DEFORMAZIONI e MUTILAZIONI

Enciclopedia Italiana (1931)

DEFORMAZIONI e MUTILAZIONI

Nello PUCCIONI
José IMBELLONI

Deformazioni e mutilazioni del corpo. - Quasi tutti i popoli della terra tendono a modificare la forma naturale del corpo: a questo fine si praticano deformazioni e mutilazioni alle quali l'uomo si sottopone sotto l'influenza della moda, delle abitudini, di idee mistiche e religiose, di sentimenti di vanità o d'orgoglio, di aberrazione dei sensi. Le ragioni che determinarono l'uso di deformare o mutilare il corpo sono di natura assai varia e talvolta complessa; tuttavia, specialmente nei popoli primitivi, si usa di praticare la maggior parte delle deformazioni e mutilazioni, soprattutto quelle dei genitali, durante le cerimonie d'iniziazione, cioè quando i giovani sono ammessi nel consorzio della tribù e sono giudicati capaci d'incominciare la vita sessuale (v. iniziazione).

Cicatrici ornamentali. - Presso molti popoli primitivi si usa, durante la cerimonia d'iniziazione, di dipingere in vario modo il corpo (v. pittura del corpo). A questo rito, che traccia solo segni facilmente cancellabili, si associa spesso la pratica delle cicatrici ornamentali destinate a conservare indelebili sulla pelle alcuni dei segni che la pittura vi aveva tracciato solo temporaneamente. La pelle viene incisa assai profondamente con pezzi di conchiglia o di pietra: nella ferita aperta si introduce dell'argilla e della cenere per rendere più lenta la rimarginazione, e ciò si ripete più volte a lunghi intervalli e sempre nello stesso punto. Le sostanze introdotte e i processi suppurativi che spesso si formano, fanno sì che, a guarigione avvenuta, la cicatrice si presenta voluminosa e rilevata (cheloidi). Le cicatrici ornamentali si praticano soprattutto sul torace e sul dorso, sia sotto forma di linee trasversali, sia sotto forma di serie parallele di punti e talvolta anche di disegni complicati: la faccia non ne va immune. Si distinguono cicatrici incavate e cicatrici a rilievo: le prime ottenute con una semplice incisione della pelle, soprattutto sulla faccia: lateralmente al solco naso-labiale (Sudanesi) o sopra la radice del naso (Ghimirra); le seconde, assai più diffuse, ottenute con il sistema più complicato dell'introduzione di cenere o di argilla nella ferita, sono comunissime in tutta l'Africa centrale, occidentale e sud-orientale e tra i popoli dell'Oceania a pelle più scura (Melanesiani, Australiani); in America erano praticate presso i Maya, sulla costa dell'Ecuador e fra gli Ona della Terra del Fuoco, in Asia talvolta fra i Pigmoidi e in alcuni gruppi dell'Indonesia orientale (Unna, Babar, Timorlaut).

Tatuaggio. - Un terzo stadio, più evoluto, di ornamentazione della pelle è il tatuaggio, che deriva nel tempo stesso dalla pittura del corpo e dalle cicatrici ornamentali. È forse la deformazione più diffusa perché si estende a quasi tutti i popoli che non hanno una intensa pigmentazione della pelle (v. tatuaggio).

Mutilazioni del sistema pilifero. - Si possono distinguere tre gradi di mutilazione del sistema pilifero: tagliatura dei capelli e della barba, rasatura, depilazione. L'uso di accorciare i capelli e la barba e di radersi la faccia è pratica comune ai popoli di civiltà più alta; il taglio dei capelli, com'è noto, è ora praticato, presso i popoli ad alta civiltà, anche nel sesso femminile. La rasatura dei peli del pube e delle ascelle si osserva di frequente nei popoli meno pelosi, cioè in Africa e Asia orientale; in Africa gli uomini radono qualche volta anche i capelli: abitudine probabilmente igienica, ma dipendente spesso dalla moda, giacché in una stessa popolazione, come fra i Somali, si trovano tribù che curano scrupolosamente le lunghe capigliature (Hauia) e gruppi che tendono a radersi i capelli (Dir e Darod). In America invece, in Asia occidentale, nell'Arcipelago Malese, in Oceania si usa la depilazione, per strappamento con pinze di metallo, dei peli delle ascelle e del pube, anche in gruppi che hanno una pelosità abbondante e capelli lunghi e folti (Australiani). Nell'Africa del nord (Arabo-Berberi) si ottiene lo stesso scopo applicando polveri o speciali impiastri di radici, usanza probabilmente importata dagli Arabi in quella regione e forse anche in Europa.

Mutilazioni delle unghie. - La necessità della vita ha determinato tutti i popoli della terra a tener corte le unghie per la libertà di movimento delle mani: in un solo gruppo umano dell'Asia Orientale (Cinesi e Annamiti) gl'individui più facoltosi hanno l'abitudine di lasciare crescere le unghie delle mani, esclusa quella del dito indice, fino a una lunghezza che varia da 10 a 45 centimetri e di proteggerle con astucci di bambù, d'argento o d'oro.

Deformazione del tessuto adiposo. - Nel Senegal e nell'Uganda si usa ingrassare artificialmeute le donne fino a che raggiungano l'obesità in un grado tanto avanzato da non potersi più reggere in piedi.

Deformazioni degli orecchi. - La perforazione del lobulo dell'orecchio è deformazione anch'essa propria, in maggiore o minor grado, di tutti i popoli della terra, praticata tanto nell'uomo che nella donna, giacché, sebbene non sia uso costante, anche presso i popoli più civili si notano spesso degli uomini con gli orecchi perforati. Nel foro praticato nel lobulo si introducono orecchini di tutti i generi, da sottili cerchi di metallo fino a pesanti pendagli che deformano il lobulo. In molte regioni il lobulo dell'orecchio viene perciò, dal pesante orecchino, allungato e disteso e il piccolo foro primitivo enormemente ingrandito. Questo ingrandimento del foro è quasi sempre ottenuto artificialmente, giacché si usa di lasciare infisso sul lobulo lo strumento che servì a forarlo, perché la ferita non si rimargini: poi al primo istrumento sottile sono gradatamente sostituiti dei pezzi di legno sempre più grandi fino a che il foro non abbia raggiunta la grandezza voluta: allora vi si appendono gli ornamenti preferiti, rotelle di bambù, fasci di foglie, penne, conchiglie e perfino larghi cerchi di corno di bufalo sui quali la pelle del lobulo resta distesa come una sottile striscia che ricinge il cerchio all'esterno. Tale pratica è molto diffusa in Malesia (Sumatra, Borneo, Nias, Engano), in Melanesia (Nuova Caledonia, Is. dell'Ammiragliato, Is. Figi), in Polinesia (Is. Tonga), in Micronesia (Is. Palau), in India (Assam, Arakan), nell'isola di Ceylon, in Birmania e nel Lao-tse, nell'Africa sud-orientale, e nord-orientale (Ghimirra), nell'America Settentrionale e fra gl'Indiani delle foreste del Brasile. In taluni di questi gruppi, specialmente tra gli Africani e in varie tribù dell'America Settentrionale, si usa di perforare anche il padiglione dell'orecchio lungo la docciatura dell'elice e di introdurvi piccoli anelli di metallo.

