Dialefe

Enciclopedia Dantesca (1970)

dialefe

Gian Luigi Beccaria

Quando la vocale o le vocali finali di una parola non si fondono (cioè non si integrano, ai fini fonetici e metrici del verso) con la vocale o le vocali iniziali della parola seguente, si ha la dialefe. In D. essa avviene per solito se l'accento cade su una delle vocali contigue o su ambedue. Raramente c'è d. quando le due vocali sono entrambi atone: in questo caso è di norma la fusione, cioè la sinalefe (Pg IX 34 Non altrimenti Achille si riscosse, ecc.). Più rara la dialefe.

Vedi If VII 103 L'acqua era buia / assai più che persa; Pg II 105 qual verso / Acheronte non si cala; If I 11 tant'era pien di sonno / a quel punto (l'edizione del '21 reca pieno; e alcuni codici, per resistenza alla d., hanno sviluppato in su quel punto, lasciando pien, che è della tradizione antica); Pg II 23 un non sapea che bianco, / e di sotto (ediz. del '21; ma da preferire forse un non sapeva che bianco, e di sotto, Casella, ora Petrocchi, e non sapëa: cfr. Casella, in " Studi d. " VIII [1924] 59 ss.): quest'eccezione è riscontrabile comunque dai siciliani (Guido delle Colonne La mia vit'è sì fort'e dura 30 " sono / in mala via "; Pier della Vigna Uno piasente isguardo 16 " La boc[c]a / e li denti ") ai toscani (Cenne da la Chitarra Io vi doto 4 " acqua / e vento "; Monte Andrea, tenzone La pena ch'ag[g]io 5 " il mio core, / e l'ha "; canzone Ancor di dire 171 " fedeltà / e de' piacer' "; e Ahimé lasso 3 " sempre / aretro ") e stilnovisti (per es. Guinizzelli Tegno de folle 'mpres' 16 " troppo / agravata "; Donna, l'amor mi sforza 30 " arde / immantenenti "; Lo fin pregi' 48 " Anche / in vo' "; Volvol te levi 10 " nibbi / e corbi "; e cfr. le esemplificazioni del Casella, in " Studi d. " VIII [1924] 53-54; per il tipo già provenzale di questo iato, cfr. Pleines, citato in bibliografia; è adottato da D. medesimo in Pg XXVI 146 que vos guida / al som de l'escalina: e cfr. Fiore CLXXI 13 ma non sì tosto: / attendi un petito; CLXXXV 3 E l'un con teco / in camera sia; CCXXVI 11 Lo Schifo, / e Vergogna con Paura).

Naturalmente la d. è inammissibile dopo parola sdrucciola (cfr. If III 116, dove il Petrocchi riporta in nota la variante, non accettabile anche per altre ragioni, gittansi in quel linto ad una ad una).

In D. la d. avviene di solito:

a) se la prima delle due vocali è tonica, e la seconda atona (mentre in Petrarca, di regola, non è osservata in questo caso: cfr. XCVII 11, CXXI 7, CCLXX 65, CCLXXIV 9, CCLXXXIX 2; neppure tra due toniche, CCLXIV 27):

