DEMOCRITO

Enciclopedia Italiana (1931)

DEMOCRITO (Δημόκριτος, Democrĭtus)

Adolfo Levi

Uno dei maggiori rappresentanti della più antica filosofia greca. Nacque, secondo testimonianze quasi unanimi, in Abdera. Però regnano incertezze sia sulla data della nascita (fra il 470 e il 457 a. C.) sia su quella della morte. Infatti è certo che D. visse lungamente, ma s'ignora a quale età morisse; probabilmente a 90 anni, ma le notizie che si hanno in proposito sono discordi; alcuni parlano persino di 109 anni.

Se, come pare certo, Leucippo è una personalità storica, si deve ritener sicuro che D. sia stato un suo discepolo. È indiscutibile che D. possedeva una larga conoscenza del movimento scientifico e filosofico a lui anteriore e contemporaneo. Si dice che egli abbia compiuto lunghi viaggi in Oriente: forse si trattenne qualche tempo in Egitto; poi, ritornato in patria, v'iniziò la sua attività scientifica d'insegnante e di scrittore. Gli si attribuiscono le parole: "Mi recai ad Atene e nessuno mi conobbe"; ma secondo altre testimonianze non avrebbe mai visitato quella città. Anche su altri fatti della sua vita mancano notizie sicure, mentre abbondano le narrazioni romanzesche e gli aneddoti fantastici. È invece credibile l'affermazione che D. sia stato assai onorato dai suoi concittadini e abbia ricevuto il soprannome di sapienza (σοϕία). Si può ritenere certo che abbia dedicato la sua vita alle ricerche scientifiche; un'espressione significativa dell'amore appassionato che nutriva per il sapere è data dalla sua dichiarazione che preferiva scoprire una sola prova a diventare re di Persia. Fece oggetto dei suoi studî tanto il mondo della natura quanto quello umano, precorrendo Aristotele nell'ampiezza degl'interessi scientifici, nell'amore della ricerca empirica e nell'estensione della produzione letteraria.

Diogene Laerzio ci ha trasmesso un catalogo degli scritti democritei (che in ultimo deve risalire a Callimaco) che li divide in gran parte in tetralogie: questo ordinamento si attribuisce a Trasillo, ma ha origini più antiche. Due tetralogie riguardano argomenti morali; inoltre si assegnano a D. numerose sentenze tramandate da Stobeo e una collezione di massime che nei manoscritti porta il nome di Democrate. Alcuni hanno negato l'autenticità di quasi tutti i frammenti etici democritei. In generale, sembra probabile l'opinione che considera autentici molti pensieri di quelle due raccolte, ma ritiene che provengano da un'antologia di massime che scolari di D. avevano tratto dagli scritti etici del maestro. Quattro tetralogie riguardanti la fisica includono fra l'altro il μέγας διάκοσμος ("il grande sistema del mondo" che però era attribuito anche a Leucippo), il μικρὸς διάκοσμος ("il piccolo sistema del mondo", l'opera più importante di D.) e lavori di logica e di gnoseologia. Tre tetralogie di contenuto matematico trattavano anche di astronomia, di geografia e probabilmente di prospettiva. Gli scritti di due tetralogie riguardanti la musica concernevano, oltre i ritmi e l'armonia, questioni grammaticali e letterarie. Tre tetralogie includevano lavori di carattere tecnico (di agricoltura, di medicina, ecc.). Il catalogo ricorda due gruppi di scritti non ordinati in tetralogie: uno di problemi naturali, uno di memorie riferentisi principalmente a questioni orientali. Diogene Laerzio nota che alcuni assegnavano a D. altri scritti, ma aggiunge che si trattava in parte di estratti dalle sue opere, in parte di composizioni unanimemente ritenute apocrife. Ma la lista degli scritti non autentici deve essere ampliata. Infatti si assegnavano a D. le opere di tutta la scuola di Abdera a cominciare da Leucippo (due scritti del catalogo sono attribuiti anche a questo) e inoltre si ponevano sotto il suo nome numerose composizioni posteriori: come tali si debbono ritenere non solamente i diciotto scritti non inclusi nelle tetralogie, ma anche altri assegnati a queste: soprattutto sono dubbî molti lavori di carattere tecnico che M. Wellmann (v. Bibl.) con buona ragione assegna a Bolo di Mende (v.), detto anche Bolo democriteo o Bolo Democrito, cui attribuisce altresì parte dei lavori riguardanti l'Oriente. E a Bolo si debbono assegnare anche altri scritti che, posti sotto il nome di D. e largamente sfruttati da scrittori dell'ultimo periodo dell'antichità e del Medioevo (greci, latini e arabi), hanno determinato una completa trasformazione della figura del pensatore di Abdera, che è stato ritenuto un mago o uno dei più antichi maestri dell'alchimia. Una falsificazione (composta forse agl'inizî dell'età imperiale) è la corrispondenza di D. col medico Ippocrate di Coo, che costituisce una specie di romanzo epistolare. Anche se si fa astrazione dagli scritti apocrifi o dubbî, è certo che l'opera scientifica di D. includeva quasi tutti gli oggetti della conoscenza umana: ma ne restano soltanto dei frammenti che, sebbene numerosi, sono ben poca cosa rispetto a quanto si è perduto. Nelle opere aristoteliche D. è criticato, ma è citato spesso e con rispetto; per molti secoli gli scrittori antichi hanno posto il pensatore di Abdera tra i maggiori filosofi, vicino a Platone e ad Aristotele, ma poi, nell'età imperiale, il predominio degl'interessi religiosi ha fatto sì che l'oscurità avvolgesse il rappresentante dell'atomismo materialista e meccanicista, trascurato dagli ammiratori dei discepoli di Socrate che avevano costruito sistemi speculativi di carattere idealistico. A sua volta l'epicureismo, appunto perché attingeva numerosi concetti a D., non desiderava che si diffondessero le opere sue, che probabilmente nel sec. III dopo C. andarono perdute.

