DELO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1960)

Vedi DELO dell'anno: 1960 - 1973 - 1994

DELO (Δῆλος, Delos)

L. Laurenzi
L. Guerrini

Piccola isola delle Cicladi nel mare Egeo, di 6 km di lunghezza e di poco più di 1 km di larghezza; le coste sono frastagliate ma non ripide, il suolo si eleva dai margini verso il centro culminando nell'altura del monte Cinto (102 m).

A D., secondo la leggenda, nacquero Apollo ed Artemide e il primo fu onorato ivi in un santuario che nei secoli divenne il più importante fra gli insulari della Grecia. Nell'inno omerico ad Apollo Delio, che è dell'VIII o VII sec., il santuario e gia ricordato; deve quindi risalire ad età anteriore, ma non sembra di molto più antico. All'età pre-ellenica si può riferire infatti un abitato di una dozzina di capanne la cui suppellettile consiste in prodotti di ceramica monocroma, scoperto sul monte Cinto, che non presenta resti di un luogo di culto; tombe micenee scoperte nella zona bassa testimoniano l'esistenza di un villaggio e armi e materiali di ornamento, fra cui avorî e ori trovati sotto l'Artemision potrebbero far pensare a un luogo di culto, ma non di Apollo. Lo stesso santuario, posto sulla sommità del monte Cinto, doveva essere dedicato in origine a uno Zeus venerato come divinità delle cime, analogamente ad altri di Rodi, Coo e Creta. Nel VII sec. a. C. il santuario di Apollo era peraltro in fiore e gli Ioni delle isole e della costa anatolica vi tenevano regolarmente assemblee religiose, feste con giuochi ginnici e un mercato, nel quale si deve vedere l'origine della fortuna commerciale dell'isola. Fin d'allora D. può essere considerata come un centro anfizionico, cioè come sede religiosa della federazione delle Cicladi, che aveva anche importanza politica. Nasso vi aveva la maggiore influenza, ma già nel VI sec. a. C. l'Atene soloniana, iniziando un programma di espansione marinara, inviava solenni processioni nell'isola e vi acquistava poi tale preponderanza che Pisistrato poteva ordinare la purificazione della parte più sacra dell'isola, trasferendo altrove i sepolcri. Si sa che i Persiani nella loro avanzata verso l'occidente rispettarono D., la quale, dopo la sconfitta di Salamina, nel 478 divenne centro dell'anfizionia attico-delia, ossia della confederazione attico-insulare che colà, nel tempio di Apollo, custodiva il tesoro federale, amministrato da funzionarî ateniesi. Nel 454 il tesoro fu trasferito ad Atene, e D. rimase un effettivo, anche se non ufficiale, possesso ateniese. Nel 426 a. C. avvenne la totale purificazione dell'isola:' i morti con i loro corredi furono deposti in una grande fossa scavata nella vicina isola di Renea e si stabilì che in quell'isola fossero trasportate tutte le donne vicine al parto e i moribondi. L'avvenimento è importante anche per la storia dell'arte perché costituisce un terminus ante quem per la datazione di molti oggetti trovati negli scavi di Renea. Dalla mal sofferta dominazione ateniese D. passò a quella di Sparta (403 a. C.) per breve tempo e poi nuovamente fu dominio ateniese per quasi un secolo, per passare successivamente sotto l'influenza dei regni di Egitto e della Macedonia, da cui ottenne maggiore libertà che per l'innanzi. Nella seconda metà del III sec. a. C., D. era già un porto importante, mercato centrale del grano, sede di banchieri, emporio frequentato da genti diverse dell'Egeo e dell'Oriente. Nel 166 a. C. Roma, dopo la guerra di Perseo, consegnò l'isola agli Ateniesi e per rovinare il commercio di Rodi istituì a D. il porto franco. Dopo la distruzione di Corinto D. divenne il porto maggiore dell'Egeo, anche per il commercio degli schiavi, amministrato da Ateniesi e popolato oltre che da questi anche da "Italiani", che così si designano nelle iscrizioni, e da greco-orientali, tutti riuniti in confraternite religiose. L'apogeo di D. fu verso il 100 a. C.; nell'88 e nel 69 a. C. l'isola fu saccheggiata da Mitridate e dai pirati suoi alleati e non si riebbe più. Alla fine del I sec. d. C. Atene mandava ancora processioni a D., ma il sacerdote di Apollo Delio non abitava più nell'isola, bensì ad Atene. Deserta terra malarica, cava di marmi e di sculture per gli amatori d'arte dell'Occidente, particolarmente dei Veneziani, D. fu visitata da Ciriaco d'Ancona e da Cristoforo Buondelmonti. Nel 1873 furono iniziati ad opera della Scuola Francese di Atene gli scavi che portarono in luce le importanti antichità.

