DAUFERIO, detto il Profeta

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DAUFERIO, detto il Profeta

Paolo Bertolini

Uomo politico beneventano, nacque intorno alla metà del sec. VIII, probabilmente nella capitale del principato, da nobilissima e potente famiglia di stirpe longobarda, senza dubbio imparentata con la stessa dinastia allora regnante.

D. non deve essere confuso - al contrario di quanto ha fatto la letteratura storica anche moderna: basterà qui ricordare il Di Meo, il Manitius e lo Hartmann - con un suo celebre e omonimo contemporaneo: quel Dauferio soprannominato "il Muto" (secondo il Chronicon Salernitanum) o "il Balbo" (secondo Erchemperto), che fu suo consuocero e che fu con i suoi figli anima e protagonista dell'insurrezione dalla quale, sul finire dell'839, fu contrapposto in Salerno a Radelchi I - il principe di Benevento appena salito sul trono - Siconolfo, fratello minore dei sovrano da poco scomparso, Sicardo, aprendo in tal modo un conflitto intestino che si concluse con la scissione nei principati di Benevento e di Salerno del grande Stato unitario creato dai Longobardi nell'Italia meridionale. Non deve nemmeno essere identificato in un altro suo omonimo di poco posteriore: quel Dauferio figlio di Maione, che era nipote di Dauferio "il Muto" e che, dopo il colpo di Stato da cui venne travolto Ademario, fu per breve tempo principe di Salerno nella primavera estate dell'861 prima di venire a sua volta deposto e incarcerato dal proprio zio Guaiferio.

Non è improbabile, invece, che D. possa essere tutt'uno con quel "Dauferius quidani vir spectabiliso, di cui parla Erchemperto ai capitoli 7 ed 8 della sua Historia, narrando di uno degli ultimi attacchi portati dal principe Grimoaldo II di Benevento contro Napoli.

Scarsissime le notizie in nostro possesso relative alla biografia ed alla carriera di D. anteriormente all'817: quanto riferiscono sul suo conto le fonti narrative a noi note riguarda infatti solo la parte da lui avuta negli avvenimenti connessi con il colpo di Stato, che portò nell'817 alla tragica morte di Grimoaldo II e all'avvento, come principe dei Longobardi beneventani, del gastaldo di Acerenza Sicone.! Un "Dauferius gastaldius" conipare citato, è vero, in un diploma di Grimoaldo II dell'agosto dell'810 - il primo dei precepta princineschi beneventani che ci sia giunto in originale (P. Bertolini, tav. D, n. 7, pp. 98 s.) -; e un "Dauferius marepais filius Maioni" placita in Fasano (Brindisi) nel novembre dell'815 (ibid., tav. D, n. 17, pp. 100 s.); ma è difficile per noi stabilire, se in quei personaggi sia da vedere D. o non piuttosto uno dei suoi omonimi contemporanei. Sappiamo inoltre che D. si era sposato, ma per il silenzio mantenuto in proposito dalle fonti non conosciamo né il nome della sua consorte, né la famiglia cui ella apparteneva e che comunque dovette essere, dato il rango di D., fra quelle più in vista del principato. Da lei aveva avuto almeno due figli, Rothfrit e Potelfrit, che appaiono già adulti quando le fonti iniziano a parlare del loro padre. Risulta, infine, che il palazzo di D. in Benevento dava sulla piazza; e che D. aveva libero accesso alla residenza dei principi.