per es. con la terza singol. ossitona del passato remoto (Rime CII 18 tal che m'andò / al core ov'io son petra; If II 15 secolo andò, / e fu sensibilmente; XVII 102 e poi ch'al tutto si sentì / a gioco, ecc.) o il futuro (Rime LXXX 13 Par ch'ella dica: Io non sarò / umile; Pg XI 139 Più non dirò, / e scuro so che parlo; Pd II 63 l'argomentar ch'io li farò / avverso, XXX 138 verrà / in prima ch'ella sia disposta, ecc.); dopo parole tronche, come in Pg I 9 e qui Calïopè / alquanto surga; XI 119 bona umiltà, / e gran tumor m'appiani; XII 79 Vedi colà / un angel che s'appresta; XXXIII 96 come bevesti di Letè / ancoi, ecc. Gli ossitoni più frequenti nel determinare d. sono in genere monosillabi come ‛ qua ' (per es. If XXIII 141 colui che i peccator di qua / uncina),‛ là ' (Pg XIII 23 tanto di là / eravam noi già iti), ‛ già ' (If XV 13 Già / eravam da la selva rimossi), ‛ qui ' (Pd IX 113 che qui / appresso me così scintilla), ‛ sù ' (Pg IV 63 che sù / e giù del suo lume conduce), ‛ giù ' (Vn XXXI 10 26 e fella di qua giù / a sé venire; If XXXI 122 mettine giù, / e non ten vegna schifo), ‛ ciò ' (If IV 28 ciò / avvenia di duol sanza martìri), ‛ dì ' sostantivo (Pg VI 113 vedova e sola, e dì / e notte chiama), e ‛ dì ' verbo (Pd XXVI 49 Ma dì / ancor se tu senti altre corde), ‛ né ' (Pg XXIII 51 né / a difetto di carne ch'io abbia), ‛ sé ' (Pd XVII 2 di ciò ch'avëa incontro a sé / udito), ‛ sì ' (Vn XIX 6 9 E io non vo' parlar sì / altamente; If II 137 sì / al venir con le parole tue, XXVI 93 sì / Enëa, e 121 sì / aguti), ‛ più ' (If X 30 temendo, un poco più / al duca mio, e 116 per ch'i' pregai lo spirito più / avaccio); e con altri monosillabi sentiti con valore tonico: ‛ me ' (Pg III 90 sì che l'ombra era da me / a la grotta), ‛ te ' (Rime LVIII 4 che spera in te / e disïando more; If II 114 ch'onora te / e quei ch'udito l'hanno; Pg IV 124 di te / omai; ma dimmi: perché assiso; Pd XVII 73 ch'in te / avrà sì benigno riguardo; in D. non c'è esempio di sinalefe dopo ‛ te ' e ‛ me '), ‛ tu ' (Rime LII 1 Guido, i' vorrei che tu / e Lapo ed io; If XXIX 8 pensa, se tu / annoverar le credi), ‛ mo ' (If X 21 e tu m'hai non pur mo / a ciò disposto), ‛ tre ' (Pg XXVII 85 tali eravamo tutti e tre / allotta). E vedi le terze persone dell'indic. pres., come ‛ va ' (If XVII 39), ‛ può ' (Pd VIII 118 nella '21, ma Petrocchi puot'), e ‛ ha ' (If XI 74 sono ei puniti, se Dio li ha / in ira?), ‛ è ' (Vn XIX 8 26 là 'v'è / alcun che perder lei s'attende; If XII 111 è / Opizzo da Esti, il qual per vero; XV 68 gent'è / avara, invidiosa e superba).

Alla norma suddetta si hanno rare eccezioni: al tipo usuale (If XXVIII 102 Curïo, ch'a dir fu così / ardito; Pg XI 124 Ito è così / e va, sanza riposo), sinalefe in If XV 22 Così adocchiato da cotal famiglia; pochissime eccezioni (6 su 68 esempi) nella Commedia di sinalefe dopo ‛ più ': Pg XIII 98 più innanzi alquanto che là dov'io stava; Pd VII 107 da l'operante, quanto più appresenta, ecc.; rarissime le sinalefi con ‛ fu ', ‛ va '; le eccezioni alla norma suddetta s'incontrano specie con tonica + in preposizione (If XVIII 132 e or s'accoscia e ora è in piedi stante; Pg VI 132 ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca; Pd VII 32 s'era allungata, unì a sé in persona) o prefisso (If IV 23 Così si mise e così mi fé intrare; XXIX 2 avean le luci mie sì inebrïate; XXXII 7 ché non è impresa da pigliare a gabbo; Pg III 122 ma la bontà infinita ha sì gran braccia; XXIII 5 vienne oramai, ché 'l tempo che n'è imposto, e 119 che mi va innanzi, l'altr'ier, quando tonda; XXIX 36 e 'l dolce suon per canti era già inteso; Pd XXIX 29 ne l'esser süo raggiò insieme tutto [Casella]: ma Petrocchi preferisce, alla dieresi d'eccezione, la d. tra il verbo e l'avverbio insieme, e suo monosillabico; e vedi anche If V 54 fu imperadrice di molte favelle; oltre ai già citati, e regolari, casi di d., vedi qualche caso di sinalefe con ‛ un ': If XXII 72 sì che, stracciando, ne portò un lacerto, ovvia naturalmente quando l'articolo segue atona: Pg XVII 34 surse in mia visïone una fanciulla); eccezionale la d. anche di tonica + il o i, che comportano normalmente sinalefe (Pg VIII 94 Com'ei parlava, e Sordello a sé il trasse; Pd XXIX 51 turbò il suggetto d'i vostri alimenti), più spesso l'elisione, ma anche la d. d'eccezione (If IV 14 cominciò / il poeta tutto smorto; Pd XXII 81 che fa / il cor de' monaci sì folle): eccezione che prevarrà sopra la lezione che, per evitarla, o ignorandola, segna un supplemento sillabico (per es. If XVII 79 Trova' / il duca mio ch'era salito, da preferire a E trovai), ma da non accogliere comunque, quando la tradizione lo consenta (cfr. If IX 95 a cui non puote il fin mai esser mozzo, rispetto a può il, con dialefe).