Topografia. - Il complesso edilizio di D., sito a N dell'isola verso la baia di Scardana, comprende due grandi gruppi: quello degli edifici religiosi e quello degli edifici civili, pubblici e privati. Il primo è costituito dal santuario di Apollo e dai santuarî della regione del Cinto e del fiume Inopo. Lo hieròn d'Apollo era un trapezio irregolare di m 18o per 130; l'entrata principale era a S, costituita da un propileo dorico tetrastilo, eretto, come dice l'iscrizione, dagli Ateniesi. La costruzione attuale è del II sec. a. C. (166), però ricalca un impianto più antico. Il tempio di Apollo è nel piazzale centrale. Dorico, periptero, esastilo, di modeste dimensioni (m 29,50 × 13,55), non fu mai finito, come si rivela dal fatto che le colonne furono scanalate solo alla nascenza del fusto e nel capitello; sono alte m 5,20 e hanno alla base un diametro di cm 95. La costruzione iniziata nel V sec. a. C. fu sospesa dopo il trasferimento del tesoro federale ad Atene e ripresa dopo l'abbandono dell'isola da parte degli Ateniesi nel 315 a. C. Particolare interessante è, nella peristasi, l'assise fra il fregio e la cornice; le metope erano liscie e la cimasa era decorata di palmette e di protomi leonine sopra a ciascun triglifo. Il tempio si compone di cella, pronao e opistodomo che presentano, in corrispondenza delle porte, due colonne tra il prolungamento dei muri. L'edificio vicino a N, noto col nome di tempio degli Ateniesi, era probabilmente un tesoro eretto dall'ateniese Nicia nel 417 a. C. Ivi si conservavano le corone d'oro dedicate durante le feste penteteriche delle Delie, quando gli Ateniesi mandavano a D. la solenne processione con la nave sacra, sospendendo ogni esecuzione capitale in patria durante l'assenza della nave. Ivi furono trasportate anche sette statue crisoelefantine di divinità dedicate nel santuario da Pisistrato. Il tempio degli Ateniesi era anfiprostilo, esastilo, dorico (m 18,80 × 11,40); a O aveva un vestibolo con quattro pilastri fra le ante. Nell'interno del sekòs una base emiciclica in pietra di Eleusi doveva reggere le sette statue crisoelefantine (e infatti nelle iscrizioni delie questo tempietto è noto come ὁ ναὸς ἐν ᾦ τὰ ἑπτά) privo di opistodomo; esternamente il muro della cella presenta quattro lesene aggettanti in asse con i quattro pilastri del pronao. Della decorazione del tempio rimangono gli acroterî centrali raffiguranti scene di ratto (Borea e Orizia; Aurora e Kephalos) di tipo fidiaco. Vicino era il tempio arcaico di tufo, detto pòrinos neòs nelle iscrizioni, oppure òikos, eretto nel VI sec. a. C. Il tempietto (m 15,70 × 10) era prostilo ionico (probabilmente un capitello ionico d'angolo è da identificarsi con quello che attualmente si trova presso i propilei del santuario). Ivi era la statua del culto, forse crisoelefantina, opera degli artisti di Nasso, Tektaios e Angelion (Paus., ix, 35, 2), in seguito trasportata nel grande tempio di Apollo. Il dio teneva l'arco nella destra e le tre Canti nella sinistra. Originariamente qui era la base semicircolare in pietra di Eleusi in seguito adattata nel tempio degli Ateniesi. A N di questi tre edifici di culto erano cinque piccole costruzioni rettangolari in cui, senza fondatezza, si riconoscono dei Tesori oppure degli hestiatòria: luoghi di ritrovo dei pellegrini. Alle spalle era il portico di Antigono, eretto dal re macedone Antigono Gonata (246-239 a. C.). Esso chiudeva il santuario a N, era lungo 125 m e aveva 48 colonne doriche sulla facciata fornita di due corpi avanzati all'estremità. Una fila