Grimoaldo II cadde assassinato alla fine di maggio (forse il 22) dell'817, vittima di una congiura, di cui facevano parte il "nobilissimus vir" D., i due figli di quest'ultimo, il conte di Conza Radelchi -e il-gastaldo di Acerenza Sicone. Costui non era di origine beneventana, ma ai sovrani di Benevento tutto doveva da quando, ancora in tenera età e profugo dal Friuli con la madre a causa della conquista franca, aveva trovato rifugio nella Longobardia meridionale, presso la corte di Arechi II Erchemperto tace della parte avuta da D. nella cospirazione contro Grimoaldo II, mentre indica espressamente in Radelchi e in Sicone i capi del complotto e gli autori dell'uccisione dei principe, uccisione che egli situa in un periodo di tempo immediatamente successivo all'ultimo e vittorioso colpo inferto a Napoli da quel principe per rappresaglia del fallito attentato organizzato, con l'appoggio dei Partenopei, dal "vir spectabilis" Dauferio. Il cronista dei vescovi di Napoli Giovanni Diacono, pur riferendo la notizia dell'assassinio di Grimoaldo II, tace i nomi dei responsabili, che forse gli erano ignoti, ma aggiunge che il principe venne ucciso mentre giaceva a letto colpito da grave malattia. Un D. promotore di tutta la macchinazione vuole far apparire. l'anonimo autore del Chronicon Salernitanum, secondo la cui versione Grimoaldo II, venuto in urto con D. e col conte di Conza, sarebbe stato assalito, per istigazione di quest'ultimo, dai due figli di D. e da un "crudelissimus vir", certo Aghelmundo, col quale essi erano in rapporto ed al quale il cronista fa risalire la responsabilità dell'uccisione materiale del principe. Dalle parole dell'Anonimo non sembra che a Sicone sia comunque spettata una parte determinante in questi avvenimenti. Che la manovra sia stata effettivamente condotta da D. e dal conte di Conza sembra provato dalla conforme testimonianza di Erchemperto, il quale afferma senza possibilità di equivoci che, "interfecto eo [scil. grimoald principe] innocenter [sacrificandolo., cioè, come vittima innocente], predictus Radechis Siconem principem subrogavit" (c. 9, p. 238).

Non si può dire se alla base di questa congiura vi fossero - come sembra ragionevole pensare - segrete intese con i Bizantini e coi magister militum imperiale, che allora governava il ducato di Napoli. Tale ipotesi sarebbe pienamente accettabile, se fosse possibile provare che D. è effettivamente tutt'uno con quel "vir spectabilis" Dauferio, che qualche tempo prima aveva già compiuto, d'accordo con quell'alto ufficiale bizantino, un tentativo per eliminare Grimoaldo II. Senza dubbio la tragica scomparsa del sovrano dovette suscitare nel principato di Benevento smarrito stupore e disordini, che andarono progressivamente aumentando quando si aprì tra gli stessi congiurati -secondo quanto testimoniano Erchemperto, Giovanni Diacono e l'anonimo autore dei Chronicon Salernitanum, che poi è quello che tratta più diffusamente l'argomento - la lotta per la successione. Non è tuttavia facile ricavare dal racconto del Chronicon Salernitanum, troppo ampio e arricchito certo da una grande quantità di particolari, frutto della fantasia dell'autore o dei suoi informatori, il quadro di ciò che accadde in realtà a Benevento immediatamente prima e subito dopo la tragica morte di Grimoaldo II. Si riesce tuttavia a intravvedere, tra le molte frange romanzesche, un nucleo di verità storica, che trova conferma nelle laconiche annotazioni di Erchemperto e di Giovanni Diacono. Là certo che già prima del colpo di Stato era in atto una lotta sorda tra la fazione capeggiata dal conte di Conza e le forze politiche, di cui era espressione D. e che intendevano impedire alla prima di aprirsi la. strada verso il potere. là altresì certo che Radelchi, sempre in questa fase precedente la scomparsa di Grimoaldo II, aveva cercato con ogni mezzo, anche con la violenza, di impedire ogni aumento dell'influenza di Sicone nel campo politico. Appare inoltre provato che, assassinato il principe, dopo un primo momento in cui sembrò prevalere Radelchi appoggiato dalla maggioranza dei Longobardi beneventani, prese invece il sopravvento, con i suoi fautori, proprio D., il quale per il tramite dei suoi figli si era segretamente accostato a Sicone per averlo come alleato nella lotta contro il comune avversario e come sostenitore nella conquista del potere. Non sembra tuttavia che D. aspirasse personalmente al trono: già avanti negli anni, egli, con l'aiuto della sua fazione, cercava di porre alla testa del principato il maggiore dei suoi figli, Rothfrit, che doveva essere allora un uomo sulla quarantina.