b) Se, delle due vocali, la prima è atona, e la seconda tonica, la d. è eccezionale:

probabile in Rime XLVIII 10 io che m'appello / umile sonetto, salvo ïo (Casella); If XXV 85 e quella parte / onde prima è preso (cfr. correzioni e varianti, per evitare parte / onde); e Pg XXVI 21 che d'acqua fredda / Indo o Etïopo; Pd XVI 139 era onorata, / essa e suoi consorti (le varianti con ed essa, appunto per evitare la d.); XXII 75 rimasa / è per danno de le carte (la d. è stata evitata da Co, inserendo v-[rimasa v'è], mentre alcuni editori, l'ediz. del '37, lo Scartazzini, accolgono il tardo complemento giù [rimasa è giù]; codici tardi hanno rimasa n'è. Ma queste d., con atona + ‛ è ', sono in parte della tradizione: cfr. per es. Cino La dolce vista 42 " gioioso / è 'l morire ", ecc. Ma in D. questi stacchi ritmici sembrano piuttosto suggeriti da altrettante stazioni del pensiero: vedi per es. If X 119 qua dentro / è 'l secondo Federico; XXIII 99 e che pena / è in voi che si sfavilla?; Pd XXXIII 90 che ciò ch'i' dico / è un semplice lume; ed è come se volessero costringere a gravare il peso della voce su determinate parole: If XXIV 129 ch'io 'l vidi / omo di sangue e di crucci; Pd XVI 6 dico nel cielo, / io me ne gloriai, e If II 32 Io non Enëa, / io non Paulo sono, con la solita pausa ritmica, seguita da parola su cui fortemente batte l'accento emotivo). Eccezionale, né confortata da altri esempi, la d. dopo ‛ li ' (If XV 26 ficcai li / occhi per lo cotto aspetto: ma da preferire ficcaï li occhi, seppur con dieresi altrettanto eccezionale, perché abbiamo sempre li occhi in Rime, Commedia passim; ficca 'i li occhi [Casella] era voluto appunto per evitare la d. d'eccezione. E cfr. anche Pd XXV 38 mi venne; ond'ïo levai li occhi a' monti [Casella], oppure ond'io levaï li occhi, Petrocchi).

Anche in questi casi di atona + tonica, varianti tarde (cfr. If XXV 85), stampe tra le più note (cfr. Pd XX 93), o alcuni codici (cfr. Pd XVI 139, XXX 66), non desiderando la d. d'eccezione, offrono lezioni con vario recupero sillabico (ma tra la banalizzazione metrica, cioè resistenza alla d., e d. difficilior, è della prassi solita assumere quest'ultima non canonica, a meno che si tratti di d. particolarmente importuna, tipo If XXXI 138 sovr'essa sì, che / ella incontro penda [ediz. del '21], alla quale il Petrocchi preferisce sì, ched ella, per la contiguità di due vocali identiche: ma altri casi eccezionali di -o + ó- ricorrono comunque con d.: cfr. Pg IV 17 venimmo / ove quell'anime ad una (e qualche codice naturalmente ha dove).

Nel caso suddetto, la norma dantesca comporta dunque la sinalefe. Qualche esempio, tra gl'innumerevoli che si possono addurre: Vn XXIII 28 83 Beato, anima bella, chi te vede!; XXVI 10 1 Vede perfettamente onne salute (If XXIII 46 Non corse mai sì tosto acqua per doccia; Pg VII 83 quindi seder cantando anime vidi; Pd VIII 19 vid'io in essa luce altre lucerne: questo tipo di verso, con l'entrare in sinalefe della parola su cui cade l'accento principale, mosso su una chiusa d'esametro _́∪∪_́∪ e con " iato artistico " - per usare le parole di V. Rossi - che allunga l'endecasillabo, fu matrice che ebbe fortuna nella poesia italiana, da Foscolo - " Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse "; " Il fior de' tuoi gentili anni caduto "; " E di fiori odorata arbore amica "; " Le ceneri di molli ombre consoli " - a Leopardi giovane - " E rifugio non resta altro che il ferro "; " Agli atroci del fato odi sottrarre "; e fu frequentissima sonorità abusata in Prati e Aleardi); Pd XXIII 100 Poi, come nel percuoter d'i ciocchi arsi; Vn VIII 10 16 distrutta hai; Rime LXVI 12 mentre ho, XCIX 10 gente ha, Cv 8 e 9 ch'elli ha, messo ha; Pg VII 132 questi ha; Rime C 27 Fuggito è; If I 4 qual era è; Pg III 107 biondo era, ecc. Dialefe naturalmente dopo la copulativa e: If VIII 5, IX 34, XVIII 132, XXX 63, XXXIII 109, Pg III 103, IV 11, X 77, XI 74, XIV 3, XV 88, XXXIII 55, Pd XXXI 51, ecc. (evitata spesso da alcuni editori con l'ed), che è altrettanto normale anche se segua atona: cfr. gli attacchi di If XXXIII 100, Pg XXVIII 134, Pd XX 79 E / avvegna; If XXV 96 e / attenda, XXXII 69 e / aspetto; Pg X 43 e / avea; If XVIII 45 e / assentio, XXXIV 80 e / aggrappossi; Pg VII 15 e / abbracciòl, XXIII 131 e / addita' lo, XXIX 41 e / Uranìe; Pd XXXIII 126 e / intendente; Pg XII 93 e / agevolemente, ecc.; e anche ‛ e ' + ‛ un ', sia pronome - If XXXIII 109 E / un de' tristi de la fredda crosta; Pg III 103 E / un di loro incominciò: Chiunque; XI 74 e / un di lor, non questi che parlava (ed in Vandelli) - sia articolo: If VIII 5 e / un' altra da lungi render cenno; Pg X 77 e / una vedovella li era al freno.