di 19 colonne ioniche divideva l'interno in due navate; negli angoli le colonne erano disposte in modo da seguire l'inclinazione del tetto. Nell'interasse erano tre triglifi, di cui il mediano era ornato con una protome di toro. Il portico non aveva destinazione commerciale, ma esclusivamente votiva, come si apprende dall'iscrizione sull'epistilio. Il monumento è importante perché ben datato. Ad E presso il muro del recinto è uno strano edificio lungo e stretto diviso in tre parti a S: un vestibolo esastilo lastricato in marmo nero, un vano centrale racchiudente un bacino profondo cm 50 e illuminato da finestre inquadrate da pilastri dorici, a N un santuario con un altare triangolare, illuminato da un lucernario. Si pensa che ivi un sovrano ellenistico, forse Demetrio Poliorcete, abbia dedicato come ex voto la sua nave ammiraglia dopo qualche vittoria navale. Questo neònon è noto col nome di Santuario dei Tori per le protomi di tori inginocchiati sormontanti i capitelli dei pilastri fra il vano di mezzo e il santuario ed è identificato dal Vallois col Pöthion menzionato dalle iscrizioni. Il motivo delle protomi di tori si ritrova nell'architettura orientale. Al margine O del santuario di Apollo sono due ampi monumenti, il portico di Filippo e il portico angolare dei Nassi. Il primo fu costruito da Filippo V di Macedonia fra il 216 e il 201 a. C. e dedicato ad Apollo, come dice l'iscrizione su blocchi dell'architrave; aveva sedici colonne doriche, sfaccettate per un terzo del fusto, racchiuse fra due corpi di fabbrica sormontati da un attico e ornati con finestre a tre parastadi fra ante. Nel II sec. a. C. furono addossati sul retro un altro portico d'ordine dorico e, a N, un'ala con colonnato centrale di colonne ioniche binate. Il monumento è di alto interesse per la conoscenza dell'architettura dell'ellenismo. Il portico dei Nassî, del VI sec. a. C., originariamente chiudeva il santuario e contornava un piazzale lastricato. Ivi era la palma di bronzo dedicata nel 417 a. C. dall'ateniese Nicia. Secondo Plutarco (Nicias, 3) un terremoto la rovesciò e insieme con essa crollò una statua colossale di marmo rappresentante Apollo. La base di questa, con la dedica dei Nassi in caratteri dell'inizio del VI sec. a. C., è oggi presso l'Oikos dei Nassî e misura m 3,50 in larghezza, m 5,11 in lunghezza e 0,80 in altezza. L'Oikos dei Nassi, immediatamente ad E dei propilei, è un edificio rettangolare allungato con entrata ad O, una cella con fila mediana di colonne su alta base cilindrica e un prostòon ad E con quattro colonne ioniche. La costruzione dell'edificio risale al VII sec. a. C.; il pavimento di marmo della cella e il prostòon sono un'aggiunta del VI secolo. L'edificio aveva una copertura in tegole di marmo. È attestato anche un edificio precedente, simile ma di lunghezza minore e diviso in tre navate mediante due file di colonne ioniche in legno. Si ritiene che la base sia stata spostata. Il colosso fu segato in varî pezzi dai Veneziani per poter essere trasportato; restano a D. frammenti del torso, delle cosce e una mano; un piede è a Londra. Il tipo è quello del koùros più arcaico; le mani erano stese lungo le cosce. La zona N-O del santuario è occupata dall'Artemision con un portico piegato a gomito, d'ordine ionico, e il tempio della dea, pure ionico, innalzato nell'età arcaica e ricostruito nel II sec. a. C. Infatti nell'interno del tempio visibile attualmente, sono contenuti gli avanzi di un tempietto arcaico (fine VIII-inizio VII sec.) e nell'interno quelli di un naòs miceneo.