Mutilazioni del naso. - Il setto nasale, in alcuni gruppi umani, subisce una perforazione simile a quella del lobulo dell'orecchio e, come in questa, il piccolo foro iniziale viene poco a poco ingrandito fino a poter introdurre nel setto oggetti abbastanza voluminosi, come bastoncelli di osso o di conchiglia, grossi denti di cinghiale, frammenti di lamiera di ferro, cerchietti di metallo, ecc. Questi ornamenti più voluminosi e pesanti non sono però portati altro che in occasione di cerimonie o in assetto guerresco: nella vita quotidiana si tiene infisso nel foro nasale un semplice bastone di legno per impedire che l'apertura si restringa. Il bastone nasale è ornamento costante in tutti i gruppi oceanici Australiani, Melanesiani, Polinesiani e Micronesiani; è ugualmente diffuso in Africa, eccezion fatta per la regione nord-orientale (Etiopici e popoli vicini) e per l'Africa mediterranea (Arabo-Berberi); tra i popoli occidentali dell'America Settentrionale (Huastec, Denè), in tutta la regione nord-occidentale dell'America Meridionale e fino al centro del Brasile e fra i Tehuelche e i Mocovi. Invece del setto nasale si usa in alcune regioni di perforare una delle narici, tenendo passato nel foro un anello di metallo o un bottone in filigrana d'argento ornato di qualche pietra preziosa: pratica largamente diffusa nelle donne dell'India e nei due sessi tra gli Arabi e Arabo-Berberi; alcuni Melanesiani (Arcipelago di Bismarck) aggiungono questa perforazione a quella del setto, già descritta. Tra i Botocudo del Brasile si usa anche di schiacciare con il pollice le ossa nasali al neonato; la stessa deformazione è praticata alla nascita, tra gl'indigeni della Nuova Caledonia (Gosse e Montrouzier).

Mutilazioni delle labbra. - La perforazione delle labbra è assai meno diffusa di quella del naso: Paolo Mantegazza scriveva: "Mentre in Africa si tormenta più il naso, in America si preferisce mettere alla tortura le labbra". Infatti tanto nell'America Settentrionale (Nahua, Otomi, Athabasca, Eschimesi e i gruppi dell'estremo nord-ovest) quanto nell'America Centrale (Bribri) e Meridionale (Caribi, Sengua, Caingua, Botocudo, Chiriguano, Toba), si usa nelle cerimonie d'iniziazione di perforare il labbro inferiore e di introdurvi ornamenti (detti tembette) di due forme: o un bastoncello di resina filante di una conifera che scende verticalmente al disotto del mento (Caingua) o un disco di legno o di stagno ornato di smalti o di malachiti (Botocudo); talvolta sono forate tutte e due le labbra e in ciascuna è introdotto un largo disco di legno o di metallo, così che le due labbra sporgono enormemente e, quando il paziente parla, i dischi cozzano fra di loro assai rumorosamente. In Africa la perforazione delle labbra è assai meno diffusa: si pratica nel Sudan, nella regione orientale tra il Niassa e la costa, in qualche gruppo a O. del Lago Edoardo e del Tanganica e in qualche tribù del Congo francese, ed è mutilazione propria delle sole donne; sulle quali raggiunge, specie tra i Sara, uno sviluppo massimo (femmes à plateau). Infine tra le mutilazioni delle labbra deve segnalarsi la perforazione dei due angoli della bocca praticata dagli Eschimesi e dalle tribù del NO. dell'America Settentrionale, che vi introducono dei piccoli dischi d'osso.

Mutilazione delle guance. - Nell'America del Sud, specialmente tra i gruppi brasiliani, si usa di forare anche le guance per introdurvi steli di penne, fissate verticalmente ai lati della faccia.

Deformazioni e mutilazioni dei denti. - I denti sono avulsi presso molti popoli durante la cerimonia d'iniziazione. L'avulsione avviene per rottura con un colpo secco di uno scalpello di pietra; i denti avulsi sono generalmente gl'incisivi superiori: talvolta i due mediani, talvolta tutti e quattro o nel mascellare superiore o nell'inferiore. Tale mutilazione si pratica in Australia orientale e nell'isola di Formosa durante la cerimonia d'iniziazione ed è anche molto diffusa nell'Africa centrale e orientale. Nell'isola Engano si pratica la mutilazione dei canini superiori solamente sulle donne dopo che si sono sposate (Modigliani). Un'altra mutilazione del sistema dentario molto diffusa è la così detta limatura degli incisivi, anch'essa connessa alla cerimonia d'iniziazione: gl'incisivi vengono rotti con una piccola forbice o con un martello dando luogo a deformazioni molto varie o togliendo gli angoli interni del dente o tutti gli angoli dei due incisivi mediani o di tutti e quattro, sia nel mascellare superiore sia nell'inferiore sia in tutti e due, e i denti divengono appuntiti. È mutilazione molto diffusa in Africa nella regione del Congo, lungo le coste orientali e in qualche punto della costa nord-occidentale, in tutta l'Indonesia e nella penisola di Malacca e tra i Moi dell'Indocina. La limatura è praticata anche in America presso alcuni gruppi dei fiumi Mackenzie e Anderson, dell'isola di Vancouver e del Messico (Huastec), nell'America Centrale (Maya, Totonac, Guaymi, Olmechi) e nell'America Meridionale fra gli Aymará, gli Atacameno e nell'Ecuador. Presso alcuni popoli dell'Asia sud-orientale (Khmer, Siamesi, Shan, Mon, Karen, Naga) e dell'Indonesia, durante la cerimonia d'iniziazione, oltre alla limatura degl'incisivi si pratica l'annerimento dei denti; nell'Arcipelago di Bismarck i denti si anneriscono più tardi dell'iniziazione. A Mentawei si lima la faccia anteriore degli incisivi e dei canini, sì da lasciare, in prossimità del margine inferiore, un piccolo orlo che sporge di qualche millimetro; la superficie del dente è annerita (Modigliani).