Dal canto suo Radelchi, informato dell'accordo intercorso tra D. e Sicone, temendo di venir eliminato dalla scena politica e, fors'anche, privato della vita nel caso in cui Rothfrit fosse riuscito a farsi riconoscere principe, volle prevenire l'avversario, strappandogli un'arma dalle mani e privandolo nel contempo di un alleato. Dichiarando di rinunziare alla successione, sostenne la necessità di innalzare al trono proprio Sicone, il gastaldo di Acerenza: a suo parere costui, appunto perché "exterus homo" e, quindi, libero da interessi di parte ed estraneo alle tradizionali rivalità di clan, era infatti l'unico esponente politico in grado di sollevarsi al di sopra delle fazioni, di restaurare l'antica concordia, di debellare le forze centrifughe dei grandi. La propaganda di Radelchi si guadagnò larghi consensi in ogni ceto: salutato come il sovrano pacificatore e riconosciuto legittimo successore di Grimoaldo II, Sicone fu eletto principe dei Longobardi beneventani non solo dai maggiorenti, ma dal popolo tutto, secondo i desideri di Radelchi ("omnis denique vulgus necnon et sublimes voluntati eius [scil.: Radechis comitis] obtemperantes", sottolinea l'anonimo autore del Chronicon Salernitanum).

Questo unanime consentire di tutte le forze politiche sul candidato di Radelchi era dovuto, con ogni probabilità, al fatto che ciascuna di esse riteneva di poter giocare a proprio vantaggio la carta costituita dal gastaldo di Acerenza, al quale evidentemente gli esponenti dell'antica oligarchia ed i circoli responsabili beneventani non riconoscevano né la forza né la capacità di inserirsi autorevolmente ed autonomamente nel gioco politico del principato. D. lo considerava un utile appoggio per schiacciare Radelchi e deprimere così i gruppi più tradizionalisti.

Per Radelchi era soltanto - e non mancò di dirlo senza mezzi termini - un uomo di paglia, che sarebbe stato principe soltanto di nome e del quale si sarebbe servito per i suoi scopi. Ambedue lo vedevano come uno strumento per aprirsi la strada verso il trono e da eliminare al momento opportuno. Quanto ai grandi, essi ritenevano che Sicone non avrebbe avuto la forza necessaria per opporsi alle loro tendenze autonomiste. Ma erano incorsi tutti in un grave errore di valutazione: grave soprattutto per D. e per Radelchi, che non avevano saputo né individuare né stimarla chiarezza di vedute, la prontezza di reazioni, la forza stessa del gastaldo di Acerenza.. Questi infatti, non appena fu riconosciuto successore legittimo di Grimoaldo II, dimostrò subito, spazzando via ogni opposizione, la volontà di raccogliere nelle sue mani, senza condizionamenti di sorta, quel potere che gli era stato confidato dal "vulgus" e dai "sublimes". Inseritosi d'autorità nella lotta tra la fazione di cui era esponente D., e quella capeggiata da Radelchi, riuscì ad avere ragione della prima appoggiandosi sulla seconda, che pure eliminò in un proseguo di tempo e per gradi.

Schieratosi Radelchi con il nuovo sovrano, D., rimasto praticamente solo, dovette piegarsi e venne escluso dal giuoco politico. Fu costretto infatti ad abbandonare il territorio del principato, sotto il pretesto di compiere un pellegrinaggio di penitenza in Terrastanta. Ciò dovette avvenire immediatamente prima che Sicone esautorasse Radelchi dei poteri, di cui era investito o che si era arrogato, e lo obbligasse a ritirarsi a Conza: dunque prima della solenne intronizzazione del sovrano, che fu celebrata nel corso di una festività religiosa del luglio dell'817. Non sappiamo quando D. sia tornato in patria. Acerto, tuttavia, che, quando egli rientrò a Benevento, Sicone teneva saldamente in pugno il potere - dunque, molto dopo che Radelchi era stato costretto a farsi monaco e a rinchiudersi nell'abbazia di Monte Cassino per espiarvi il proprio delitto - e la situazione generale era tornata alla normalità. Non abbiamo infatti notizia di ulteriori misure repressive nei confronti di D., mentre sappiamo, d'altro canto, che proprio in quegli anni il figlio di lui Rothfrit ricopriva cariche di notevole importanza a corte, come risulta da un diploma di Sicone del giugno dell'821 (P. Bertolini, tav. G, n. T, pp. 118 s.).