Di fronte alla stoà di Antigono, a metà circa della sua lunghezza in fondazioni semicircolari antichissime, forse pre-elleniche, si riconosce il sèma delle Vergini Iperboree che, secondo Erodoto (iv, 34-35), portarono offerte a D. prima e dopo la nascita di Apollo, venendo dalla Scizia. Su quella tomba giovanette e fanciulle deponevano una ciocca dei loro capelli. Ivi si rinvennero immagini di Artemide, fra cui una di stile dedalico (seconda metà VII sec. a. C.) dedicata da Nicandre, ora al Museo Naz. di Atene. La statua, di tipo xoanico, di una struttura squadrata e con superfici appiattite, ha le trecce scendenti sul petto, veste il peplo e doveva essere riccamente dipinta; eretta su una stretta base, teneva probabilmente al guinzaglio due leoni. Un'altra bella scultura, di poco più tarda, rappresenta una Nike nello schema della "corsa in ginocchio", ossia col torso di prospetto e le gambe molto piegate di profilo. È fra le opere più significative del periodo fra il primitivismo dedalico e il gusto delle kòrai attiche ed è ora al Museo Naz. di Atene (v. Archemos).

A N fuori del recinto sacro, e quasi addossata al portico di Antigono, è la fontana Minoe che esisteva già nel V sec. a. C. perché un'iscrizione del principio del IV la menziona. Fu rifatta nell'ellenismo. Il colonnato fronteggiava una scalinata che portava a un pozzo; nel centro della scalinata era una colonna che sosteneva il tetto. A N e a S del santuario di Apollo, in cui, come si è detto, era incluso quello di Artemide, si trovano abitazioni, ma soprattutto locali per riunioni religiose e per trattazioni commerciali. Vicino al Lago Sacro, piccolo stagno di forma ovale, formatosi probabilmente come risorgiva del fiumiciattolo Inopo, si trova l'agorà degli Italiani, grande edificio rettangolare di cui il lato lungo misura cento metri, con esedre prospettanti un peristilio dorico che sosteneva un colonnato ionico. V'erano monumenti votivi, mosaici e statue. Una, di Gaio Ofellio, è caduta presso la sua base che reca la firma di noti artisti ateniesi, Dionysios e Timarchides, del 100 circa a. C., rappresentanti del gusto accademico del tardo ellenismo. Nell'edificio fu trovata una statua di Galata nudo, combattente, ora al Museo Naz. di Atene, col ginocchio appoggiato a terra e lo scudo innalzato a protezione della testa dalla parte sinistra. Opera accurata, ma non nuova come ispirazione e in certo modo fredda nell'esecuzione, potrebbe essere contemporanea alla fondazione dell'agorà degli Italiani che è di poco anteriore al 100 a. C., e quindi rientrare nel gusto del virtuosismo veristico, ultima espressione dell'arte ellenistica, ma potrebbe avere anche qualche decennio di più ed essere ritenuta un acquisto per decorare l'agorà. Altri la ritengono opera contemporanea al primo donario pergameno (v. Pergamo) e la riferiscono all'artista Nikeratos, che lavorò a Delo. Sul lato O dello stagno si trovava una terrazza di 50 m di lunghezza con 9 leoni arcaici del VII sec. a. C., di cui uno è ora collocato davanti all'Arsenale di Venezia e altri cinque sono tuttora in situ. Sono di carattere mostruoso, non naturalistico, con una magrezza stilizzata e ricordano tipi asiatici. Nei pressi erano il santuario di Latona, ch'è divinità asiatica e il Dodekatheon, piccolo tempio anfiprostilo, esastilo, dorico, della fine del IV sec. a. C., con basi per statue. Ivi fu rinvenuta una testa colossale che taluno ritiene di una statua di Demetrio Poliorcete. A N del Lago Sacro sono la palestra del Lago e la palestra di granito cui si appoggia il cosiddetto muro di Triario, fortificazione eretta dal legato romano di questo nome verso il 66 a. C. per difendere il luogo dai pirati. Altri resti del muro si trovano a s nel quartiere del teatro. Fra le case di abitazione della zona vanno ricordate la Casa del Lago, del Diadumeno, detta così perché ivi fu trovata una buona replica del Diadoùmenos di Policleto, ora al Museo Naz. di Atene, e la Casa della Collina. Adiacente alla Casa del Diadumeno è l'edificio della confraternita dei Posidoniasti di Berito, dove si radunavano armatori e negozianti siriaci; esso è simile nella pianta all'agorà degli Italiani: un grande cortile porticato e altri minori, in cui si aprono delle celle per il culto di Afrodite-Astarte, Eracle-Melqart e della dea Roma di cui ci rimane l'àgalma acefalo. Negli scavi fu trovato un gruppo di Afrodite che minaccia con la pantofola l'aggressivo Pan, databile, per i caratteri dell'iscrizione, nell'età della costruzione dell'edificio, cioè verso il 100 a. C. È opera classicheggiante che, per il contrasto fra la frontalità della dea e la profondità spaziale in cui è posto il corpo del Pan, rivela il gusto cosiddetto "dei ritmi centrifughi"; vi si trovano commisti residui del colorismo "barocco" con motivi di derivazione "classica" e, nel volto arguto della dea, del virtuosismo "veristico". Oltrepassati l'ekklesiastèrion già esistente nel VI-V sec. e un edificio del V sec. con il peristilio centrale e due sale ipostile ai lati, di cui è proposta l'identificazione col thesmophòrion ricordato dalle iscrizioni, si entra nell'agorà di Teofrasto, detta così dall'epimeleta ateniese che nel II sec. a. C. la sistemò. Il più importante monumento della zona è la sala ipostila, luogo di contrattazione degli affari di borsa. Nelle iscrizioni la sala è detta la "stoà del Poseidon", e dai conti degli hieropoiòi risulta che essa era sostanzialmente finita nel 208 a. C. La pianta è rettangolare con la facciata a S formata da 15 colonne doriche (con scanalature fornite di ponticello) fra due paraste. Nell'interno è un ampio giro di colonne doriche su dado di base (5 sui lati corti e 9 sui lunghi); quindi, più internamente, sono disposte due file di 7 colonne ioniche con capitelli schematici che in origine erano dipinti, e, da ultimo, nel mezzo, una fila di 6 colonne anch'esse ioniche. Il centro è lasciato libero ed è sopraelevato da pilastri che reggono un tetto più alto, formando lucernario. La sala ipostila è di derivazione orientale e interessa il problema delle origini della basilica romana. Dopo la distruzione dell'edificio, nel II sec. d. C., sorse nell'area una ricca casa con corte a peristilio.