Presso gli Huastec e i Maya si usava l'intarsio dei denti, praticando negli incisivi dei fori ove venivano incastrate pietre preziose e smalti; l'intarsiatura è praticata anche fra i Totonac e gli Olmechi e nell'Ecuador: è diffusa, insieme con la pratica di indorare i denti, in Indonesia (Bataki, Daiaki, Igorote, Toragia, Timor, Letti).

Deformazioni del tronco. - Va rapidamente scomparendo in Europa e negli altri paesi a civiltà alta l'abitudine che avevano le donne di portare la fascetta o busto, specie di gabbia di stoffa resistente sulla quale erano cucite stecche di acciaio o di balena che si stringeva fortemente alla vita, producendo deformazioni costanti e specialmente accentuando l'obliquità della testa del femore. In alcune isole dell'Indonesia (Formosa, Filippine, Ceram), tra i Naga dell'Assam e nella Nuova Guinea una simile deformazione è in uso tra gli uomini che, mediante fasce, si legano fortemente le anche.

È stata descritta presso i Ghimirra anche una perforazione dell'orlo della cicatrice ombelicale con introduzione di cerchietti metallici (Montandon). In molti gruppi africani (Congo, costa occidentale, costa orientale) le donne usano allungare volontariamente le mammelle con l'applicazione di una larga fascia che cinge loro il petto e costringe in basso il seno. La stessa deformazione è stata osservata, con lo stesso sistema, presso le donne Paiaguá del Paraguay. Le ragazze di alcune tribù della Guinea e del Sudan francese appena il seno incomincia a sviluppare hanno l'abitudine di farsi pungere il capezzolo da grosse formiche: la puntura produce un'infiammazione e un rigonfiamento del capezzolo che rimane molto sporgente sul resto della mammella (Godel).

La vera e propria mutilazione del seno, che, secondo gli antichi autori, le Amazzoni praticavano da un solo lato, è praticata bilateralmente dalle donne appartenenti alla sètta russa degli Skopcy, i cui adepti maschili praticano l'evirazione.

Deformazioni e mutilazioni degli organi genitali. - La resezione di tutto o di parte del prepuzio è pratica estesa a molti popoli della terra: molti popoli primitivi usano ancora la semplice incisione del prepuzio; diffusa specialmente in Indonesia (Filippine, Molucche, Celebes) nella Nuova Guinea, nella Nuova Britannia, nelle isole dell'Ammiragliato, Nuove Ebridi, Nuova Caledonia, Figi e in Polinesia. L'incisione si deve, probabilmente, considerare come una pratica che ha preceduto la vera e propria circoncisione.

La circoncisione (v.), cioè la completa resezione del prepuzio, è molto estesa in Africa e nei popoli nomadi, semitici e camitici; non era praticata dagli Assiro-Babilonesi, manca nei Galla, in molte tribù Berbere e nei Bahima. Secondo lo Schmidt, il fatto che essa manchi presso questi popoli nomadi mostrerebbe che proviene da un'altra civiltà assai più antica. Nelle regioni del mondo antico dove l'influenza delle religioni ebraica e musulmana è stata più lunga e più estesa, la circoncisione è molto diffusa e spesso, come in Africa, ove si può dire che quasi tutti i popoli la pratichino, la circoncisione primitiva e la ebraico-musulmana vengono a contatto e si compenetrano. In Asia, per quel che si riferisce al continente, si conosce soltanto la circoncisione maomettana: ma nell'Indonesia esiste anche presso gruppi non maomettani. Nell'America la circoncisione era pressoché sconosciuta, giacché si praticava solo nelle tribù Eschimesi orientali, nel Messico antico e in qualche tribù della costa atlantica (Totonac). Anche d'origine primitiva è la circoncisione in Oceania: in Australia è diffusa nella regione centrale e manca nella zona orientale e nella occidentale; si pratica nella Nuova Guinea, nelle Isole Figi, e, in passato, era in uso anche a Tahiti.

In tutta l'Australia, eccezion fatta per la zona più orientale e per la costa occidentale, nelle cerimonie d'iniziazione si usa di incidere per il lungo, con un coltello di pietra o di vetro, l'uretra; questa mutilazione, detta mika o ariltha, si pratica anche nelle isole Viti ma fra i trenta e i quarant'anni, anziché alla pubertà.

Presso molti popoli maomettani, specialmente tra gli Arabi e i musulmani d'Africa, è in uso all'inizio della pubertà la cosiddetta circoncisione femminile, cioè la escissione della clitoride (clitoridectomia): anche nella Guinea e nel Sudan francese, presso gruppi non maomettani, alla nascita è abitudine di strappare con le unghie la clitoride. In taluni gruppi etiopici (Somali, Danachili), in qualche popolazione nilotica (Sudanesi dei dintorni di Khartum) e presso i gruppi negri della Somalia (Scidle, Sciaveli, Suaheli), insieme con la clitoridectomia si pratica, nelle bambine fra i sette e gli otto anni, la infibulazione tagliando la faccia interna delle grandi labbra per tutta la loro lunghezza; si fasciano poi strettamente le gambe l'una contro l'altra e si mantiene questa legatura per circa otto giorni fino a che i due lati non si sono saldati insieme: qualche volta si aiuta la rimarginazione con una cucitura o con l'infissione di spine vegetali. Sebbene Duhousset descriva questa pratica anche presso gli Arabi di Siene, è certo che gli arabo-berberi dell'Africa settentrionale e gli Arabi d'Arabia non usano di infibulare le proprie donne.

P. Mantegazza chiama fimosi artificiale la copertura forzata del glande con introduzione nel prepuzio di anelli di metallo, che, in segno di castità è usata presso taluni asceti musulmani.

L'asportazione di un solo testicolo (monorchia), generalmente il sinistro, è praticata da alcuni popoli dell'Africa (Begia, Masai, Ottentotti) con l'idea d'impedire i parti gemelli. Presso i Daiaki e i Malesi si fora trasversalmente il glande con un punteruolo di metallo; nel foro si mantiene continuamente una bacchetta d'osso, che vien sostituita, al momento opportuno, da un'altra bacchettina (ampalang o kalang) che porta assicurate, alle due estremità, rotelle di legno o piccoli ciuffi di penne: in alcune tribù si adoperano fino a tre ampalang. I Bataki di Sumatra hanno l'abitudine d'introdurre per mezzo di piccole incisioni, alcune pietruzze sotto la pelle dell'organo che, una volta cicatrizzata, ne impedisce l'uscita.

