DEL CARRETTO, Carlo Domenico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DEL CARRETTO, Carlo Domenico

Tiziana Bernardi

Noto come marchese del Finale e in seguito come cardinale del Finale o cardinal Finario, svolse un'intensa attività diplomatica tra la corte pontificia e il re di Francia fra gli ultimi anni del sec. XV e il 1514, anno della sua morte.

Le notizie pervenuteci si riferiscono pressoché esclusivamente a questo, periodo, lasciando nell'ombra quasi un trentennio della sua vita. La sua nascita infatti si deve porre dopo il 1451 (1453, secondo G. M. Filelfo, La guerra nel Finale, a cura di Pinea, Genova 1979, p. 154), anno in cui il padre, Giovanni I, marchese del Finale, sposò Viscontina di Barnaba Adorno, allora sedicenne. Il D. era terzogenito.

Non abbiamo notizie sulla sua formazione, ma è certo che dovette essere indirizzato fin dalla giovinezza alla carriera ecclesiastica. Nel 1489 infatti, quando venne eletto arcivescovo di Cosenza, era protonotario apostolico. È quest'ultimo incarico, più che la nomina arcivescovile, che ci permette di individuarlo fin dall'inizio innanzi tutto come uomo di corte. A questo periodo romano, su cui non abbiamo notizie, si deve attribuire la sua prima formazione diplomatica o almeno l'acquisizione di quell'esperienza delle cose di corte che metterà al servizio del futuro Luigi XII quando alla fine del 1491, rinunciato all'arcivescovato di Cosenza, si recherà in Francia.

Anche su questo periodo, se si esclude la nomina ad abate del monastero benedettino di S. Croce a Bordeaux (1500-1513; cfr. Gallia christiana, 1715-85, II, col. 865), non ci sono notizie; è certo però che il D. riuscì ad imporsi a corte e ad acquistare credito presso Luigi XII, che se ne servì "in molte gravissime imprese e in diverse legationi importanti" (Sansovino, c. 206v). È l'unica vaga informazione che i contemporanei ci offrono del periodo francese e questo ci fa pensare che la sua attività dovette essere strettamente limitata alla Francia e che in Italia, se si esclude il fallito tentativo di impadronirsi del feudo di Finale (assegnato nel 1496 da Massimiliano al fratello Alfonso e del quale il D., servendosi del fratello Luigi, mantenne il controllo fino al 1506), fosse pressoché sconosciuto.

Questa ipotesi è avvalorata dal fatto che, quando per la prima volta il D. venne mandato in Francia come nunzio pontificio, l'ambasciatore veneziano ritenne opportuno presentarlo al Senato: "questo marchexe di Final orator dil papa, è zenoese; avia l'abatia in Verona qual el papa l'à da al cardinale reginense, et è questo arcivescovo di Tebe; et par il papa lo operi, e spera aver un capelo (Sanuto, V, col. 744).

Nel dicembre 1503, quindi, il D. è a Roma dove riceve dal pontefice l'incarico di convincere il re di Francia ad offrire il suo appoggio per far ritornare a Genova Battistino di Fregoso sottraendo così la città a un possibile protettorato spagnolo. Ma soprattutto suo compito era sollecitare aiuti dal re di Francia per recuperare le terre pontificie in Romagna e, a questo scopo, proporre una lega anti-veneziana con l'imperatore, il re di Spagna ed altri principi.

L'ambasciatore veneto in Francia ne registra l'arrivo a Lione, dove si trovava la corte, il 12 genn. 1504 ed è attraverso le sue relazioni al Senato veneziano che possiamo intravvedere l'azione diplomatica del D., ritenuta dall'ambasciatore veneziano poco efficace e poco preoccupante per Venezia. Luigi XII infatti aveva rassicurato il diplomatico veneto affermando di essere pronto ad usare in favore dei Veneziani l'ascendente che aveva sul marchese del Finale che "è suo amicho e praticho e lui l'à fato marchexe" (Sanuto, V, col. 787). Secondo l'ambasciatore veneto, quindi, il D. è troppo legato al re di Francia per poter agire con maggiore incisività a favore del pontefice e si limita ad inviare a Roma lettere ricche di speranze.

Giulio II comunque, attese con ansia il suo arrivo e alla fine di aprile, quando il D. ritornò a Roma per riferire al pontefice lo stato delle trattative col re di Francia, il pontefice gli confermò l'incarico. Così il 14 maggio 1504 il D. ricevette dettagliate istruzioni per proporre una lega tra il pontefice, il re di Francia e Massimiliano e quindi il 16 maggio partì da Roma alla volta della corte francese.

Nello stesso giorno Giulio II scrisse una lettera alla regina Anna di Bretagna, per comunicarle di aver inviato il D. come suo ambasciatore al re. Con questa legazione, fornito di ampie credenziali e investito di nuova autorità, il D. diventò un importante ambasciatore della S. Sede in Francia.

L'incarico affidatogli dal pontefice appariva molto arduo e, secondo il Giustinian, il D. era partito da Roma "con poca fiducia che le cose si concludano presto e secondo il piacere di questo [Giulio II]" (Giustinian, III, p. 99). In effetti l'obiettivo di Giulio II si realizzò pienamente solo cinque anni più tardi, con la ratifica della lega di Cambrai; ma già alla fine di settembre, col trattato di Blois, si era compiuto un importante passo avanti e così, quando ai primi di novembre il D. ritornò a Roma portando con sé i capitoli del trattato, venne accolto con favore da Giulio II, che mostrò chiaramente di approvare l'operato.

Il 24 novembre 1504 il D. fu mandato a Milano per incontrare l'arcivescovo di Rouen, il card. George d'Amboise, con cui doveva recarsi in Germania per ratificare i capitoli della lega e convincere l'imperatore a scendere in guerra contro Venezia in difesa dello Stato pontificio. Aveva con sé brevi di Giulio II che ingiungevano ai principi tedeschi di consegnare a Massimiliano il denaro raccolto per il giubileo affinché: se ne servisse per radunare l'esercito. Il D. però non incontrò il cardinale d'Amboise a Milano ma in Francia, a corte, dove giunse il 22 genn. 1505 e si trattenne fino a marzo. Il 10 aprile, insieme con l'arcivescovo di Rouen, giunse in Germania per ratificare il trattato concluso a Blois e a Trento. In maggio era di nuovo in Francia dove continuava a sollecitare un attivo intervento di Luigi XII in Italia.

Gli accordi presi a Blois, infatti, non si mettevano in atto e anzi si stava profilando una seria rottura fra il pontefice e Massimiliano; nell'estate del 1505 inoltre, i rapporti tra la Francia e lo Stato pontificio si fecero tesi per contrasti sorti sul conferimento di alcuni benefici ecclesiastici. In agosto quindi, il D. ritornava a Roma, dove Giulio II lo attendeva con ansia, desideroso di dissipare al più presto i malumori della Corona francese.

Il progetto di Giulio II si stava realizzando, anche se molto lentamente, ed è forse per dargli nuovo impulso che il pontefice decise di nominare cardinale il D., consapevole, come scrive nella lettera inviata a Luigi XII il 1° dic. 1505, "quod maiestati tuae gaudio esse". Il D. infatti, al di là degli incarichi pontifici, rimaneva legato al re di Francia che continuava a considerarlo un proprio ambasciatore presso il pontefice. Il suo ruolo perciò fu quello del mediatore fra la S. Sede e la Corona di Francia, un compito che l'Amboise, chiaramente ostile a Giulio II, non poteva svolgere.

Nel 1506, quando, fuggito il Bentivoglio da Bologna, sembrava che i Francesi volessero entrare in città con la forza, il D. fu inviato dal pontefice al campo francese per convincere il loro generale, Chaumont, a non entrare in città. L'11 novembre il D. entrava a Bologna al seguito del pontefice.

Nella primavera del 1507 scoppiarono tumulti a Genova e il D. ricomparve come intermediario del re di Francia sollecitando i Genovesi "con spessi messi e lettere, a rimettersi nella volontà sua [di Luigi XII] dando loro speranze di conseguire facilmente venia e tollerabili condizioni" (Guicciardini, II, p. 663). Il 29 aprile entrò in Genova al seguito del re e qui rimase fino alla fine di maggio quando, insieme al cardinal d'Amboise, si recò a Milano dove si trovava Luigi XII con la corte. Quindi ritornò in Francia, dove fu nominato arcivescovo di Reims (ottobre 1507). Nell'anno seguente, trascorso probabilmente alla corte francese, il D. fu nominato arcivescovo di Tours (carica che mantenne fino al 1512 quando passò all'arcivescovato di Cahors (Gallia christiana, 1715-85, I, col. 147), ricevendo così un'ulteriore conferma della benevolenza di Luigi XII.

Nel 1509, quando in seguito al trattato di Cambrai Luigi XII scese in Italia, il D. fu fra i principali dignitari del suo seguito e, dopo Agnadello, fu nominato dal re suo governatore per la provincia di Brescia, carica che comportava il controllo militare della città e del suo territorio alle dirette dipendenze del re e del luogotenente regio, il cardinale d'Amboise. Il D. tuttavia continuò a seguire la corte, prima a Cremona e poi a Milano, esercitando il governatorato attraverso un suo personale auditore, Bonifacio Della Valle; egli intervenne personalmente, insieme al Trivulzio, solo nel luglio del 1509 quando in città scoppiò una grave rivolta antifrancese.