A N del santuario una larga strada conduce al tèmenos dell'archegètes Anios, che si compone di sette tombe arcaiche, non soggette alla purificazione del 425 (suppellettile intatta) e quindi sacre non solo ai Delî, ma agli stessi Ateniesi; di una fila di ambienti di età diversa (i vani a N sono più recenti) e di un recinto quadrangolare, lastricato, con eschàra al centro, il cui accesso era interdetto agli stranieri. Questo tèmenos che si potrebbe indicare col nome di mègaron (= recinto o edificio sacro ospitante sacrifici segreti) è del tipo dei posteriori mègara di Despoina a Lykosoura e dei Cureti a Messene.

Più a N è il Ginnasio, del III sec. a. C., con ampia corte a peristilio; nell'angolo N-E è lo xystòn che corre parallelo allo stadio. Lo stadio, che presenta al centro resti della tribuna della giuria, ha la parte orientale sostenuta da un poderoso analemma. Ad E dello stadio, verso il mare, si stende un quartiere di abitazioni private di dimensioni minori e tono più dimesso delle case del quartiere del teatro. Quivi è anche una sinagoga giudaica (?) con ampia corte in cui sta un trono marmoreo.

A S del santuario, presso il Porto Sacro, è l'agorà di S chiusa da un portico a gomito a due piani, di cui il superiore ionico, del II sec. a. C., e da un portico trasverso più antico, forse di Attalo I. Fra questo e il portico di Filippo passava la via delle Processioni, ornata di statue e di esedre. Vicino stava il pritaneo del V sec. a. C. ove erano gli altari di Apollo Pizio, di Estia, del Demos e della dea Roma e, a N di questo, il Bouleutèrion. Nei pressi sorgeva l'altare di Zeus Polièus. Nella zona a S dell'agorà si trova il quartiere del teatro, dove era il maggiore agglomerato urbano, e il quartiere del porto, con le banchine, i moli e i magazzini. Il teatro, iniziato alla fine del IV sec. a. C., rientra nel tipo dei grandiosi teatri ellenistici. Particolarmente notevole è il fregio dorico dell'epistilio, con decorazione di tripodi e bucrani. L'abitato è chiuso dalla valle dell'Inopo e qui si eleva il Cinto, che era una vera montagna sacra per i numerosi santuarî di divinità greche ed orientali che conteneva. V'erano sentieri e scalini scavati nella roccia per la comodità dei pellegrini e cappelle dove questi riposavano. Sulla sommità era il santuario di Zeus e di Atena, il cui culto è attestato sin dall'VIII sec.; nei pressi era quello di Artemide Ilizia, protettrice delle partorienti ed altri di dimensioni minori (dèi di Ascalon, Zeus Höpsistos, ecc.). Sul fianco del monte si trova l'antro sacro, ampia spaccatura della roccia coperta con un tetto a doppio spiovente di dieci enormi lastre di granito. L'antro era chiuso da una porta e nell'interno era una statua su base di granito. Sul davanti è una terrazza in cui un anello di marmo designa uno spazio particolarmente sacro, forse un altare. Fu il primo monumento dell'isola ad essere scavato (1873). Tutto l'insieme appare primitivo, ma non sembra che si possa metterlo in relazione col luogo della nascita di Apollo, dove, secondo l'Odissea, si elevava una bellissima palma che Ulisse descrive; l'ultima sistemazione del santuario rupestre non è ad ogni modo anteriore al III sec. a. C. per il culto di Eracle e dei Cabiri. Fra i numeròsi altri santuarî di divinità del Cinto, è da segnalare particolarmente l'Heràion che nell'VIII sec. a. C. era una semplice cappella rettangolare e nel VI sec. divenne un tempio di marmo dorico in antis. Si sono trovate statuette femminili d'arte dedalica in calcare fine, terrecotte votive rappresentanti sirene, Hera in trono o sdraiata, Zeus e Hera in trono sotto il velo nuziale, e protomi di dea di tipo rodio. Vi è stato rinvenuto anche un vero tesoro ceramico, formato soprattutto di piccoli vasi (aröballoi, bomböhoi, alàbastra) in cui sono rappresentate fabbriche protocorinzie, corinzie, rodie, cicladiche, chiote e cretesi; la maggior parte sono vasi attici a figure nere. Interessanti i piatti policromi con scene mitiche. Presso l'Heràion è una grande terrazza detta degli dèi stranieri. La parte N è occupata dal santuario degli dèi siriaci, costituito da un grande cortile su cui si aprono portici, esedre e un piccolo teatro da cui si assisteva ai misteri. In una cisterna erano nutriti pesci rossi. La tecnica edilizia è molto povera. Nel santuario era venerata la coppia sacra di Bambyke-Hierapolis, ossia Hadad e Atargatis detta Afrodite la Santa. In origine di carattere privato e orgiastico, nel III sec. a. C. il culto guadagnò molti proseliti, anche fra gli schiavi; Atene impose un sacerdote ateniese e represse i riti licenziosi. A S della terrazza degli dèi stranieri, più vicino all'Inopo, che si riteneva derivato dalle acque del Nilo per via sotterranea, era il santuario degli dèi egizî, onoratissimi a partire dal II sec. a. C. quali dèi salutiferi e salvatori dei naviganti. Vi si dedicavano vasi d'argento, statuette, ex voto di vario genere. Degli dèi egizî la divinità nota più anticamente sembra essere stata Iside, ma essa non ebbe culto importante se non dopo la sua associazione con Serapide, il dio prediletto dai Tolomei. Il più antico Sarapièion fu costruito da un egiziano all'inizio del II sec., raccogliendo offerte fra i fedeli; seguirono altri due santuarî, di cui l'ultimo è il più importante. In un grande cortile lastricato e chiuso per tre lati da portici ionici erano tre piccoli templi dedicati a Serapide, Iside e Anubis. Davanti al tempio di Iside era un altare per profumi. A S si trova, fra due portici, una via sacra con altari in muratura alternati a sfingi. A O del Sarapièion era il Kabörion, ossia il santuario dei grandi dèi di Samotracia, dove pure si celebravano misteri. Nel IV sec. a. C. esso era una semplice camera rettangolare prospicente su una terrazza presso l'Inopo. V'erano onorati insieme i Cabiri e i Dioscuri. Al principio del II sec. a. C. si trovava un tempio a cella poco profonda con quattro colonne tra due ante innalzato su una scalinata e di lato era un triportico. Nel 112-101 a. C. fu eretta, secondo l'iscrizione, una cappella in antis d'ordine ionico a Mitridate Eupatore, adorato come Dioniso. Nel centro del frontone era un medaglione con l'effigie del re e nel fondo della cella era una statua loricata dello stesso; in alto internamente correva un fregio di medaglioni con immagini di generali e amici del re. Nel cortile si trovava un altare a pozzo, specie di mundus, dove il sacerdote sacrificava agli dèi infernali.

