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Nel linguaggio filosofico, termine introdotto dagli Stoici per indicare, in contrapposizione alla ‘definizione’, un discorso riferito all’individualità della cosa di cui coglierebbe i caratteri accidentali. Nella logica e nella filosofia del linguaggio contemporanee, le d., concepite come termini singolari e quindi, ancora, riferite a un individuo, sono al centro di una disputa intorno al loro rapporto con un altro tipo di termini singolari, i nomi. Per una corrente che si può far risalire a J.S. Mill, secondo cui i nomi non hanno connotazione e solo le d. determinano il loro referente qualitativamente, ossia mediante le proprietà che tale referente ha, il rapporto è di radicale differenza; per un’altra corrente che si richiama a G. Frege, secondo cui i nomi hanno un loro significato e entrambi i termini (nomi e d.) individuano il loro oggetto qualitativamente, il rapporto è invece di sostanziale affinità. B. Russell arriva a considerare i nomi comunemente intesi come delle d. camuffate. S. Kripke e H. Putnam, infine, separano i nomi dalle d. in base al loro differente meccanismo referenziale, che è causale nel primo caso e qualitativo nel secondo.

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