DIOSCURIDE

Enciclopedia dell' Arte Antica (1960)

DIOSCURIDE (Πεδάνιος Διοσκουρίδης ᾿Αναζαρβεύς)

C. Bertelli

Medico, nato ad Anazarbos in Cilicia; autore di un trattato Περὶ ὕλης ἰατρικῆς (De materia medica) dedicato a un Lecanio Ario di Tarso, amico di quel C. Lecanio Basso che fu console nel 64 d. C.

Le sembianze di D. ci sono trasmesse dalle miniature del Cod. med. gr. i (5) della Nationalbibliothek di Vienna, datate al 512 d. C. per la dedica ad Anicia Giuliana (v.), ma sicuramente derivate da modelli più antichi. Ivi D. (ΔΙΟCΚŏΡΙΔΗC) appare una prima volta seduto su uno sgabello (sella) nell'atto di ricevere da Euresis (ΕΥΡΕCIC: personificazione della scoperta, nel senso di un rinvenimento) una radice di mandragora (fol. 4 v.), mentre un cane, per effetto prodigioso di quest'erba, cade riverso su se stesso e muore. Una seconda volta D. (ΔΙΟCΚŏΡΙΔΗC) appare intento a scrivere una descrizione della stessa radice, presentatagli da Epinoia (ΕΠΙΝΟΙΑ: l'Attenzione) e che intanto un pittore va copiando sul suo cavalletto (fol. 5 v.). È stato osservato che i due ritratti corrispondono a due tipi fisionomici del tutto diversi: il primo è un uomo sulla quarantina, con barba tonda, capelli ricciuti che lasciano scoperte le tempie, naso grosso, guance pesanti; l'altro, magro e asciutto, ha barba appuntita, la chioma più aderente al cranio, il naso diritto e sottile unito all'altissima fronte. Lo si direbbe di poco più giovane del primo. In realtà le due miniature, che rappresentano in entrambi i casi uno scrittore di cose mediche alle prese con la medesima pianta, ritraggono due autori diversi: in altra miniatura dello stesso codice (fol. 3 v.), in cui sono raffigurati famosi medici e farmacologi, ritroviamo infatti gli stessi volti: l'uno è qui indicato da un'iscrizione come Cratevas (... ΕYΑC), il medico di Mitridate VI Eupatore (132-63 a. C.), la cui opera servì di base al catalogo delle piante di D.; l'altro, che presenta qualche minima differenza, ad esempio nella capigliatura, che qui è più corta e non copre l'incipiente calvizie frontale, è indicato appunto come Dioscuride. Se ne deduce che la prima miniatura doveva appartenere in origine ad un testo diverso: era probabilmente il frontespizio, con il ritratto dell'autore, di un'opera di Cratevas: o del dotto e specialistico Rhizotomikon, o, che è più probabile, del testo più divulgativo che egli aveva approntato e in cui aveva, sembra per la prima volta nella storia delle scienze, non soltanto descritto ma anche raffigurato varie piante disposte in successione alfabetica.

La straordinaria fedeltà del miniatore ai suoi modelli, che ha appunto permesso l'identificazione ora accennata, consente di fondare su una base alquanto più antica la iconografia di D. e degli altri medici ritratti nel codice. Lo scambio fra D. e Cratevas dimostra infatti lo scarso interesse dell'artista del VI sec. per la precisione fisionomica (v. anicia giuliana), e porta quindi ad escludere che i ritratti siano di sua invenzione.

Secondo il Singer, che scriveva prima della suddetta identificazione del Buberl, il pittore intento a ritrarre la mandragora tenuta da Epinoia sarebbe stato Cratevas. Oltre a D. e a Cratevas, la miniatura di fol. 3 v. ritrae Galeno (v.), vissuto nella seconda metà del II sec. d. C., Apollonio (di Memfi, seconda metà del III sec. a. C.), Nicandro (metà del II sec. a. C.), Andrea (medico di Tolomeo IV Filopatore, morto nel 217 a. C.), Rufo (di Efeso, vissuto sotto Traiano). È preceduta da altra miniatura, ugualmente a piena pagina (fol. 2 v.), in cui sono ritratti il centauro Chirone, il figlio di Asklepios Machaon, i medici Sesto Negro (scolaro di Asclepiade di Prusa, vissuto alla fine della Repubblica), Panfilo (contemporaneo di Galeno), Eraclide (scolaro di Manzia, fine del II sec. a. C.), Senocrate (di Afrodisiade, fine del I sec. d. C.), Manzia (metà del II sec. a. C.).

