DEMANIO

Enciclopedia Italiana (1931)

DEMANIO (dal fr. ant. demaine, lat. dominium)

Giovanni CORSO

È il complesso dei beni immobili, pertinenti a soggetti della pubblica amministrazione, destinati all'uso gratuito e diretto della generalità dei cittadini, ovvero, per loro natura, ad altra funzione pubblica e, per questa specifica destinazione, soggetti a un potere giuridico che rientra nel campo del diritto pubblico. Occorre distinguere i beni demaniali, che sono fuori commercio, dai beni patrimoniali indisponibili, che sono soggetti a una incommerciabilità limitata. Questi ultimi possono formare oggetto di rapporti giuridici privati, ma non possono essere alienati perché destinati per legge o per atto amministrativo a un pubblico servizio, né consentono la costituzione di diritti reali che sia incompatibile con la loro destinazione (regol. 23 maggio 1924, n. 827, articoli 6 e 9).

Elementi esclusivi e caratteristici dei beni demaniali sono: la qualità e natura; la destinazione: la pertinenza; il regime giuridico. Pubblici o demaniali possono essere, oltre alle cose corporali, anche alcuni diritti che siano o immobiliari e accessorî di beni demaniali, come i diritti di superficie, o goduti in forma generale gratuita e diretta da tutti i cittadini, come la servitù pubblica sulle vie vicinali. Demaniali sono, inoltre, soltanto i beni immobili. I mobili sono esclusi: si fa eccezione per i mobili annessi stabilmente a un edificio e per tutti quelli che il codice civile (articoli 413 e 414) considera come immobili per destinazione. È controverso se siano demaniali le cose mobili che, pur destinate ad uso pubblico e pur in relazione con un immobile, non ne acquistino il carattere, come le raccolte dei musei e i libri delle biblioteche.

La destinazione ad uso pubblico costituirebbe, per taluni, elemento essenziale per la nozione di bene demaniale, come si rileverebbe dagli articoli 425 a 435 del codice civile, che, nel classificare i beni in rapporto alle persone cui appartengono, dichiarano che i beni dello stato, delle provincie e dei comuni si distinguono in demanio pubblico e in beni patrimoniali; che tutti i beni i quali "cessino di essere destinati all'uso pubblico" passano dal demanio pubblico al patrimonio dello stato (art. 429), e che leggi speciali determinano la destinazione, i modi, e le condizioni dell'uso pubblico dei beni dei comuni e delle provincie (art. 432). Si obietta, in contrario, che vi sono beni del demanio non destinati all'uso pubblico, come i bastioni delle piazze da guerra e delle fortezze; e che l'art. 429 del codice civile pone come elemento della demanialità o l'uso pubblico o la difesa militare. Perciò, deve dirsi essenziale al concetto della demanialità, non la destinazione della cosa all'uso pubblico, ma la destinazione specifica ad una funzione pubblica sulla base di una disposizione del diritto oggettivo: opinione che sembra preferibile perché il concetto di funzione pubblica è comprensivo di tutti i beni demaniali, mentre l'uso pubblico è elemento prevalente ma non essenziale della demanialità.

Comunque, l'uso pubblico, ove esista, deve essere gratuito, nel senso che, per l'uso del bene non deve essere richiesto un corrispettivo che, economicamente, sia un prezzo, secondo l'economia privata, e giuridicamente costituisca una controprestazione contrattuale iure privato. Deve, inoltre, essere diretto. L'opinione che l'uso pubblico indiretto sia sufficiente a determinare gli estremi di cosa demaniale, ha avuto talvolta il conforto della giurisprudenza, ma non ha incontrato il favore della dottrina. Si ritiene che, nei casi enunciati, i beni in esame costituiscano semplici mezzi perché i soggetti della pubblica amministrazione possano esercitare la pubbliea funzione che è loro propria. Le strade pubbliche sono demaniali, perché la viabilità è uno dei rami dell'attività dello stato, delle provincie e dei comuni; le fortezze e le piazze militari costituiscono beni demaniali, perché la difesa dell'integrità nazionale costituisce un compito dello stato; ma la casa dove ha sede un municipio o dove si trova un ministero non è cosa pubblica, perché non può formare oggetto di pubblici poteri; su di essa gli enti amministrativi non hanno diritti diversi da quelli che esercitano sui loro beni adibiti a scopo di lucro. Non è neppure necessario che tali beni siano di proprietà dell'amministrazione. Possono essere presi in fitto; in ogni caso, ricorrono soltanto i principî del diritto privato (Romano, Principî di diritto amministrativo, p. 428).

