DIOCESI

Enciclopedia Italiana (1931)

DIOCESI (gr. διοίκησι, da οἰκία "casa" e poi "famiglia"; lat. dioecésis)

Plinio FRACCARO
Arnaldo BERTOLA
Pietro PISANI

È in generale "il governo, l'amministrazione", e più particolarmente (con o senza l'aggiunta di τῆς πόλεως o di κοινή) l'amministrazione pubblica, specialmente finanziaria. In Atene, verso la fine del sec. IV a. C., dopo l'esperienza dei commissariati generali straordinarî alle finanze (prima amministrate da consigli) di Afobeto e di Licurgo, si sostituì al cassiere dello stato (ταμίας) un magistrato permanente, con i poteri d'un vero ministro delle finanze, ὁ ἐπὶ τῆ διοικήσει (poi anche ἐπὶ τῆς διοικήσεως), eletto dal popolo per un anno. Al principio del sec. III esso fu sostituito da un collegio di magistrati; si tornò poi a periodi al magistrato unico, il cui ricordo cessa verso la fine del sec. II. Esso sovraintendeva alle entrate e alle spese; sottentrò ai magistrati speciali nella direzione dei lavori pubblici e dal 302 amministrava anche la cassa per le assemblee pubbliche. Analoghi magistrati compaiono nel sec. III anche in altre città greche e ricorrono anche διοικηταί di associazioni e di privati. Nell'Egitto tolemaico diocesi indica specialmente l'amministrazione finanziaria dello stato (o cassa del re, βασιλικόν); il διοικητής (o anche ἑπὶ τῆς δ.) di Alessandria è il capo dell'amministrazione, e ha sotto di sé i διοικηταί delle provincie e (almeno da un certo tempo) gli ὑποδιοικηταί e οἰκονόμοι dei distretti e dei villaggi. Sotto i Romani, diocesi è in Egitto l'amministrazione del fisco, alla testa della quale è il praefectus Aegypti, che ha sotto di sé dei procuratores, uno dei quali (ὁ διοικητής) attendeva specialmente alle finanze. V'erano poi i minori διοικηταί locali.

Il termine diocesi s'incontra negli stati dell'Asia ellenistica (pare prima nel regno di Pergamo) per indicare distretti amministrativi, che coincidevano spesso col territorio d'una città o d'una città principale con annesse altre città minori. I Romani avrebbero con esso indicato nelle provincie orientali i conventus iuridici, i cui territorî corrispondevano alle preesistenti diocesi; Cicerone ricorda parecchie volte le diocesi della sua provincia di Cilicia e alcune della provincia d'Asia (ad fam., XII, 67; III, 8, 4, ecc.). La parola diocesi passò poi nella provincia d'Africa, per la quale le iscrizioni ricordano le diocesi di Cartagine, Ippona e Adrumeto, rette ciascuna da un legatus del proconsole d'Africa; sono ricordati anche procuratores del patrimonio imperiale in determinate diocesi africane. Non ci sono invece prove sufficienti per ritenere, come alcuni vorrebbero, che una divisione in diocesi sia stata introdotta in Spagna o in altre provincie occidentali. In Italia una dioecesis urbica, che doveva corrispondere al territorio fino al 100° miglio da Roma, viene al tempo di Marco Aurelio contrapposta alle circoscrizioni giudiziarie del resto d'Italia (Ulp., Vat. fr., 205). Alla fine del sec. III si raddoppiò il numero delle provincie dividendo le maggiori in parecchie minori, ma nello stesso tempo, o poco dopo, furono aumentati e resi permanenti i vicarii praefectorum praetorio, a ognuno dei quali fu assegnata una circoscrizione detta dioecesis, che era parte d'una praefectura e comprendeva a sua volta parecchie provincie. Poiché l'attività dei vicarii coincideva con quella dei praefecti pr., la misura importava una diminuzione del potere di questi ultimi. Le diocesi furono dapprima tredici, e salirono durante il sec. IV a quindici. Esse erano: Oriens, Asia, Pontus, Moesiae, Thraciae Pannoniae, Italia, d. urbis Romae, Africa, Hispaniae, Britanniae, Viennensis, Galliae; si aggiunsero poi l'Egitto staccato dall'Oriens, e la diocesi di Mesia fu divisa in Macedonia e Dacia. Altre variazioni si ebbero nel sec. V. La maggiore (Oriens) comprendeva 16 provincie, la più piccola (Britanniae) 4. Il termine fu poi adottato dalla Chiesa, originariamente per indicare la giurisdizione d'un metropolita.

