Deittici

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

deittici

Anna-Maria De Cesare

Definizione

Il termine deittici indica un insieme eterogeneo di forme linguistiche – avverbi, pronomi, verbi – per interpretare le quali occorre necessariamente fare riferimento ad alcune componenti della situazione in cui sono prodotti. I deittici coinvolgono dunque due realtà diverse: una realtà linguistica, interna alle frasi, e una extralinguistica, esterna alle frasi (cfr. Lyons 1977; Vanelli 1992; Vanelli & Renzi 1995). L’es. (1) illustra alcuni deittici della lingua italiana:

(1) oggi io mangio qui con te e con lei!

Le forme sottolineate si riferiscono alle seguenti componenti della situazione discorsiva: chi parla (il pronome io), chi ascolta (te), quando (l’avverbiale oggi) e dove (il pronome qui) si svolge la comunicazione (Vanelli & Renzi 1995: 262).

L’interpretazione dei deittici dipende in particolare da un centro deittico (detto anche origo; Bühler 1934: 102 segg.), che è di solito il parlante. Tutte le espressioni deittiche sono infatti orientate verso questo punto di riferimento: in (1) il pronome io si riferisce al parlante stesso; il pronome te alla persona cui il parlante si rivolge; l’avverbio qui al luogo in cui si trova il parlante al momento dell’enunciazione; e l’avverbio oggi al momento in cui il parlante ha proferito le parole riportate in (1). Dato che il centro deittico coincide di solito con il parlante, nel corso di una conversazione, con il variare dei parlanti, varia tipicamente anche il punto di riferimento dei deittici.

Tipi di deittici

I deittici, nella lingua italiana ma anche in altre, possono essere suddivisi in due categorie. Da una parte, vi sono le espressioni intrinsecamente deittiche, come i pronomi io e te in (1), per la cui identificazione è necessario, in ogni loro occorrenza, il ricorso al contesto situazionale; dall’altra vi sono espressioni non intrinsecamente deittiche, come il pronome lei di (1), che richiedono il riferimento al contesto situazionale solo in certe loro manifestazioni. In (2), per es., non è necessario far ricorso al mondo extralinguistico per essere in grado di capire a chi si riferisce il pronome lei; basta infatti considerare il co-testo precedente, ovvero la frase pronunciata da EMA. In (2) il pronome lei funge dunque piuttosto da anafora (➔ anafora; ➔ anaforiche, espressioni):

(2) EMA: a parte / anche la tu’ mamma ...

LID: lei / faceva l’infermiera! (adattato da E. Cresti, Corpus di italiano parlato, presso l’Accademia della Crusca, Firenze 2000)

Sia le espressioni intrinsecamente deittiche che quelle non intrinsecamente deittiche richiedono, per essere interpretate in modo corretto, il riferimento al ➔ contesto. La differenza tra le due categorie di espressioni deittiche riguarda il tipo di contesto in gioco: il primo gruppo di deittici richiede necessariamente l’accesso al contesto situazionale; il secondo quello al contesto linguistico, ovvero al co-testo.

Tipi di deissi

Si distinguono tre tipi principali di deissi: personale, spaziale e temporale.

La deissi personale comprende le espressioni che fanno riferimento alle persone che partecipano alla comunicazione, innanzitutto al parlante e all’interlocutore; in italiano è iscritta, per es., nei pronomi possessivi (➔ possessivi, aggettivi e pronomi) e nei pronomi personali liberi e clitici di prima e di seconda persona singolare (io, mi, me; tu, ti, te) e plurale (noi, ci; voi, vi), così come nella flessione verbale delle forme corrispondenti.

Forme non intrinsecamente deittiche sono invece quelle della terza persona. Le espressioni sottolineate in (3) sono esempi di forme che manifestano la deissi personale:

(3) EMA: anche voi avete / delle Giulie ...

LID: Giulie // sì sì sì //

EMA: sì // eh // anch’io //

LID: la nonna / della mamma / mia / non lo so //

(adattato da E. Cresti, Corpus di italiano parlato, cit.)

