DELLA ROVERE

Enciclopedia Italiana (1931)

DELLA ROVERE

Giuseppe Castellani

. La famiglia Della Rovere cominciò a fiorire con Francesco, nato nel 1414 da Leonardo della Rovere di Savona, di umile condizione, poi papa col nome di Sisto IV (v.) che fece salire a potenza e ricchezza i suoi congiunti, con matrimonî cospicui, con benefizî ecclesiastici e con l'infeudazione di terre e luoghi della Chiesa. Si volle poi nobilitare l'origine della famiglia, facendola discendere da un ramo dei Della Rovere di Torino, conti di Vinovo, dei quali assunse anche lo stemma di azzurro alla rovere d'oro sradicata. Dei figli di Raffaele, fratello di Sisto IV, Leonardo sposò una figlia naturale del re di Napoli Ferrante ed ebbe il ducato di Sora (1472); Giuliano fu fatto cardinale e divenne poi papa (v. Giulio 11); Bartolomeo ebbe il vescovato di Ferrara; Giovanni (1457-1801) ebbe la signoria di Senigallia e del vicariato di Mondavio, per potere sposare da pari a pari Giovanna di Montefeltro, figlia di Federico duca d'Urbino; fu fatto poi prefetto di Roma e capitano generale della Chiesa e succedette al fratello nel ducato di Sora. Tranne i due pontefici, fu il primo della famiglia ad avere propria signoria; le opere fatte a Senigallia e l'affetto dei sudditi che lo aiutarono contro il Valentino attestano che, come il suocero e il cognato, fu buon principe.

Lasciò tre figlie e un figlio, Francesco Maria (1490-1538), che fu allevato alla corte di Urbino dallo zio Guidobaldo I di Montefeltro, che lo fece erede del ducato (1508). Quasi sempre lontano dallo stato, per le guerre cui prese parte come capitano generale dei Veneziani, poco poté attendervi se non per curarne le fortificazioni e l'ordinamento delle milizie. (v. Francesco Maria della rovere, duca di Urbino). Morendo, il 20 ottobre 1538, egli lasciò tre figlie nobilmente accasate e due figli: Giulio (1533-1578), che fu cardinale e arcivescovo di Ravenna e Guidobaldo II (1514-1574) che gli successe nello stato. Avendo sposato Giulia Varano, ebbe per qualche tempo il ducato di Camerino, che però dovette cedere a Paolo III nel 1539; passò a seconde nozze con Vittoria Farnese; fu fatto governatore delle armi della repubblica di Venezia, ma non prese parte ad alcuna guerra. Tenne corte ricca e assai dispendiosa a Pesaro, per cui dovette gravare la mano sui sudditi che, specialmente quelli della parte montana, avvezzi al governo patriarcale dei Feltreschi, si ribellarono, trovando che egli veniva meno alle promesse, e così furono troncati i mutui affettuosi rapporti fra principe e popolo, durati fino allora. I sudditi vollero ricorrere per far valere i patti giurati, ma trovarono accoglienza subdola e ostile: gli ambasciatori vennero imprigionati e ben nove di essi caddero sotto il carnefice; tutti ebbero i beni confiscati. Questa crudeltà non necessaria macchiò la vita e il governo di Guidobaldo, che i Pesaresi chiamarono signore e padre, ma che non fu tale per gli altri, specialmente per gli Urbinati. Gli successe Francesco Maria II (1548-1631), migliore assai di lui, per quanto la lunga dimora alla corte di Spagna l'avesse reso di carattere cupo e sospettoso; egli trovò temperamento nella cultura umanistica e filosofica, nella quale per qualche tempo ebbe condiscepolo il Tasso. Era stato valoroso combattente alla battaglia di Lepanto sulla capitana di Savoia. Asceso al principato, cercò di rimediare alle malefatte paterne, abolendo le nuove gabelle, cagione di tanto male, licenziando i ministri invisi al popolo e poco onesti, commisurando le spese alle entrate per poter chiudere le falle prodotte dalla spensierata larghezza del padre. Dalla prima moglie Lucrezia d'Este non ebbe figli, e, secondando il desiderio espresso dei popoli, prese in seconda moglie Livia della Rovere (1585-1641), figlia di Ippolito, bastardo del card. Giulio, dalla quale ebbe il desiderato figlio, Federico Ubaldo (1605-1623), che però non corrispose alle speranze concepite. Il padre, ormai vecchio, volle cedere a lui, che aveva sposato Claudia de' Medici, il govermo dello stato dandogli ottimi consigli a voce e in iscritto, resi inutili dall'indole scapestrata del giovane. Dopo la sua morte improvvisa, Urbano VIII, volendo assicurarsi la devoluzione del ducato, amareggiò con sempre nuove pretese gli ultimi anni di Francesco Maria, che finalmente consentì a una quasi totale abdicazione del governo, fin dal 1625 esercitato da un prelato romano, riservata a lui una certa ingerenza, della quale però poco si valse, chiudendosi in pratiche religiose e negli studî filosofici, finché venne a morte il 28 ottobre 1631, ultimo della dinastia, mentre dei beni allodiali rimase erede Vittoria (1622-1695), figlia di Federico Ubaldo, divenuta poi granduchessa di Toscana.

Bibl.: P. Litta, Le famiglie nobili italiane, X; C. Marcolini, Notizie storiche della provincia di Pesaro e Urbino, 2ª ed., Pesaro 1883; R. Reposati, Della zecca di Gubbio e delle geste de' signori della Rovere, II, Bologna 1773; F. Ugolini, Storia dei conti e duchi di Urbino, II, Firenze 1859.

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