DELLA ROVERE

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA ROVERE

Giovanni Romano

Famiglia di pittori e miniatori torinesi, attivi nella prima metà del sec. XVII, che non risulta in rapporto di parentela con i fratelli Giovan Battista e Giovan Mauro Della Rovere, meglio noti con il soprannome di Fiamminghini.

Gerolamo, figlio di Ambrogio, è documentato dal 1605; fece testamento il 13 giugno 1634 e morì prima del 3 luglio 1638 quando il suo privilegio di miniatore e pittore ducale delle immagini della Sindone passò a Giovanni Grattapaglia (Schede Vesme, pp. 405, 543 s.). Il primo pagamento in suo favore, del 1605, da parte della Tesoreria generale del ducato sabaudo, riguarda "sedeci quadri a olio posti nelle stanze di Sua Altezza al Viboccone", di cui si sono perse le tracce, dopo la distruzione totale del Viboccone stesso (ibid., p. 405).

È importante però segnalare che nello stesso anno lavorava al Viboccone il pittore Guglielmo Caccia e che, negli anni 1603-1604,vi era intervenuto Antonino Parentani. È naturale immaginare che i caratteri stilistici delle opere iniziali di Gerolamo, finora non identificate, debbano essere affini a quelli, ben noti, appunto del Parentani e del Caccia.

Già il 1° giugno 1606 il duca Carlo Emanuele I di Savoia aveva garantito a Gerolamo e ai "suoi figlitioli" il privilegio di riprodurre l'immagine della Sindone "in piccolo volume miniata e in stampa sopra seda, tela et carta", e di questo privilegio (confermato il 27 maggio 1616) il pittore si varrà ampiamente nel corso di tutta la vita, come risulta da una imponente serie di pagamenti che talvolta descrivono in dettaglio questa speciale produzione: "ritratti miniati del Ss. Sudario", "Sudarij dipinti e miniati con oro et argento"; "con figure e misteri di Passione", con "una Madonna dipinta et due angioli che tengono il Sudario", o "con due angioli che tengono il Sudario et un cherubino in mezzo" (ibid., pp. 405 ss.). Simili descrizioni saranno utili per identificare l'attività miniatoria di Gerolamo e della sua bottega a gestione familiare. Tra i numerosi pagamenti della corte assume particolare interesse quello del 31 ott. 1620, sia per l'entità (oltre 256 ducatoni), sia per le precisazioni sui lavori forniti: "un messale nel qual ha fatto diverse miniature differenti della Passione di Nostro Signore grandi et piccole ... l'opere delle Cascie del Stradan ... miniate con varii frisi attorno ... tutti gl'habiti delli imperadori che sono stati al mondo et tutti gl'habiti degl'huomini del mondo, con altre carte di paesi miniati ... alcune miniature fatte in alcuni libri ... un ventaglio" (ibid., p. 406). Un repertorio esteso, come si vede, che bene corrisponde ai gusti collezionistici del committente, Carlo Emanuele I, e che documenta rapporti culturali e di stile con la corte fiorentina (attraverso il lavoro sulle Caccie di G. Stradano). È in particolare significativa la citazione del messale miniato perché ha consentito di identificare, in un codice della Biblioteca reale di Torino (Varia 167.1), una derivazione diretta di quell'archetipo di lusso (Bo, 1978-79), che stilisticamente si adatta bene a quanto possiamo immaginare sul conto di Gerolamo D. (un manierismo di radice romana, vagamente riformato e corretto, intermedio tra gli estri del Parentani e la linea più composta del Moncalvo).

Alle miniature di quel codice si avvicinano stilisticamente la piccola tempera su seta della Galleria Sabauda di Torino (cat. n. 149), già attribuita a Giovanni Battista, figlio di Gerolamo (Viale, 1931), raffigurante la Sepoltura del Cristo e tre angeli che reggono il Sudario,cuivanno aggiunte la tempera su seta del Museo Poldi Pezzoli a Milano (inv. n. 3373, dono di Paolo Cornaggia Medici), con la Vergine addolorata e due angeli che reggono il Sudario,e infine la xilografia riprodotta sul frontespizio del volume Tesoro celeste in discorsi morali sopra la S. Sindone,del padre Giovanni Francesco da Sospello, pubblicato a Torino nel 1625. Di qualità assai più alta è la grande miniatura in pergamena con il Trasporto angelico della Sindone da Chambéry a Torino,conservata nella cappella interna del castello di Racconigi (inv. n. 2015/895), forse meglio avvicinabile al Parentani.

Il gruppo di opere così riunito è sufficientemente omogeneo e costituì un modello imitato (lo si constata in una tela con la Sindone del convento di S. Domenico a Chieri, attribuibile a Giovanni Crosio), ma resta incerto il riferimento al solo Gerolamo. Fin dalla conferma ducale del 1616 sono infatti citati come suoi collaboratori i figli, due dei quali, Pietro Francesco e Giovanni Battista, svolsero sicuramente attività di pittore e miniatore: agli eredi di Gerolamo viene nuovamente confermato il privilegio del padre ancora il 23 marzo 1640, annullando quindi le concessioni al Grattapaglia e, il 27 ottobre 1639, a Michele Fruttero (Schede Vesme, p. 485).