Soggetti del diritto di proprietà pubblica possono essere soltanto lo stato, le provincie e i comuni. In astratto, nulla vieterebbe di considerare demaniali i beni degli enti autarchici istituzionali, che fossero oggetto diretto delle loro funzioni pubbliche, e così pure, entro tali limiti, quelli dei privati concessionarî di pubblici servizî. Ma il diritto consuetudinario e il diritto positivo (articoli 427 e 432 cod. civ.) riferiscono la proprietà pubblica solo ai tre enti suaccennati.

I diritti degli enti sui beni pubblici sono tutelati con mezzi di polizia, oltre che con le consuete azioni del diritto privato; le cose pubbliche, finché tali, sono fuori commercio, inalienabili, incapaci di formare oggetto di contratto, d' ipoteca, o di servitù convenzionale o legale, iure privato. Non sono soggette ad espropriazione né per debiti, né per causa di pubblica utilità, portando esse stesse l'impronta dell'utilità pubblica; non possono essere gravate da diritti reali, né per convenzione, né per prescrizione; sono, infine, esenti da imposta fondiaria. Per contro, l'ente fa suoi i frutti della cosa demaniale, acquista l'eventuale tesoro (art. 714 cod. civ.), ed ha la proprietà del sottosuolo. Senza mutare la destinazione della cosa demaniale può alienarla ad altri enti amministrativi per mezzo di negozî di diritto pubblico. Può, con le forme e l'efficacia consentite dal diritto pubblico, cioè per mezzo di concessioni, di autorizzazioni, ecc. costituire diritti a favore di privati. Gli attributi inerenti al diritto di proprietà privata si esplicano, poi, interi in caso di sclassificazione. Tutto ciò giustifica l'opinione del Romano che il concetto di proprietà, nei suoi caratteri essenziali e considerato in sé stesso, non è né di diritto privato, né di diritto pubblico. È un concetto generale che, nelle sue applicazioni concrete, si qualifica diversamente, secondo la diversa posizione del soggetto, di fronte agli altri soggetti con cui viene in contatto.

Circa la natura giuridica dell'uso delle cose pubbliche da parte dei cittadini, occorre distinguere l'uso ordinario dall'uso eccezionale. Il primo si suddivide in generale, se consentito a tutti i cittadini, e speciale, se spetta solo a persone in condizioni determinate.