In ognuna delle due miniature il numero dei medici ritratti è di sette, un numero di per sé significativo (cfr. i Sette Sapienti, ecc.); circostanza che contribuisce a isolare le due illustrazioni l'una dall'altra. Circa quella di fol. 3 v., il fatto che ivi Galeno occupi il posto d'onore, al centro del consesso, fece supporre al Buberl che in origine questa fosse la miniatura iniziale di un'opera di Galeno. Poiché nessuno dei famosi medici e farmacologi ritratti in entrambi i fogli visse dopo il III sec., si fa ragionevolmente risalire a tale epoca l'invenzione di tali raffigurazioni. Ivi comunque il fondo d'oro e, con molte probabilità, anche lo schema compositivo secondo cui sono distribuiti i personaggi sono novità del VI secolo. In quanto alle due prime miniature, con "D." ispirato da Euresis e da Epinoia, si ricorda il tema del poeta ispirato dalle muse che risale almeno al II sec. d. C. Una copia del sec. XV (Bologna, ms. 3632) ci ha conservato altre due composizioni che forse in origine erano nel codice di Vienna: D. invia un rizotomista con il cane a raccogliere la mandragora e due rizotomisti intenti a scavare questa radice.

Ma le miniature con figure sono un' eccezione. Il libro di D. era una raccolta di piante medicamentali (una farmacopea) ed aveva essenzialmente uno scopo pratico. Così il corpo fondamentale e necessario delle illustrazioni constava di raffigurazioni delle singole piante di interesse medico. Naturalmente requisito essenziale era che tali illustrazioni fossero chiaramente intelligibili, compito cui ai tempo di Plinio - e cioè di D. - ci si accingeva in aemulatione naturae, superando la transcribentium socordia (Plin., Nat. hist., xxv, 2), e più tardi, perduto il contatto diretto con il modello naturale, sforzandosi di essere quanto più possibile fedeli al modello antico e così superare la tendenza medievale alla stilizzazione. Di conseguenza, la tradizione dell'illustrazione degli erbari è quella più conservatrice e la più vicina, in origine, alla stesura stessa del testo illustrato.

Data l'autorità acquistata dal libro di D., esso esemplifica assai bene la tradizione dell'illustrazione dell'erbario dall'antichità al Medioevo. Tuttavia nel VI sec. Cassiodoro addirittura consigliava i monaci che non possedevano bene il greco di ricorrere all'herbarium Dioscoridis qui herbas agrorum mirabili proprietate disseruit atque depinxit (De inst. divin. litt., 31). Anche il testo di D. stava dunque perdendo, almeno in parte, i suoi scopi pratici ed era sulla via di diventare un testo "letterario". Così, se nel codice di Vienna - usato negli ospedali ancora nel XV sec. - malgrado il disinteresse verso i ritratti individuali rimane tuttavia una notevole precisione nella raffigurazione naturalistica delle piante, già nel papiro Johnson (J. de N. Johnson, A Botanical Papyrus, in Archiv für Geschichte der Naturw. u. d. Technik; iv, 1912, p. 403), databile circa il 400 a. C., le piante avevano del tutto perso ogui riconoscibilità naturale.

Gli scribi e i miniatori medievali non intervengono soltanto come corruttori delle illustrazioni e del testo, ma introducono delle innovazioni vere e proprie. Il cambiamento radicale di atteggiamento verso la ricerca scientifica che si compie nel Medioevo, e di cui abbiamo già intravisto i primi annunci nello stesso Cassiodoro, influisce direttamente sulle illustrazioni. Vi è una tendenza caratteristica ad animare l'arida illustrazione scientifica con variî espedienti, dal carattere mostruoso attribuito ad alcune piante alla loro metamorfosi decorativa (esempio cospicuo il D. latino di Eton) e, che più conta, alla introduzione di figure umane. Una figura umana - la personificazione di Thalasse, il mare - accompagnata da delfini e mostri marini - si trova già nel codice di Vienna accanto alla rappresentazione del corallo ed ha, evidentemente, funzione di indicazione ambientale; le figure delle miniature medievali e, specialmente, delle miniature arabe sono variamente occupate con le piante accanto a cui si trovano, di cui indicano implicitamente le qualità medicamentose. Secondo il Weitzmann è piuttosto improbabile che tali "scene di genere" possano essere ricondotte a un archetipo antico (ma cfr. Bologna, ms. 3632).