Mutilazione delle falangi della mano. - L'ultima falange di un dito della mano è asportata nelle Australiane e nelle Boscimane: nelle Australiane si taglia l'ultima falange dell'indice della mano destra all'epoca della prima mestruazione, in genere nella cerimonia d'iniziazione; nelle donne Boscimane si porta via l'ultima falange del mignolo, più spesso della mano destra, talvolta delle due mani.

Deformazione del piede. - Molte deformazioni preterintenzionali del piede (deviazione del pollice, sovrapposizione e schiacciamento delle altre dita) sono prodotte nei popoli civili dall'uso della scarpa. In Cina era in uso la deformazione intenzionale del piede della donna. La tipica deformazione del piede era praticata in Cina con maggior cura nelle famiglie ricche nelle quali s'incominciava l'operazione sulle bambine di quattro anni; nelle più povere, dove si aveva soltanto una deformazione parziale, s'iniziava la pratica più tardi: in ogni modo essa veniva fatta sempre entro i primi dieci anni di vita e in media tra i cinque e i sei. Il piede deformato della donna cinese era corto e aveva la vòlta esageratamente alta: la faccia dorsale era stretta e molto lunga e il piede si assottigliava verso la punta costituita soltanto dal pollice: le altre dita erano ripiegate sotto la pianta in modo che sulla faccia dorsale appariva soltanto la prima falange del secondo dito. Se si esaminava la pianta del piede, si notava che il calcagno dalla sua posizione normale orizzontale era deviato fino ad assumere una posizione pressoché verticale e a toccare con la sua faccia plantare la faccia plantare del metatarso, che aveva subita la stessa deviazione da orizzontale a verticale. La deformazione in uso presso le classi più povere si limitava al ripiegamento delle dita sotto la pianta senza deviazione del calcagno. Tali deformazioni s'iniziavano con un lento ripiegamento delle dita verso la pianta ottenuto con fasciatura forzata e si continuavano fino alla lussazione del calcagno e del metacarpo, che si piegavano l'uno verso l'altro mantenendo mediante fasciatura, tra le due facce plantari che dovevano venire a contatto, un piccolo cilindro di metallo. Il piede deformato di una cinese adulta aveva una lunghezza totale plantare oscillante dai 14 ai 16 centimetri.

Rapporti etnologici. - Come è già stato detto, la maggior parte delle deformazioni e mutilazioni del corpo si riannodano, presso i popoli primitivi, al rito d'iniziazione; però, se si esamina come esse si distribuiscono, si può notare che compaiono soltanto in certi gradi di civiltà che corrispondono assai esattamente a determinate culture. Se ci basiamo sulla classificazione dei cicli culturali del P. Schmidt, troviamo che, mentre nella più primitiva delle civiltà primitive (ciclo culturale monogamico-esogamico: cultura dei Pigmei e Pigmoidi) manca assolutamente ogni deformazione o mutilazione del corpo e non si ha nemmeno la pittura, nella cultura immediatamente superiore (esogamica a totemismo sessuale: cultura tasmaniana) compaiono nelle cerimonie d'iniziazione le cicatrici ornamentali e la perforazione del setto nasale: nella cultura del bumerang (Australia, Africa specialmente nell'alto Nilo e nel Sudan) si aggiunge, sempre negli stessi riti, l'avulsione degli incisivi. Nelle seguenti culture secondarie la sola cultura esogamica patriarcale totemistica (Nuova Guinea occidentale, Australia, Melanesia, Africa orientale, America) ha deformazioni e mutilazioni connesse con i soliti riti, così che compaiono la circoncisione, l'incisione, la subincisione, la depilazione e la pittura del corpo. Nelle due seguenti culture secondarie matriarcali e nelle culture evolute, decadono o cessano i riti d'iniziazione dei due sessi e si sostituiscono invece riti, senza mutilazioni, per la prima mestruazione delle ragazze: se qualche deformazione esiste si può sempre riportare a un residuo di cultura anteriore, e si vede che sono applicate anche alle donne.

Bibl.: Trattati generali: G. Buschan, Illustrierte Völkerkunde, Stoccarda 1922-1926; J. Deniker, Les races et les peuples de la terre, 2ª ed., Parigi 1926; W. Schmidt e W. Koppers, Gesellschaft und Wirtschaft der Völker, Regensburg s. a. Memorie speciali: P. Mantegazza, Rio della Plata e Tenerife, Milano 1867; X. Montrouzier, Sur la Nouvelle Calédonie, in Bll. de la Société d'anthropologie de Paris, s. 2ª, V (1870), p. 28; M. Magigot, Essai sur les mutilations ethniques, in Bullet. et Mem. de la Société d'Anthrop. de Paris, s. 3ª, VIII (1885), p. 21; W. Joest, Tätowiren, Narbenzeichnen und Körperbenmalen, Berlino 1889; P. Mantegazza, Gli amori degli uomini, Milano 1900; N. Puccioni, Delle deformazioni e mutilazioni artificiali etniche più in uso, in Archivio per l'antropologia e la etnologia, XXXIV (1904), p. 355; G. Variot, e M.me Chatelin, Observations sur les pieds des jeunes chinoises, in Bullet. et Mem. de la Société d'Anthrop. de Paris, s. 6ª, V (1914), p. 239; Haberer, Schädel und Skelet teile aus Peking, Jena 1902; G. Muraz e S. Getzowa, Les lèvres des femmes Djingés dites "femmes à plateau", in L'Anthropologie, XXXIII (1923). Fonti parziali per la carta: N. W. Thomas, Über Kulturkreise in Australien, in Zeitschrift für Ethnologie, LXXIII (1905), p. 759; B. Ankermann, L'ethnographie actuelle de l'Afrique méridionale, in Anthropos, I (1906), pp. 552, 914; E. Nordenskiöld, Comparative ethnographical studies, II e III, Göteborg 1920, 1924; H. Lignitz, Die künstlichen Zahnver stümmelungen in Afrika, n Anthropos, XIV-XVI e XVI-XVII, Mödling 1919-20 e 1921-22.

Deformazioni artificiali del cranio.