c) quando le due vocali contigue sono toniche entrambi, la d. è di norma; qualche esempio fra i moltissimi: Vn XXI 4 14 sì / è novo miracolo e gentile, XXVI 12 9 La vista sua fa / onne cosa umile; XXVII 5 14 e sì / è cosa umil, che nol si crede; Rime LXXX 23 così / è fera donna in sua bieltate; e If I 111 là / onde, II 33 né / io né / altri, e 87 qua / entro, III 88 costì, / anima, XVI 1 Già / era, XXXIII 84 in te / ogne; Pd I 12 sarà / ora, XXXIII 126 te / ami; Pg II 111 qui, / è, VII 45 però / è, XXVI 63 più / ampio.

Si tenga in conto che D. non osserva tutte le consuetudini metriche sinora rilevate, quando riporta, nel poema, frasi o versi latini: in questo caso segue le norme della ritmica medievale, nella quale la sinalefe era eccezionale: d. dunque in Pg II 46 ‛ In exitu / Isräel de Aegypto ' e X 44 ‛ Ecce / ancilla Deï ', propriamente.

In D. la d. è osservata dopo alcune particelle sentite con valore tonico: s'è citato me, te, tu, mo, tre. Si veda ora ‛ se ', ‛ ma ', ‛ da ' (preposizione), ‛ o '. S'incontrano d. dopo ‛ se ' congiunzione, specie prima della tonica (Pg VIII 5 se / ode, XXVIII 138 se / oltre; Pd XIX 78 se / ei, XX 93 se / altri, XXVII 19 Se / io; ‛ sed ', con d eufonica, in Rime L 64 sed ella, LI 2 sed elli, analogico su ‛ ed ', ‛ od ': e cfr. Vn XII 13 29 Sed ella non ti crede).

Si ha d, dopo ‛ da ' preposizione: Rime LXIII 8 ma fa' che 'l tragghe prima da / un lato; If XIII 32 e colsi un ramicel da / un gran pruno; Pd X 129 e da / essilio venne a questa pace; ma è più frequente l'elisione, se è una tonica a seguire (cfr. d'ogni, d'ogne; lo stesso si dica per ‛ là ', per es. + ove > là 've, là 'v'era, là 'v'io era, ecc.).

Dialefe anche dopo la congiunzione ‛ ma ': If VII 94 ma / ella s'è beata e ciò non ode; Pd XI 54 ma / Orïente, se proprio dir vuole.

La ‛ o ' esclamativa o vocativa determina d. quando viene dopo una tonica (If VII 70 E quelli a me: / Oh creature sciocche), la sinalefe quando la ‛ o ' segue un'atona (If V 80 mossi la voce: O anime affannate; Pg VI 74 dicendo: O Mantoano, io son Sordello; Pd IV 118 O amanza del primo amante, o diva; Pg XIV 10 e disse l'uno: O anima che fitta, ecc.); se precede un'altra vocale, sia essa tonica o atona, la d. (come già nella metrica latina) è di norma: cfr. i ricorrenti ‛ o / anima ' in If II 58, V 80, XXVII 36, Pg V 46, VI 61, XIV 10, XX 34, XXIV 40, XXVI 53, ecc.; e Pg VI 121 O / è preparazion che ne l'abisso; e con atona: If V 88 O / animal grazïoso e benigno; XXIII 67 Oh / in etterno faticoso manto; Pg XIV 121 O / Ugolin de' Fantolin, sicuro; XVII 13 O / imaginativa che ne rube; Pd XXXIII 82 Oh / abbondante grazia ond'io presunsi: com'anche in Petrarca (CLXXII 1, CCCXL 4). La ‛ o ' disgiuntiva dà per solito sinalefe; d. a principio di verso (Pg XVII 131 o / a lui acquistar, questa cornice; XXXI 60 o / altra novità con sì breve uso).

