DERELIZIONE

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

DERELIZIONE

Guido Donatuti

È l'abbandono della cosa da parte del proprietario. Essa si sostanzia in una condotta del proprietario stesso, dalla quale si desume che egli intende rinunciare alla signoria sulla cosa.

Elementi della derelizione sono: l'intenzione di abbandonare definitivamente la cosa (elemento spirituale, animus derelinquendi) e una corrispondente condotta, che nella valutazione sociale vale come attuazione di quell'intenzione (elemento materiale). Le fonti romane dànno, come esempî di questo comportamento, l'atto di abiicere, trattandosi di cose mobili e l'atto di allontanarsi, trattandosi di stabili. La derelizione, perciò, non si può confondere né con l'abbandono volontario di cose fatte per evitare un pericolo né, tanto meno, con l'abbandono involontario che si ha, ad es., nell'ipotesi di smarrimento. In entrambi questi due ultimi casi manca, infatti, l'animus derelinquendi. Inoltre la perdita volontaria del possesso di una cosa da parte del proprietario in tanto può costituire derelizione, in quanto essa, secondo il giudizio sociale, assuma l'aspetto del comportamento di chi vuole abbandonare definitivamente la cosa sua, e nulla vieta che ciò si avveri in un momento successivo a quello della perdita volontaria del possesso. Così, ad es., le merci di una nave gettate in mare dal loro proprietario potranno considerarsi res derelictae solo quando si potrà dire che il padrone ne trascuri il recupero. E infine la distinzione tra derelizione e traditio in incertam personam si basa sulla diversa intenzione che nei due atti può attribuirsi a chi si spoglia della proprietà. Mentre il derelinquente intende soltanto liberarsi dalla proprietà, colui che trasferisce in incertam personam intende perdere la cosa solo in quanto l'acquisti una persona di un determinato gruppo o una persona che venga a trovarsi in una determinata situazione.

Diritto romano. - Possono essere oggetto di derelizione cose mancipi e nec mancipi, immobili e mobili. Inoltre, mentre il condomino può derelinquere la sua quota pro indiviso, non può essere oggetto di derelizione, da parte di chi è l'unico proprietario di una cosa, una quota di dominio su di essa e ciò perché non è concepibile una proprietà per una quota, senza che vi sia un altro proprietario per l'altra o per le altre. Ancora, poiché la derelizione è l'abbandono della cosa, operato dal proprietario, è logico che possano esserne oggetto soltanto cose suscettibili di proprietà, in particolare soltanto cose corporali. Ciò nonostante, talvolta nelle fonti si parla di derelictio a proposito di diritti, ma è chiaro che in tali casi l'espressione non è tecnica.