Bibl.: E. Caillemer, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq., II, p. 224; E. Brandis, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V, 1903, col. 786; G. Busolt, Griechische Staatskunde, Monaco 1920-26, p. 484, 1147 (quivi la letteratura più recente); P. M. Meyer, Δισίκησις und ὶδιος λόγος, in Festschrift z. O. Hirschfeld, Berlino 1903, p. 131 seg.; U. Wilcken, in Grundzüge und Chretomathie der Papyruskunde, I, i, Lipsia 1912, p. 146 seg.; M. Rostovtzeff, A large estate in Egypt, Madison 1922, p. 21 segg.; C. Jullian, in Daremberg e Saglio, II, p. 226; id., Les trasformations politiques de l'Italie sous les empereurs romains, Parigi 1884, p. 173 seg.; A. Schulten, De conventibus civium Romanorum, Berlino 1892; E. Kornemann, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V, col. 716; E. Albertini, Les divisions administratives de l'Espagne Romaine, Parigi 1923, p. 43 seg.; E. Stein, Gesch. des spätröm. Reiches, I, Vienna 1928, p. 102; L. Cantarelli, La diocesi italiciana da Diocleziano alla fine dell'Impero occidentale, Roma, 1903.

Le diocesi ecclesiastiche.

La diocesi ecclesiastica è quella circoscrizione territoriale su cui si estende la giurisdizione spirituale e il governo ecclesiastico d'un vescovo. Alle grandi diocesi civili comprendenti più provincie dell'Impero romano e su cui si era ricalcata la gerarchia ecclesiastica superiore, si riferiscono la legge 13 De episcopis et clericis del codice teodosiano, primo testo giuridico che parli di διοίκησις a proposito d'istituzioni della Chiesa, e poi il can. 2 del concilio di Costantinopoli (381) e il can. 9 del concilio di Calcedonia (451). Nel diritto antico si designava così spesso per diocesi il complesso delle provincie ecclesiastiche (eparchie) a cui era preposto un patriarca o esarca. Le chiese episcopali erano invece designate dai Greci col termine παροικίσ, e dai latini con quello di parochia, usato poi per molto tempo promiscuamente (così da Graziano nel decreto, caus. XIII, q. I, c. 1) con quello di dioecesis anche quando questo andò assumendo il senso più ristretto inteso attualmente.

Nel diritto della Chiesa, per quanto l'ufficio del vescovo (v.) sia considerato d'istituzione divina, la divisione delle diocesi non è di diritto divino e può variare a seconda delle necessità. Dapprima essa si adattò sull'ordinamento territoriale amministrativo dello stato, anche in relazione all'ingerenza accordata dalle leggi imperiali ai vescovi rispetto all'amministrazione pubblica (cfr. Nov. di Giustiniano VIII, CXXVIII, CXLIX): la qual corrispondenza fra la gerarchia amministrativa e politica e quella ecclesiastica fu specialmente sensibile e durò più a lungo in Oriente (v. autocefalia); d'altra parte le autorità dello Stato esercitarono spesso una forte intromissione nell'erezione degli episcopati. Però andò man mano affermandosi nella dottrina della Chiesa il principio che autorità competente all'erezione, divisione, unione, soppressione e a qualsivoglia mutamento in genere della diocesi, è il papa, a meno che questi mediante concessione tacita o espressa non voglia esercitare tale potestà "mediatamente" a mezzo di altri prelati, o consenta un intervento in materia alla stessa autorità civile: principio sancito ancora nel Sillabo di Pio IX (prop. 51) e ribadito nel Cod. iur. can., (c. 215, § 1, 248, § 2, 260), ammessa peraltro l'eventualità di accordi con i governi interessati (cfr. can. 255).

Si distinguono varie sorta di diocesi. Anzitutto le diocesi propriamente dette, che sono amministrate cioè da un vescovo, e le cosiddette arcidiocesi o archidiocesi, a cui è preposto un arcivescovo. Come circoscrizioni territoriali ecclesiastiche, nessuna differenza vi è fra l'una e l'altra, e solo è diversa la potestà dei prelati che vi sono a capo, in quanto l'arcivescovo, oltre gli ordinarî poteri episcopali sul territorio della propria sede, è generalmente a capo di una provincia ecclesiastica costituita da più diocesi. Talora gli arcivescovi portano questo titolo per l'importanza della loro sede, che, senza avere giurisdizione su alcuna diocesi suffraganea, è solo capoluogo d'una diocesi dipendente direttamente dalla S. Sede.

Le diocesi sono generalmente raggruppate in provincie ecclesiastiche, ma ve ne sono molte, dette esenti, che non appartengono ad alcuna provincia, essendo immediatamente soggette all'autorità della S. Sede. Una speciale categoria è costituita dalle diocesi suburbicarie (v. appresso). Giuridicamente vanno comprese fra le diocesi anche le abbazie o prelature nullius (can. 72) (v. circoscrizione, X, p. 415 seg.). I territorî che non sono eretti in diocesi, sono divisi in vicariati e prefetture apostoliche, analoghe alla diocesi, ma con organizzazione più semplice, rette da vicarî e prefetti apostolici aventi in massima gli stessi diritti dei vescovi. Nell'amministrazione della diocesi, i vescovi o gli altri prelati ad essa preposti, detti ordinarî, sono coadiuvati da organi ausiliarî: il capitolo cattedrale, e la curia (v.) diocesana o vescovile. Il governo della diocesi può venire commesso dalla S. Sede, per cause gravi e speciali, sia in perpetuo sia temporaneamente a un amministratore apostolico (can. 312 ss.).