Beninteso tale processo non fu rettilineo, e lungo tutto il Medioevo si possono incontrare illustrazioni straordinariamente fedeli al modello antico.

Per la posizione storica del libro di D. nella trasmissione dell'illustrazione dell'erbario antico si veda lo schema tracciato dal Singer (1927).

Ma l'opera di D. è interessante non soltanto per la storia ad essa successiva, ma anche per quanto essa ci conserva della storia precedente. Malgrado le testimonianze posteriori e malgrado che la sua storia successiva sia intimamente legata a quella della miniatura, non è certo che il libro di D. fosse pensato con delle illustrazioni proprie, originali. L'apparato illustrativo gli venne da altre fonti. Il codice Constantinopolitanus di D. contiene le raffigurazioni di ben undici piante che, come risulta chiaramente, sono riprese dal libro di Cratevas. Abbiamo quindi qui il ricordo di una porzione abbastanza rilevante dell'opera perduta di Cratevas. Un altro schema del Singer (1927) indica la filiazione dell'illustrazione di D. da quella di erbarî più antichi precisando in alcuni punti lo stemma tracciato dal Premerstein e ripreso dal Buberl (1936).

Codici Greci. - Il loro numero è notevole e le loro relazioni reciproche sono assai complicate. Su di essi v. specialmente l'articolo di M. Wellmann, in Pauly-Wissowa e la sua prefazione al II volume della sua edizione di D.; confronta inoltre H. Diels, Die Hss. d. antiken Ärzte, ii, Berlino 1906; Ch. Singer, in Journal Hell. Stud., 1927, e P. Buberl, in Jahrbuch, 1936. Circa la fine del II sec. apparvero almeno due recensioni del testo di D.: la prima, α, è quella da cui discendono quasi tutti i manoscritti a noi noti; la seconda, β, è testimoniata dal papiro di Michigan (v. C. Bonner) e il suo unico discendente è il codice dell'Escorial, iii, R. 3. Prima della fine del III sec. fu arricchita dei sinonimi delle varie piante, derivati forse dalla compilazione di Panfilo di Alessandria (I sec. d. C.), e di parte dell'erbario di Cratevas e di un altro erbario illustrato.

In seguito questa versione fu riordinata secondo la successione alfabetica, in una sorta di Dioscorides alphabeticus, da cui Oribasio (345-403), medico di Giuliano l'Apostata, derivò alcuni excerpta per le sue ᾿Ιατρικαὶ Εὐαγωγὰι. Da tale versione finale, che dobbiamo quindi datare tra il III e il IV sec., di Dioscorides, derivano il D. di Vienna e quello di Napoli. Vi è poi un altro gruppo di manoscritti di D., denominato dal Singer, per distinguerlo dal precedente, "gruppo alfabetico secondario", in cui la suddivisione originaria in cinque libri è mantenuta, e la materia è ordinata alfabeticamente all'interno di ciascun libro. Tale sistemazione deve essere datata, forse, non prima del IX secolo. È probabile che il manoscritto da cui deriva questo gruppo fosse vicino a quella recensione supposta dal Wellmann che dovrebbe essere all'origine di alcuni tardi manoscritti non alfabetici di Dioscuride (v. avanti). Il Singer ha notato notevoli affinità tra alcune figure nei manoscritti del gruppo alfabetico primario (Constantinopolitanus) e altre in quelli del secondario (Pierpont Morgan), benché in altri casi esse siano assolutamente diverse.

