DIODORO di Tarso

Enciclopedia Italiana (1931)

DIODORO di Tarso

Alberto Vinci
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Nato verso il 330 ad Antiochia o a Tarso, fu vescovo di Tarso dal 378 fino alla morte, avvenuta verso il 392. S. Girolamo nel De viris illustribus lo accusa d'essere restato estraneo alla cultura classica, mentre sappiamo che studiò nelle scuole di Antiochia e d'Atene. Tuttavia si dedicò specialmente alla teologia e all'esegesi della Scrittura, in cui divenne eccellente. L'oscurità di certe sue espressioni dogmatiche circa la divinità di Cristo si può spiegare con l'influsso che egli subì nella formazione scientifica dal semiariano Eusebio d'Emesa; per esse anzi, più tardi, fu da Cirillo d'Alessandria giudicato primo autore del nestorianesimo e condannato in due sinodi (Costantinopolitano del 499; Antiocheno del 508); non fu invece condannato nel V concilio ecumenico (Costantinopolitano II, del 553). D. in realtà non seguì l'arianesimo né si separò dal cattolicesimo, come gli eustaziani; ma sotto Costanzo imperatore, sostenitore dell'eresia, strinse intorno a sé un gruppo di cattolici, che più tardi doveva aderire allo scisma di Melezio d'Antiochia. Nel 360 fondò in Antiochia un asceterio (ἀσκητήριον), con lo scopo d'unire agli esercizî dell'ascetica cristiana lo studio delle questioni religiose, specialmente sotto l'aspetto esegetico. Tra i discepoli, vanno ricordati S. Giovanni Crisostomo e Teodoro di Mopsuestia. Confutò Giuliano l'Apostata, dal quale fu ripagato con invettive. Durante gli esilî di Melezio l'autorità di D. crebbe tanto che il vescovo lo consacrò sacerdote nel 363. Sotto il regno di Valente nel 372 dovette fuggire in Armenia e in quel tempo strinse amicizia con S. Basilio (v.). Tornato dall'esilio, nel 378 fu creato vescovo di Taršo. Assisté al II concilio ecumenico (Costantinopolitano I del 381), e da Teodosio imperatore fu designato come l'assertore della fede ortodossa per le provincie della diocesi d'Oriente. Il numero e la varietà delle opere sia teologiche sia esegetiche, i cui titoli ci sono conservati da Fozio, Suida, Teodoreto, Leonzio di Bisanzio, 'Abdiso' (Ebed-Jesu), autorizzano a ritenerlo uno dei più grandi maestri del sec. IV. Sennonché gli errori di Nestorio, e in genere della scuola antiochena del secondo periodo, gettarono, come s'è visto, un'ombra su D. che di quella scuola si può considerare il fondatore; onde anche i suoi scritti furono considerati pericolosi e scomparvero.

Di essi, fuor degli estratti o riassunti conservati da Leonzio di Bisanzio (Adv. Nest. et Eut., III, 43) e da Fozio (Bibl., cod. 223), sono rimasti solo frammenti utilizzati da "catene" (v.), o superstiti in traduzione siriaca; sono editi in Patrol. graeca, XXXIII, 1561 segg.; Pitra, Spicilegium Solesmense, I, Parigi 1852; P. de Lagarde, Analecta syriaca, Lipsia 1858. Il von Harnack, in Texte und Untersuch., n. s., VI, 4, Lipsia 1901, credette che fossero da attribuire a D. 4 trattati dello pseudo-Giustino.

Bibl.: V. Ermoni, Diodore de T. et son rôle doctrinal, in Muséon, n. s., 1901, pp. 424-64; L. Mariès, Le commentaire de D. de T. sur les Psaumes, Parigi 1924; altre indicazioni in Dictionn. de théol. cath., II, 1435 sgg.

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