Quando i primi anatomici dell'antichità furono tratti a considerare le forme del cranio umano, dopo aver separato le fisiologiche, tra cui Galeno e Ippocrate distinsero tre o quattro varietà fondamentali, si trovarono dinanzi a strane conformazioni, sporadiche nel mondo classico, che presentavano gli effetti di azioni meccaniche coercitrici, dirette ad alterare lo sviluppo spontaneo della scatola cranica. Tuttavia spetta al Rinascimento, col Vesalio, il primo studio dei crani deformati in generale, e le sue ultime fasi si collegano ai più attivi periodi di lavoro craniologico, a cominciare dalla celebre Collectio di Blumenbach, per finire, sulla fine del sec. XIX, con i Crania Ethnica Americana del Virchow. Ma il graduale conoscimento craniologico dell'America è stato il fatto di gran lunga più saliente che ha agito da sprone al costituirsi d'una dottrina generale delle deformazioni. Quando si constatò, non senza sbalordimento, che le sepolture indiane, e pertanto i musei americani, contengono il 90 per cento di crani defformati, si comprese quanta importanza avesse la plastica artificiale su una gran parte del globo, e si sentì il bisogno di porre su solide basi lo studio dei varî aspetti della questione: 1. classificazione dei deformati; 2. rappresentazione grafica delle forme; 3. processi e istrumenti; 4. meccanica della deformazione; 5. effetti anatomici; 6. effetti fisiologici e psichici, ereditarietà; 7. scopi; 8. durata; relazioni con l'età, il sesso e l'aggregato; 9. quadro antropogeografico: carte di distribuzione; 10. la deformazione come indizio di cicli e migrazioni culturali.

Non tutti i cranî di foggia anomala sono effetto di pratiche deformanti. In primo luogo sono da separare i pezzi che mostrano malformazioni spontanee dovute alla precoce ossificazione delle suture, ben conosciute con il nome di deformazioni patologiche (v. cranio). Una seconda classe da escludere è quella dei cranî che ricevettero una modellazione meccanica dovuta al peso delle terre sovrapposte, come non è infrequente in certe sepolture: sono le deformazioni postume illustrate dal Davis con ottimi esempî da sepolcri anglosassoni, e loro caratteristica distintiva è la torsione affatto capricciosa e irregolare. Altre asimmetrie, in molto minore scala, derivano dall'abitudine di portare il bambino o di metterlo a giacere sempre sullo stesso lato, il che produce a volte una più o meno grave deformazione laterale del capo, o plagiocefalia. Fatte le precedenti eliminazioni, restano le deformazioni intenzionali del cranio, le quali comprendono l'immensa maggioranza delle forme anomale. Sono anche chiamate da taluno etniche, ma è da preferirsi il termine artificiali o intenzionali, poiché la loro caratteristica è d'essere volontarie. Ciò è reso visibile o da una vera e propria dottrina estetica, o da una gerarchia riferita agli aspetti del cranio; della prima son testimonî le molte opere artistiche dei popoli che conobbero la modellazione e il disegno (vedi gli stucchi dei Maya e i rilievi dei Messicani, nonché gli espressivi vasi figulini del Perù), della seconda abbondano le prove nelle inchieste dei viaggiatori, le quali sono concordi nel fatto che le madri, al modificare la forma cranica dei figli, hanno in vista un vero e proprio "ideale plastico". Il Dr. Delisle, che ha studiato accuratamente la deformazione presso i campagnoli di Francia, al constatare (1880) che dopo 50 anni di propaganda detta costumanza era parzialmente sparita, osserva il fatto notevolissimo che l'abito estetico mostrava d'essere ancora tenacemente conservato. Infatti il Delisle sentì spesso dire ai contadini che "aveva la testa troppo corta".

Quanto alla classificazione dei cranî deformati, la maggior parte degli autori ha preso per l'addietro come base l'osservazione esterna del pezzo, e si limitava a riunire insieme gli esemplari che presentavano delle analogie nel loro aspetto. L'elasticità di tale criterio puramente impressionistico portò a un numero sconcertante di classificazioni. Così, mentre il Morton riconobbe 4 tipi di deformati, Lunier ne vide 10, Broca 5, Flower 4, Tschudi 3, Lenhossek 6, Virchow 3, Topinard 5, e il Gosse giunse a discernere ben 18 tipi. Un'esagerata tendenza alla semplicità è poi quella di Wilson, Wyman ed Hrdlička, che riconoscono due sole classi di deformati. La comparazione di queste cifre è di per sé sola un indice dell'anarchia che regna in questa materia. Un criterio certamente più efficace è quello che da 50 anni preconizzava il Broca, e più recentemente (1892) il Virchow, con le parole: "È necessario occuparsi non solamente della forma, ma anche della maniera con cui questa si è ottenuta". In altri termini: portare la maggiore attenzione possibile alle differenze di tecnica, alla natura degli strumenti e delle pratiche di cui si servirono le madri indigene per plasmare le testine dei loro bimbi: questa era la via da seguirsi nella ricerca differenziale dei varî tipi di deformazione. Malgrado le molte varietà di apparecchi deformanti, si può, per comodità, riunire sotto un titolo convenzionale ognuna delle tre classi che vi si distinguono:

1. Apparecchi composti da due piani o tavolette libere, parallele, applicate una sull'osso frontale del neonato e l'altra sull'occipitale: è la categoria dei telai.

2. Apparecchi di forme diverse, la cui caratteristica primordiale è di costringere il pargolo a giacere supino con l'occipite aderente a un "piano di decubito", anche se talora detto piano è tenuto verticalmente. La pressione frontale in questa serie ammette molte variazioni, ma quella posteriore ha un funzionamento anatomo-fisiologico ben definito. Riuniamo tutti gli esemplari di questo tipo sotto il nome di culle.

3. Apparecchi costituiti da corregge, fibre o bende avvolte anularmente intorno al cranio, a volte anche cementate con resine, fango, ecc.; siano semplici legacci, siano veri e proprî turbanti, essi esercitano la medesima compressione circolare e simmetrica: folmano il tipo cuffie.