Infine vi è un gruppo notevole di manoscritti, piuttosto tardi, disposti in ordine non alfabetico. Essi sono i più importanti per ristabilire il testo. Tra di essi si ricorda il gr. 2179 della Bibliothèque Nationale di Parigi, che certamente risale per le figure a una tradizione molto antica (II-III sec. d. C., forse anche prima) le cui fonti sono in alcuni casi (v. ad esempio la raffigurazione della mandragora) diverse da quelle del codice di Anicia Giuliana (Constantinopolitanus).

a) Vienna, Nationalbibliothek, Cod. med. Gr. i (5), detto Constantinopolitanus. È il più antico pervenutoci, databile a circa il 512. Descritto in P. Buberl, Beschreibendes Verzeichnis etc.; fac-simile: Codex Aniciae Julianae picturis illustratus, Leida 1906. Oltre al testo di D., il codice contiene parafrasi, talora illustrate, della Theriaka e dell'Alexipharma-ka di Nicandro, dell'Halieutica di Oppiano e infine dell'Ornithiaka di Dionisio di Filadelfia, quest'ultima corredata di numerose figure di volatili. Tra le raffigurazioni di piante il Buberl distingue due gruppi: il primo (Index Klasse) che si avvicina a modelli dell'arte pergamena (erbario di Cratevas); il secondo che denuncia prototipi databili nel III sec. d. C.

b) Bologna, Biblioteca Universitaria, ms. 3632, copia del XVII sec. del precedente. Altra copia, del XV sec., a Cambridge, University Library, Ee5; cfr. anche Parigi, gr. 2091, del XV sec., e gr. 2286, del XIV; Bibl. Vaticana, Chis., F vii, 159, del sec. XV (da cui deriva Vienna, gr. 2277, olim Eugen., F 16); Vat. gr. 66, affine a Firenze, Laurenz., Plut., lxxxvi, 9, derivato forse da altro codice perduto dell'Escorial del sec. XV.

c) Napoli, Biblioteca Nazionale, ms. olim Vienna, Suppl. gr. 28, detto Neapolitanus, del sec. VII. Descritto da M. Anichini, in Rendiconti Accad. Lincei, XI, 1956, p. 77. Ivi tutta la bibl. precedente. Da tutti gli autori ritenuto derivazione dello stesso prototipo del Constantinopolitanus, se non addirittura copia di esso, tesi contraddetta dalla Anichini che ritiene il prototipo in parte diverso (cfr. anche R. Bianchi Bandinelli, in La Parola del Passato, xlvi, 1956, p. 48 ss.).

d) Parigi, Bibliothèque Nationale, Cod. gr. 2175, detto Parisinus. È del IX secolo, egiziano secondo il Montfaucon e poi secondo il Singer e ora il Weitzmann (1952), il quale nel 1935 propendeva per una provenienza dall'Italia meridionale confermata dal Devreesse (1955). H. Bordier, Description des peintures.... dans les mss. gr. de la Bibl. Nat., Parigi 1883, pp. 92-94; S. J. Ga̧siorowski, p. 151 ss.; H. Omont, Facsimilées des mss., Parigi, s. d., tav. vi; Ch. Singer, in Journ. Hell. Stud., 1927, p. 27, figg. 23, 25, 26; K. Weitzmann, Byz. Buchmal., p. 82; id., Illustr. in Roll and Godex, p. 71 ss., fig. 57; id., in Archaeologica Orientalia, New York 1952, p. 253 e passim; R. Devreesse, Les mss. grecs de l'Italie Mérid., Città del Vaticano 1955. È "the standard for fixing the text" (Ch. Singer). Accanto alle figure di piante presenta in alcuni casi raffigurazioni di uomini affetti dalle malattie curate dalle piante relative.

e) New York, Pierpont Morgan Library, M 652. Eseguito probabilmente per Costantino VII Porfirogenito (imperatore dal 912 al 959), è specialmente notevole per la rara fedeltà al modello antico. Pedanii Dioscuridis Anazarbei. De Materia Medica, Parigi 1935 (edizione fac-simile); B. da Costa Green - M. Harrsen, The P. M. Library. Exhibition of Illurn. Mss. held at the N. Y. Public Library, New York 1933-34, p. 7, n. 12 e tav. xi; K. Weitzmann, Byz. Buchmal., Berlino 1935, p. 34 e figg. 232-233; id., in Archaeologica Orientalia, New York 1952, p. 251.

f) Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Palatinus 77, del sec. XIV. Del gruppo non alfabetico, non sembra derivato da Parigi gr. 2179..