Le case di abitazione a D. si trovano un po' dappertutto, fuorché, s'intende, nei recinti dei santuarî, ma il nucleo principale è quello del quartiere del teatro. Occorre rilevare che non si tratta di una città monumentale ma di un modesto abitato dove le vie, tutte in salita, strette, pavimentate con lastre di gneiss, non erano adatte ai veicoli. Le case sono distribuite in insulae, ma senza un vero reticolato ortogonale di strade. Se il complesso edilizio delle case private di D. consente solo modesti risultati per lo studio dell'urbanistica antica, l'esame delle singole case è peraltro importante, anche perché si tratta di un agglomerato che si può datare con certezza nei secoli II e I a. C. Nella casa delia il cortile è di regola e spesso vi si trova un vestibolo, coperto e non coperto. Si trovano cortili senza peristilio con pavimentazione in lastre di gneiss o in opus segmentatum, mai in tessellatum, o cortili con peristilio, quasi sempre di marmo. Il peristilio è a forma quadrata o allungata, generalmente di quattro portici. Esistono anche peristilî incompleti a tre, a due, a un solo portico. Le colonne sono generalmente di stile dorico, a fusto liscio o sfaccettato o scanalato e altissime, fino al rapporto di otto diametri inferiori; si trovano anche colonne ioniche. Nei fusti delle colonne sono talora inserite mensole, protomi di tori o di leoni. Nel mezzo del peristilio è l'impluvium con la cisterna. Per quanto riguarda la distribuzione dei vani si deve osservare che a D. l'informazione vitruviana sulla costituzione della casa greca non è confermata, probabilmente perché quella descrizione riguarda solo grandi case aristocratiche; a D., infatti, il gynaeconitis ricordato da Vitruvio non esiste. Sul vestibolo si apre qualche stanza e sono collocate le latrine che avevano gli scoli nella strada. Sul peristilio prospettano sale ma non nello stesso numero su tutti i vani in modo che non avevano tutte le stesse dimensioni. C'è sempre una sala maggiore, l'oecus, decorata, su cui si aprono camere minori, gabinetti di lavoro, esedre, ossia cellae ad colloquendum. I cubicula dovevano essere nel piano superiore, ma certo anche nell'inferiore e si distinguono dalle cellae degli schiavi perché sono decorati. Si trovano nei muri alcune nicchie per collocare le lucerne e mensole negli angoli. Vicino alla porta è quasi sempre un altare con pitture rituali rappresentanti un sacrificio e altre con simboli apotropaici. Le porte hanno spesso stipiti ad ante rastremate, soglie di marmo e architrave monolitico con specchiatura. I capitelli dell'anta sono decorati e dipinti. I cardini sono a vaschetta di bronzo. Le finestre sono rettangolari con architrave e cornicetta sagomata e inferriata. Si trovano anche bifore. Le scale erano in legno, poche sono in pietra. I pozzi hanno vere di marmo, talora con edicola. Sono al centro dell'impluvio o sotto il colonnato del peristilio. Si trovano cisterne col tetto sopportato da pilastri. L'intonaco delle pareti è bianco con fasce in rilievo o a falsi conci, delineati con incisioni. Le decorazioni e la policromia sono della tradizione classica. I pavimenti nelle stanze, oltre che in opus segmentatum, sono anche a mosaico in opus tessellatum, bianco e nero con motivi di meandri e di spirali, talora con begli emblemata nel centro. Molto importanti sono quelli della Casa delle Maschere, anteriori al 100 a. C.: con straordinario rigore cromatico sono rappresentati Dioniso sulla pantera, centauri, maschere teatrali, sileni e anfore. La Casa del Tridente ha mosaici con il tridente e con un'ancora intorno a cui si avvolge con la coda un delfino. Nella Casa di Cleopatra rimangono su una base le statue acefale di questa donna ateniese e di suo marito Dioscuride della seconda metà del II sec. a. C. Le case sono costruite in gran parte con pietra granitica dell'isola in blocchetti distribuiti in apparecchio pseudoisodomico, senza calce, talora con riempimenti di scaglie piatte fra blocco e blocco. Gli angoli sono più curati: infatti i blocchi sono più grandi e più regolari. In generale si può dire che nell'edilizia sia monumentale sia privata di D., fino al IV sec. a. C., furono impiegati granito e tufo, e solo più tardi il marmo. Interessante per lo studio dell'antichità l'instrumentum domesticum delio che serve a datare gli analoghi oggetti ritrovati in altre località dell'Egeo.

Arte. - Secondo Pausania (ix, 4, 3), Dedalo eseguì una statua di Afrodite per l'isola di D.; gli artisti Tektaios e Angelion, costruttori del più antico simulacro di Apollo, erano dedalici in quanto scolari di Dipoinos (v.) e Skyllis (v.) (Paus., II, 32, 5). Della fine del VII sec. a. C. è lo scultore di Nasso Eutychartides che pure fece una statua di Apollo a Delo. Secondo Plinio (Nat. hist., xxxiv, 1) il grande scultore Mirone prediligeva la lega di bronzo di Delo. Dal III secolo in poi l'attività plastica fu notevole a D.; dalle basi scritte si conoscono 25 nomi di artisti, in maggioranza ateniesi, ma anche dell'Asia Minore. Fino al III sec. fu necessaria una particolare autorizzazione per erigere statue onorarie nel santuario, ma poi ogni privato poté dedicarne, anche di donne. Quella dell'ateniese Cleopatra è importante perché, essendo sicuramente datata nel 139 a. C., ci fa conoscere la data della moda dell'abito trasparente (v. coo) che ritorna in molte statue ellenistiche. Tutte le sculture delie sono interessanti per i rapporti con Atene e con il mondo greco asiatico. Un ritratto bronzeo di mirabile conservazione, ora al Museo Naz. di Atene, rientra nel gusto del virtuosismo veristico della seconda metà del II sec. a. C. I ritratti ritrovati a D. rappresentano sia Greci, con espressioni più sentimentali che patetiche dell'ultimo ellenismo, sia Romani resi con espressioni psicologiche più rudi.

Molto ricchi furono i ritrovamenti di ceramiche a Delo. Vasi micenei si rinvennero presso il tempio di tufo e il portico di Antigono. I vasi con decorazioni geometriche provengono dalla fossa della purificazione di Renea, e sono generalmente di fabbriche cicladiche, con o senza ingubbio. I grandi vasi geometrici, influenzati dallo stile attico del Dipylon e quelli proto-orientalizzanti con palmipedi in composizioni metopali, provengono dall'Artemision. In altri grandi vasi compare un repertorio di motivi fitomorfi e zoomorfi orientalizzanti che preludono alla produzione della ceramica detta melia, ma che forse è di Paro o di Nasso. Poche furono in quel tempo le importazioni da Atene, Rodi, Creta e Cipro. Nel VI sec. continuò nella ceramica cicladica la decorazione metopale con l'inclusione di scene figurate (es.: quadriga al galoppo, consegna delle armi ad Achille), rese con stile asciutto e nervoso. Nel secolo successivo prevalse la ceramica attica d'importazione.

Il museo sul luogo raccoglie statue e materiali varî provenienti dagli scavi, mentre alcune sculture più importanti sono passate al Museo Nazionale di Atene.