Circa l'uso ordinario generale, non si può condividere l'opinione che esso costituisca una servitù personale, cioè una limitazione del diritto di proprietà spettante agli enti amministrativi sulla cosa pubblica. Gli enti non possono altrimenti usare della cosa pubblica che per mezzo dei cittadini; ond'è che l'uso dei cittadini è uso degli enti. Non si può, del pari, accogliere la teoria che ravvisa, nell'uso dei singoli, l'esercizio di un diritto sulla cosa a titolo di comproprietà. Per due ragioni; la prima, che l'uso generale non costituisce, come si è già osservato, elemento essenziale per la nozione di cosa pubblica, potendo mancare in certi demanî, come le fortezze; la seconda, che l'istituto della demanialità, nel processo storico del suo svolgimento, ha trasportato il titolare dei beni dalla collettività allo stato e agli altri enti pubblici. Il rapporto fra gli enti e i cittadini non è di contrapposizione, ma d'immedesimazione, e la dottrina della comproprietà ha il solo merito di aver intuito, sebbene attraverso vie false, che il diritto dei singoli è d'indole corporativa. Diritto pubblico, naturalmente, non diritto privato. Non diritto civico, come da taluni si assume. I diritti civici hanno per presupposto una prestazione che il cittadino può chiedere all'ente, e che l'ente ha il dovere di rendere al cittadino, mentre, nel caso, gli enti amministrativi non hanno il dovere giuridico di costruire e di mantenere le cose pubbliche. L'uso di queste ultime non ha sostanzialmente contenuto diverso da quello inerente al diritto di proprietà. Con questa differenza: che, mentre, iure privato, il diritto di godere della cosa spetta esclusivamente al proprietario, per diritto pubblico il godimento della proprietà pubblica compete all'universalità dei cittadini. Inoltre, mentre, per diritto privato, la facoltà di godere della cosa non trova che limitazioni generali, il diritto di uso della cosa pubblica trova limiti nella natura stessa della cosa, nell'esercizio collettivo del diritto e nei poteri di supremazia che spettano all'ente cui la cosa appartiene. L'uso delle cose pubbliche non riguarda la sfera giuridica positiva dell'individuo come tale, ma la sfera dell'individuo come componente la corporazione: uti cives. È un diritto assoluto, uguale in tutti coloro che ne godono, e che trova il suo regolamento e la sua protezione giuridica esclusivamente nel campo del diritto pubblico. Titolare del diritto di proprietà, l'ente cui appartiene la cosa; titolare del diritto di uso, la collettività, per mezzo della quale l'ente esercita il godimento. In breve, l'uso generale appare come naturale e necessario esercizio di una delle più importanti facoltà inerenti al diritto di proprietà pubblica. È un diritto pubblico corporativo, che non ha né potrebbe avere carattere reale rispetto all'amministrazione, ma che è tutelato come diritto reale rispetto ai terzi.

La stessa figura non ricorre nei riguardi dell'uso speciale delle cose pubbliche, giacché il soggetto viene qui in considerazione non come componente la collettività, ma in riguardo alle sue particolari condizioni: varia, quindi, da caso a caso, la figura giuridica. Se l'uso della cosa non è possibile se non col concorso dell'attività dell'ente, si ha la figura del diritto civico. Se si tratta di rapporti fra la proprietà pubblica e la privata, si hanno o limitazioni legali alla cosa pubblica a favore della proprietà privata, come ad es. la facoltà di fabbricare sul limite delle strade, o usi particolari della cosa pubblica conformi alla sua destinazione, come ad es. il diritto d'immettere i rifiuti nelle fogne stradali, nei fiumi, ecc. In ogni caso, la condizione di proprietario non costituisce che condizione di fatto perché si usi della cosa pubblica.

Per quanto riguarda l'uso eccezionale pare ovvia l'impossibilità di formulare principî generali, giacché tale uso ha fondamento in titoli speciali di varia natura. Può trattarsi di diritti preesistenti alla demanialità, che continuano a sussistere perché per una qualsiasi plausibile ragione non sono stati espropriati. Questi diritti hanno, evidentemente, carattere reale e non discendono dalla demanialità. Diritti possono derivare da antichi titoli, riconosciuti efficaci dalla legislazione posteriore, come nel caso dei diritti alla derivazione di acque pubbliche. Infine, facoltà eccezionali possono derivare da concessioni amministrative, largite o nell'interesse personale del concessionario, o nell'interesse di una pubblica impresa da questo assunta. Nel primo caso, l'atto di concessione crea diritti privati: personali o reali; nel secondo è frequente il trasferimento nel concessionario dell'esercizio dei poteri che, normalmente, spettano all'ente. In ogni ipotesi, tali diritti sono soggetti alle limitazioni, modificazioni e sospensioni richieste dal pubblico interesse.

