Dionigi l'Areopagita

Dizionario di filosofia (2009)

Dionigi l'Areopagita


Dionigi l’Areopagita

Identificato con l’Ateniese del 1° sec., che s. Paolo (Atti 17, 34) converte con il discorso all’Areopago, quindi nel 9° sec., con Dionigi di Parigi. Secondo un’attribuzione che risale a Severo di Antiochia (nel secondo decennio del 6° sec.), sotto il nome di D. l’A. vanno alcuni scritti composti da un non identificato autore (detto oggi pseudo-D.) tra la fine del 5° e la prima metà del 6° sec.; sono, oltre a dieci lettere, quattro trattati: De divinis nominibus, De mystica theologia (le due opere fondamentali di più schietta ispirazione neoplatonica, dipendenti soprattutto da Proclo), De coelesti hierarchia (dove hierarchia indica l’ordine degli angeli determinato dal grado di assimilazione a Dio o deificazione) e De ecclesiastica hierarchia (l’ordine sacro della Chiesa corrispondente all’ordine angelico). L’opera di D. rappresenta nel suo complesso la confluenza di motivi neoplatonici nel corpo della teologia cristiana, così da esaltarne il carattere mistico-speculativo: D. fa propria la teoria plotiniana di Dio che, per la sua infinità, è al di sopra dell’essere e di ogni realtà comprensibile nelle categorie della ragione discorsiva. A Dio, quindi, più che tramite la teologia positiva (καταφατική: la quale attribuisce a Dio in modo eminente tutte le perfezioni delle creature), ci si può avvicinare tramite la teologia negativa (ἀποφατική), negando cioè di lui tutto quanto si predica delle creature: in tal senso di Dio si dice che egli non è essere, ma super-essere, non è bontà ma super-bontà, non è unità ma super-unità, ecc. Secondo questa direzione è orientata la ricerca dei nomi divini, che culmina nella teologia mistica dove trova il suo sviluppo la teoria dell’assoluta ineffabilità divina, per cui la più alta forma di conoscenza è quella che si risolve nel superamento delle categorie logiche per giungere a un tipo di visione, superiore a ogni conoscenza discorsiva, che si realizza nelle «tenebre» e nell’«ignoranza»: con ciò intendendo lo sforzo e la tensione senza fine verso ciò che è assolutamente al di là di ogni determinazione (Dio è quindi coincidenza di contrari in quanto in lui si annullano, essendo trascese, tutte le distinzioni categoriali). Dio è così il centro delle speculazioni di D.: le persone della Trinità sono le processioni divine interne; le processioni esterne rappresentano invece il processo creativo. Anche la dottrina dionisiana della creazione è chiaramente influenzata da elementi neoplatonici: Dio è bene, anzi super-bene e la creazione è l’espressione, la diffusione della sua bontà; tutto ciò che è, in quanto è, è bene, e il male non ha positività, ma è solo privazione di bene. E come bene Dio non è solo il creatore, ma anche il fine che a sé richiama tutto il creato che anela a ricongiungersi con lui (ϑέωσις, deificatio). Tutto l’Universo – gerarchicamente strutturato – si scandisce così secondo un duplice processo di discesa e di ascesa, da Dio in Dio. Vasta e profonda fu l’influenza dello pseudo-D. nel Medioevo latino. La prima traduzione latina fu compiuta agli inizi del sec. 9° dall’abate Ilduino, al quale risale tra l’altro l’identificazione di D. con il vescovo di Parigi. Sulla versione di Ilduino lavorò, migliorandola e rifacendola, qualche decennio dopo, Scoto Eriugena: attraverso questa versione (altre ne saranno redatte dal 12° sec.) l’opera dello pseudo-D. esercitò un enorme influsso fin dal sec. 12° su Giovanni di Salisbury, Giovanni Sarraceno (autore di una nuova traduzione), Ugo e Tommaso di San Vittore e poi Alberto Magno e i suoi discepoli; del sec. 14° è l’influsso determinante sulla mistica (J. Eckhart, J. Tauler, H. Suso e J. Gerson). Non meno significativa l’influenza sul primo Umanesimo, da Cusano a J. Lefèvre d’Étaples a Ficino, che ne diede una traduzione più felice stilisticamente, e ancora sulla mistica posteriore.

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