La deissi spaziale si manifesta attraverso le espressioni che fanno riferimento al luogo in cui si trova il parlante nell’atto di comunicare. La deissi spaziale espressa dalla lingua è caratteristicamente anche accompagnata da gesti (segni della mano, movimenti della testa, ecc.); in italiano è espressa dagli avverbi qui, qua,, (intrinsecamente deittici) e dai pronomi e dagli aggettivi dimostrativi (questo e quello):

(4) I bambini sono qui / lì che giocano (Vanelli & Renzi 1995: 270)

(5) Questa / Quella stanza è troppo piccola (Salvi & Vanelli 2004: 328)

I deittici spaziali sottolineati in (4) e (5) non fanno solo riferimento al luogo in cui si trova il parlante. Indicano anche la distanza che separa l’entità alla quale si fa riferimento nella frase (i bambini, la stanza in questione) dal luogo in cui si trova il parlante: l’avverbio qui e il dimostrativo questo individuano un’entità che si trova in un luogo vicino al parlante; l’avverbio e il dimostrativo quello un’entità lontana dal parlante. In italiano, la deissi spaziale si manifesta anche attraverso verbi come andare e venire, che esprimono un’idea di movimento legata alla posizione del parlante (➔ movimento, verbi di):

(6) vieni / vai al mare?

Il verbo venire esprime un movimento che può essere compiuto verso o insieme al parlante. Il verbo andare indica un allontanamento dal parlante; il movimento può essere compiuto nella direzione opposta o in modo indipendente dal parlante.

Il sistema deittico spaziale dell’italiano contemporaneo standard è binario: la scelta del deittico spaziale (qui / qua o lì / là; questo o quello) dipende infatti solo dal luogo in cui si trova il parlante al momento dell’enunciazione e dalla distanza che lo separa dalla o dalle entità menzionate. Esistono però sistemi deittici più complessi, orientati sul parlante e sull’ascoltatore e sulla posizione degli oggetti rispetto al centro deittico (sotto / sopra, davanti / dietro, ecc.).

Nell’area italiana esistono diversi sistemi deittici ternari. Basta pensare al toscano, antico e moderno, che indica la posizione di un’entità sia rispetto al parlante che all’ascoltatore. Le forme orientate sull’ascoltatore sono gli avverbi costì / costà e il dimostrativo codesto. Il sistema ternario del toscano (antico e moderno: ➔ toscani, dialetti) può essere illustrato con l’opposizione tra i dimostrativi questa, quella e codesta:

(7) dammi questa penna (vicinanza rispetto al parlante)

(8) dammi quella penna (lontananza rispetto al parlante)

(9) dammi codesta penna (vicinanza rispetto all’interlocutore)

La deissi temporale riguarda le espressioni che fanno riferimento al momento dell’enunciazione; nella lingua italiana è espressa con gli avverbi di tempo ora, adesso, allora, ieri, oggi, domani, l’altro ieri, dopodomani, ecc., espressioni avverbiali contenenti un sintagma nominale di tempo, come fra tre giorni, due settimane fa, gli aggettivi temporali scorso, prossimo e gli aggettivi e pronomi dimostrativi questo e quello. Eccone alcuni esempi:

(10) adesso sta piovendo (Salvi & Vanelli 2004: 326)

(11) ci vedremo fra due settimane / la settimana prossima (Salvi & Vanelli 2004: 327)

(12) questa settimana ho molti impegni (Salvi & Vanelli 2004: 328)

Possono far riferimento al momento dell’enunciazione anche i cosiddetti tempi deittici, espressi dai morfemi verbali del passato, del presente e del futuro, che collocano gli eventi in una fase rispettivamente anteriore, simultanea o successiva al momento dell’enunciazione:

(13) a. pioveva (= prima del momento dell’enunciazione)

b. piove (= durante il momento dell’enunciazione)

c. pioverà (= dopo il momento dell’enunciazione)

Altri tipi di deissi

Accanto ai tre tipi di deissi menzionati – personale, spaziale e temporale – se ne riconoscono altri due: la deissi sociale, che può essere interpretata come un tipo particolare di deissi personale, e la deissi testuale (Fillmore 1975; Lyons 1977). La prima, illustrata in (14), serve a identificare il rapporto sociale (paritario o gerarchico) che lega tra loro i partecipanti alla comunicazione. In italiano essa si manifesta, per es., attraverso l’impiego del pronome allocutivo tu che si oppone alle forme Lei, Ella, Voi, Loro (le quali presentano importanti differenze regionali e di registro) (➔ allocutivi, pronomi; ➔ convenevoli; ➔ saluto, formule di):

(14) // allora / lei è residente a Firenze / signor Sartoni? (E. Cresti, Corpus di italiano parlato, cit.)