Origine della demanialità. - Può essere autonoma, come può derivare dalla trasformazione di altro diritto. Soprattutto, ai fini dell'origine della demanialità, occorre distinguere il demanio necessario dal demanio accidentale. Il primo è quello destinato ad uno scopo amministrativo per la natura stessa della cosa, come il lido del mare, i porti, i seni, le spiagge, i fiumi. Per il demanio necessario, l'inizio della demanialità ha luogo ex re: gli atti amministrativi che lo riguardano hanno soltanto valore dichiarativo che consente la prova contraria. Tali sono gli elenchi dei beni demaniali, gl'inventari, gli atti di allineamento o delimitazione; i quali stabiliscono semplici presunzioni iuris tantum circa la demanialità.

Demanio accidentale è quello destinato a una pubblica funzione in virtù di un atto amministrativo, espresso o tacito, diretto o indiretto. L'atto espresso consiste nell'esplicita dichiarazione della pubblica amministrazione di destinare la cosa ad una pubblica funzione. Si dubita se tale pronuncia costituisca atto amministrativo o se debba considerarsi piuttosto come un'azione, un fatto. I fautori di quest'ultima opinione assumono che, nel caso, si tratta di mera disposizione della cosa, che non dà vita a un negozio giuridico, così come non pone in essere un negozio giuridico il privato che impartisce disposizioni sulla cosa propria. Può obiettarsi che non ricorre l'analogia col diritto privato: iure privato, chi impartisce ordini e disposizioni sulla cosa propria nei limiti del diritto obiettivo, non dà vita a rapporti giuridici; publico iure, la dichiarazione di demanialità di un bene genera rapporti fra la collettività e il bene. Invero, o della cosa viene consentito l'uso pubblico e non par dubbio che quest'uso debba avere la sua disciplina in rapporti giuridici; ovvero si tratta di cosa per cui l'uso pubblico non possa essere consentito, come nel caso dei bastioni delle piazze da guerra e delle fortezze, e, in tal caso, la particolare natura di questi beni, il regime cui essi sono sottoposti, richiedono, di necessità, il regolamento di rapporti giuridici tra l'amministrazione e i singoli: rapporti che sono in parte negativi e si concretano in divieti (divieto di accesso, divieto di costruzione per una determinata zona, ecc.), ma in parte possono essere positivi. Nella dichiarazione di demanialità pare, quindi, che possano sempre ravvisarsi gli estremi dell'atto amministrativo in senso tecnico. È notevole che, alla dichiarazione di volontà dell'ente deve seguire la destinazione effettiva della cosa alla pubblica funzione. Donde il corollario che a siffatta funzione la cosa, per sua natura, dev'essere idonea.

Si assume che la demanialità, in virtù di atto tacito, diretto o indiretto, possa risultare dalla destinazione di fatto della cosa ad una pubblica funzione. Questa destinazione potrebbe essere compiuta o direttamente dalla pubblica autorità, oppure, indirettamente, dai cittadini, senza opposizione dell'ente amministrativo. Nel primo caso, si parla di usucapione; nel secondo, troverebbe applicazione la figura dell'immemoriale. Ciò merita un opportuno chiarimento. È incontroverso che il semplice decorso del tempo non crea la proprietà demaniale. I principî degli articoli 2113 e 2114 del codice civile non trovano, qui, applicazione, giacché la prescrizione è un mezzo di acquisto della proprietà o di altro diritto reale iure privato, ma non può raggiungere gli effetti di diritto pubblico che solo l'atto amministrativo formale può produrre. Quando di usucapione si parla, si deve partire dal presupposto di una cosa di proprietà altrui, in possesso dell'ente amministrativo e dall'ente considerata e trattata come pubblica. Il decorso del tempo, inducendo una prescrizione acquisitiva, trasforma il possesso in proprietà, mentre la cosa continua nella originaria funzione e destinazione. L'usucapione crea il diritto di proprietà, ma non trasforma il patrimonio in demanio. Se, poi, la cosa altrui non sia in possesso dell'ente, e su di essa si eserciti solo l'uso generale, le conseguenze giuridiche sono la costituzione di una servitù pubblica sulla cosa altrui - comunissima la servitù di passaggio attraverso le vie vicinali - cioè un diritto reale che implica diminuzione del contenuto della proprietà privata.