L'azione meccanica e anatomica del processo è ben distinta in ciascuno dei tre casi. Basta tener presente la natura delle tavolette del "telaio" e così pure del "piano di decubito", per comprendere che gli apparecchi dei numeri 1 e 2 daranno come risultato delle deformazioni piatte. Gli apparecchi del n. 3 produrranno in cambio una stretta circolare. La classificazione teorica delle forme principali sarebbe, dunque, oltremodo facile, bastando distinguere i deformati circolari dai tabulari. Ma nel fatto, e benché ancora la maggior parte degli autori riunisca in un sol fascio tutti i cranî piatti, coi nomi di "deformati fronto-occipitali", "aplatis" "brachicefali artificiali" e "flatheads" (che coincidono tutti nel significato di "cranî corti"), uno studio accurato prospetta la necessità di dividere la massa dei deformati piatti in due grandi divisioni:

Le differenze sono di gran peso, sia dal punto di vista meccanico sia dal fisiologico; ma due caratteri sono accessibili anche a una semplice discriminazione esterna: la obliquità della forma rispetto ai piani fisiologici orizzontali, e il particolare aspetto delle suture nell'appiattimento posteriore; vedi figura 7. La spiegazione di tale dimorfismo dei deformati fronto-occipitali è divenuta molto chiara in merito al criterio "strumentale" introdotto nella classificazione. Basterà tener presente che gli apparecchi di decubito costringono la testa del neonato a subire una forte pressione lambdica, parallelamente al diametro basilo-bregmatico, mentre la tavoletta posteriore dei "telai" si dispone sulla regione iniaca, parallelamente alla corda dell'osso frontale, il che vuol dire obliquamente. Ma anche con delle culle alcuni indigeni del nord-ovest d'America giungono a ottenere gl'identici risultati del telaio, e ciò mediante un dispositivo ingegnoso che elimina la pressione orizzontale sul lambda e ne produce una obliqua tangente all'inion. È evidente che il termine "culla" non è assunto nella classificazione con il suo senso volgare, e che il suo elemento distintivo è la pressione del cranio sul piano di decubito. Orbene, anche nelle deformazioni circolari avviene qualche cosa di simile, sebbene in minor scala. Secondo che il sistema di bende si vincola principalmente alla parte inferiore (iniaca) o alla superiore (lambdica) dell'osso occipitale, si ottiene un cranio più o meno inclinato, ciò che i classificatori antichi indicavano con i nomi di deformazione couchée o dressée. Posto dunque il criterio meccanico e strumentale alla base della classificazione dei deformati, si ottiene il seguente prospetto delle forme elementari o primarie:

dipendenti ciascuna da un particolare processo meccanico, e tra loro non invertibili. Ciascun tipo primario, tuttavia, ammette un certo numero di varietà, gradi e forme. Principali cause ne sono le varianti nella costruzione, materia, spessore e durezza delle parti di un apparato, e poi anche ragioni fisiologiche, quali la resistenza e spessore individuale dei tessuti, la durata assoluta della compressione deformante e l'età in cui la scatola cranica ricupera la sua libera espansione. Nella serie I, per esempio, si distinguono i seguenti gradi: curvofrontali; curvoccipitali; gradi intermedî ed estremi. Negli "eretti": pianofrontali e pianolambdici, oltre a intermedî ed estremi. Ma qui si ha inoltre una gran varietà nel sistema di assicurare la testa alla culla, e ciò produce visibili differenze nella plastica del frontale. Si ha così una varietà pseudocircolare quando la testa è fissata mediante corregge o fibre, parallelepipeda quando v'è costrizione verticale del tetto cranico, bilobata e trilobata quando ciò avviene per solchi profondi, sagittali o coronali. Un solco sagittale può anche prodursi negli "obliqui", come lo dimostra la interessante disposizione documentata da un figulino preistorico del Perù (v. figura 14, a). Bisogna tuttavia riconoscere che il vecchio indirizzo anatomico dei classificatori ebbe per risultato che si studiassero superficialmente i singoli apparecchi deformanti. Ci si contentò di poche e a volte inesatte indicazioni di viaggiatori e cronisti, e ciò è tanto più da deplorare, quanto più problematiche si son fatte oggi le occasioni di raccogliere strumenti autentici.

Per i "telai" una scoperta recente, in un cimitero indigeno dell'Argentina nord-occidentale, ci ha permesso l'investigazione diretta (v. fig. 13). La plastica intenzionale può esser prodotta anche per mezzo di massaggi e pressioni manuali. Le madri Lapponi, per es., della Scandinavia, comprimono il frontale dei neonati con le mani, in senso antero-posteriore; le madri africane Kissi (a N. della Liberia) in senso opposto, per diminuirne il diametro trasverso.

Che si tratti di costumanze d'ordine sociale non è facile porre in dubbio; tuttavia non è sempre dimostrata una costanza assoluta della forma volontaria, in una data convivenza. Riguardo al sesso, si hanno deformati maschili e femminili in uno stesso aggregato. Altri popoli, e sono i più numerosi, deformano principalmente i maschi (Caucaso, Peruviani, Patagoni), e qualcuno preferibilmente le femmine (Borneo). Rispetto alla vieta questione della trasmissibilità ereditaria della deformazione, asserita già da Ippocrate e nel secolo scorso dal Gosse, lo stato attuale delle nostre cognizioni è apertamente sfavorevole a questa credenza.

La ricerca degli scopi cui obbedisce la pratica deformante è stata ed è sempre oggetto di legittima curiosità, ma l'incognita è il metodo da seguire. Uno dei più comuni e antichi fu quello di domandarne agli stessi indigeni. All'ingenua inchiesta dei cronisti spagnoli già furono date in differenti luoghi differenti risposte: per alcuni la deformazione contribuiva alla salute, per altri, rendeva atti a portare grossi carichi, oppure aumentava la ferocia del combattente. Viaggiatori e scienziati hanno ottenuto, di poi, ragioni consimili, e similmente variate. Le madri lapponi dicono che con il ritardare la chiusura delle fontanelle si aiuta lo sviluppo del bambino; igienici sono anche i motivi addotti dai campagnoli di Francia. A Tahiti si deformano i fanciulli perché acquistino virtù combattive. Non è di grande aiuto alla scienza una simile inchiesta. Noi stessi uomini civili, sulla prima origine di molte nostre usanze ci contentiamo di vaghe teorie esplicative, quasi sempre etiologiche. Gl'indigeni, gareggiando con noi d'intellettualismo, non trascurano di approntarne qualcuna per loro uso, e più per soddisfare i curiosi. Maggiore oggettività ha assistito quegli autori che considerano la diffusione e l'osservanza di detto costume sotto l'aspetto di una moda. Infatti l'abitudine di modellare il cranio non è sostanzialmente dissimile da quella di strozzare il torace con la fascetta o di anchilosare il piede come fanno in Cina. Al dire "moda", però, non dobbiamo dimenticare l'estrema complessità di questo concetto. Oltre alle manifestazioni puramente estetiche, la moda si associa in gradi diversi con quelle di gerarchia, di dominio e di casta, e poi anche con la differenziazione sociale dei sessi. Così vedremo a Borneo deformarsi esclusivamente le femmine, e nel NO. d'America solamente chi nasce libero, per distinguerlo dallo schiavo. Quasi ovunque l'operazione è più accurata e di maggior obbligo nella casa del ricco, e i Chinook permettono, a titolo di straordinaria concessione, che si effettui talora ai figli dello schiavo liberato. Inoltre, dicendo "moda", nulla spieghiamo circa le origini. È evidente che prima di convertirsi in una moda, la pratica dovette esistere in qualche luogo, e per qualche causa. Si propongono a questo punto varie ipotesi, tra cui predominano le seguenti: 1. che la maniera di avviluppare o adornare i fanciulli poté produrre in origine deformazioni involontarie; 2. che si vollero esagerare manualmente caratteristiche fisionomiche naturali, assurte a indice di bellezza o segno di dominazione. Questa ipotesi raccoglie numerosi sostegni nei fatti, sia per i modelli inter-etnici (conquistatori stranieri, popoli belligeri) sia per quelli intra-etnici (tipo fisico della nobiltà, dei capi, ecc.). La deformazione dei guerrieri, non si spiega con il metodo fisiologico, anzi frenologico, degli alunni del Broca, ma con l'intenzione di atterrire il nemico, sia per mezzo dell'orrore (la funzione gorgonica della deformità è diffusa anche in Asia, Insulindia e Oceania), sia d'una imitazione mimetica di stirpi temute e feroci, e, con maggiore probabilità, dell'uno e dell'altra insieme.