g) Monte Athos, Monastero di Lavra, cod. Ω 75, del sec. XII. Le miniature presentano figure umane intente a raccogliere le erbe. H. Brockhaus, Die Kunst in den Athosklostern, Lipsia 1891, pp. 168, 232, nota 1; Spyridon Eustriates, Catalogue of Greek Mss. in the Library of the Lavra on Mount Athos, Cambridge Mass. 1925, p. 343; K. Weitzmann, Ill. in Roll and Codex, p. 86, fig. 68; id., in Archaeologica Orientalia, New York 1952, p. 253 ss.

h) Venezia, Biblioteca Marciana, marc. xcii, del sec. XIII.

i) Cheltenham, cod. Philipps 21975, del sec. XI. I codici di Cheltenham e del Monte Athos raccolgono anche gli apocrifi ϑηλητηρίων ϕαρμάκων e περὶ ἰοβόλων, insieme ad altri testi.

Codici latini. - Nel VI sec. in Italia furono approntate due versioni o traduzioni di D., i cosiddetti Dioscorides Lombardus e Dioscorides Vulgaris. Il primo è rappresentato da un codice del IX sec. scritto in Italia meridionale (Monaco, Staatsbibliothek, cl. 337. Il testo pubblicato da K. Hoffmann, T. M. Auracher, H. Stadler, in K. Vollmoller, Romanische Forschungen, 1, 50; x, 181; x, 301; xl, 1, Erlangen 1882-1897; v. anche H. Stadler, in Allg. Med. Gentral-Zeitung, 1900, n. 14-15 e catalogo della mostra della Biblioteca di Monaco del 1958). Le illustrazioni di questo manoscritto non hanno rapporti con il gruppo di figure derivate da Cratevas. La loro origine è incerta. Vi è omessa la lista dei sinonimi. Il Dioscorides Vulgaris è più largamente rappresentato. Un palinsesto della Nationalbibliothek di Vienna (ms. lat. 16, v. Oder, Berl. Phil. Wochenschr., 1906, p. 522), datato circa l'anno 600, deriva da una recensione che non seguiva l'ordine alfabetico: un prototipo, secondo il Singer, del codice di Parigi gr. 2179.

I molti manoscritti che derivano da questa versione sono per lo più uniti all'Herbarium Apulei Platonici e al cosiddetto Dioscorides de. Herbis Femininis. Essi sono stati provvisoriamente riuniti dal Singer in due gruppi, di cui si citano i manoscritti di maggior interesse per l'archeologia classica.

A) - 1) Parigi, Bibliothèque Nationale, lat. 12995 e 9332. Entrambi del IX sec. e derivati da modelli dell'Italia meridionale.

2) Torino, Biblioteca Sabauda, K iv 23. Dell'XI sec., dell'Italia meridionale.

3) Londra, British Museum, Cotton Vitellius C iii. Versione anglosassone, con molte interpolazioni, del sec. X. Contiene una serie di superbe illustrazioni, derivate da prototipi dell'Italia meridionale.

B) - 1) Londra, British Museum, Harley 4586 e Eton, Eton College. Entrambi tedeschi del XII secolo. Sono uniti al Pseudo Apuleio. Il secondo ha una notevole illustrazione con i rizotomisti intenti alla ricerca e alla raccolta delle erbe medicamentose (cfr. Bologna, ms. 3632).

Codici arabi. - Il De Materia medica fu tradotto varie volte in arabo. Tra le prime traduzioni si ricorda quella, del IX sec., di un certo Stefano figlio di Basilio, cristiano di Bagdad. Non esiste una edizione critica del D. arabo. V. M. Meyerhof, Die Materia Medica des Dioskurides bei den Arabern, in Quellen u. Studien zur Geschichte der Naturwissenschaft u. der Medizin, iii, 4, 1933. L'illustrazione del D. arabo è specialmente caratteristica per l'introduzione di figure umane e di vere e proprie scene di genere (i medici che preparano i medicamenti, medici che discutono tra loro, ecc.). Alcuni manoscritti contengono elementi derivati da originali greci e che non hanno un riscontro preciso in nessuno dei codici greci pervenuti.