Gli effetti della derelictio nel diritto giustinianeo sono: a) la perdita della proprietà della cosa, che diviene nullius; in conseguenza: b) la cosa derelitta non può essere oggetto di furto anche se chi la prenda ignori la reale derelizione e abbia l'animus furandi; infatti mancherebbe il derubato, essendo la cosa divenuta, con la derelictio, res nullius; c) esclusione della responsabilità di garenzia da parte del venditore dell'oggetto che il compratore abbia derelitto; infine: d) la proprietà delle res derelictae può acquistarsi mediante occupazione. Per l'epoca classica siamo all'oscuro. Sappiamo dalle fonti che a proposito della derelictio c'era una controversia fra alcuni giuristi della scuola sabiniana e altri della scuola proculeiana. I primi ritenevano, infatti, che la cosa derelitta cessava immediatamente di appartenere al derelinquente, gli altri sostenevano, invece, che la perdita della proprietà si verificava solo quando altri avesse occupata la cosa abbandonata. In apparenza, soltanto i sabiniani avrebbero riconosciuto come causa sufficiente di perdita della proprietà la semplice derelizione. Si discute però sul fondamento della teoria proculeiana, sui limiti della suddetta controversia e, soprattutto, sui principî prevalenti nel diritto classico. Circa il fondamento della teoria si ritiene da alcuni scrittori ch'esso risiedesse nella concezione che i proculeiani avevano della derelictio, come di una specie di traditio in incertam personam, nella quale, com'è noto, il tradente perde la proprietà solo quando l'accipiente l'abbia acquistata. È più probabile, peraltro, che quel fondamento risiedesse nel diverso punto di vista circa il momento in cui poteva dirsi consumata, realizzata la derelictio; in altri termini, i proculeiani avrebbero riconosciuto il comportamento necessario della derelictio solo quando il derelinquente fosse rimasto inattivo dinnanzi all'occupazione della cosa, compiuta da altri. Per i limiti della controversia, si è sostenuto che essa riguardava non soltanto il momento della perdita, ma anche quello dell'acquisto da parte dell'occupante. Precisamente, i proculeiani, coerentemente alla dottrina che farebbe della derelictio una traditio in incertam personam, avrebbero richiesto l'usucapione per le res mancipi, giacché la traditio di queste procurava soltanto l'in bonis. Si è obiettato a ragione che le fonti non autorizzano questa estensione della controversia. Passando a discorrere del regime classico della derelizione, l'opinione tradizionale ritiene che tutte le cose, mancipi e nec mancipi, derelitte dal proprietario, divenissero nullius e potessero essere acquistate dal primo occupante. Tuttavia una teoria molto diffusa, basandosi su alcuni indizî, peraltro alquanto dubbî, delle fonti, sostiene che per il diritto classico (quindi non soltanto per la teoria proculeiana) la derelictio fosse una specie di traditio in incertam personam. In conseguenza, partendo dall'osservazione che il diritto classico conosce solo alcuni modi solenni per acquistare il dominio delle res mancipi, afferma che, relativamente all'acquisto della proprietà delle res derelictae, bisogna fare distinzione fra res mancipi e res nec mancipi. Infatti, essendo la traditio sufficiente a trasferire il dominio soltanto delle res nec mancipi, per acquistare la proprietà di quelle derelitte sarebbe bastata l'occupazione, ossia la presa di possesso da parte del terzo acquirente (v. tradizione, XXXIV, p. 140), ma per ottenere la proprietà di una res mancipi derelitta, la semplice presa di possesso, l'occupazione, che conduceva solo a un possesso ad usucapionem, non sarebbe stata sufficiente. Per acquistare la proprietà di una res mancipi derelitta sarebbe occorsa, quindi, l'usucapione. Ma in contrario si è osservato: a) che in questa materia non si trova mai la terminologia propria della tradizione e si incontra, invece, solo quella dell'occupazione; b) che non vi è alcun indizio sicuro di una diversità di trattamento fra res mancipi e nec mancipi; c) che un frammento del Digesto (XXXXI, 7, pro derelicto, 8) prova come per acquistare la proprietà di una res mancipi derelitta (nella specie, una schiava) non occorreva l'usucapione.

Diritto moderno. - Per il concetto di derelizione vale quanto si è detto sopra. Circa gli effetti occorre distinguere i beni mobili dagli immobili. La proprietà dei primi si perde con il loro definitivo abbandono, s'intende, da parte del proprietario capace di alienare; tuttavia, trattandosi di navi (articoli 491 e 492 cod. comm.) e di cose assicurate contro i rischi della navigazione (articoli 632 e 638 cod. comm.), vi sono disposizioni speciali, dalle quali risulta che la semplice derelizione non è sufficiente a fare perdere la proprietà. Infatti perché l'abbandono di una nave o di una cosa, assicurata contro i rischi della navigazione, possa essere efficace, non basta il comportamento, di cui si è parlato definendo la derelizione; occorre, invece, una vera e propria dichiarazione di rinuncia che abbisogna, a sua volta, per essere valida, di speciali formalità. Lo stesso è a dirsi per gl'immobili. L'art. 1314, n. 3, cod. civ. dimostra che la rinunzia alla proprietà degli immobili deve risultare da una dichiarazione scritta da rendersi pubblica mediante trascrizione. Per l'acquisto delle cose abbandonate, v. occupazione, XXV, p. 138.

Bibl.: P. Bonfante, La derelizione di res mancipi nel diritto classico, in Scritti giuridici vari, II, Torino 1918, p. 327 segg.; id., La derelizione e l'apprensione di cose derelitte, in Scritti giuridici vari, II, ivi 1918, p. 342 segg.; id., Corso di diritto romano. La proprietà, sez. 2ª, Roma 1928, p. 274 segg.; A. Berger, In tema di derelizione, in Bullettino dell'Istituto di diritto romano XXXII (1922), pagina 131 segg.; G. Brugi, Della proprietà, II, Torino 1923, p. 648 segg.; V. Scialoja, Teoria della proprietà nel diritto romano, II, Roma 1931, p. 299 segg.; I. I. Meyer Collings, Derelictio, Kallmünz 1932; S. Romano, Studi sulla derelizione nel diritto romano, Padova 1933.

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