Bibl.: La pubblicazione degli scavi di D. è nella collezione ancora in continuazione: Exploration archéologique de Délos faite par l'École Française d'Athènes sous les auspices du Ministère de l'Instruction Publique et aux frais de M. le duc de Loubat et publiées sous la direction, de Th. Homolle et M. Holleaux (nella direzione successero poi L. Fougères, Ch. Picard, P. Roussel, R. Demangel): fasc. 1, Introduction, A. Bellot, Carte de l'Ile de Délos au 1/10.000; fasc. 2, L. Gallois, Cartographie d. l'Ile d. D.; fasc. 3, L. Caveux, Descr. physique d. l'Ile d. D.; fasc. 4, G. Leroux, La salle hypostyle; fasc. 4, suppl., R. Vallois-G. Poulsen, Nouvelles recherches sur la salle hypostyle; fasc. 5, F. Courby, Le portique d'Antigone; fasc. 6, Ch. Picard, L'établissement des Poseidoniastes de Bérytos; fasc. 7, 1, R. Vallois, Le portique de Philippe; fasc. 8, J. Chamonard, Le quartier du théâtre; fasc. 9, M. Bulard, Descr. des revêtements peints etc.; fasc. 10, Ch. Dugas, Les vases de l'Héraion; fasc. 11, A. Plassard, Les sanctuaires et les cultes du Mont Cynthe; fasc. 12, F. Courby, Les temples d'Apollon; fasc. 13, C. Michalowski, Les portraits hellénistiques et romains; fasc. 14, J. Chamonard, Les mosaïques de la maison des masques; fasc. 15, Ch. Dugas-C. Rhomaios, Les vases préhélléniques et géométriques; fasc. 16, F. Chapouthier, Le Sanctuaire des dieux de Samothrace; fasc. 17, Ch. Dugas, Les vases orientalisants de style non mélien; fasc. 18, W. Deonna, Le mobilier délien; fasc. 19, E. Lapalus, L'agorà des Italiens; fasc. 20, F. Robert, Trois sanctuaires sur le rivage occidental; fasc. 21, Ch. Dugas, Les vases attiques à figures rouges; fasc. 22, E. Will, Le Dôdékathéon; fasc. 23, A. Laumonier, Les figurines de terrecuite. I rapporti preliminari sono nella rivista Bulletin de Correspondance Hellénique. V. inoltre Fasti Archaeologici; I, 787, 1359; II, 1197-1199; III, 1367, 1370, 2284, 2287; IV, 73-75; V, 1703-1706, 2864; VI, 85, 87; VII, 2624, 2625; VIII, 1646, 2644-2647; IX, 1061, 2062; X, 3082; XI, 3460, 3658. Per la scultura v.: Th. Homolle, in Bull. Corr. Hell., III, 1879, p. 515 s.; S. Reinach, VIII, 1884, p. 167 s.; XII, 1888, p. 315 s.; XIII, 1889, p. 369 s.; XVII, 1893, p. 129 s.; G. Doublet, XVI, 1892, p. 148 s.; F. Mayence-G. Leroux, XXXI, 1907, p. 389 s.; A. Plassart, XL, 1916, p. 353 s.; R. Vallois, XLV, 1924, p. 242 s.; C. Audiat, LIV, 1930, p. 95 s.; C. Michalowsky, LIV, 1930, p. 131 s.; W. Deonna, LVI, 1932, p. 410 s.; Ch. Picard, LVI, 1932, p. 491 s.; LXVIII-LXIX, 1944-1945, p. 240 s.; LXXVIII, 1954, p. 258 s.; G. Bakalakis, LX, 1936, p. 59 s.; P. Léveque, LXXIII, 1949, p. 125 s.; G. Marcadé, LXXIV, 1950, p. 181 s.; LXXV, 1951, p. 55 ss.; p. 224 s.; LXXVI, 1952, p. 96, p. 596 s.; LXXVII, 1952, p. 497 s.

Per i materiali egei e geometrici dell'Artemision, v. J. Tréheux-H. Gallet de Santerre, in Bull. Corr. Hell., LXXI-LXXII, 1947-1948, p. 148 s.

Per le iscrizioni si vedano: Inscriptiones Graecae, XI, 2 (F. Dürrbach), vol. II, 4 (F. Dürrbach, P. Roussel); Inscriptions de Délos, Parigi (F. Dürrbach, P. Roussel, M. Launey).

Opere d'informazione generale sono: P. Roussel, Délos, Parigi 1925; W. A. Laidlaw, A History of Delos, Londra 1933; P. Bethe, Das archaische Délos, in Die Antike, XIV, 1938, p. 81 s.; R. Vallois, L'architecture hellénique et hellénistique à Delos, jusqu'à l'eviction des Déliens (166 a. C.), I. Les monuments, Parigi 1944; II. Les constructions antiques de Délos, Documents, Parigi 1953; N. M. Kondoleon, ῾Οδηγὸς τῆς Δήλου, Atene, 1950; E. Will, in Annales Arch. de Syrie, I, 1951, pp. 59-79 (santuario siriaco); W. B. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece, Londra 1950, passim; H. Gallet de Santerre, Délos primitive et archaïque, Parigi 1958.

(L. Laurenzi)

Museo. - Nel museo di D., che sorge non lontano (ad E) dalla zona del santuario, è raccolta la maggior parte del materiale rinvenuto nell'isola, ad eccezione di pochi pezzi che si trovano ora al Museo Naz. di Atene, già ricordati per lo più nella parte topografica.