Il D. sembrava ormai essere uno dei personaggi più vicini a Luigi XII e, quando nel novembre del 1510 il papa si ammalò gravemente, cominciarono a circolare le prime voci secondo cui il re di Francia "voleva dito Final papa" (Sanuto, XI, col. 634).

Un'ipotesi che per il momento ha ben poco credito; ma non sarà più così alla morte di Giulio II. Nel 1511 infatti, Luigi XII aveva tentato di rispondere al mutamento di fronte del pontefice portando il conflitto anche sul piano religioso, con la convocazione del concilio scismatico di Pisa. Il D. è citato fra i promotori del concilio, ma egli se ne dissociò pubblicamente schierandosi dalla parte del pontefice. Una scelta felice che da una parte gli permise di acquistare nuovo credito e fama di difensore della Chiesa e dall'altra non comportò nessuna rottura con Luigi XII. Così, alla morte di Giulio II, fu un osservatore veneziano, Vettore Lippomano, a porre il D. fra i papabili, insieme al Grimani e a Giovanni de' Medici, soggiungendo però che "è tuto del re di Franza, e questo li darà addosso" (Sanuto, XVI, col. 19). Il D. infatti comparve solo nel primo scrutinio, in cui ottenne cinque voti.

Dopo l'elezione di Leone X sembra che il D. non abbia più lasciato la corte pontificia; è certo comunque che vi si trovava alla fine del dicembre 1513 quando giunse a Roma la notizia dell'elezione del fratello Fabrizio a gran maestro dell'Ordine di Rodi. Morì a Roma il 15 ag. 1514, dopo lunga malattia, lo stesso giorno in cui il papa, accogliendo la sua richiesta, trasferiva i suoi benefici a un fratello minore. Fu lo stesso Leone X a comunicare la morte al fratello Fabrizio, tessendone l'elogio.

Fonti e Bibl.: P. Bembo, Epistolarium Leonis Decimi..., Basileae 1539, VII, p. 341; Lettres du roi Louis XII et du cardinal d'Amboise, III, Bruxelles 1712, pp. 24, 247, 248, 253 s.; IV, ibid. 1712, pp. 61, 69, 344; A. Giustinian, Dispacci... (1502-1505), a cura di P. Villari, Firenze 1876, II, pp. 363 s., 375; III, pp. 81, 90, 92, 99, 269, 288, 291, 310, s., 440, 491 ss., 534; M. Sanuto, Diarii, II, V-IX, XI-XVI, Venezia 1879-1887, ad Indices; B. Senarega, De rebus Genuensibus commentaria ab... 1488 usque... 1514, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIV, 8, a cura di E. Pandiani, pp. 114 ss., 143, 173; G. Priuli, Diari, ibid., XXIV, 3, a cura di A. Segre, p. 111; F. Guicciardini, St. d'Italia, Torino 1971, II, pp. 663, 856, 948, 1045 s., 1050; L. Alberti, Descrittione di tutta l'Italia..., Bologna 1550, c. 11v; U.Foglietta, Degli uomini chiari della Liguria, Genova 1579, f. 93; F. Sansovino, Della origine e dei fatti delle famiglie illustri d'Italia, Vinegia 1582, cc. 206-207; G. Marulli, Vite de' gran maestri…, Napoli 1639, p. 616; A. Oldoini, Athenaeum Romanum, Perusiae 1676, III, pp. 166 s.;G. B. Brichieri Colombo, Tabulae geneal. gentis Carrettensis..., Vindobonae 1741, tab. XIV., p. 70; A.Caprioli, Delle historie della città di Brescia [1774], Bologna 1976, XIV, p. 243; F. Odorici, I congiurati bresciani del 1512..., in Raccolta di cronisti e docum. storici lombardi ined., II, Milano 1857, pp. 27 s.; Id., Storie bresciane, IX, Brescia 1860, pp. 35, 47; Q. F. Dumesnil, Histoire de Jules II ..., Paris 1873, p. 338; G. A. Silla, Il Finale dalle sue origini all'inizio della dominaz. spagnola, Finalborgo 1922, pp. 139, 141, 149 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, III, Roma, 1925, pp. 11 s., 15; F. Ferrat, L'opera diplomatica pontificia, Grotta di Castro 1940, pp. 26, 99; C. Pasero, Francia, Spagna, Impero a Brescia, Brescia 1958, pp. 99 s.; C. Robertus, Gallia christiana, Lutetiae Parisiorum 1626, pp. 286 n. 50, 137 n. 79, 168 n. 93; Gallia christiana, Parisiis 1715-85, I, col. 147; II, col. 865; IX, col. 45; XIV, coll. 131 s.; F. Ughelli-M. Coleti, Italia sacra, Venetiis 1721, col. 257 n. 41; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica..., III, Monasterii 1923, p. 11.

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