes et excerpta historiae Josephi (passi tratti dai Proverbi e dalla Genesi); l'anno successivo, I Salmi di Davidde tradotti dal testo originale (rist. in "Biblioteca scelta ...", vol. 448 [Milano 1842]): una versione molto aderente al testo con note essenziali (Mem., p. 66), che è il primo di analoghi lavori pubblicati negli anni successivi, e Annali ebreo-tipografici di Cremona con la descrizione di 42 edizioni cremonesi tra il 1556 e il 1586, ultimo lavoro di tal sorta che il D. abbia pubblicato (Luzzatto, in Ugoni, Lett., p. 209) essendo rimasto inedito un Dizionario bibliografico de' libri rari orientali (ms. par. 3447; Mem., pp.67-68). Insieme con la traduzione dell'Ecclesiaste, L'Ecelesiaste di Salomone tradotto dal testo originario (rist. in "Biblioteca scelta ...", vol. 448), condotta con gli stessi criteri, pubblicò nel 1809 Scelta di affettuosi sentimenti di religione verso Dio di Davide tirati dai Salmi, e le Memorie storiche sugli studi e sulle produzioni del Dottore G. B. D., ove è tracciato un "quadro breve, preciso, storico" della sua attività (Mem., pp. 70-74). Distese per soddisfare a richieste di notizie biografiche rivoltegli da suoi conterranei, le Memorie rappresentano la fonte essenziale, e perlopiù unica, per la ricostruzione della vita del D. (da essa, in effetti, dipendono interamente tutte le notizie posteriori), ma poco o nulla lasciano trasparire dell'atteggiamento che egli assunse nei confronti delle vicende del suo tempo, sotto il profilo sia politico sia ecclesiastico ricco di tensioni e di contrapposizioni. Il D. visse a stretto contatto con uomini che, come il Paciaudi, presero apertamente posizione a favore del giurisdizionalismo e tenne assidua corrispondenza con uomini che, come l'Amaduzzi, passarono per "giansenisti", ma su tutto ciò le Memorie tacciono rigorosamente; né dalla poche lettere pubblicate si ricava alcunché a tal riguardo. Nelle Memorie sono, invece, denunciati gli incomodi dell'età ormai avanzata, ed è esternato il proposito di non più intraprendere lavori nuovi e di lasciare "l'impiego pubblico che debolmente io copro da quarant'anni (ibid., p. 71).

In questa prospettiva si comprende meglio la determinazione di conchiudere la vendita del "gabinetto" e, nel 1811, trattative a tal fine corsero tra il D. e la Biblioteca Ambrosiana come ci testimonia una lettera a carattere ufficioso del Mai (che era stato suo allievo) del 22 gennaio di quell'anno. La transazione non ebbe luogo, nonostante che il Bugati avesse personalmente offerto una considerevole somma, perché la Biblioteca si trovava, al momento, gravata da altre spese (Gervasoni, Mai, Cicconi e D., pp. 205-207). In quell'anno, il D. pubblicò Dell'origine della stampa in tavole incise e di un'antica edizione zilografica e un Compendio di critica sacra, dei difetti e delle emendazioni del sacro testo e piano d'una nuova edizione (ristampati in "Biblioteca scelta...", vol. 447); l'anno successivo, in vista della vendita, vide la luce il catalogo degli stampati della sua biblioteca: Libri stampati di letteratura sacra, ebraica ed orientale della biblioteca del dottore G. B. D., divisa per classi, nella cui premessa accennava all'indebolimento della vista e all'impossibilità di tenere una corrispondenza. Nonostante ciò, proseguì nella pubblicazione delle traduzioni bibliche: del 1812 è Il libro di Giobbe tradotto e, dell'anno successivo, ITreni di Geremia tradotti dal testo originale (ristampati col precedente e con I Proverbi di Salomone in "Biblioteca scelta ...", vol. 448). L'anno ancora successivo, pei tipi del Blanchon stampò un Omaggio di religione e di riconoscenza consacrato alla memoria degli antenati e, nel 1816, una Introduzione alla lingua ebrea, della importanza di questo studio e della maniera di ben istituirlo e IProverbi di Salomone tradotti dal testo originale. Da tali pubblicazioni si ricava che egli era diventato preside della facoltà teologica.

