DEL CARRETTO

Enciclopedia Italiana (1931)

DEL CARRETTO

Vito Antonio Vitale

CARRETTO Dalla vecchia marca aleramica, spezzatasi in più marchesati intorno alla metà del sec. XII, derivò tra gli altri il ramo dei marchesi di Savona. Di fronte alla sempre più minacciosa espansione comunale, il maggiore di quei signori, Enrico, nella speranza di rassodare il proprio dominio col favore imperiale, riparò alla corte del Barbarossa e come suo plenipotenziario concluse e sottoscrisse la pace di Costanza. Uomo di grande autorità e valore, ebbe il soprannome di Werth, latinizzato in Wercius o Guercius e tradotto dagl'Italiani in Guercio. Enrico il Guercio fu appunto il capostipite della casa D. C.: i suoi due figli Enrico II e Ottone si divisero alla morte di lui i dominî; ma Ottone, che aveva avuto il possesso di Savona, vide svanire il suo potere sulla città erettasi a comune e, anche per opera del fratello Ambrogio che ne era vescovo, rinunciò a tutti i diritti feudali, conservando solo il titolo nominale di marchese di Savona; mentre il fratello Enrico II, cui erano spettati i marchesati di Noli e Finale, riuscì a metter radici nei nuovi dominî, fondandovi uno staterello che durò circa tre secoli e mezzo. Dal castello presso Cairo pare venisse ai due fratelli il titolo Del Carretto passato ai successori.

Le vicende della casa si compendiano nelle relazioni, ora amichevoli ora ostili, con Genova, dai dominî della quale il Finale si trovò interamente circondato, massime quando Savona fu dominata dalla città principale e sotto la protezione di questa Noli costituì un piccolo comune indipendente. Vittime della politica espansionista genovese, i D. C., forzatamente amici e costretti a militare per Genova, tentarono alla prima occasione la riscossa ed Enrico II fu l'anima della ribellione della Riviera, appoggiata anche da Federico II; ma, vinto, dovette sottomettersi. Iacopo, suo figlio, nel periodo più acceso della lotta tra Genova e l'imperatore, fu dal 1239 alla testa dei ghibellini e delle città insofferenti del dominio genovese, finché, morto Federico, nel febbraio 1251, venne nuovamente a patti col comune. I rapporti continuarono amichevoli per qualche tempo e la famiglia visse in pace nel suo dominio, mandando taluno dei suoi anche fuori a uffici e podesterie, come Obizzo, guerriero e politico della fine del sec. XIII e podestà di Milano, che ebbe in moglie una sorella di Adriano V Fieschi; Manfredino, che fu capitano del popolo a Genova nel 1315; Giorgio, governatore di Siena per i Visconti. Coi nipoti di questo, Aleramo ed Emanuele, si riprende la guerriglia con Genova; la pace conchiusa per mediazione di Aimone di Savoia fu presto rotta e il doge Gabriele Adorno mandò a combattere i D. C. Francesco Embriaco, che, dopo averli vinti, fece costruire, a garanzia di Genova, la fortezza di Castelfranco dominante la città (1365). La posizione stessa del marchesato lo rendeva pericoloso per la repubblica, politicamente come rifugio naturale dei suoi interni nemici e punto di appoggio per gli esterni, ed economicamente come centro di vasto contrabbando con gli stati vicini, specialmente per il sale. Di qui la mira costante di Genova ad affermare la propria sovranità sul marchesato, alla quale i D. C. tentavano sottrarsi, affermando la propria dipendenza dall'autorità suprema dell'Impero, o destreggiandosi tra le fazioni genovesi. Nelle complesse vicende del sec. XV i D. C. parteggiarono in genere per gli Adorno e gli Aragonesi contro i Fregoso e gli Angioni, mirando soprattutto ad approfittare di quel trambusto per allargare i proprî dominî: così Galeotto, mentre con l'aiuto di navi aragonesi predava le galere di Genova, s'impadroniva di Noli e di altre terre. Ma, nonostante la valorosa difesa sua e del fratello Giovanni, fu vinto da Pietro, cugino dei dogi Giano e Lodovico Fregoso, che abbatté anche il Castel Gavone. Con esempio nuovo, Galeotto e tutti gli abitanti del Finale furono spogliati degl'interessi dei capitali che avevano depositati al Banco di San Giorgio. L'aspra guerra terminò nel 1451, mediante un compromesso con Giovanni, che, succeduto al fratello, parteggiò sempre per le aspirazioni e la signoria degli Sforza su Genova, e poté conservare il dominio sino alla morte. Alfonso I, suo figlio e successore, invitato a riconoscere l'autorità feudale della repubblica, ricusò; e, nel 1496, ebbe dall'imperatore Massimiliano, che lo nominò anche suo vicario, l'investitura dello staterello con diritto anche a batter moneta. Il marchesato veniva così a dipendere feudalmente dall'Impero anziché dalla repubblica. Con questa tuttavia Alfonso I ebbe cordiali rapporti; fu anzi suo capitano in Corsica contro gl'insorti comandati da Gian Paolo de Leca. Durante la sua assenza, il fratello Carlo Domenico, vescovo d'Angers, elevato alla porpora cardinalizia da Giulio II, riuscì a togliergli il marchesato mettendovi invece al governo in proprio nome l'altro fratello Luigi; ma Alfonso, con l'aiuto di Genova, riuscì a ricuperare lo stato nel 1506. Carlo Domenico, conosciuto col nome di cardinale del Finale, servì il re di Francia Luigi XII e morì nel 1516; molto celebrato fu l'altro fratello Fabrizio, cavaliere ed eroico difensore di Rodi nel 1480, gran maestro dell'ordine nel 1513, morto nel 1521.