In quanto agli effetti della deformazione, senza dubbio possono studiarsi con maggiore obiettività. Vengono in primo luogo gli anatomici: quali le malformazioni dell'osso timpanico osservate dal Luschan, del temporale da S. Sergi, dell'occipitale, la cui tendenza a proliferare abbondanti Wormiani venne studiata dal Dorsey e da altri. Le conseguenze di ordine metrico furono considerate da Martin, Boas, Verneau e Puccioni. Broca e Delisle già avevano esaminato il cervello di alcuni deformati francesi. Gli effetti fisiologici furono invece oggetto d'un certo ondeggiamento teorico. Gli osservatori affermarono in un primo tempo che la deformazione produceva lesioni importanti, e predisponeva il soggetto alla demenza, alla brutalità e all'idiozia; ciò fu sostenuto specialmente in Francia (Foville, Lunier, Gosse) e anche da qualche esploratore d'America (Gray, Domenech). Ma due esperienze hanno contribuito a infirmare tale opinione: l'una del Dr. Marchand, il quale provò che i manicomî tolosani non han visto diminuire il numero di idioti e alienati in seguito al disuso della deformazione; l'altra, riferita da Gustav Retzius, che nelle scuole del NO. americano i fanciulli deformati non dimostrano alcuna inferiorità rispetto ai compagni dal cranio normale. Non dobbiamo, tuttavia, dimenticare che la grande maggioranza dei deformati è costituita da forme leggiere, in virtù dell'energica reazione dei tessuti, i quali, terminata la pratica deformante, riacquistano la loro elasticità. Quanto alle pressioni estreme, o troppo prolungate, non è escluso che provocassero anche la morte del soggetto; infatti si trovano nei cimiteri indigeni testine di bimbi schiacciate dall'apparecchio.

Cominciando dall'Europa, troviamo popoli deformatori in Scandinavia (Lapponi), in Finlandia e Russia; nella Francia, nei dipartimenti dell'O., S. e centro. Le deformazioni francesi, conosciute con il nome di "tolosane", vennero studiate tanto sul materiale dei cimiteri che sul vivente; pare che in seguito a una strenua propaganda ne sia rapidamente declinato il costume. Le donne vende, della Lusazia, deformano anch'esse il cranio. Se lasciamo l'epoca contemporanea, troviamo testimonianze medievali che concernono la Germania, i Belgi, i Greci, i Turchi e i Genovesi che trafficavano con l'Oriente. Più innanzi, Sidonio Apollinare e Ammiano ci lasciano la descrizione delle orde barbariche degli Unni bianchi dalla testa orridamente deformata. A Ippocrate, Erodoto, Strabone e Plinio rimontano le prime notizie di popoli deformatori stabiliti sugli orli del Mar Nero e, attraverso il Caucaso, fino al Caspio, cui si diede il nome di Macrocefali. L'archeologia ha poi dissepolto cranî deformati, specie di macrocefali ippocratici, in un triangolo che ha la base sul Caspio e la punta in Inghilterra, con densità decrescente, come lo dimostrano alcune cifre: Tiflis 150 cranî; Csongrád 6; Boemia e Austria 3; Italia nord-orientale 3; Sicilia 1; Savoia e Svizzera 4; Wiltshire 1.

L'Africa fu ritenuta priva di deformatori, ma più recentemente si sono conosciute le pratiche dei massaggiatori Kissi e le teste classicamente deformate dei Mangbetu, del tipo circolare (v. fig. 11).

In quanto all'Asia, già si è fatto menzione del centro Georgiano, la cui documentazione rimonta ai Greci, e si rinnova all'epoca delle scorrerie verso l'Europa. Al tempo d'oggi conosciamo la diffusione della pratica presso i Siro-Fenici, in Armenia, Kurdistan e Persia; la zona più conservativa sembra esser quella dei Curdi e l'immensa area tartara. Sul lato orientale del continente riappariscono le deformazioni tra gli Ainu, gli Aleuti, parzialmente in Cina (mendicanti) e Giappone (sacerdoti), e, molto più fitte e costanti, nella penisola malese, per allargarsi a ventaglio in tutta l'Insulindia (Sumatra, Borneo, Celebes, sonda e Filippine).

Gli abitanti delle isole oceaniche sono dediti alla deformazione, tanto quelli francamente negroidi della Nuova Guinea e delle isole S. Cruz, Salomone e Nuove Ebridi, come gli altri dei gruppi polinesiani di Futuna, Samoa, Tonga, Tahiti, Uvea, inclusi i più lontani, delle Marchesi e delle Hawaii. Nell'Oceano Pacifico, anzi, si fa evidente un dimorfismo di carattere etnico cosi ben delimitato fra l'area melanesiana e la polinesiana, che può servire di base a una discriminazione etnologica dei tipi di deformazione. I negroidi usano la circolare, e i Polinesiani sempre la tabulare.

