Deus e o diabo na terra do sol

Enciclopedia del Cinema (2004)

Deus e o diabo na terra do sol

Gualtiero De Marinis

(Brasile 1963, 1964, Il dio nero e il diavolo biondo, bianco e nero, 125m); regia: Glauber Rocha; produzione: Luiz Augusto Mendes, Luiz Paulino Dos Santos per Copacabana; sceneggiatura: Glauber Rocha, con la collaborazione di Walter Lima Junior, Paulo Gil Soares; fotografia: Valdemar Lima; montaggio: Rafael Justo Valverde; scenografia e costumi: Paulo Gil Soares; musica: Sérgio Ricardo, Glauber Rocha.

Siamo nel sertão, la zona più arida della regione più povera del Brasile, il Nordeste. Dopo aver ucciso il padrone per via di un'ingiustizia subita, il vaccaro Manuel si dà alla fuga assieme a sua moglie Rosa. Il primo incontro è con il beato Sebastião, un predicatore nero che richiede sacrifici umani, obbedienza assoluta e mortificazione della carne in cambio di un Paradiso in terra, in cui "il sertão diventerà il mare e il mare sertão". Qui è Rosa che non regge più la situazione e ammazza il beato. Poco dopo arriva Antonio das Mortes che uccide i discepoli, ma lascia in vita Manuel e Rosa perché possano raccontare l'accaduto. Il secondo incontro è con Corisco, cangaçeiro, bandito d'onore, nomade e irriducibile, cieco di rabbia per la morte del suo amico Lampiao. Manuel si adatta alla violenza gratuita di Corisco, Rosa si accomoda nel suo letto, Antonio arriva alla fine e fa piazza pulita anche del cangaçeiro staccandogli la testa. Il dio nero è morto, il diavolo biondo pure, la soluzione dovrà essere un'altra. Manuel e Rosa attraversano il sertão e vanno verso il mare.

A prima vista è la storia di un cowboy in fuga che prima s'accoda a un predicatore, poi va a vivere con un fuorilegge che verrà fatto fuori da un bounty-killer venuto dal nulla. In realtà è una storia di vaqueiros, beatos e cangaçeiros. E la differenza non è solo linguistica. Oppure sì, è esattamente linguistica.

Al suo secondo lungometraggio Glauber Rocha ha ben chiara una cosa: non si può far parlare la rivolta col linguaggio degli oppressori. Non basta raccontare una storia rivoluzionaria se poi si usano gli espedienti del cinema dominante. Come fanno quelli del "cinema politico delle varie nouvelles vagues". Dove il disprezzo sta tutto nel plurale. Poi Rocha si sarebbe ricreduto, almeno sul conto di Godard, ma al momento il suo imperativo è quello di fare un film brasiliano. L'altra cosa che ha ben chiara è che non vuole solleticare gli esotismi e i terzomondismi d'accatto degli intellettuali europei. Niente 'chanchadas brasileiras', la terra do sol non è certo un luogo di vacanza.

Ne viene fuori un film a tratti smodatamente lento, a tratti frenetico, a momenti sensuale e avvolgente e a momenti indisponente e scorbutico. Dove lo stesso lavoro di produzione non diventa per forza trasparente, ma si fa vivo nella grana del film, nella bruciatura delle immagini, nei sussulti della macchina. Ci sono variazioni d'intensità encomiabili, esplosioni di violenza come fossero balletti, bonacce prolungate come fossero dei quadri, piani sequenza interminabili, attacchi sbagliati fulminanti. Carlos Diegues racconta l'emozione della prima al Festival di Cannes. Carlos Diegues forse esagera. Poi è diverso, lui è brasiliano. Perché Deus e o diabo na terra do sol resta un film che non ti vuole bene. Non vuole bene a noi, bianchi, ricchi, intellettuali, impegnati, terzomondisti. E sazi.