Nel diritto dello Stato italiano, le diocesi, come essenziali nella costituzione della Chiesa, furono riconosciute e conservate quali enti. I loro beni furono sottoposti alla conversione, alla quota di concorso e alla tassa straordinaria del 30%.

Il legislatore non toccava però né il loro numero né la loro costituzione; quanto al conferimento degli arcivescovati e vescovati, lo Stato rinunciava, mediante la legge delle guarentigie, al diritto di nomina e di proposta nella collazione dei benefici maggiori, che avevano gli antichi Stati italiani in virtù di convenzioni con la Curia romana. Però una limitazione alla libera collazione pontificia era rappresentata, oltreché dal mantenimento, dove esisteva, del diritto di patronato, dall'exequatur regio richiesto per tutti i benefici maggiori eccettuati quelli di Roma e sedi suburbicarie.

Il Concordato dell'11 febbraio 1929 ha stabilito la revisione delle circoscrizioni delle diocesi; la riduzione conseguente a tale misura non importerà tuttavia soppressione dei titoli delle diocesi né dei capitoli, che saranno conservati, pur raggruppandosi le diocesi in modo che i capoluoghi delle medesime corrispondano a quelli delle provincie. Abolito l'exequatur e rinunciatosi dallo Stato alla prerogativa sovrana di regio patronato, la scelta degli arcivescovi e vescovi, appartenente alla S. Sede, è subordinata alla comunicazione preventiva del nome della persona prescelta al governo italiano, e i vescovi, prima di prendere possesso della diocesi, devono giurare fedeltà nelle mani del capo dello Stato. Le disposizioni suddette non concernono Roma e le sedi suburbicarie.

Diocesi suburbicarie. - Sono cosi chiamate le diocesi situate nei dintorni di Roma e governate ciascuna da uno dei sei cardinali che costituiscono in seno al S. Collegio l'ordine dei vescovi. Esse sono: Albano, Frascati (Tusculum), Ostia, Palestrina, Porto e S. Rufina, Sabina e Poggio Mirteto, Velletri. Nella sede di Ostia subentra il cardinale decano, ritenendo la diocesi di cui era in possesso prima della sua promozione al decanato; cosi si spiega come siano sei i vescovi e sette le sedi suburbicarie. La più grande è quella di Sabina che comprende circa 60.000 abitanti distribuiti in 35 parrocchie, mentre la più piccola, Porto e S. Rufina, conta poco più di 5000 anime. Il termine suburbicario, che nel linguaggio giuridico romano designava i distretti limitrofi al territorio dell'Urbe, fu applicato alle sedi vescovili adiacenti a Roma in tempi non lontani, mentre per gli antichi (ad es. in Rufino) si estendeva a tutte le diocesi soggette all'episcopus urbicus, ossia al vescovo di Roma. Astraendo dalla questione se da principio i vescovi suburbicarî avessero piena giurisdizione o fossero considerati solo ausiliari del vescovo di Roma, è certo che fin dai tempi più antichi essi avevano prerogative eccezionali, come quella di consacrare il nuovo papa, di celebrare per turno in luogo del papa (detti perciò episcopi hebdomadarii) e altre. Nella costituzione Apostolicae Romanorum del 1910 Pio X prescrisse ai vescovi suburbicarî un suffraganeo, da nominarsi dal papa, al quale debbono concedersi le facoltà necessarie per il governo della diocesi.

Bibl.: L. Thomassin, Vetus et nova Ecclesiae disciplina circa beneficia et beneficiarios, Parigi 1688, I, i; P. Hinschius, System des katholischen Kirchenrechts, II, Berlino 1878, p. 378 segg.; R. von Scherer, Handbuch des Kirchenrechts, I, Graz 1886, p. 553 segg.; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia, I, Torino 1899; G. Michiels, De origine episcopatus, Lovanio 1900; C. Calisse, Diritto ecclesiastico - Costituzione della Chiesa, I, Firenze 1902, cap. 4°; G. Castellari, Diocesi, in Enc. giuridica ital., IV, iv, pp. 497-582; F. Wernz, Ius decretalium, II, ii, Roma 1906, tit. 35°; J. B. Sägmüller, Lehrbuch des katholischen Kirchenrechts, I, 3ª ed., Friburgo in B. 1914, p. 326 segg. Per la distribuzione geografica delle sedi residenziali, vicariati e prefetture apostoliche, ecc., vedi Annuario pontificio 1930, Città del Vaticano 1930, p. 81 segg.

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