Giunti alle terre d'America, che il Flower giustamente denomina "il quartier generale delle deformazioni", invece di porre in lista i popoli deformatori, riesce molto più breve delimitare le aree relativamente sprovviste di deformati. Queste sono: nel continente nord, l'area eschimese e quella orientale a essa limitrofa che scende verso sud, fino alle Montagne Rocciose; nel continente australe la dimora dei Fuegini e qualche chiazza amazzonica, come, p. es., il paese dei Botocudo. Tutto il resto delle due Americhe fu od è popolato da stirpi deformatrici, ma possono riconoscersi alcuni centri principalí, cui si diede l'interpretazione di fochi diffusivi: il 1° nel NO. tra i fiumi Fraser e Columbia; il 2° alla foce del Mississippi; il 3° intorno all'Istmo di Tehuantepec; il 4° sul lembo caraibico con penetrazione nelle Antille; il 5° sulla costa e l'altipiano del Perù, continuandosi in Bolivia e con diramazioni lungo le valli argentine; il 6° sul corso inferiore del Rio Negro, in Patagonia. Va ricordato che si tratta di nodi vitali della popolazione indigena, per la più fitta densità e per il predominio o la specializzazione delle culture.

Relegata una volta al capitolo delle curiosità, la dottrina delle deformazioni craniche è oggi destinata ad attrarre sempre maggiore interesse, da parte specialmente dell'etnologo. Perché ottenga buoni frutti è bene che l'investigatore sorpassi il vecchio pregiudizio che una speciale plastica fosse carattere diagnostico di una razza, donde vennero tante delusioni. La deformazione è un fatto genuinamente culturale, e in questo campo è lecito attendersi le maggiori rivelazioni, benché fino a oggi manchiamo, a dir vero, non solo d'uno studio serio e ampio, ma anche di un semplice abbozzo. Quando si dice, p. es., che nel Pacifico i deformati circolari sono Melanesiani e i tabulari Polinesiani, non si vuol separare le due fila genetiche, bensì le due entità culturali. È giusto prevedere che il valore dei risultati sarà connesso con l'orientazione e la profondità delle nostre cognizioni di etnologia generale. L'enorme area abbracciata dalle deformazioni, l'apparente ubiquità nei secoli più lontani e nelle più distanti popolazioni debbono di necessità stordire chi si affaccia a districare la matassa. Dopo lunghi studî alcuni investigatori autorevoli furono indotti a concludere che si tratta d'un abito irregolarmente diffuso nell'umanità, in tutti i continenti, secondo modi varî e differente misura (Flower, Verneau). Tuttavia non è detta con ciò l'ultima parola. È bene intanto fissare il punto cui è giunta l'indagine nell'area a noi meglio nota, l'Europa. Tutti gli studiosi che hanno preso in esame la zona e i dati europei, hanno spontaneamente ammesso che questi derivano da un unico fattore, sia esso costituito dagli Unni d'Attila che invasero l'Europa da oriente a occidente nel sec. V, come pensò il Retzius, sia dagli Avari invasori del sec. VIII, secondo von Baer, sia dai Cimmeriani, come preferisce il Broca, per metter d'accordo la cronologia, posto che i Macrocefali d'Ippocrate debbono riportarsi per lo meno al sec. VIII a. C. Memorabili discussioni s'accesero da queste discrepanze, ma per noi il loro senso non è così antitetico. Tanto i ritrovamenti di cranî, quanto le sopravvivenze medievali della deformazione e le contemporanee, come pure il graduale addensamento verso l'oriente finnico uralico e georgiano, ci indicano con chiarezza l'origine comune delle ondate successive, irradiate, in epoche diverse, da un medesimo tronco culturale, eminentemente scitico. Si può rimontare per breve tratto il corso di questa corrente, di là dal confine europeo. Dall'Asia Anteriore e Iranica una seconda corrente, recenziore, fa sentire anch'essa il suo influsso, attraverso le penisole meridionali, fino agli sbocchi fluviali del Mar del Nord. Di deformati circolari la uralica, di tabulari la asianica, si intersecano ad angolo retto nei pressi del massiccio alpino. Se poi vogliamo seguire le radici di entrambe, nel cuore del continente asiatico perdiamo, disgraziatamente, ogni guida. Nitido, invece, riappare l'affioramento dell'Asia orientale, dall'estremo orlo nordico alla punta malese. Già Daniele Wilson intuì che la cerchia mondiale delle deformazioni si trova circoscritta intorno alla culla dei nomadi Mongoli. Per ciò che riguarda la metà orientale dell'ecumene, è da segnalare che Sergio Sergi, non certo tenero verso le considerazioni storico-culturali della deformazione, affermò esplicitamente che questa si stende senza interruzione, attraverso il Pacifico, dalle coste dell'Asia a quelle dell'America. E infatti, partendo dall'Insulindia, ecco aprirsi la raggiera dei popoli deformatori Polinesiani, continuatori del figulino malese, sovrapponendosi, dove riuscirono a dominarla, all'estetica della cultura negroide. A questi tre nuclei, l'asiatico iperboreo, il melanesiano e il polinesiano, si mostra connessa la zona dei deformatori americani. In quanto all'unico popolo propriamente deformatore africano, i Mangbetu, alle origini del Nilo, molteplici fatti hanno già legato i suoi aspetti culturali all'Egitto antico.

Bibl.: P. Broca, Marche des Cimmériens Macrocéphales, in Bull. Soc. d'Anthrop., 1873; L. Capitan, Déformations craniennes dans l'art antique, ibid., 1895; E. Chantre, Recherches anthropologiques dans le Caucase, Parigi 1885; Delisle, Déformations artificielle du crâne, Parigi 1880; W. H. Flower, Fashion in Deformity, Londra 1881; L. A. Gosse, Essai sur les déformtions du crâne, Parigi 1855; Lenhossek, Künstliche Schädelverbindungen, Budapest 1881; P. Tppinard, Les dèformations ethniques, in Revue d'Anthrop., 1879; R. Virchow, Crania Ethnica Americana, Berlino 1892; D. Wilson, Prehistoric man, Londra 1876.

Nuovi studî: Backman, Antropologiska undersökningar, nell'opera del von Rosen sulla Bolivia, Stoccolma 1919; Hatt, Artificial Imoulding of the infant's head among the Lapps, in American Anthropologist, 1915; J. mbelloni, Sur un appareil de déformation du crâne des anciens Humahuacas, in Compte rendu XXIe Congrès Intern. des Américanistes, Göteborg 1924; id., Número de los tipos fundamentales á los que deben referirse las deformaciones craneanas, Buenos Aires 1925; id., Deformaciones intencionales del craneo en Sud América, Buenos Aires 1925; id., Intorno agli "incredibili" crani degli indiani Natchez, in Atti del XXII Congr. Internaz. degli Americanisti, Roma 1926; id., Kurze Notizen über neue Studien d. asbichtlichen Schädeformationen, in Anthropos, Mödling 1930; S. Sergi, Deform. e conserv. del cranio nelle Nuove Ebridi, in Riv. d'Antropol., Roma 1912.

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