Salvo poche eccezioni, gli storici non hanno cercato di distinguere i pensieri di D. da quelli di Leucippo, che abitualmente Aristotele e Teofrasto ricordano insieme: soltanto recentemente alcuni studiosi (per es., J. Burnet, C. Bailey: v. Bibl.) si sono allontanati da questa consuetudine. Tuttavia in una breve trattazione è opportuno presentare insieme le dottrine degli atomisti di Abdera perché ciò permette di meglio precisare i motivi di pensiero che ne hanno determinato la formazione e i caratteri.

In complesso si può ritenere giusta l'opinione del Burnet che D., vissuto nell'età di Socrate, si sia ben più di Leucippo interessato dei problemi gnoseologici ed etici, ma ciò non permette di affermare che il discepolo, rispetto alle dottrine atomisti che generali, si sia limitato a riprodurre gl'insegnamenti del maestro, perché invece risulta che le svolse largamente per costruire un ampio sistema.

Le relazioni che le antiche testimonianze pongono tra i fondatori dell'atomismo e i rappresentanti dell'eleatismo e del pitagorismo mettono in luce l'influsso che sul pensiero dei primi esercitarono tali teorie. Il monismo eleatico rappresentato da Parmenide (v.) era giunto, in forza del suo razionalismo intransigente, a concepire come forme del non essere, cioè a condannare come privi di realtà, lo spazio vuoto, la molteplicità, il movimento, il mutamento, la genesi e la distruzione, il divenire in generale; così tutto il mondo dell'esperienza sensibile era ridotto a un tessuto di parvenze. La negazione del divenire è accolta dai pensatori venuti dopo Parmenide; ma contro le altre sue dottrine (difese dai rappresentanti della scuola eleatica) e specialmente contro il suo monismo, sorgono nel sec. V a. C. i sistemi pluralistici di Empedocle (v.), di Anassagora (v.) e degli atomisti, che in modo diverso tentano di dar ràgione dei mutamenti delle cose senza ricorrere a processi di genesi e di distruzione, e cioè valendosi del concetto del movimento spaziale di realtà molteplici. Ma gli atomisti collegano all'eleatismo il pitagorismo, in quanto costruiscono una dottrina pluralistica di tipo pitagorico e insieme eleatico. I reali che coi loro raggruppamenti costituiscono tutte le cose concrete debbono essere indivisibili (atomi); infatti gli atomisti sostengono, accogliendo i risultati della critica eleatica (soprattutto di Zenone d'Elea) che se non si ponesse un termine alla divisibilità dell'essere, questo si ridurrebbe al nulla. Ma gli atomi non sono indivisibili per la loro estrema piccolezza (effettivamente sono tanto piccoli da riuscire impercettibili), ma perché non contengono vuoto. Gli atomi hanno grandezza (altrimenti sarebbero inestesi e quindi s'identificherebbero col nulla): ma se idealmente, cioè matematicamente, sono divisibili, non si possono dividere fisicamente, perché sono assolutamente duri o solidi e perciò impenetrabili. Così le unità-punti dei pitagorici sono trasformate da entità geometriche in masse fisiche solide. Per la loro indivisibilità gli atomi si avvicinano all'Essere di Parmenide, di cui possiedono anche gli altri caratteri essenziali: sono ingenerati, imperituri, immutabili; inoltre sono privi di qualità sensibili. Ma se tutti gli atomi, che sono il pieno, hanno la stessa natura, occorre, perché costituiscano una pluralità, che siano moltiplicati e frammentati da quel vuoto che per