Per quanto riguarda l'immemoriale, è noto ch'esso, nel caso, presuppone l'uso di fatto prolungato, da un tempo cuius memoriam non extat, di un bene appartenente a un ente pubblico da parte dei cittadini. L'immemoriale non è una prescrizione acquisitiva, e non ha, come questa, l'efficacia di trasformare uno stato di fatto in uno stato di diritto. L'immemoriale produce, invece, l'effetto di consolidare uno stato di fatto che s'ignora se sia stato o meno legittimo; e, pertanto, si comprende come il possesso di beni demaniali, da parte dei cittadini, possa restare consolidato dall'immemoriale malgrado l'imprescrittibilità di detti beni. L'immemoriale non produrrà certo, nei subietti, il diritto a che la cosa sia considerata demaniale dalla pubblica amministrazione, ma esso produce sicuramente l'effetto di dar consistenza a diritti che possono derivare ai singoli in virtù della demanialità. Sono diritti subiettivi, che trovano regolamento e protezione nel campo del diritto pubblico.

Cessazione della demanialità. - Ha luogo per dichiarazione espressa; per sclassificazione tacita; per snaturamento della cosa; per distruzione; per prescrizione immemorabile.

Per dichiarazione espressa può cessare solo il demanio accidentale. Le cose naturalmente pubbliche devono essere sempre considerate come demaniali dall'ente amministrativo; mentre le altre, come per atto legislativo ovvero amministrativo possono essere destinate a una pubblica funzione, così con atto della stessa natura possono cessare da siffatta destinazione. La soppressione può aver luogo anche per sclassificazione indiretta, cioè in conseguenza di un atto di diritto pubblico che contrasti con la demanialità. Può essere prodotta da sclassificazione tacita; può derivare dal fatto che sulla cosa non sia stato in realtà esercitato l'uso pubblico a cui era destinata, o che sia venuta meno la pubblica funzione cui la cosa doveva servire. Nel caso di un bene che sia demaniale per rapporto di accessorietà con altra cosa demaniale, esso segue la sorte della cosa principale. Effetto della soppressione della destinazione è la perdita della qualità demaniale e il passaggio della cosa nel patrimonio dell'ente (art. 429 del codice civile).

Il demanio necessario si trasforma in patrimonio per effetto dello snaturamento della cosa, quando, cioè, o per fatto della natura o per fatto dell'uomo, essa perda, in modo definitivo, gli elementi che come pubblica la caratterizzano.

Si estingue, infine, la demanialità per distruzione o perdita della cosa e quando, per un tempo immemorabile, il diritto di proprietà pubblica non sia stato esercitato dall'ente amministrativo.

Singole cose demaniali. - L'art. 427 del codice civile dispone che fanno parte del demanio pubblico: le strade nazionali, il lido del mare, i porti, i seni, le spiagge, i fiumi e i torrenti, le porte, le mura, le fosse, i bastioni delle piazze da guerra e delle fortezze. L'art. 428 soggiunge che qualsiasi altra specie di beni appartenenti allo stato forma parte del suo patrimonio. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che l'enumerazione dell'art. 427 non è che esemplificativa, e serve a indicare la specie dei beni che non hanno carattere patrimoniale. Numerose altre leggi definiscono come pubblici altri beni dello stato, e lo stesso codice civile non fa cenno, nell'art. 427, dei beni demaniali delle provincie e dei comuni; ne parla all'art. 432, definendo la demanialità dei beni dei cennati enti per via di concetto generale e non per enumerazione.

