CAMPANA, Dino

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

CAMPANA, Dino

Arnaldo Bocelli

Scrittore, nato a Marradi (Firenze) il 20 agosto 1885. Figlio di un maestro elementare, condusse vita disordinata e randagia. Viaggiò in parecchi paesi d'Europa e d'America, facendo i più diversi e spesso più umili mestieri. Per qualche tempo fu studente di chimica a Bologna. Capitato a Firenze, nel 1913, fra gli scrittori della Voce e di Lacerba, ebbe da essi, e specie dal Soffici e dal Papini, i primi incoraggiamenti e riconoscimenti letterarî. Ma di lì a qualche anno, dando sempre più gravi segni di squilibrio mentale, fu rinchiuso nel manicomio di Castel Pulci (Firenze), dove morì il 10 marzo 1932.

Nelle prose liriche, nei "frammenti" e nelle liriche dei Canti Orfici, l'unico libro del C. (Marradi 1914; nuova edizione accresciuta, a cura di B. Binazzi, Firenze 1928), su un fondo impressionistico, in cui è il ricordo della tradizione bozzettistica toscana e di quanto di essa è passato nel diarismo lirico del Soffici, s'innesta un simbolismo denso e ardente che in parte deriva dal Rimbaud, il suo poeta prediletto, e in parte dal D'Annunzio. E mentre quell'impressionismo si rivela specialmente in potenti scorci di paesaggio e di visioni naturali, in ricordi di cose viste, dove la sensualità visiva - che è al centro della personalità del C. - è più continente e la parola più netta e risentita; il simbolismo si manifesta sopra tutto in certe evocazioni magiche, in certe folgoranti "illuminazioni" di ambienti "maledetti", dove la sensualità visiva diventa potere visionario, e l'espressione è già più affidata alla discontinuità dei nessi logici, e alla suggestione musicale delle parole, che non alla chiarezza e forza del loro significato. Ma non sempre, anzi di rado l'innesto di tali modi si risolve, nella pagina, in effettiva sintesi poetica (e meno si risolve nelle poesie che nelle prose): la tendenza visionaria spesso spinge il simbolo verso l'astrazione, l'ineffabilità verso un deteriore ermetismo, e la "frammentarietà" propria del genere prescelto verso una frammentarietà che è mancanza di intima coerenza stilistica, saltuarietà di respiro lirico.

Bibl.: G. De Robertis, in La Voce, 30 dic. 1914; E. Cecchi, in La Tribuna, 21 maggio 1916; G. Boine, Plausi e botte, Firenze 1918, p. 197 segg.; B. Binazzi, prefaz. ai Canti Orfici, ediz. cit.; G. Ravegnani, I contemporanei, Torino 1930, p. 287 segg.; A. Soffici, Ricordi di vita artistica e letteraria, Firenze 1931, p. 109 segg.; A. Gargiulo, in L'Italia letteraria, 26 febbraio 1933; G. Contini, in Letteratura, n. 4, ottobre 1937, p. 106 segg.; C. Pariani, Vite non romanzate, di D. C. scrittore e di E. Boncinelli scultore, Firenze 1938.

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