l'eleatismo è identico al Non essere. Perciò con audacia grandissima gli atomisti affermano, contro le tesi fondamentali di Parmenide, l'esistenza del Non essere, che esiste non meno dell'Essere. Per loro quindi due sono i principî di tutte le cose, il pieno (l'Essere) e il vuoto (il Non essere). Siccome l'Essere è una pluralità in forza del Non essere, cioè del vuoto, gli atomi possono distinguersi tra loro soltanto per le differenze che questo può produrre nel pieno, cioè per le loro proprietà spaziali, ossia geometriche; la figura, l'ordinamento e la posizione. Si è molto discusso per sapere se l'antico atomismo vedesse nel peso una proprietà originaria degli elementi, ma è probabile che lo facesse derivare dal processo vorticoso che dà origine al mondo. Coi raggruppamenti degli atomi si formano tutte le cose, che si dissolvono per le loro divisioni; ma per dar ragione di questi processi, cui si riduce ogni apparenza di genesi e di distruzione, è necessario ammettere il movimento spaziale che gli Eleati negavano perché implica il vuoto: così questo anche per tale motivo appare una condizione necessaria dell'interpretazione razionale dell'esperienza. Ma, mentre Empedocle e Anassagora fanno provenire il moto da forze esteriori alla materia, operanti finalisticamente, gli atomisti lo intendono in modo rigidamente meccanico. Per gli atomisti il pieno, quando si trova nel vuoto, continua nel suo movimento che è ingenerato ed eterno; di tale fatto non si deve chiedere ragione appunto perché è primitivo ed è sempre avvenuto. Ciò significa che è illegittimo chiedere una spiegazione teleologica d'un processo meccanico sufficiente a sé stesso perché irriducihile ad altro. Aristotele, che considerava come veramente necessaria soltanto la causalità teleologica, poteva affermare che secondo D. il movimento che dà origine al mondo è spontaneo; ma gli atomisti, che respingevano il determinismo finalistico soltanto per accettarne uno meccanicistico anche più inflessibile, affermavano che nulla avviene senza causa, che tutto accade per una ragione e in forza della necessità. Gli atomi che sono infiniti, muovendosi in tutte le direzioni nel vuoto, pure infinito, s'incontrano, dando origine a un movimento vorticoso che determina raggruppamenti di elementi simili (per qualità geometriche). Così si formano i cosiddetti elementi (fuoco, aria, acqua, terra), le sostanze complesse e i mondi, che sono infiniti perché tali sono lo spazio e gli atomi. Principio di vita è l'anima, che è corporea perché risulta di atomi di fuoco, sottili, lisci, sferici, mobilissimi, capaci quindi di attraversare e di muovere ogni cosa, anche il corpo. L'anima è diffusa in tutto l'organismo che ovunque possiede senso e moto; essa è mortale perché si dissolve col corpo. Quando D. afferma che gli dei (che sono pure costituiti di fuoco) si debbono pensare come anima e intelletto, intende parlare non di esseri personali ma dell'elemento igneo, e quindi psichico, che è diffuso nelle cose. Egli però ammette che esistano nell'aria esseri demoniaci, in parte benefici, in parte malefici, non immortali, ma forniti di una vita più lunga dell'umana perché difficilmente distruttibili: essi presagiscono il futuro agli uomini. Fra gli esseri viventi D. considerò soprattutto l'uomo (che chiamò un microcosmo) e in esso studiò specialmente le attività conoscitive.