Con ‛ sù ' avverbio, la d. in D. è del tutto normale: eccezionale invece con ‛ su ' preposizione: Pg X 20 incerti // di nostra via, restammo in su / un piano (difatti alcuni codici, per evitarla, leggono qui su'n); Pd XXIII 7 previene il tempo in su / aperta frasca.

Un discorso a parte merita il ‛ che ', sentito da D. con valore tonico (Boccaccio usa indifferentemente la d. o la sinalefe): tra ‛ che ' relativo o congiunzione + atona, accanto alle innumerevoli elisioni (If III 48, Pg X 36, Pd VII 138, ecc.), ci sono casi di d., che rientrano nei casi citati d'incontro di vocale tonica + atona:

If XIV 8 dico che / arrivammo ad una landa; Pg IV 2 che / alcuna virtù nostra comprenda; Pd X 132 che / a considerar fu più che viro; XI 14 punto del cerchio in che / avanti s'era, e 138 e vedra' il corrègger che / argomenta; XV 55 Tu credi che / a me tuo pensier mei, e 60 che / alcun altro in questa turba gaia; XXII 123 al passo forte che / a sé la tira; XXXI 37 Ïo, che / al divino da l'umano (si noti che la vocale seguente è per solito una ‛ a ': è isolato Pd XXVI 34 più che / in altra convien che si mova, ed è preferibile ovviar la d. in Pg XXV 95. Dialefe regolare anche per ‛ chi ' + atona: If II 18 chi / e'l; Pd XXII 137 Chi / ad altro; un'eccezione in If XI 58 ipocresia, lusinghe e chi affattura). Dialefe anche per ‛ che ', " che cosa " + atona: If V 119 a che / e come concedette amore; XIX 66 mi disse: Dunque che / a me richiedi?; Pg XXIV 133 Che / andate pensando sì voi sol tre?, e Pd XI 138 e vedra' il corrègger che / argomenta. Dialefe anche dopo ‛ che ' relativo o interrogativo + tonica (If XIX 113 che / altro; Pd XXX 66 che / oro; e nella Commedia è del pieno usus dantesco la d. in ‛ che ' seguita da ‛ è ': If VII 84 che / è occulto come in erba l'angue, XXI 127 Omè, maestro, che / è quel ch'i' veggio ?; lo stesso si dica per ‛ chi ': Pg XIX 28 O Virgilio, Virgilio, chi / è questa?; If XXVI 52 chi / è 'n quel foco che vien si diviso; ma cfr. Rime LXXI 2 chi è esta donna che giace sì venta?, LXIX 9 A chi era degno donava salute; e con ‛ che ' consecutivo: Vn XXXI 16 67 che ogn'om..., ecc. Con ‛ che ' con valore di ‛ [per] ché ', oppure consecutivo, abbiamo nella Commedia sempre sinalefe o elisione; cfr. ‛ che ' + atona: elisione (soprattutto a contatto con monosillabi atoni ‛ in ', ‛ un ', ecc.) in If II 139, III 42, XV 82, XXIII 110, Pd VII 47, ecc., e sinalefe in Pg XIII 70 ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra; Pd VIII 113 E io: Non già; ché impossibil veggio; ‛ per ché ' + atona, sempre elisione (If VII 82, XXI 77, Pd VIII 124, XI 42, XXI 89, XXIX 70), una sinalefe (+ tonica) in Vn XIX 9 34 per che onne lor pensero agghiaccia e pere; ‛ si che ', o ‛ sì, che ' (consecutivo) + atona, sempre elisione in If XIII 52, XVI 26 e 105, XXXI 135, XXXIV 81, Pg IV 70, XII 86, XX 75, e, + tonica, If XXXIII 84; elisione anche con ‛ poi che ' + atona (If XVII 102), ‛ ancor che ' (Pd V 50); sinalefe + tonica in Vn VIII 8 4 poi che hai data matera al cor doglioso. Quanto a ‛ perché ' + atona, abbiamo elisione (Pg II 129, VIII 96, XIII 64, XXVIII 75, Pd I 129) o sinalefe (Pg IV 124 di te omai; ma dimmi: perché assiso; XVII 109 e perché intender non si può diviso; Pd I 7 perché appressando sé al suo disire), mentre secondo la norma tonica + atona attenderemmo la d. regolare, come in Pg XXVIII 103 Or perché / in circuito tutto quanto.