a) Parigi, Bibliothèque Nationale, arab. 4947, variamente datato tra il IX e il XIII secolo (quest'ultima data sembra più probabile). Deriva da un manoscritto della recensione alfabetica. Le sue illustrazioni sono abbastanza fedeli a uno sconosciuto archetipo greco. E. Bonnet, in Janus, XIV, 1909, p. 294 ss.; E. Blochet, Les peintures des mss. orientaux de la Bibl. Nat., Parigi 1914-20, p. 5, n. 1; id., Gatal. des mss. arabes des nouvelles acquis., Parigi 1925, p. 44; K. Weitzmann, in Archaeologica Orientalia, New York 1952, p. 251 ss., tav. xxiv, 6.

b) Leida, Biblioteca dell'Università, cod. or. 289 Warn., datato febbraio 1083 d. C. e copiato da un manoscritto del 990 d. C. L'illustrazione della pianta μαλάβαδρον ha la figura di un malato d'occhi (in rapporto con le virtù di questa pianta): la prima figura umana in un D. arabo, derivata probabilmente da manoscritti del tipo di Parigi gr. 2179. De Jong-de Goeje, Catalogus Codicum orientalium Bibliothecae Academiae Lugduni Batavae, iii, p. 227; M. Meyerhof, in Quellen ... z. Gesch. der Naturwiss., iii, 4, 1933, p. 289 (81 dell'estratto); K. Weitzmann, in Archaeologiea Orientalia, New York 1952, p. 252 55.

c) Mashhad, museo del Santuario, manoscritto mesopotamico della fine del sec. XII. Su circa settecento raffigurazioni di piante, quattro sono accompagnate da figure umane, almeno in un caso in rapporto con miniature del tipo di Lavra, Q 75 e quindi di origine greca.

L. Binyon-J. V. S. Wilkinson-B. Gray, Persian Miniature Painting, Londra 1933, p. 25, n. 6, tav. v A-B; M. Bahrami, Iranian Art, Catal. of an Exhib. in the Metropolitan Museum, New York 1949, p. 22, n. 51; F. E. Day, Mesopotamian Mss. of Dioscurides, in Bull. of the Metropolitan Mus. of Art, N. S. viii, 1949-50, p. 274 ss.; K. Weitzmann, in Archaeologica Orientalia, New York 1952, p. 254 55.

d) Il più importante e bel manoscritto arabo di D. è attualmente diviso tra la biblioteca di Top Kapi Saray a Istanbul (H. Ritter - R. Walzer, Arabische Uebersetzungen griechischer Aerzte in Stambuler Bibliotheken, in Sitzungsber. d. Preuss. Akad. d. Wiss., Phil. hist. Kl., 1934, pp. 826-840) e varie collezioni europee e americane. H. Buchthal ha raccolto le miniature sparse, le ha ricollocate nell'ordine seguito dal testo e ne ha dato uno studio critico. Sono datate al 621 dell'Egira (1224 d. C.) ed appartengono alla scuola di Bagdad. Il rapporto di queste miniature con le illustrazioni del D. greco è tuttora discusso. Oltre alle raffigurazioni di piante, sicuramente derivate dall'originale greco, il codice contiene numerosissime scene di genere, completamente assimilate ai costumi arabi, e figure di animali talune, come il cervo in lotta con un serpente - già note nell'illustrazione del Physiologus e di molti bestiarî. Un codice di D. post-iconoclastico è presumibile come intermediario. Oltre alla bibliografia citata in Buchthal, v. K. Weitzmann, Archaeologica Orientalia, New York 1952, pp. 255-257.

Bibl.: Edizione del testo: M. Wellmann, D. De materia medica libri V, 1907-1914. Lo stesso Wellmann aveva dato in Pauly-Wissowa, V, c. 1131 ss., s. v. Dioskurides, n. 12, una trattazione chiara dei problemi suscitati dall'opera e dalla personalità di D.; sulla posizione di D. nella storia della scienza, v. Ch. Singer, Studies in the History and Method of Science, II, Oxford 1921, p. 64 ss. In generale sulla illustrazione degli erbarî e sul contributo ad essa di D. v.: Ch. Singer, The Herbal in Antiquity and its Trans-mission to Later Ages, in Journ. Hell. Stud., XLVII, 1927, p. 1 ss. e cfr H. Fischer, Mittel-alterliche Pflanzenkunde, Monaco 1929. Su Cratevas: M. Wellmann, Das älteste Kräuterbuch der Griechen, Lipsia 1898; id., in Hermes, XXXIII, 1898, p. 530 ss.; id., Kratevas, in Abhandl. d. Gesellsch. der Wissensch. Göttingen, Phil.-hist. Kl., N. S. II, i, 1897.