Per gli atomisti, che identificano l'essere col corpo, i processi psichici, anche quelli conoscitivi, sia percettivi sia propriamente intellettuali, possono consistere soltanto in movimenti spaziali di atomi corporei. Per interpretare le percezioni D. si valse della teoria degli eidola o immaginette (presentata da Leucippo per spiegare la visione con immaginette delle cose che penetrano negli occhi) e la collegò con quella di Empedocle, che dava ragione dei processi percettivi con effluvî dei corpi che entrano nei pori dell'organismo. La sensazione avviene quando effluvî di atomi (gli eidola) incontrano pori appropriati a loro. Siccome la percezione richiede sempre un contatto, Aristotele diceva che gli atomisti riducevano tutti i sensi al tatto. Il movimento dell'anima deve essere eccitato da motori esterni, che saranno gli eidola, e perciò dal senso deve dipendere il pensiero, anch'esso moto atomico. Questa dipendenza psicologica non corrisponde però al rapporto di valore gnoseologico. Infatti, la vera realtà non può mutare; perciò le qualità sensibili mutevoli non debbono possedere oggettività. Ma siccome i1 mondo del divenire e del mutamento esiste almeno come apparenza, occorre darne ragione con movimenti spaziali (che implicano il vuoto) di una pluralità di atomi: vuoto e atomi saranno quindi l'unica vera realtà. Così, secondo una concezione accennata da Leucippo e svolta da D., le proprietà sensibili delle cose, che ci mostrano differenze qualitative e mutamenti, esistono non in natura, ma per convenzione, cioè hanno esistenza puramente soggettiva perché sono relative al senso dei soggetti percipienti. Ciascuna è vera soggettivamente per chi la prova, ma oggettivamente tutte sono false, perché nessuna corrisponde alla realtà. Donde affermazioni che sembrano scettiche, ma che in realtà riguardano soltanto la conoscenza sensibile (ad es.: "Occorre che l'uomo riconosca che è lontano dalla verità"). La condanna di questa conoscenza, infatti, si collega in D. all'affermazione della validità oggettiva di quella razionale che, diretta dalle esigenze del pensiero, permette di penetrare nell'intima natura della realtà.

Molto si è discusso sull'interpretazione del pensiero etico di D. In generale esso mostra lo stesso carattere razionalistico della sua gnoseologia. La felicità dipende dalla conoscenza del bene, e l'ignoranza di questo è il principio delle nostre colpe. La condizione più importante della felicità umana è la saggezza pratica o prudenza (ϕρόνησις), la ragione educata ed esercitata. Siccome D. afferma che il piacevole differisce secondo gl'individui, mentre il bene e il vero sono comuni a tutti gli uomini, è chiaro che egli pone nella vita morale tra il piacere e il bene la stessa contrapposizione che nel mondo fisico stabilisce tra le qualità sensibili e gli atomi e il vuoto. Nella morale l'intelletto ha quindi l'ufficio di stabilire che cosa sia il bene, cioè di fissare le condizioni da cui dipende permanentemente la felicità umana; ed esse debbono essere interiori all'anima, perché in questa risiedono la felicità e l'infelicità. Se D. afferma che il godimento (τέρψις) e la sua assenza sono il limite di ciò che è utile e dannoso, non vuole identificare il primo col piacere che varia secondo gl'individui; egli lo intende in un altro senso, perché per lui la felicità risiede nella salda, sicura letizia dell'anima (εὐϑυμίν, εὐεστώ) che è anzitutto misura e armonia. Per ottenere questo scopo non si debbono perseguire i piaceri corporei, i beni esteriori, l'utilità materiale. Dal razionalismo dell'etica democritea proviene il valore che essa accorda alla coscienza razionale dell'individuo: occorre più vergognarsi di sé stessi che degli altri, bisogna astenersi dalle colpe per dovere (δέον), non per timore. Quindi il saggio deve essere diretto dalle norme della sua ragione, non dal timore delle leggi. Tuttavia D., se accorda valore morale ben più all'intenzione che all'azione esterna e propugna l'autonomia delle norme etiche per ciò che riguarda la condotta del saggio, non disconosce la necessità delle leggi, della vita sociale, dello stato. Egli afferma che la cosa più importante per tutti è il buon ordinamento dello stato, perché se questo è ben governato tutto procede bene, mentre nel caso opposto ogni cosa rovina. È vero che nel saggio la ragione è guida sufficiente di condotta: ma siccome nella realtà di fatto l'invidia è il principio delle lotte civili sono necessarie le norme giuridiche.