Le singole cose demaniali possono distinguersi in: 1. Il demanio fluviale, che comprende i corsi d'acqua (fra cui, importantissimi, i fiumi e i torrenti), i laghi, le sorgenti, i canali dello stato e gli acquedotti comunali (v. acque pubbliche); 2. Il demanio stradale (v. strada); 3. Il demanio marittimo (v. sotto); 4. Il demanio militare (v. sotto); 5. Il demanio speciale dei comuni, che comprende le strade, i mercati, i cimiteri, e, secondo un'opinione, anche i pubblici macelli.

Demanio marittimo.

Secondo la dottrina tradizionale, il mare non può formare oggetto immediato o mediato di diritto, perché manca dei caratteri dell'occupabilità e della limitabilità. Il mare non è, quindi, un bene, e tanto meno un bene demaniale. È res communis, compreso quello territoriale, su cui lo stato esercita poteri di sovranità e di polizia. La laguna viva veneta, dichiarata demaniale dal regolamento austriaco del 20 dicembre 1841, costituisce una mera eccezione. Il demanio marittimo (art. 427 cod. civ.; articoli 157 e 158 cod. marina merc.; art. 18 legge 2 aprile 1885, n. 3095) comprende il lido e la spiaggia. Lido è definito quel tratto di terra coperto dall'onda nel suo massimo flutto invernale: est autem litus maris quatenus hibernus fluctus maximus excurrit (Inst., II, 1, de divisione rerum, 3); litus est quousque maxime fluctus a mare pervenit (Cels., in Dig., L, 16, de verb. signif., 96). Spiaggia è quel tratto di terra, all'interno, oltre il lido, necessario per l'approdo, il transito e l'ormeggio. Secondo il diritto siculo, la spiaggia era quella parte del terreno, prossima al mare, che si estendeva per un tiro di balestra (per iactum balistae), calcolato in 365 metri al di là del lido. Per le leggi sarde (art. 119 delle Reali patenti piemontesi del 24 novembre 1827; art. 161 della legge sarda sulle opere pubbliche 20 novembre 1859, n. 375) la spiaggia si protraeva per 65 metri dal lido. Secondo il vigente codice della marina mercantile, la spiaggia non ha una estensione prestabilita, ma è determinata dall'autorità marittima. I termini lido e spiaggia sono spesso usati alternativamente anche dal legislatore, tanto che un'autorevole giurisprudenza considera la spiaggia come uno speciale modo di essere del lido. Si argomenta che se il lido si dovesse intendere come tratto di terra coperto dall'onda nel suo massimo flutto, bisognerebbe dire che non esiste lido dove il mare batte contro rocce a picco, od altri ostacoli naturali e artificiali, che impediscono all'onda d'inoltrarsi. La frase costa senza lido non ha senso; mentre ha un preciso significato l'altra, costa senza spiaggia. Il concetto del nostro legislatore sarebbe sempre quello del litus, che va dal battente fin dove può arrivare l'onda, e che è così comprensivo di lido e di spiaggia, considerato nei due momenti di calma e di agitazione. Oltre la spiaggia così intesa, non potrebbe esservene un'altra senza confine, da considerarsi demaniale ipso iure, per le naturali caratteristiche del terreno, sol perché sussegue la spiaggia battuta dal mare. La demanialità, per i tratti di terreno oltre il punto dove batte l'onda nel suo massimo flutto, non può sorgere che da una specifica destinazione ad uso pubblico, per atto dell'autorità competente.