Per tutta la durata del suo pellegrinaggio, racconta l'anonimo autore del Chronicon Salernitanum, sia durante l'andata, sia durante il ritorno. D. portò in bocca un "non valde exiguum lapidem", che deponeva solo per mangiare e per bere, e che lasciò come ex voto nella chiesa beneventana di S. Maria delle Grazie, dove era ancora visibile nel sec. XI. Per tale ragione, secondo il cronista, gli sarebbe stato attribuito il soprannome di "profeta". là questa l'ultima notizia in nostro possesso a lui relativa. D. dovette morire in ogni caso intorno alla metà del terzo decennio del secolo, poco dopo il suo ritorno in patria, perché le fonti a noi note non fanno più cenno di lui per avvenimenti occorsi durante i principati di Sicone, di Sicardo e di Radelchi I, in riferimento ai quali vengono invece citati i suoi figli.

Fonti e Bibl.: Erchemperti Historia Langobardorum Beneventanorum, in Mon. Germ. Hist., Script. rerum Langobard. et Italicarum..., I,a cura di G. Waitz, Hannoverae 1878,capitoli 7-9, 12, pp. 237 ss.; Iohannis Diaconi Gesta episcoporum Neapolitanorum, ibid., a cura di G. Waitz, cap. 51, p. 428; Chronica Langobardorum seu monachorum de monasterio sanctissimi Benedicti, ibid., a cura di G. Waitz, p. 481; Catalogus regum Langobardorum et Italicorum Brixiensis et Nonantolanus, ibid., a cura di G. Waitz, p. 502; Chronicon Salernitanum, a cura di U.Westerbergh, in Studia Latina Stockholmiensia, III (1956), capitoli 48-50, 53-56, 76, pp. 49-52, 54-57, 75; A. Di Meo, Annali critico-diplomatici del Regno di Napoli nella Mezzana Età, III,Napoli 1797, pp. 283ss., 287-295, 310ss.; M. Schipa, Storia del principato longobardo di Salerno, in Archivio stor. per le province napol., XII (1887), pp. 88-91, 94; F. P. Pugliese, Arechi Il principe di Benevento e i suoi successori, Foggia 1892, pp. 81-85, 88; R. Poupardin, Etude sur l'histoire des principautés lombardes de l'Italie mérid. et de leurs rapports avec l'Empire franc, Paris S. d. [ma 1906], p. 62 n. 5; L. M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, III,1, Gotha 1998, pp. 202 s., 207; M. Schipa, Il Mezzogiorno d'Italia anteriormente alla monarchia. Ducato di Napoli e principato di Salerno, Bari 1925, pp. 45ss., 52, 60ss.; M. Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, III,München 1931, p. 199; U. Westerbergh, Beneventan Ninth Century Poetry, in Studia Latina Stockholmiensia, IV (1957), pp. 35 ss.; N. Cilento, Le origini della signoria capuana nella Longobardia Minore (Studi storici dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo, LXIX-LXX), Roma 1966, pp. 86 s.; P. Bertolini, Studi per la cronol. dei principi langobardi di Benevento: da Grimoaldo I a Sicardo (787-839), in Bull. dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo, LXXX (1968), pp. 52-58; G. Cassandro, Il ducato bizantino, in Storia di Napoli, II,S. I.né d. [ma Cava dei Tirreni 1969], pp. 54 s.

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