Dei figli di Alfonso I e Peretta Usodimare Cybo, nipote di Innocenzo VIII, furono notevoli Giovanni II, succeduto al padre nel marchesato, e Marcantonio che fu adottato da Andrea Doria quando questi, morto Alfonso, ne ebbe sposato la vedova; la figlia di lui Zenobia sposò poi Gian Andrea Doria, il nipote prediletto dell'Ammiraglio. Giovanni II morì nel 1535 a soli 33 anni, di ferita riportata nell'impresa di Tunisi con Carlo V; da Ginevra Bentivoglio aveva già avuto cinque figli: Alfonso II che gli successe nel marchesato, Alessandro primo abate di Buonacomba e poi vicario imperiale perpetuo e marchese del Finale, Fabrizio, cavaliere di Rodi, Sforza Andrea ultimo marchese e Ippolita moglie di Francesco di Sangro duca di Torre Maggiore. Il governo esoso e tirannico di Alfonso determinò un'insurrezione dei sudditi che provocò un'assai lunga e complicata vertenza diplomatica e militare, con intervento di Genova, della Spagna e dell'Impero. Spogliato dei suoi stati nel 1558, Alfonso, che era frattanto passato a servizio dell'imperatore, combatté valorosamente in Ungheria contro i Turchi; mutato specialmente l'atteggiamento di Genova nei suoi riguardi, stava per riottenere l'avito dominio, quando morì nel 1583. I tre fratelli si succedettero allora più nell'affermazione dei diritti che nel possesso effettivo, finché Sforza Andrea, stanco di quella lite inesauribile, il 18 maggio 1598 vendette il Finale alla Spagna, con gran delusione e disgusto di Genova, che lo ricomprò dall'imperatore Carlo VI soltanto nel 1713. Estinto il ramo principale, la famiglia continuò coi discendenti di Giovanni Alberto, signore di Gorzegno, cugino e già vicario di Alfonso II, e con altri rami minori, sparsi in piccoli feudi del Monferrato. A uno di questi rami appartenne il Galeotto. Ad altro ramo appartenne Filippo D. C. di Camerano, nato nel 1759, educato all'arte militare nella Prussia di Federico II, caduto il 15 aprile 1796 difendendo eroicamente coi suoi granatieri contro i Francesi l'avito castello di Cosseria, cantato dal Carducci nella Bicocca di San Giacomo.

Bibl.: I. Scovazzi e F. Noberasco, Storia di Savona, I e II, Savona 1926-27; E. Marengo, Alfonso II Del Carretto e la Repubblica di Genova, in Atti della Società ligure di storia patria, XLVI (1915), fasc. 2°; A. Brignole Sale, Elogio di Fabrizio Del Carretto (il gran maestro dell'ordine di Rodi), in Elogi di Liguri illustri, Genova 1846; G. Roberti, Filippo Del Carretto di Camerano, in Rivista militare, 1902-03.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

TAG

Fabrizio del carretto

Repubblica di genova

Banco di san giorgio

Cavaliere di rodi

Gian andrea doria