PERRONE COMPAGNI, Dino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PERRONE COMPAGNI, Dino

Marco Palla

PERRONE COMPAGNI, Dino. – Nacque a Firenze il 22 ottobre 1879 da Cesare Ranieri e da Augusta Giovanna Compagni, di famiglia nobile decaduta.

Nel certificato di nascita che Perrone Compagni presentò nel 1934 in occasione della sua nomina a senatore del Regno, si menzionava il decreto regio del 1891 con cui, all’età di 12 anni, fu autorizzato ad aggiungere al cognome paterno quello della madre. All’inizio della sua carriera politica, Perrone Compagni si presentò e si fece sempre chiamare ‘marchese’ e il titolo, del tutto insussistente, rimase nelle cronache del primo dopoguerra e del periodo fascista.

Anche se da alcune fonti risulterebbe la frequenza delle scuole medie superiori o almeno del ginnasio, Perrone Compagni non conseguì diplomi né altri titoli di studio, né tantomeno si affacciò agli studi universitari. Furono, infine, oscuri la professione o un suo qualunque impiego e lavoro. È possibile che si fosse limitato ad amministrare i suoi beni, e non si può affermare se oculatamente o meno, benché propendessero per il negativo le voci raccolte dalle cronache coeve (Cantagalli, 1972, p. 154) che lo descrissero come amante del gioco d’azzardo. Di sentimenti liberali e nazionalisti, massone, interventista, fece domanda per andare volontario in guerra nel 1915; servì l’esercito come soldato semplice, non avendo i titoli per essere accolto nei ruoli degli ufficiali, e fu promosso da semplice fante a caporale, restando nelle retrovie del fronte senza affrontare il battesimo del fuoco in prima linea.

Nella Firenze del primo dopoguerra, che era capoluogo della «turbolentissima» e «bolscevica» Toscana (secondo una definizione di pochi anni successiva del gerarca istriano trapiantato a Siena Giorgio Alberto Chiurco), Perrone Compagni trovò presto la sua strada.

Figurò tra i primi fondatori del Fascio di Firenze, dove non tardarono a manifestarsi contrasti personali e di fazione tra i suoi primi capi. Tramontata presto la stella dell’improvvisata Alleanza di difesa cittadina, il Fascio divenne catalizzatore di centinaia di adepti; ben presto Perrone Compagni ne divenne segretario federale a Firenze e ispettore toscano dei Fasci regionali.

Fu eminentemente un organizzatore militare delle squadre. Non fondò né diresse periodici fascisti, come molti capi e capetti emergenti del fascismo, né praticò in seguito il giornalismo. Non fu neanche provetto oratore, ma solo autore di infuocate e secche arringhe o istigazioni verbali verso i suoi squadristi. La politica fu quindi per lui essenzialmente violenza ed eversione. Orientato all’azione, seppe come pochi altri mettersi a capo degli squadristi, spostare fuori dal perimetro cittadino e provinciale di Firenze il raggio delle spedizioni punitive, e infine occupare stabilmente lo spazio pubblico in concorrenza con le sempre meno autorevoli istituzioni periferiche dello Stato, guadagnandosi presso seguaci e avversari il ‘nome d’arte’ di Granduca di Toscana.

Il primo importante atto violento comandato da Perrone Compagni avvenne a Firenze nel febbraio 1921, quando cinque squadre armate da lui aizzate sparsero il terrore in città e alcuni uomini di una di queste penetrarono nella sede del sindacato ferrovieri uccidendo a bruciapelo Spartaco Lavagnini. Nel marzo 1921 Perrone Compagni partecipò all’incursione fascista su Foiano della Chiana, in provincia di Arezzo, e in aprile intimò al sindaco socialista le dimissioni: si trattò di un comportamento ripetuto molte volte, con vere e proprie ‘circolari-ultimatum’ inviate a vari altri sindaci e amministratori toscani (Cantagalli, 1972, p. 205). Nel luglio 1921 Perrone Compagni e Amerigo Dumini organizzarono una spedizione forte di alcune centinaia di squadristi diretta a Sarzana, città ligure poco oltre il confine con la Toscana, dove era detenuto in carcere il capo dei fascisti carrarini Renato Ricci: l’assalto al carcere dello Stato e la liberazione di Ricci non riuscirono per l’intervento armato di una dozzina di carabinieri che risposero al fuoco degli squadristi. Pochi giorni dopo, al contrario, i tredici carabinieri di Roccastrada, in provincia di Grosseto, restarono chiusi in caserma consentendo ai fascisti, guidati da un fiorentino emissario di Perrone Compagni, di assassinare una decina di persone e incendiare quindici case.

La marcia su Livorno del 2 agosto 1922, guidata da Perrone Compagni e Costanzo Ciano, fu accompagnata dalla solita lettera minatoria di Perrone Compagni al sindaco socialista labronico, Uberto Mondolfi, con l’intimazione delle dimissioni e dell’allontanamento dalla città entro due ore, altrimenti «vi impiccheremo in piazza». Nell’ottobre 1922, inoltre, si mise in luce guidando una parte di contingenti toscani (i maggiori numericamente) nella marcia su Roma.