Notevole importanza storica per gl'influssi esercitati sul pensiero greco posteriore e su quello patristico ha una teoria sulle origini della civiltà umana che secondo le ricerche di K. Reinhardt (v. Bibl.) risale a D.: ma per le affinità che presenta col mito narrato da Protagora nel dialogo platonico che porta il nome di questo, non è improbabile che l'atomista derivasse quella concezione dal sofista, pure nato in Abdera e più anziano di lui. Secondo questa teoria gli uomini primitivi vivevano in condizioni miserrime e ferine; il bisogno e la ricerca dell'utile hanno dato origine alla civiltà.

In complesso la dottrina democritea, considerata come lo sviluppo dell'atomismo fondato da Leucippo, col suo tentativo d'interpretare razionalmente il mondo delle apparenze sensibili grazie a una concezione meccanicistica della realtà, appare lo sforzo più vigoroso che la filosofia cosmologica dei presocratici abbia tentato per risolvere il problema posto da Parmenide; d'altra parte, coi suoi sviluppi gnoseologici ed etici rientra nel movimento di pensiero che ha per rappresentanti i sofisti e Socrate. L'atomismo, interpretando eleaticamente il pluralismo pitagorico, dando contenuto fisico al matematismo di questo, chiarendone e correggendone i concetti fondamentali offriva (pur senza applicare il calcolo all'esperienza) le linee direttive d'una possibile scienza esatta dei fenomeni. Ma le tendenze che dovevano predominare nelle età successive, il qualitativismo, il dinamismo, il teleologismo, si volgevano in direzioni opposte a quelle della dottrina atomistica. L'epicureismo ritornò alle concezioni fisiche di questa, ma non poté svolgerne i germi più vitali, soprattutto per l'indifferenza che provava per le ricerche scientifiche disinteressate: per esso, infatti, le dottrine atomistiche erano soltanto un mezzo utile per sradicare dagli animi il timore degli dei e della vita di oltretomba. L'atomismo, che del resto trovò alcuni rappresentanti anche nel Medioevo, acquistò importanza notevole all'inizio dell'età moderna quando (ad es. per opera di F. Bacone e di G. Galilei) contribuì allo sviluppo della nuova scienza della natura e della nuova filosofia.

Per le testimonianze e i frammenti di D., v. H. Diels, Die Fragmente der Vorsokratiker, II, 4ª ed., Berlino 1922. Un'edizione dei frammenti etici ha dato P. Natorp, Die Ethika des Demokritos, Marburgo 1893. Per gli scritti pseudo-democritei che si possono attribuire a Bolo di Mende, v. la stessa opera del Diels, II, nei Nachträge; M. Wellmann, Die Georgika des Demokritos, in Abhandlungen der preuss. Akad. der Wissensch., Philol.- hist. Klasse, 1921, n. 4; Die ϕυσικά des Bolos Demokritos und der Magier Anaxilaos von Larissa, I, ivi 1928, n. 7.