Tra i pezzi di scultura, notevole è il complesso delle opere arcaiche (VII e VI sec. a. C.). Dei koùroi il più interessante e forse anche il più arcaico (fine VII sec.), acefalo, presenta una cintura stretta all'altezza della vita. Tra le kòrai (una delle quali, di ottima fattura, acefala, è ora al Museo Naz. di Atene), la più antica (metà VII sec.) si conserva solo nella parte superiore del corpo - compresa la testa - purtroppo molto danneggiata; un'altra (600 circa) presenta una stretta fascia decorata posta longitudinalmente sulla parte anteriore della gonna; quelle della seconda metà del VI sec. - vestite di lungo chitone che ricade in fitte e soffici pieghe e di breve, pesante himàtion che scende dalla spalla lasciando scoperto un seno - si presentano riccamente ornate, anche per l'aggiunta di monili di metallo (ora scomparsi) fissati al petto mediante piccoli fori. Della fine del VII sec. è anche una base triangolare, con gli spigoli sagomati in forma di testa di ariete e di Medusa; la base, destinata a reggere un àgalma, reca incisa l'iscrizione bustrofedica col nome di Euthykartides (v.) nassio, insieme autore dell'opera e dedicante. Del VI sec. sono anche due figure femminili: una porta una nebrìs al di sopra dell'himàtion (forse un'Artemide); l'altra con l'egida (?), identificabile quindi con un'Atena. Del 500 circa è una statua di Apollo con cetra, conservato in buona parte, vestito di lungo chitone che cade in fitte pieghe, con pettinatura che scende in lunghi boccoli sulle spalle e sul petto. Della seconda metà del VI sec. è una sfinge, nella posa simile a quella dei leoni menzionati di sopra, posta a coronamento di una colonna ionica di cui si conserva il capitello; un'altra, acefala, più recente, è stata rinvenuta presso il sèrna delle vergini iperboree. Tra i pezzi di decorazione architettonica, i più notevoli sono le antefisse marmoree a testa di Medusa dell'òikos dei Nassî e i frammenti, pure marmorei, del tempio arcaico di Artemide. Della prima metà del V sec. (470-460) sono quattro torsi virili, di buona fattura. Degli acroterî centrali (Eos e Kephalos, Borea e Orithia) e laterali (quattro kòrai fuggenti) del tempio degli Ateniesi, si è già accennato nella parte topografica.

Il periodo ellenistico è rappresentato da un numero cospicuo di sculture; ricorderemo: un'Artemide con cervo del tipo già noto nel IV sec.; un Apollo appoggiato ad un albero che unisce lo schema del Pòthos a quello dell'Apollo Liceo; un Posidone di derivazione lisippea. Dalla decorazione del teatro provengono un Apollo citaredo in lungo chitone, un'Artemide, e una Musa (o Leto ?) che tipologicamente risale al IV secolo. Delle Muse sono anche presenti i tipi della Polimnia (si appoggia a un albero e tiene un rotulo), della cosiddetta Tersicore e della Musa seduta su roccia (queste due ultime di piccolo modulo). Contemporanee alle sculture del donario pergameno di Attalo I sono due teste di Galli morenti, oltre il ben noto "guerriero da D. "ora al Museo Nazionale di Atene. Del III sec. a. C. è una lastra di bronzo, rinvenuta nella Minoa krene, ma proveniente dal pròdromos del Philadelpheion, fondato da Tolomeo II intorno al 250. Il rilievo bronzeo, che originariamente si presentava incastrato in una stele marmorea e che ne presuppone un altro simile in posizione di coppia, raffigura Artemide (o la stessa Arsinoe II in veste di Artemide) intenta al sacrificio, assistita da due piccoli fauni. Ch. Picard (Amer. Journal Arch., xxxviii, 1934, p. 147 ss.) lo definisce tête de série dei rilievi pittorici alessandrini, il documento postulato dallo Schreiber: il pìnax èmbletos bronzeo, prototipo immediato dei rilievi pittorici (si veda da ultimo A. Adriani, Divagazioni intorno a una coppa paesistica, Roma 1959, p. 30 ss.). Del II sec. a. C. è un gruppo decorativo composto da due Papposileni (coperti dalla caratteristica pelle di capra e da un rozzo mantello) ai lati di una statua di Dioniso. Del I sec. a. C. è la statua di G. Ofellio Fero, opera di Dionysios e di Timarchides; la statua, acefala, proviene dall'agorà degli Italiani. Del periodo augusteo è la grande statua del cosiddetto pseudo-atleta, proveniente dalla Casa del Diadumeno, ora al Museo Nazionale di Atene. Numerosi poi sono anche i rilievi, per lo più di piccole dimensioni e votivi, arcaistici.

Ma soprattutto notevole è la serie dei ritratti, che vanno dal medio ellenismo sino al periodo degli Antonini: sono in maggioranza ritratti privati; non mancano però personaggi ufficiali e principi ellenistici. Completamente assenti sono, invece, quelli di poeti e filosofi. Tra i pezzi più interessanti, oltre alla bellissima testa bronzea della fine del II sec. a. C. conservata al Museo Nazionale di Atene, sono: una testa colossale cosiddetta di Demetrio Poliorcete, proveniente dal Dodekatheon, alcuni ritratti di principi tolemaici (tra cui un'erma con un probabile ritratto di un Tolomeo), una testa femminile del tipo della cosiddetta Cleopatra del British Museum e alcune teste di periodo romano.

Oltre alle opere di scultura, nel museo di D. si conserva anche il complesso di avorî, ori e bronzi micenei che provengono dal thesauròs di Artemide: si tratta per lo più di placchette lavorate a rilievo e incisione, che decoravano piccoli troni votivi o cassette. Il complesso di vasi raccoglie moltissimi tipi: dai vasi preellenici (la maggior parte della fine del III millennio a. C.) provenienti dall'abitato preistorico sul monte Cinto, sino alla ceramica ellenistica; più di 500 pezzi, tra cui vasi geometrici, del tipo Fikellura, di Naucrati, corinzî, a figure nere e rosse, provengono dall'Heraion. Completa la raccolta del museo anche un gruppo di oggetti di arredamento, provenienti da edifici religiosi e domestici: tavole, trapezofori in marmo, attaches di ciste, ecc.

(L. Guerrini)