Le vocali contigue possono anche essere più di due. Ma con le prime due che formano un dittongo a fine di parola si rientra nei tipi citati d'incontro tra due vocali: difatti, con dittongo atono + atona o tonica, si ha la sinalefe:

If II 27 di sua vittoria e del papale ammanto; III 36 che visser sanza 'nfamia e sanza lodo; Pd XI 14 punto del cerchio in che avanti s'era; e Pd XXIV 3 sì, che la vostra voglia è sempre piena. Si computano naturalmente due sillabe se le prime due vocali sono dieretiche (If I 69 mantoani per patrïa ambedui; IX 38 tre furïe infernal di sangue tinte; Rime LXIX 6 la qual parëa un spirito infiammato; Pg XXV 2 ché 'l sole avëa il cerchio di merigge; Pd XXVI 90 un disio di parlare ond'ïo ardeva).

Con dittongo discendente la d. è regolarissima, sia con la vocale seguente tonica (in quanto il caso è assimilabile al citato incontro di due vocali toniche) e sia con la vocale seguente atona (che ci riporta al caso della contiguità di vocale tonica + atona): Rime LXVI 9 Io so che a voi / ogni torto dispiace; LXXXIX 10 da ch'un uom convenia / esser disfatto; If XXVIII 123 e quel mirava noi e dicea: / " Oh me! "; Pg XXIII 51 né a difetto di carne ch'io / abbia (accetabile anche l'eventuale lettura, senza d. tra né ed a, ch'ïo / abbia, computando cioè tre sillabe); e Rime L 4 e 'l disio / amoroso, che mi tira; L 19 ché non pur lui, ma suo / onor difende; LXIII 14 che stean con lui / e qua non tornin mai; LXVI 6 sì che non ebbe poi / alcun valore; LXXXVI 3 l'una ha in sé cortesia / e valore; If I 73 Poeta fui, / e cantai di quel giusto; XXXIII 9 parlare e lagrimar vedrai / insieme; Pd XXVII 90 ad essa li occhi più che mai / ardea; opportuna anzi per " separare la didascalia narrativa dal testo della scritta " (Petrocchi), in If XI 6 [una scritta] che dicea: / Anastasio papa guardo (ma anche da accettare l'eventuale lettura con dieresi su dicëa in sinalefe con Anastasio; e si noti, una volta per tutte, come l'accettazione della dieresi in un verso porti, per compenso, l'accettazione della sinalefe); e cfr. i frequenti esempi con d. dopo ‛ io ': If VIII 66 per ch'io / avante l'occhio intento sbarro; Pg VI 10 Tal era io / in quella turba spessa; IX 31 Ivi parea che / ella e io / ardesse, ecc.

Ma si può avere, in D., anche la sinalefe d'eccezione: If XVII 55 che dal collo a ciascun pendea una tasca; Pg X 43 e avea in atto impressa esta favella; XXVIII 70 Tre passi ci facea il fiume lontani (per ovviarla il Laur. ha facie). E cfr. la lettura, nelle edizioni antiche e moderne precedenti la '21, di Pd. XVII 15 non capere in trïangol due ottusi. Ma nella Commedia c'è sempre d. dopo ‛ tuo ', ‛ tua ' (mentre altri poeti, per es. Boccaccio, tolleravano la sinalefe, seppur eccezionalmente, dopo ‛ due ', ‛ suo ', ‛ tuo '): Pd XI 134 se la tua / audïenza è stata attenta; a maggior ragione se segue una tonica: Pg IV 70 sì, ch'amendue / hanno un solo orizzòn; IX 44 e 'l sole er'alto già più che due / ore.

Delle tre vocali, se la prima è finale di parola e le altre due formano un dittongo discendente (o si tratti per es. di ‛ io ', ‛ ei '), quando la finale è tonica, in D. incontriamo sempre la d. (If XXV 36 de' quai né / io né 'l duca mio s'accorse; Pd VIII 69 che riceve da / Euro maggior briga; XXVIII 57 ché / io per me indarno a ciò contemplo; si computano naturalmente tre sillabe nel tipo di If XXXIV 116 Tu / haï i piedi in su picciola spera); quando la finale è atona, di norma si ha la sinalefe delle tre vocali:

Vn XIX 13 57 Canzone, io so che tu girai parlando; Rime CII 61 Canzone, io porto ne la mente donna; Vn XXXI 16 67 che ogn'om par che mi dica: Io t'abbandono; XXXIV 11 13 venian dicendo: Oi nobile intelletto; XXXVIII 10 9 Ei le risponde: Oi anima pensosa; Rime LXIX 1 Di donne io vidi una gentile schiera; LXXII 2 e disse: Io voglio un poco stare teco, e 13 Ed el rispose: Eo ho guai e pensero; If I 130 E io a lui: Poeta, io ti richeggio; oppure Rime LXI 1 Sonar bracchetti, e cacciatori aizzare.