I suoi personaggi sono talmente radicati nella cultura brasiliana che (per un brasiliano) non necessitano spiegazioni. Talmente forti da rischiare di essere dei tipi. (Rocha non ama i figli di papà e dell'Europa, quelli che blaterano di rivoluzione dal caldo delle loro case borghesi, ma Ejzenštejn ce l'ha bene in mente). Dei tipi che non hanno omologhi in altre culture, che quindi saltano l'universale per attingere direttamente al mitico. "Le psicologie ‒ gridavano i detrattori del film ‒ dove sono finite le psicologie?". Ma qui non c'è bisogno di sfaccettature. Qui c'è Corisco, cangaçeiro de duas cabeças, una per pensare, l'altra per uccidere. C'è il beato Santo Sebastião che immola infanti sull'altare. C'è Antonio delle morti, che in realtà si chiamava Rufino, l'unico ad avere un progetto, una missione da compiere, una teleologia, l'idea di un destino. Il tutto raccontato attraverso gli occhi di Manuel, destinato alla fame per nascita, poi al patimento per religione, quindi alla violenza per banditismo e poi di nuovo alla fame e basta. Il tutto, ancora, raccontato attraverso gli occhi di Júlio, il cantore cieco. Questo sì un personaggio universale. In Senegal li chiamano griot, qui da noi l'abbiamo soprannominato Omero. E poi c'è Rosa, la donna di Manuel, quella che ammazza il beato, quella che va a letto col cangaçeiro. E questa è veramente indecifrabile perché non è né umile, né insignificante. Né tipica, né mitica. È vivente. Del resto è noto che all'epoca, riguardo al futuro del cinema, Rocha scommetteva più su Shirley Clarke che su Jonas Mekas.

Girato in ventitré giorni, Deus o diablo na terra do sol è pronto giusto un paio di settimane prima che un nuovo golpe fascista ritrasformi il Brasile in terra di disperazione e di esiliati. Il film va in giro e il suo regista con lui. Prima a Cannes e poi alla Mostra del Cinema Libero di Porretta dove prende il primo premio tra l'esaltazione ammirata di Cesare Zavattini e il disgusto della critica perbene. È la nascita del cinema nôvo che finirà poi per accartocciarsi su se stesso e morire. Anche Glauber Rocha muore, non riconciliato, a Rio il 22 agosto del 1981. Manuel e Rosa, intanto, sono ancora lì a camminare nel sertão che nel frattempo non è diventato il mare.

Interpreti e personaggi: Geraldo del Rey (Manuel), Yoná Magalhães (Rosa), Maurício do Valle (Antonio das Mortes), Othon Bastos (Corisco), Lidio Silva (Sebastião), Sonia dos Humildes (Dadà), Marrom (Júlio, il cieco), João Gama (prete), Antônio Pinto ('Colonnello'), Milton Rosa ('Colonnello' Morães), Mário Gusmão, María Olivia Rebuças, Regina Rosenburgo, Billy Davis, Roque Santos e gli abitanti di Monte Santo.

Bibliografia

G. Rocha, Uma estética da fome, in "Cinemasessanta", n. 51, marzo 1965.

R. Predal, Le dieu noir et le diable blond, in "Jeune cinéma", n. 25, octobre 1967.

J. Lévy, Mythologies: un continent en trois, in "Cahiers du cinéma", n. 197, Noël 1967-janvier 1968.

M. Martin, Le bruit et la fureur, in "Cinéma 68", n. 125, avril 1968.

M.-C. Wuilleumier, Cinema e politica. Una riflessione sulla violenza, in "Cineforum", n. 87, settembre 1969.

P. Houston, Black God, White Devil, in "Sight & Sound", n. 2, spring 1970.

C. Diegues, 'Le dieu noir et le diable blond' et le Cinéma Novo, in "Positif", n. 400, juin 1994.

José Carlos Avellar, Deus e o diabo na terra do sol, Rio de Janeiro 1995.

Sceneggiatura: Deus e o diabo na terra do sol, a cura di G. Rocha, Rio de Janeiro 1965; in "Cineforum", n. 87, settembre 1969.

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