Sull'iconografia di D.: Montfaucon, Palaeogr. graeca antiqua, Parigi 1708, pp. 199, 256 ss.; E. Q. Visconti, Iconographie grecque, I, tav. XXXX; J. J. Bernoulli, Gr. Ik., II, p. 214 ss.; P. Buberl, Die antiken grundlagen der Miniaturen des Wiener Dioskurides, in Jahrbuch, LI, 1936, p. 114 ss.; A. v. Salis, Imagines Illustrium, in Eumusia, Festschr. f. E. Howald, Zurigo 1947, p. 11 ss.

Sulla illustrazione di D.: Ch. Birt, Das antike Buchwesen, Lipsia 1882; Ed. Bonnet, Essai d'identification des plantes médicinales mentionnées par D., d'après les peintures d'un ms. de la Bib. Nat. de Paris (MS gr. 2179), in Janus, VIII, 1903, pp. 169 ss.; 225 ss.; 228 ss. (sull'identificazione delle piante di D. in base alle descrizioni date dal testo. v. J. Berendes, Des Ped. Diosk. aus Anazarbos Arzneimittellehre, Stoccarda 1902); E. Diez, Die Miniaturen d. Wiener Dioskurides, Vienna 1903; A. v. Premerstein, in Jahrb. Wiener Samml., XXIV, 1903, p. 314 ss.; A. Venturi, L'erbario di D. nella Bibl. Chigiana, in Cronache della civ. ell.-lat., I, 1903, n. 22; A. v. Premerstein, J. K. Wessely, I. Mantuani, Dioskurides, Codex Aniciae Julianae... picturis illustratus, Leida 1906 (fac-simile del codice di Vienna); Th. Birt, Die Buchrolle in der Kunst, Lipsia 1907, p. 299 ss.; O. Wulff, Altchristl. u. byzant. Kunst, Berlino 1914, p. 289 ss.; C. Bonner, in Transactions of the American Philologic. Association, LIII, 1922, p. 142 (sul papiro di Michigan); Martini, in Atti della R. Accad. di Arch. Lett. e belle Arti di Napoli, n. s. IX, 1926, p. 164 ss. (sul Neapolitanus); H. Gerstinger, Die gr. Buchmal., Vienna 1926, p. 20; Ch. Singer, op. cit., in Journ. Hell. Stud., XLVII, 1927, p. 1 ss.; S. J. Ga̧siorowski, Malarstwo miniaturowe grecko-rzymskie, Cracovia 1928 (con riassunto in inglese); K. Weitzmann, Die byzant. Buchmal., Berlino 1935, passim; P. Buberl, art. cit., in Jahrbuch, LI, 1936, p. 127 ss.; id., Beschreibend. Verzeichnis der illum. Hss. in Oesterreich, n. s. IV, I, 1937, p. 3 ss. (sul Constantinopolitanus); P. Capparoni, in Atti V Congr. Int. Studi Biz. (1936), Roma 1940, p. 63 ss. (su Bologna 3632); E. Bethe, Buch u. Bild im Altertum, Lipsia 1945; K. Weitzmann, Illustration in Roll a. Codex, Princeton 1947, specialmente pp. 71 ss., 86 ss., 135 ss., 166 ss.; R. Bianchi Bandinelli, Hellenistic Byzantine Miniatures of the Iliad, Olten 1955, v. indice. Su Cratevas: M. Wellmann, in Abhandl. der Klg. Gesellsch. d. Wissensch. zu Göttingen, Phil. Hist. Kl., N. F., Bd. 2, Nr. 1, Berlino 1897; Ch. Singer, in Edimburgh Review, 1923, p. 95. Sulle illustrazioni del ῾Ριζοτομιμόν di Cratevas v. oltre a Ch. Singer, in Journ. Hell. St., già citato, Susemihl, Alex. Litteratur, II, p. 426. Sull'edizione di Ippocrate: J. Ilberg, Hippokratesausgaben des Kapiton u. Dioskurides, in Rheinisches Museum, XLV, 1890, p. 114 ss.