Ma ci sono casi in cui vanno computate due sillabe (vedi l'accento di quarta su ‛ io ': Pg XVI 13 m'andava / io per l'aere amaro e sozzo), oppure tre, con ‛ io ' dieretico (Pg XXIII 2 ficcava / ïo sì come far suole; Pd XXXI 47 menava / ïo li occhi per li gradi.)

Delle tre vocali, se la prima è finale, la seconda la copulativa ‛ e ', la ‛ o ' (disgiuntiva, vocativa), o altro monosillabo, e la terza iniziale di parola, quando l'accento cade sulla prima, si osserva la d.:

Pg V 45 però pur va, / e / in andando ascolta (‛ e ' + ‛ il ' danno d. + elisione, per es. Pg VI 103 Ch'avete tu / e 'l tuo padre sofferto; e cfr. ‛ chi e + il ' > ‛ chi / e 'l '; ‛ sì e il ' > ‛ sì / e 'l ', ecc.); anche nel caso in cui il monosillabo frapposto tra le due vocali sia tonico (‛ è '), si computano tre sillabe (Pg II 111 venendo qui, / è / affannata tanto).

Se la prima è atona, finale di parola, e segua la ‛ o ', la ‛ e ': sinalefe tra le prime due vocali, più d. (ma si computa una sola sillaba, con la tonica ‛ è ': cfr. If XVIII 132 e or s'accoscia e ora è in piedi stante, cioè ‛ or'è 'n '):

Pg XXIV 53 Amor mi spira, noto, e / a quel modo; If II 7 O muse, o / alto ingegno, or m'aiutate; Pd XIV 96 ch'io dissi: O / Elïòs che sì li addobbi; ma anche assenza di d. in Rime LXI 4 per belle piagge volgere e imboccare.

Quattro possono anche essere le vocali d'incontro (in genere vocale finale di parola + ‛ io ' + vocale iniziale, assimilabili comunque ai tipi d'incontro di tre vocali, per via dell' ‛ io '; raro il tipo senza ‛ io ' intermedio: Pg I 69 conducerlo a vederti e / a / udirti): con la prima tonica, si computano tre sillabe (per es. If XII 90 non è ladron, né / io / anima fuia; VI 55 E / io / anima trista non son sola, e la terza lettura possibile del già citato Pg XXIII 51, con sinalefe né a, senza elisione, e pronome relativo con valore tonico: né a difetto di carne che / io / abbia; Pg VI 61 Venimmo a lei: / o / anima lombarda; XXVI 53 incominciai: / O / anime sicure: tipi dunque assimilabili al caso di Pd XXXI 100 ond'ïo / ardo). Con la prima atona, si computano due sillabe (If XVIII 132 e or s'accoscia e / ora è in piedi stante) se l'ultima delle vocali è tonica, tre se è atona (Pg VI 10 Tal era / io / in quella turba spessa; Pd XVII 4 tal era / io, / e tal era sentito; XV 85 Ben supplico / io / a te, vivo topazio). Due sillabe naturalmente, se si tratta di due dittonghi (Pg XII 38 vedea / io te segnata in su la strada), e tre se uno è dieretico (If II 32 Io non Enëa, / io non Paulo sono).

