DEMETRIO di Falero

Enciclopedia Italiana (1931)

DEMETRIO di Falero (Δημητριος ὁ Φαληρεύς, Demetrius Phalereus)

Arnaldo Momigliano

Figlio di Fanostrato del demo di Falero, nato intorno al 350 a. C., si formò alla scuola peripatetica, seguendo, più ancora che Aristotele, il successore Teofrasto. Lo dimostrano studioso di molteplici problemi i titoli delle sue opere, tutte perdute, dai quali ancora s' intende che egli si preoccupasse più dei problemi etici, politici, filologici, retorici che non di quelli logici e metafisici. Come filologo scrisse ricerche sui poemi omerici e raccolse favole esopiche e "massime utili" (χεῖαι), una parte cospicua delle quali sembra fosse costituita da quegli "apoftegmi dei sette savî" che hanno fornito materia al Florilegio di Stobeo e ad altre simili raccolte. Retore ammiratissimo da Cicerone, scrisse trattati di retorica e critiche di oratori, in specie di Demostene, al quale infatti il suo stile fiorito ed elegante, privo di ogni forte passionalità, si opponeva coscientemente. Appunto perciò egli fu ritenuto dai moderni precursore e quasi fondatore dell'asianismo: definizione vaga, che non affronta il vero problema, che è per un lato la relazione tra la dottrina e la prassi retorica di D., per l'altro la relazione tra la dottrina di D. e quella dei suoi maestri. Problema, tuttavia, che si può formulare piuttosto che risolvere, in difetto d'informazioni precise sulle teorie di D.

Data la nostra impossibilità di fissare il posto di D. nello svolgimento della scuola peripatetica, ciò che di più aristotelico ci resta ancora di lui è la caratteristica della sua attività politica. Fedele alla sua scuola, che poneva il governo migliore nelle classi medie, D. si trovò dalla parte di Cassandro, quando questi riprese contro Poliperconte la tradizionale politica macedone fondata sui possidenti. Nel 317 a. C. da Cassandro, che aveva occupato il Pireo, D. fu imposto al governo di Atene. Del suo governo, che durò dieci anni, fece la cronaca e la difesa in un'opera autobiografica. D. dominò con poteri dittatoriali, senza tuttavia, a quanto pare, che si violassero le forme costituzionali, perché D. dovette essere ogni anno o arconte o stratego. I diritti politici limitati ai possessori di almeno 1000 dramme furono di fatto senza importanza. Alle dipendenze di Cassandro, D. si trovò in fondo liberato dalla responsabilità di una politica estera autonoma e poté quindi dedicarsi per intero al riordinamento economico e spirituale di Atene. Mentre la libertà delle città greche si andava disfacendo e si prospettava sempre più impellente la necessità di vaste concentrazioni politiche, D. tentava di attuare la città ideale, che era nella teoria dei suoi maestri. Non abbiamo notizie precise dei suoi provvedimenti economici; solo sappiamo che fece un censimento (Ateneo, VI, 272 c.), il primo a noi noto dell'antichità greca, e trasferì la coregia al bilancio dello stato, facendola pesare su tutta la popolazione invece che sui soli grandi possidenti. Un poco più ci è noto sui provvedimenti moralistici: leggi suntuarie e miagistrature per la sorveglianza dei costumi, come i gineconomi (γυναικονόμοι). È da escludere che D. abbia per primo istituito i nomofilaci (νομοϕύλασες), incaricati di sorvegliare l'adempimento delle leggi, che si trovano in quel periodo di tempo ad Atene. Le conseguenze di questo governo, che tentava di dare all'organizzazione cittadina un astratto valore etico, andando sia contro alla libertà tradizionale della città, sia alle esigenze imposte dalla formazione dei grandi stati ellenistici, furono disastrose. Nell'unica guerra che turbò, durante il decennio, Atene, quella di Cassandro, Seleuco e Tolomeo coalizzati contro Antigono, gli ultimi resti dell'impero marittimo della città andarono perduti: nel 314 la flotta di Atene fu quasi distrutta a Lemno e non poté più difendere Imbro, Delo e Lemno stessa, che non molto tempo dopo caddero in mano di Antigono. Né all'interno il governo di D. poteva soddisfare. La passeggera prosperità economica non compensava la perdita dell'autonomia, la rovina delle istituzioni democratiche, nonché la rinuncia alla libera espansione dentro e fuori la Grecia. Quando nel 307 le navi di Demetrio Poliorcete (v.) apparvero al Pireo, la città abbandonò D., che si rifugiò prima a Tebe, poi in Egitto, dove ebbe certo parte, presso Tolomeo Lagide, nell'elaborazione della legislazione egiziana. Il successore Tolomeo Filadelfo, già suo nemico, lo fece internare. È curiosa la confusione della lettera di Aristea (III, 5 segg.) che considera D. bibliotecario del Filadelfo e consigliere per la traduzione della Bibbia in greco. Morì per il morso di un aspide.

Fonti: Una biografia in Diog. Laer., V, 75 segg., con l'elenco delle opere; Suida, S. v. I frammenti (con testimonianze) in Jacoby, Fragmente der griechischen Historiker, II, B, p. 956 segg.; i framm. storici anche in Mu̇ller, Fragmenta Historicorum graecorum, II, p. 362 segg.; i framm. oratorî in Baiter e Sauppe, Oratores attici, II, p. 344 segg. A Demetrio di Falero è attribuito dal codice che ce lo tramanda un trattato sull'elocuzione (Περὶ ἑρμενείας), sicuramente non autentico. Notizie sulla politica di D. sono sparse in Diodoro XVIII-XX, Plutarco, Demetrio (Poliorcete) e altri minori. Le più importanti iscrizioni in Dittenberger, Sylloge inscriptionum graecarum, 3ª ed., I, nn. 318-20.

Bibl.: G. Droysen, Histoire de l'hellénisme, trad. franc., II, Parigi 1884, p. 403 segg.; B. Niese, Geschichte der griechischen und makedonischen Staaten, I, Gotha 1893, pp. 248 segg.; 312 segg.; F. Susemihl, Gesch. d. griech. Litt. in d. Alexandrinerzeit, I, Lipsia 1891, p. 135 segg.; G. De Sanctis, in Studi di storia antica, II (1893), p. 12 segg.; J. Beloch, Griechische Geschichte, 2ª ed., Berlino e Lipsia 1925, IV, i, p. 146 segg.; W. S. Ferguson, Hellenistic Athens, Londra 1911, p. 38 segg.; Martini, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, col. 2817 segg.; J. Kaerst, Geschichte des Hellenismus, II, 2ª ed., Lipsia e Berlino 1926, p. 40 segg.

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