Nel 1816 ebbe luogo la vendita della biblioteca; il 13 giugno, il D. sottoscrisse l'atto di cessione, e Maria Luigia l'atto di accettazione e di acquisto. La transazione avvenne per la somma di 100.000 franchi, 3.000 dei quali "a capitale spento" per l'accensione di un vitalizio. Maria Luigia fece dono della raccolta alla Biblioteca di Parma facendone partecipe il bibliotecario, A. Pezzana, e lo stesso D. e disponendo per la costruzione di un'apposita sala.

Nel 1817, comparve una Introduzione alla Sacra Scrittura che comprende le prenotazioni più importanti relative ai testi originali e alle loro versioni, stampata dalla tipografia ducale, e, due anni più tardi, una Sinopsidella ermeneutica sacra o dell'arte di ben interpretare la Sacra Scrittura (rist. con la precedente in "Biblioteca scelta ...", vol. 447), ove il D. è qualificato "Preside della Facoltà Teologica e Riformatore del Magistrato Supremo dell'Università di Parma".

Chiesto ed ottenuto il collocamento a riposo, il 29 dic. 1821 venne nominato professore emerito ed onorario e fatto cavaliere dell'Ordine costantiniano di S. Giorgio. Le sue forze declinavano lentamente. Pubblicò ancora, nel 1826, I Salmi penitenziali tradotti dal testo originale e, nel 1828, l'ultima sua opera: Osservazioni sopra i Salmi di Davidde tradotti dal testo originale.

Si spense a Parma il 23 marzo 1831. Fu sepolto nel cimitero pubblico di Parma. Sulla sua tomba venne posto un busto eseguito da G. Carra nel 1826 ed una epigrafe dettata dallo stesso D. e completata dopo la sua morte (la si veda in Bertolotti, Passegg., p. 514).

Dell'opera del D. non è mai stata tentata una valutazione complessiva. Soltanto il Luzzatto, discorrendo del Dizionario storico degli autori ebrei, in alcune osservazioni di carattere più generale, coglie l'intrinseca debolezza del suo contributo scientifico ed il rapporto in cui questo si pone con la Wissenschaft des Judentums della prima metà del XIX sec.: "Invece ... di tante minuziosità intorno ai luoghi e agli anni in cui i libri furono stampati, sarebbe stata desiderabile una critica più profonda, che con occhio filosofico sapesse internarsi nel merito intrinseco degli autori e dei libri" (Ugoni, Lett., pp. 202-203). In effetti, se il D. può esser visto come lo studioso che ha aperto la via alla Wissenschaft des Judentums dall'altro è fuori dubbio che la sua opera va nettamente distinta da quella di uno Zunz, di un Rapaport o di uno Steinschneider, i quali, introducendo nello studio delle fonti ebraiche il concetto di sviluppo, le hanno per la prima volta considerate in una prospettiva propriamente storica.

Tale prospettiva è, nel D., totalmente assente, sia nello studio degli autori ebraici, per i quali non va oltre la descrizione di manoscritti e stampati, sia nel più impegnativo studio del testo stesso del Vecchio Testamento al quale ha pur dato un contributo considerevolissimo con la sua raccolta delle Variae lectiones. Se, infatti, nel De praecipuis caussis aveva preso le distanze da posizioni schiettamente dogmatiche, non per questo saprà poi affrontare il problema della composizione del Pentateuco e degli altri libri veterotestamentari, né considererà in una prospettiva realmente filologica il problema del testo stesso del Vecchio Testamento, per il quale la scoperta della siro-esaplare aveva pur aperto prospettive nuove. Il suo limite più immediatamente evidente, bene sottolineato dal Luzzatto, è quello di non aver quasi mai spinto la sua attenzione al di là della propria, pur eccezionale, collezione di manoscritti stampati: per tale ragione, anche sul piano della bibliografia, la Wissenschaft des Judentums lo sorpasserà di molto. Fu e restò un uomo del XVIII secolo e come tale va compreso e valutato.