Bibl.: Vedi notizie bibliografiche in F. Ueberweg, Grundriss der Geschichte der Philosophie, I, 12ª ed. curata da K. Praecker, Berlino 1926, pp. 50-51. - Trattazioni generali: E. Zeller, Die Philosophie der Griechen, I, ii, 6ª ed. curata da W. Nestle, Lipsia 1920, pp. 1038-1184; Th. Gomperz, Griechische Denker, I, 4ª ed., Berlino e Lipsia 1922, pp. 261-307; J. Burnet, Greek Philosophy, I, Londra 1920, pp. 94-101 (Leucippo), 193-201 (Democrito); L. Mabileau, Histoire de la philosophie atomistique, Parigi 1895; C. Bailey, The Greek Atomists, Oxford 1928, pp. 64-214. - Lavori speciali: A. Dyroff, Demokritstudien, Monaco 1899. - Per la fisica: A. Brieger, Die Urbewegung der Atome und die Weltentstehung bei Leukipp und Demokrit, Halle 1884; Die Urbewegung der demokritischen Atome, in Philologus, LXIII (1904), pp. 584-596; H. C. Liepmann, Die Mechanik der Leukipp-Demokritischen Atome, Lipsia 1885; O. Hamelin, La pesanteur de l'atome dans le système de Démocrite, in Annales de la faculté des Lettres de Bordaux, n. s., V (1888), p. 194 segg. - Per alcune teorie scientifiche: E. Frank, Plato und die sogenannten Pythagoreer, Halle 1923, passim. - Per la gnoseologia: P. Natorp, Forschungen zur Geschichte des Erkenntnisproblems im Altertum, Berlino 1884, p. 164 segg.; V. Brochard, Protagoras et Démocrite, in Archiv für Geschichte der Philosophie, II (1889), pp. 368-398 (ristampato in Études de philosophie ancienne et de philosophie moderne, Parigi 1912); A. Brieger, Demokrits angebliche Leugnung der Sinneswarheit, in Hermes, XXXVII (1902), pp. 56-83; F. Enriques, La teoria democritea della scienza nei dialoghi di Platone, in Rivista di filosofia, XI (1920), pp. 14-24. - Per l'etica: F. Lortzing, Über die ethischen Fragmente Demokrits, Berlino 1873; R. Hirzel, Demokrits Schrift Περί εὐϑυμίης, in Hermes, XIV (1879), pp. 354-407; P. Natorp, Die Ethika des Demokritos, cit.; J. Ferber, Über die wissenschaftl. Bedeutung der Ethik Demokrits, in Zeitschrift f. Philosophie und philosophische Kritik, CXXXII (1908), pp. 82-114; H. Laue, De Democriti fragmentis ethicis, Gottinga 1921; id., Die ethik des Demokritos, in Sokrates, IL (1923), pp. 23-28; 49-63; R. Philippson, Demokrits Sittensprüche, in Hermes, LIX (1924), pp. 369-419. Per la storia della cultura: K. Reinhardt, Hekatäus von Abdera und Demokrit, in Hermes, XLVII (1912), pp. 492-513. - Per influssi sul pensiero posteriore: P. Natorp, Die Ethika des Demokritos, p. 127 segg. (Epicuro, Aristippo, gli scettici, Platone); Archer Hind, The Timaeus of Plato, Londra 1888; I. Hammer-Jensen, Demokrit und Platon, in Archiv f. Gesch. d. Phil., XXIII (1910), pp. 92-105, 211-229; U. v. Wilamowitz-Moellendorff, Platon, 2ª ed., Berlino 1920, I, pp. 588, 618; J. Stenzel, Platon und Demokrit, in Neue Jahrbücher für Klassische Philologie, LXV (1920), pp. 89-100; E. Frank, op. cit., passim; A. Dyroff, Demokritstudien, cit., p. 59 segg.; A. Goedeckemeyer, Epikurs Verhältnis zu Demokrit in der Naturphilosophie, Strasburgo 1897; R. Philippson, Die Rechtsphilosophie der Epikureer, in Archiv f. Gesch. d. Phil., XXIII (1910), pp. 289-337, 433-446; L. Löwenheim, Der Einfluss Demokrits auf Galilei, in Arch. für Geschichte der Philosophie, VII (1894), pp. 230-268; Die Wissenschaft Demokrits und ihr Einfluss auf die moderne Naturwissenschaft, Berlino 1914.

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