DEDALO

Enciclopedia Italiana (1931)

DEDALO (Δαίδαλος, Daedalus)

Carlo ALBIZZATI

Artefice mitico, che rappresenta nella civiltà greca gl'inizî della tecnica e dell'arte tra gli uomini, e si può dire un doppione mortale di Efesto. Il nome, che già Pausania (IX, 3, 2) ritiene allegorico, ha la stessa radice del verbo δαιδάλλω "lavoro con arte": significa perciò "artiere", tanto che sopra un vaso italo-greco del sec. IV a. C. esso accompagna la figura di Efesto. La leggenda di D. è ateniese; egli è l'eroe eponimo nel demo dei Dedalidi, come il figlio Icaro è in quello d'Icaria. La genealogia è complessa, ma le tradizioni lo presentano come discendente dei re favolosi della città: il padre è Metione (oppure Eupalamos), figlio di Cecrope o di Eretteo, la madre (Ifinoe, Frasimede o Metiadusa) è figlia di Eretteo. Uccide per gelosia di mestiere il figlio della sorella (Talos, Kalos o Perdix) e ripara a Creta per sfuggire alla sentenza dell'Areopago. Là serve Minosse e la famiglia (v. arianna; pasifae), e costruisce il labirinto. Fugge da Creta dopo la vittoria di Teseo (v.), oppure, secondo un'altra versione, dopo il noto episodio della vacca di legno. Già il poeta dell'Iliade (XVIII, v. 590 segg.) conosce il coro (di danzatori) che D. ha lavorato nell'ampia Cnosso per Arianna dalle belle trecce e lo paragona a quello che il nume ha scolpito sullo scudo di Achille. Il testo non discorda dalla leggenda di Atene e si può ben ritenere una derivazione di quella. Già nel sec. V si parlava di D. volatore e la favola fu messa in teatro da Sofocle (I camici, Dedalo), da Euripide (I Cretesi), e da Aristofane (Dedalo, Cocalo). L'artefice alato sarebbe giunto in Sicilia, dove avrebbe servito il re Cocalo, poi, secondo la tardiva leggenda raccolta da Virgilio (Aen., VI, 14 segg.) sarebbe andato a Cuma e avrebbe costruito colà il tempio d'Apollo. I viaggiatori greci vedevano volontieri le orme di lui nelle costruzioni antiche dei paesi stranieri, e così gli attribuirono il grande propileo e la statua di Phtah a Memfi, creando la favola del soggiorno di D. in Egitto, come lo fecero autore delle più antiche costruzioni della Sardegna. La fantasia popolare lo faceva inventore degli arnesi da falegname e di opere prodigiose, quella degli antiquarî riferì a lui un certo numero di simulacri divini primitivi, quasi tutti di legno. Nel santuario di Atena Poliade, sull'Acropoli verso il 170 d. C., si mostrava come opera di D. un sedile pieghevole (Paus., I, 27, 1). Quando si tentò d'introdurre la logica nel mito, si fece di D. un architetto e uno statuario e si volle spiegare l'eccellenza della sua arte dicendo che per il primo aveva dato alle figure l'apparenza della vita. Le fonti scritte sono un cumulo di favole disparate: secondo esse Dedalo sarebbe vissuto ai tempi di Teseo, ma avrebbe avuto dei figli solo parecchi secoli dopo (v. dipeno). Il solo nucleo storico che possiamo intravedere è il ricordo della talassocrazia minoica, mentre la cittadinanza di Dedalo sembra contraddire a quella del magistero cretese nelle arti del periodo favoloso.

Episodî del mito furono illustrati nelle figurazioni dell'antichità. Sopra un vaso apulo del museo di Napoli, del sec. IV a. C., D. sta adattando le ali alle spalle di Icaro. In pitture murali pompeiane è rappresentata la caduta mortale di quest'ultimo o l'artefice che presenta a Pasifae l'opera sua, soggetto che si riscontra più volte in rilievi di sarcofagi romani e in rilievi decorativi dello stesso periodo. Notevole il pannello qui riprodotto con la fabbrica delle ali: tutti quanti ripetono precedenti ellenistici.

Bibl.: I testi antichi in J. Overbeck, Die antiken Schriftquellen zur Geschichte der bildenden Künste bei den Griechen, Lipsia 1868, p. 13 segg. - Per D. scultore: W. Amelung, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, VIII, 1913, p. 280; per D. architetto: H. Thiersch, ibid., p. 282 seg.

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