Fonti e Bibl.: Accanto alle Memorie, fonte primaria è l'epistolario. Le lettere al D. sono alla Palatina di Parma (cass. 109-123 delle lett. autogr. di uomini. illustri); vennero acquistate da Maria Luigia insieme con i manoscritti di editi e inediti del D. il 30 giugno 1827 in numero di 2.300 circa. Altre 900 furono donate alla Biblioteca dalle nipoti il 20 apr. 1831 (Catalogo dei donativifatti alla Ducale Biblioteca Parmense dal principio dell'anno 1804 fino al 1831 [Parma 1831], pp. 5, 47). L'elenco dei corrispondenti è in G. Gabrieli, Carteggio De Rossi nella Palatina di Parma, in Manoscritti e carte orientali nelle Biblioteche e negli Archivi d'Italia (Firenze 1930), pp. 77-87. Lettere al D. pubblicate: 1 lettera del Paciaudi con risposta del D. [1777] in A. Paravia, Lettere d'illustri piemontesi, in Il Subalpino, II (1838), pp. 567-569;1 lettera del Bodoni [1777] in Nozze Zanichelli-Mazzoni (Bologna 1904); 6 lettere del Bodoni [1776-1786] in A. Boselli, Il carteggio bodoniano della "Palatina" di Parma, in Arch. stor. delle prov. parm., n. s., XII (1913), pp. 222-235; 2 lettere di A. Mai [1811] in A. Mai, Epistolario, a cura di G. Gervasoni, I, Firenze 1954, pp. 41-42 e 44-45; 5 lettere di B. Bassani [1771-1778] in G. Tamani, Cinque lettere inedite di Benjamin Bassani a G. B. De Rossi, in Rass. mens. di Israel, XXXIII (1967), pp. 429-441. Le lettere del D. sono disperse. E. Veggetti, Giov. Luigi Mingarelli e le prime ediz. in caratteri greci ed egiziani in Bologna, in Studi e memor. per la storia dell'Univ. di Bologna, VIII (1924), p. 203, segnala l'esistenza di 40 lettere [1782-1791] al Mingarelli nell'Archivio della procura generale dei canonici regolari lateranensi in S. Pietro in Vincoli; 7 lettere a Stefano Borgia sono contenute nei mss. Borg. lat. 285, 286 e 287 (Inventarium Codicum manu scripti Borgianorum. Borg. lat. 201-300 [Maria Morselletto confecit], 1965-67 [dattiloscr.], 335, 336, 337, 338, 346, 354); 123 lettere all'Amaduzzi sono conservate nella Bibl. della Rubiconia Accademia dei Filopatridi di Savigliano (mss. Amaduzzi, cod. 20); 46 lettere al Tychsen sono conservate nella Biblioteca dell'Università di Rostok. Lettere del D. pubblicate: 2 lettere al Valperga di Caluso [1778] in A. Bertolotti, Le tipografie orientali e gli orientalisti a Roma nei secoli XVI e XVII, in Rivista europea IX, vol. IX (1878), pp. 263-267; 13 lettere del D. al Paciaudi, 13 del Paciaudi al D., 1 dei Paciaudi a L. Berta [1169-78] in G. Tamani, Il carteggio De Rossi-Paciaudi, in Arch. stor. delle prov. parm., s. 4, XIX (1967), pp. 269-313; 4 lett. del D. al Vitali e 2 del Vitali al D. [1781-1782] in G. Tamani, Attività e passione di ebraisti nel carteggio De Rossi-Vitali, in Rass. mens. di Israel, XXXIII (1967), pp. 182-194; 19 lettere del D. al Pezzana; 16 dei Pezzana al D., 1 del Bertolotti al Pezzana, 1 del Pezzana al Bertolotti, 1 del Pezzana agli eredi del D. [1804- 1829] in G. Tamani, Il carteggio De Rossi-Pezzana, in Aurea Parma, LII (1968), pp. 59-91; 17 lettere al Bodoni [1770-1791] in G. Tamani, Il carteggio De Rossi-Bodoni, in Ann. dell'Istit. univ. orient. di Napoli, XX (1970), pp. 21-58.