Fanno, inoltre, parte del demanio marittimo: a) Gli arenili o relitti del mare, cioè quei tratti di terra, oltre la spiaggia, che vengono abbandonati dal mare che si ritira (art. 427 cod. civ.). Quando il mare, invece di ritirarsi, sommerge una zona di terreno che prima formava il lido, si è ritenuto che venga, per sua natura, ad assumere carattere e funzione di lido la zona di suolo immediatamente successiva. Si ha, nel caso, la trasformazione giuridica di una cosa in conseguenza di un fatto naturale. Non vi sarebbe, pertanto, luogo né a indennità, né a osservanza delle norme relative all'espropriazione per pubblica utilità. b) I porti, che sono militari e commerciali. La distinzione non ha importanza nei riguardi della demanialità, ma solo della competenza passiva della spesa; c) I seni, le rade, e, come accessorî, le darsene, i canali, i fossi, le banchine, i fari e le altre opere complementari. All'uso ordinario del demanio marittimo e a quello eccezionale derivante da concessioni si applicano i principî comuni. Le principali concessioni di aree sono stabilite a favore delle industrie marittime; e specialmente dei cantieri. Le concessioni per uso diverso sono qualificate contratti, mentre la loro natura giuridica è quella di atti amministrativi unilaterali. Concessioni gratuite possono farsi a enti e a privati per fini di utilità pubblica.

Demanio militare.

Tutti i beni che, per naturale loro funzione, attuano direttamente e immediatamente i fini inerenti alla difesa militare, sono demaniali e costituiscono il "demanio militare".

Così è da ritenere che abbiano i caratteri della demanialità gli aeroporti e i campi di fortuna per l'approdo e la partenza dei velivoli lungo le rotte aeree (legge 22 giugno 1927, n. 1630); che non li abbiano gli altri edifici inerenti all'esercito e all'armata, come le caserme, le fabbriche di armi e di prodotti esplodenti, le polveriere, per quanto i terreni circostanti a queste siano soggetti a servitù militari. Fanno eccezione le polveriere delle colonie libiche, perché dichiarate espressamente demaniali, insieme con le fortificazioni, i campi di aviazione, i parchi aerostatici militari, e in genere con tutte le opere militari di difesa permanente, dall'art. 3 del r. decr. 3 luglio 1921. I campi di tiro a segno, costituirebbero, secondo alcuni, proprietà indivisa fra lo stato, le provincie e i comuni. Secondo altri, la proprietà apparterrebbe alle società di tiro: si tratterebbe di proprietà sui generis, vincolata a determinate condizioni e limitata nell'uso. Una terza opinione, condivisa dalla giurisprudenza, ritiene che, anche astraendo dalle questioni circa la proprietà del suolo, questo si debba considerare come demanio di uso pubblico finché non muta la sua destinazione. Questa massima non ha il favore della dottrina e non può essere condivisa, specie perché il tiro a segno è soggetto alla sorveglianza dei ministeri dell'Interno, della Guerra e dell'Educazione nazionale (legge 1° febbraio 1892, n. 58); manca, quindi, il carattere precipuo della demanialità, cioè la pertinenza ad uno dei tre enti: stato, provincia, comune.

Il demanio militare non è soggetto per sua natura ad alcun uso né ad alcun diritto da parte dei cittadini. Al contrario, dà luogo a notevoli limitazioni alla proprietà privata, cioè alle cosiddette servitù militari. In ciò esso si distingue dalle altre cose pubbliche.

Bibl.: F. Cammeo, Demanio, in Digesto italiano; id., Corso di diritto amministrativo, II, Milano 1914, p. 979 segg.; Lomonaco, Demanio, in Enc. giur.; O. Ranelletti, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, parte 1ª: Stato della dottrina e della giurisprudenza, in Giur. ital., 1897; parte 2ª: I beni demaniali nel dir. ital., ibid., 1898; parte 3ª: Teoria, in Riv. ital. di scienze giur., 1899; S. Romano, Principî di dir. amm., Milano 1906, p. 425 segg.; Salemi, Natura giur. dell'uso comune dei beni demaniali, Sassari 1923; G. Zanobini, Il concetto di proprietà pubblica e i requisiti giur. di demanialità, Torino 1923.

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