A caratterizzare questi primi anni fu anche l’accesa rivalità con Tullio Tamburini, che amava presentarsi come manganellatore e bastonatore, al contrario del ‘marchese’ che avrebbe impartito ordini, ma non si sarebbe sporcato le mani. Nonostante alcuni teatrali incontri di riavvicinamento tra i due negli anni successivi, la presa di Tamburini sulle squadre fiorentine si dimostrò duratura e il suo radicalismo sembrò essere premiato dal superamento fascista della crisi determinata dall’assassinio Matteotti nel 1924 (al quale partecipò Dumini) e dal sostanziale appoggio della segreteria nazionale di Roberto Farinacci, nel 1925-26, alle ali estremiste dei fiorentini.

Nel periodo 1923-25 Perrone Compagni si defilò, assumendo una posizione se non più moderata almeno più accorta e attendista, mostrandosi mussoliniano più che farinacciano. Mussolini però, ancora negli anni Trenta (De Begnac, 1990, p. 153) indicò Perrone Compagni tra i luogotenenti da lui «inventati dal nulla», come una specie di ras locale accomunato ai Balbo, Farinacci, Grandi, Baroncini, che gli misero i bastoni tra le ruote avversando nel 1921 il cosiddetto patto di pacificazione tra fascisti e socialisti. L’eversore, che si era rivolto pochi anni prima con arroganti richieste ultimative perfino ai prefetti toscani, fu infine promosso prefetto nel 1926. Incaricato di reggere la sede di Reggio Emilia, Perrone Compagni si schierò senza indugi contro il radicaleggiante ed estremista Giovanni Fabbrici e promosse l’emergente capo locale Mario Muzzarini, rappresentante degli agrari.

La carriera prefettizia di Perrone Compagni durò poco più di tre anni: nel 1930 fu messo a disposizione e nel 1932 a riposo, ma restò nei ruoli pubblici come ministro di Stato. Una carriera breve, ma sufficiente a costituire il suo principale titolo di merito per la proposta al laticlavio, cui fu elevato nel 1934. Nella specifica casistica di registrazione delle attività parlamentari dal 1934 al 1943, al nome di Perrone Compagni non risulta nulla, né un intervento, né un’interrogazione, né un’interpellanza, né un solo motto. Nel fascicolo personale sono conservate alcune lettere scambiate tra lui e il presidente del Senato, Giacomo Suardo, dai contenuti irrilevanti e dettate da futili motivi, come la richiesta del senatore di disporre di una cospicua dotazione di carta intestata del Senato negli anni della seconda guerra mondiale, quando la carta era razionata.

Perrone Compagni cessò nel 1936 di pagare la tassa sui celibi, contraendo matrimonio a 57 anni con Vittorina Falaschi, con cui ebbe un figlio, Giorgio. È di un certo interesse registrare l’avvio di una sorta di sua carriera manageriale se non imprenditoriale: dal 1935 fu presidente di una piccola azienda farmaceutica fiorentina, la S.A. italiana Istituto biologico Silvio Dessy; nel 1937 sedette nei consigli d’amministrazione di Costruzioni ferroviarie e meccaniche di Arezzo e dell’importante industria elettrica SELT-Valdarno; nel 1940 entrò nel consiglio d’amministrazione della De Micheli e guidò l’azienda di abbigliamento Abital e dallo stesso anno entrò nei consigli d’amministrazione di imprese nazionali come Motomeccanica, Alfa Romeo e Assicurazioni Generali (Mori, 1971, pp. 204-205).

Perrone Compagni aderì alla Repubblica sociale italiana trasferendosi al Nord, ma non risulta che abbia ricoperto incarichi o mansioni di rilievo. L’adesione al fascismo repubblichino non gli impedì il ritorno a Firenze, dove visse gli ultimi anni fino alla morte, avvenuta a Firenze il 25 gennaio 1950.

L’Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo lo imputò di «aver aderito nel 1943 al governo di tradimento nazionale e di guerra civile»; il provvedimento gli fu notificato il 18 maggio 1945 a Varese, ma dopo alcune settimane si constatò la sua irreperibilità; l’ordinanza di decadenza da senatore reca la data del 25 luglio 1945. Fu l’unico provvedimento di epurazione preso nei suoi confronti.

Fonti e Bibl.: Una fonte utile è il fascicolo sul portale del Senato che contiene le scansioni di documenti ufficiali, certificati, schede e il carteggio Perrone Compagni - Suardo, http://notes9. senato.it/Web/ senregno.NSF (19 luglio 2014).

U. Banchelli, Le memorie d’un fascista: 1919-1923, Firenze 1923; G.A. Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, Firenze 1929; A. Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Bari 1965; G. Mori, Materiali, temi ed ipotesi per una storia dell’industria nella regione toscana durante il fascismo (1923-1939), in La Toscana nel regime fascista (1922-1939), Firenze 1971; R. Cantagalli, Storia del fascismo fiorentino: 1919-1925, Firenze 1972; A. Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Roma-Bari 1974; M. Palla, Firenze nel regime fascista (1929-1934), Firenze 1978; G. Zaccaria, Conflitti interni al fascismo reggiano dal 1927 alla metà degli anni Trenta, in Ricerche storiche, 1980, n. 40; M. Missori, Gerarchie e statuti del PNF, Roma 1986; M. Palla, I fascisti toscani, in La Toscana. Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi, a cura di G. Mori, Torino 1986; E. Gentile, Storia del Partito fascista: 1919-1922. Movimento e milizia, Roma-Bari 1989; Y. De Begnac, Taccuini mussoliniani, Bologna 1990; M. Franzinelli, Squadristi: protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, Milano 2003; G. Albanese, La marcia su Roma, Roma-Bari 2008; S. Luzzi, Muzzarini, Mario, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXVII, Roma 2012, pp. 631-633.

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