La deissi testuale (o del discorso o logodeissi) rappresenta invece un caso diverso. Essa è infatti legata non al contesto situazionale in cui avviene la comunicazione, bensì a quello del testo stesso, creato dalla lingua, ovvero al co-testo: è «un atto di riferimento ad una parte del discorso in corso («ongoing discourse»), ad un segmento o momento del discorso in atto» (Conte 1999: 13). In italiano si può esprimere attraverso le stesse espressioni che servono a indicare la deissi spaziale e la deissi temporale (cfr. qui,, più avanti, prima, dopo, questo e le forme supra e infra). Così, nell’esempio seguente, che coincide con l’inizio di una storia dello scrittore Sergio Tofano,

(15) Qui comincia l’avventura del signor Bonaventura (Conte 1999: 18),

il deittico spaziale qui non si riferisce né al luogo in cui si trova lo scrittore né al luogo in cui si trova il lettore. Qui rinvia al punto del testo in cui si trova il lettore quando legge il testo, cioè apre il libro, e lo scrittore quando inizia a raccontare la sua storia.

La deissi testuale si distingue anche dall’anafora (Bühler 1934; Conte 1999). Mentre la deissi testuale fa riferimento a un’entità del co-testo che non è ancora stata menzionata nel testo, l’anafora rinvia a un referente del co-testo che è necessariamente già stato evocato prima nel testo. La differenza tra deissi testuale e anafora può essere colta sulla base degli esempi seguenti:

(16) nel capitolo 2 abbiamo presentato i mammiferi. In questo capitolo parleremo dei rettili (deittico testuale: questo = il capitolo che stiamo leggendo, ovvero il capitolo 3)

(17) nel capitolo 2 abbiamo presentato i mammiferi. In questo capitolo, in particolare, abbiamo presentato le caratteristiche dell’uomo (anafora: questo = il capitolo 2)

Un cenno, per concludere, a un altro tipo particolare di deissi, colto con il termine generale di deissi fantasmatica (o Deixis am Phantasma; Bühler 1934: 173-192; Conte 1999). Questo si manifesta, per es., quando si usano espressioni i cui referenti non sono presenti nella situazione discorsiva o i cui referenti sono orientati verso un centro deittico diverso (modalità tipica del ➔ discorso indiretto). In (18), per es., il deittico spaziale qui si riferisce al luogo in cui si troverà l’interlocutore in un momento successivo a quello dell’enunciazione:

(18) svolta al prossimo incrocio, fai duecento metri e il cinema è subito qui [gesto con la mano] sulla destra (C. Andorno, Che cos’è la pragmatica linguistica, Roma, Carocci, 2005, p. 42).

L’espressione qui sulla destra non indica infatti «sulla destra del luogo in cui il parlante sta spiegando come si arriva al cinema in questione», ma «sulla destra dello spazio in cui l’interlocutore si troverà quando sarà giunto alla fine del percorso descritto dal parlante».

Studi

Bühler, Karl (1934), Sprachtheorie. Die Darstellungsfunktion der Sprache, Jena, G. Fischer (trad. it. Teoria del linguaggio. La funzione rappresentativa del linguaggio, Roma, Armando Editore, 1983).

Conte, Maria E. (1981), Deissi testuale e anafora, in Ead., Condizioni di coerenza. Ricerche di linguistica testuale, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1999, pp. 11-28 (1a ed. in Sull’anafora. Atti del seminario dell’Accademia della Crusca (14-16 dicembre 1978), Firenze, Accademia della Crusca, pp. 37-54.

Fillmore, Charles J. (1975), Santa Cruz Lectures on deixis: 1971, Bloomington (Indiana), Indiana University Linguistics Club.

Lyons, John (1977), Semantics, Cambridge, Cambridge University Press, 2 voll.

Salvi, Giampaolo & Vanelli, Laura (2004), Nuova grammatica italiana, Bologna, il Mulino.

Vanelli, Laura (1992), La deissi in italiano, Padova, Unipress.

Vanelli, Laura & Renzi, Lorenzo (1995), La deissi, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi & G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 3° (Tipi di frasi, deissi, formazione delle parole), pp. 261-375.

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