In D. la d., mero espediente prosodico in altri poeti (e cfr. anche DIERESI), si trasforma spesso in efficace mezzo d'arte: lo stesso accade per la sinalefe (che, al contrario dell'elisione - la quale non modifica il ritmo - dà al verso un andamento meno concitato ma disteso: può esser pertinente al riguardo l'osservare che i versi con incontri vocalici sono più numerosi nel Paradiso che nelle altre cantiche). Boccaccio ad es. fa un uso molto libero della sinalefe d'eccezione; è noto l'uso e l'abuso di d. (Battaglia): e nei verseggiatori minori i vari accidenti della scansione paiono soccorrere volta a volta, con stiramenti e contrazioni, a far tornare la misura delle undici sillabe. D. invero sentì profondamente nel verso, specie della Commedia, i valori ritmici e logici (più che liquidità melodiche: cfr. RITMO). La d., anche del tipo meno consueto nella Commedia, pare difatti determinata molto spesso dalla pausa del pensiero; cfr. i casi citati di atona + ‛ è ' o parola cominciante per vocale tonica; e si sono trovate speciali giustificazioni artistiche (Casella), da altri negate (Parodi), anche per le lente scansioni narrative, sottolineate dalla d. prima della copulativa (If IV 30 d'infanti / e di femmine e di viri [migliore della lezione e d'infanti e, con sinalefe, regolare del resto come per es. in e con parole e con mani e con cenni, Pg I 50]; Pd XVI 107 era già grande, / e già eran tratti); e si sono indicate congruenze tra stacchi logici e d.: per es. per individuare e specificare (If IV 122 tra' quai conobbi / Ettòr ed Enea), enumerare (VI 10 Grandine grossa, / acqua tinta e neve), aprire parentesi con una proposizione relativa (cfr. il citato If XXV 85 parte / onde) o vocativa (XXXIII 151 Ahi Genovesi, / uomini diversi), staccare emistichi che iniziano con vocale atona in versi a scansione lenta che spiccano una parola dall'altra (If I 104 ma sapïenza, / amore e virtute; Pg VI 146 legge, moneta, / officio e costume), o fissare contrapposizioni (Pg XXIX 135 ma pari in atto / e onesto / e sodo). Si tratterebbe cioè di scansioni che rilevano distinzioni del pensiero (Pd XXVII 127 Fede / e innocenza son reperte; ma non in If IV 73 O tu ch'onori scïenzïa e arte, che però - senza doppia dieresi, accentazione di 4ª e 7ª e con d. - era in Casella, e già in copie, O tu che onori e scïenza ed arte, con scansione spiccata e... e); comunque molte di queste d. risalgono a iati del tipo provenzale già citato (come ancora in Pd XVI 107 era già grande, / e già eran tratti; IV 26 pontano / igualmente; / e però pria); a ogni modo ci sono rallentamenti, sospensioni (per es. la d. tra ‛ se ' + atona in Pd XIII 106 e se / al " surse " drizzi li occhi chiari) in cui l'insistenza scolastica pare giustificare questo voler staccare con esattezza la frase. E il più scorrevole e disteso tono narrativo consiglierà la lezione (confortata dai codici) con sinalefe in Pg XXVIII 41 e cantando e scegliendo fior da fiore, alla d. della '21 cantando / e scegliendo. Tra le eccezioni ‛ volontarie ' citerei ancora il già notato caso del ‛ che ' + atona, in Pd XI 14 punto del cerchio in che avanti s'era, dove la d. par quasi obbligatoria, non solo per l'accento di 6ª, secondario del resto tra i due principali di 4ª e 8ª, ma forse anche per la sua funzione ablativale e pel rilievo che gli viene dalla preposizione ‛ in '. E ancora pertiene a questo discorso sull'intenzionalità ritmica della d. il notare, in posizione forte, la frequente presenza di ‛ ardo ', ‛ arda ', ‛ arse ', che D. predilige collocare a fine verso con stacco di d., sia essa regolare (Pd XXII 32 com'io la carità che tra noi / arde; XXXI 100 E la regina del cielo, ond'ïo / ardo; XV 76 però che 'l sol che v'allumò / e / arse; If XXVII 24 vedi che non incresce a me, / e / ardo!) o d'eccezione (Pg XXVI 18 rispondi a me che 'n sete e 'n foco / ardo). E forse è lecito (ma con un passo ancora più ardito) invocare la lentezza e l'indugio sentimentale del dannato che ricorda il suo Montefeltro, per giustificare le pause (eccezionale l'ultima d.) in If XXVII 29 ch'io fui d'i monti là / intra / Orbino.

Si è notato che su queste pause tra vocali in iato si accanirono i copisti, eliminandole ogni volta che era possibile, influenzati dall'irrigidirsi della metrica postpetrarchesca (e cfr. DIERESI) ma le varianti in questi casi sono utilissime, al pari degli elementi paleografici e linguistici, per legittimare lezioni metricamente non canoniche. È vero che alcune (si è notato di passata) delle presunte eccezioni dell'usus dantesco sono già della tradizione: tracce di procedimenti metrici della lirica predantesca, e spesso di tradizione provenzale. Ma, nell'atto di utilizzare procedimenti traditi, D. infrena o regolarizza l'eccezione, e si crea un ‛ suo ' verso, gravando di funzioni espressive personalissime elementi metrici e ritmici anche minimi.

Bibl. - A. Pleines, Hiat und Elision im Provenzalischen, Marburgo 1885; E. Ciafardini, Dialefe e sinalefe nella D.C., in " Rivista d'Italia " II (1914) 465 ss.; M. Casella, Sul testo della D.C., in " Studi d. " VIII (1924) 28 ss. (§ II: " Dieresi e d. di eccezione "; e cfr. E.G. Parodi, in " Bull. " XXVIII [1921] 44 ss.). Da tener presente anche S. Battaglia, Introduzione a G. Boccaccio, Il Teseida, Firenze 1938, e la polemica Pernicone-Branca, in " Belfagor " IV (1946) 474 ss. e II (1947) 80 ss.