La bibliogr. del D. è in appendice alle Memorie: pp. 99-105 opere inedite (molte soltanto progettate: 81 numeri per 43 opere senza le miscellanee); pp. 106-118 opere edite (41 numeri). La bibliografia di Felice da Mareto in Bibliografia generale delle antiche Provincie parmensi, I, Autori (Parma 1973), pp. 201b-203b (di 52 numeri) presenta lacune, titoli incompleti e registra, come del D., Pitture di Antonio Allegri... (1800) di Gherardo De Rossi (G. De Lama, Bodoni, II, p. 139; Brooks, Bibliogr., p. 138). J. Andres, Cartas famil. a su Hermano D. Carlos Andres dandole noticia del viage que hizo a varias ciudades de Italia en el afio 1791, publicadas por el mismo D. Carlos, Madrid 1793, pp. 32-36; G. Andres, Dell'origine, progressi e stato attuale d'ogni letteratura, VI, Parma 1799, pp. 477-478; G. De Lama, Vita del Cavalier Giambattista Bodoni, Parma 1816, I, pp. 15-19; II, pp. 8-12; [D. Bertolotti] Serie di vite e ritratti de' famosi personaggi degli ultimi tempi, III, Milano 1818-1822 (non paginato, fasc. XXIV con ritratto, n. 304); I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani... continuate da Angelo Pezzana, VI, 1, Parma 1825, pp. 111-112; C. Lucchesini, Della illustrazione delle lingue antiche e moderne procurata nel sec. XVIII dagli Italiani, II, Lucca 1826, pp. 21-22, 28-31, 47-48; G. Corniani, I secoli della letteratura italiana dopo il risorgimento..., aggiunte di C. Ugoni e S. Ticozzi e continuazione di F. Predari, Torino 1854-56, VII, pp. 156-160; C. Ugoni, Della letteratura italiana nella seconda metà del secolo XVIII, III, Milano 1857, pp. 111-182 con App.: S. D. Luzzatto, Opere del De Rossi concernenti l'ebraica letteratura e bibliografia, pp. 182-209 (rist. a parte, Padova 1868); M. Steinschneider, Bibliographisches Handbuch über die theoretische und praktische Literatur für hebräische Sprachkunde, Leipzig 1859, p. 120 (nn. 1717-1722); Id., Catalogus librorum Hebraeorum in Bibliotheca Bodleiana, Berolini 1852-60, coll. VIII nota 1, XXXVI nota 8, nn. 2151-53; L. Zunz, Die hebräischen Handschriften in Italien, ein Mahnruf des Rechts und Wissenschaft, Berlin 1864, pp. 9-19; M. Steinschneider, Hebräische Handschriften in Parma, nach Mittheil. des Abbé P. Perreau, III, in Hebr. Bibliography, X (1870), pp. 96-104; XII (1872), pp. 31-37, 53-57, 104-120; A. Bertolotti, Passeggiate nel Canavese, V, Ivrea 1871, pp. 504-525; F. Oderisi, Relazione intorno alla Biblioteca nazionale di Parma, Torino 1873, pp. 13-14; A. de Gubernatis, Matériaux pour servir àl'histoire des études orientales en Italie, Paris 1876, pp. 121-127; P. Perreau, Correzioni al catalogo Derossiano, in Boll. ital. degli studi orient., s. 1, 1876-77, pp. 147-148, 202-206, 229-232, 286-288, 311-315, 351-353, 412-416, 451-455; n. s., 1877-82, pp. 24-29, 91-95, 344-348, 484-486; B. Peyron, Codices Hebraici manu exarati Regiae Bibliothecae quae inThaurinensi Athenaeo asservantur, Taurini 1880, pp. 198, 209-210; P. Perreau, Catalogo dei codici ebraici della Biblioteca Palatina di Parma. Serie I. Codici ebraici derossiani non descritti dal De Rossi, in Cataloghi dei codici orientali di alcune Bibliot. d'Italia, Firenze 1880, pp. 111-152; A. Meyer, Jesu Muttersprache, Freiburg B. und Leipzig 1899, pp. 23-24; A. Schweitzer, Geschichte der Leben Vesu-Forschung, Tübingen 1913, p. 262; W. Cesarini Sforza, Il Padre Paciaudi e la riforma dell'Università di Parma ai tempi del Du Tillot, in Arch. stor. ital., LXXIV (1916), pp. 109-136; H. C. Brooks, Compendiosa bibliografia di edizioni bodoniane, Firenze 1927, ad Indicem; G. 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