A PietroFrancesco, noto dal 1625 (se non si tratta di una omonimia), sono pagati nre ritratti del Ss. Sudario" nel 1650, e ancora più fitte sono le notizie su GiovanniBattista (Schede Vesme, pp. 406 s.). Nel luglio 1621 il cardinal Maurizio di Savoia lo richiamò da Roma, dove era forse per motivi di studio (come risulta esservi stato il fratello Pietro Francesco): il documento è erroneamente riferito dal Vesme (ibid., p. 407) a Giovanni Battista detto il Fiamminghino; è firmato e datato "Io. Bapta de Ruere Taurinensis faciebat 1625" un S. Sebastiano,su tela, a più che mezza figura, conservato in una collezione privata di Alba, ma che proverrebbe da Monteu Roero; una firma analoga, "Io. Bap. de Ruere taur. faciebat 1627", compare su uno straordinario dipinto emblematico già in S. Francesco d'Assisi a Torino e ora depositato nella locale Galleria Sabauda, il cui soggetto sarebbe, a detta del Bartoli (1776), "la fine della vita umana". Il titolo può reggere come allusione alle simbologie funerarie del dipinto che, con tutta probabilità, è quanto resta di qualche apparato funebre di ispirazione gesuita (si tenga presente che proprio il cardinale protettore dei gesuiti, Maurizio di Savoia.1 raccomandava il 24 maggio 1628 Giovanni Battista al residente di Savoia presso la corte papale).

Lo stile del dipinto è più lombardo che romano (si avvicina all'area del Cerano e del Morazzone, ben noti a Torino), e non è escluso che ne sia ispiratore Emanuele Tesauro, protetto anche lui del cardinal Maurizio. Si tenga conto del fatto che il Tesauro fu il responsabile iconografico degli apparati milanesi per le cerimonie funebri in memoria di Filippo III di Spagna (7 giugno 1621) e non è escluso che gli spettasse la stessa funzione per gli analoghi apparati nel duomo di Torino.

Certo è che per le cerimonie torinesi furono pagati Filiberto Perdomo e Giovanni Garino: il primo era un collaboratore di Gerolamo D., nel 1619 (Schede Vesme, p. 406); il secondo è documentato al Viboccone proprio nel 1606 (ibid., p. 510). Questa rete di rapporti non è ulteriormente precisabile al punto attuale degli studi ed è indubbio che il dipinto torinese del 1627 non è facilmente conciliabile con altre opere sicuramente documentate a Giovanni Battista. Si tratta di due tele, a ricordo dei voti all'Immacolata Concezione pronunciati dalla città di Carmagnola nel 1522 e nel 1630, già nella cappella dell'Immacolata della parrocchiale dei Ss. Pietro e Paolo, poi nella sacrestia della stessa chiesa, da ultimo nella Biblioteca civica e solo recentemente passati nell'aula consiliare del municipio, dopo un grossolano restauro (Rodolfo, 1954). Sappiamo che la Comunità carmagnolese contattò Giovanni Battista D. alla Montà d'Alba, dove si era rifugiato per sfuggire alla peste, il 30 nov. 1630, commettendogli una Crocefissione per la cappella di S. Croce e i due quadri con le scene del voto destinati alla cappella dell'Immacolata. Il 24 dic. 1630 Giovanni Battista consegnò la Crocefissione (ora perduta) e si mise al lavoro per gli altri due dipinti, uno dei quali non fu mai finito (si tratta di quello con la scena del voto del 1522, per il quale esiste un saldo del 1632 al pittore fossanese Pietro Paolo Barocio [Baroto?], in cui si vede la Madonna che appare nella parte superiore della tela, derivata da un'incisione del Barocci). Non è da escludere che il mancato completamento del dipinto sia da imputare alla morte di Giovanni Battista, che non risulta più documentato negli anni successivi, né è citato nel testamento del padre Gerolamo, in data 13 giugno 1634 (Schede Vesme, pp. 406 s.).

Fonti e Bibl.: Schede Vesme, II,Torino 1966, pp. 405 ss., 485,543 s.; F. Bartoli, Notizia delle pitture ... d'Italia, I,Venezia 1776, p. 24;V. Viale, Mostra storica: le collez. pubbliche e private, in L'ostensione della S. Sindone,Torino 1931, p. 65; G.Rodolfo, La cappella votiva della Madonna della Concezione nella parrocchiale di Carmagnola...,Torino 1954, pp. 29-37, 42;N.Gabrielli, Galleria Sabauda. Maestri ital., Torino 1971, p. 108;A. Bo, Il quadro della S. Sindone nella Pinacoteca Sabauda .... in Sindon, 1978-79, pp. 25-38; M. Natale, Museo Poldi Pezzoli. I dipinti, Milano 1982, p. 99.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE