Diritto e retorica

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

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Diritto e retorica

Antonio Banfi

Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Diritto e retorica sono discipline che storicamente si sono intrecciate strettamente. I motivi di questo intreccio devono essere ricondotti in primo luogo alla natura del sistema processuale: sistemi accusatori con giurie popolari sono fortemente esposti al rischio di una prevalenza della retorica sul diritto. L’arte della persuasione ha sovente la meglio su un materiale normativo non ancora perfettamente codificato.

Premessa

I rapporti fra diritto e retorica sono molteplici e ciò vale non solo per il mondo antico. In ogni caso, è bene cominciare definendo cosa si intende con retorica.

Secondo una linea di pensiero già saldamente presente nella Grecia classica e che si può far risalire all’opera del sofista Gorgia di Leontini, la retorica non è altro che arte della persuasione. Il sofista, nell’omonimo dialogo di Platone, spiega che il retore è in grado di persuadere chiunque, poiché possiede l’arte del discorso: in tal senso la sua arte è quella suprema, poiché la conoscenza tecnica di una disciplina (ad esempio la medicina) non vale a nulla se non si è capaci di convincere gli altri a seguire comportamenti conformi a quella disciplina. A questa visione, fortemente avversata da Platone, se ne oppone un’altra, che interpreta la retorica non come mera arte della persuasione, ma come tecnica dell’argomentazione e, dunque, come una branca della logica. In ogni caso, in entrambe le accezioni la retorica entra nell’ambito del diritto. Per comprenderne il motivo conviene partire dal funzionamento del sistema processuale.

Il sistema processuale dell’Atene classica

Nell’antica Grecia non esiste la figura del giurista, dell’esperto di diritto, depositario di una scienza specifica: questa è una creazione del mondo romano. Ciò non comporta, naturalmente, l’assenza di un diritto o l’assenza di chi di esso discute o ragiona: semplicemente, non vi è specializzazione e qualsiasi cittadino è libero di partecipare alla vita e al dibattito giuridico della città.

Nell’Atene classica, non solo gli organi legislativi (l’assemblea in primo luogo), ma anche gli organi giudiziari sono nelle mani della cittadinanza, che partecipando ad essi esercita e rafforza il potere del popolo, la democrazia. Nei tribunali popolari i giudici sono cittadini non specialisti di diritto: sono, insomma, giurati. Inoltre, il sistema giudiziario ateniese ha le caratteristiche tipiche del sistema che i moderni definiscono accusatorio e che ancora oggi si ritrova nel mondo anglosassone. Il tribunale è presieduto da un magistrato che assicura il rispetto della procedura, le parti in conflitto sono collocate su un piano di parità e si scontrano argomentando a favore delle rispettive tesi davanti ad un collegio di giudici non togati.

Nell’Atene classica manca dunque la figura dell’avvocato e così pure manca – nel processo penale – la figura del magistrato che svolge la funzione di pubblico accusatore. Chiunque, infatti, e non solo la parte lesa, può farsi portatore dell’interesse pubblico alla repressione del reato e costituirsi come accusatore. Tutti questi elementi, uniti all’assenza di raccolte affidabili e ordinate del materiale normativo, spiegano l’irrompere della retorica nel mondo del diritto, fenomeno ben visibile nell’antica Atene. Sia in ambito penalistico che in ambito civilistico sta alle parti persuadere la giuria. Poiché tanto le parti stesse quanto i giurati non sono esperti di diritto, l’opera di persuasione assume caratteri più retorici che tecnici. Infatti, ad “assistere” le parti in lite non sono avvocati, ma logografi, retori specializzati. Compito di costoro è di redigere – dietro compenso – il discorso contenente le argomentazioni difensive o quelle di accusa che le parti, dopo averlo imparato a memoria, recitano davanti al tribunale. I logografi sono dunque in primo luogo retori e le opere dei più famosi logografi dell’antichità a noi pervenute – basti qui citare Lisia, Eschine, Demostene) – mostrano un costante ricorso a tecniche retoriche volte al raggiungimento della persuasione della giuria. Frequentissimo, ad esempio, è l’uso della tecnica detta amplificazione (auxesis), attraverso la quale si tenta di influenzare la psicologia dei giurati ingigantendo fatti e argomentazioni di per sé non di primaria importanza e sviando l’attenzione da altri elementi ritenuti pregiudizievoli per la linea di condotta scelta dalla parte in causa. Tutto ciò comporta una visione agonistica del processo, in cui le parti si scontrano senza esclusione di colpi nella speranza di persuadere i giurati. Accade così che assumano grandissima rilevanza i temi extra causam, fatti e argomentazioni che non hanno a che vedere con la sostanza del processo, ma che possono giovare a raggiungere il risultato. È per questo motivo che chi rischia la condanna capitale si presenta in giudizio vestito modestamente, magari circondato da moglie e figli in lacrime. Oppure, può capitare che una parte tenti di prevalere sull’altra attaccandone i costumi, svelando vicende private o perfino ricordando misfatti veri o presunti compiuti da avi e progenitori, anche se nulla di tutto ciò è attinente al processo in corso. In questo tipo di sistemi accusatori agonistici (a proposito dei quali si può parlare di sporting theory of justice, teoria agonistica della giustizia) diviene specialmente importante l’esame dei testimoni.

L’attribuzione di credibilità ad un teste da parte di chi lo ascolta (il giurato) è infatti un processo che include numerosi elementi alogici: l’affidabilità di un soggetto è fortemente influenzata non solo da quanto egli dice, ma anche dalla sua persona, dal suo modo di porsi, da ciò che sappiamo di lui, tutti fattori che ci rendono più o meno inclini a credere a qualcuno a prescindere dal contenuto delle sue dichiarazioni. È per questo motivo che si tenta – attraverso argomentazioni retoriche ed attraverso il ricorso a temi extra causam – di minare la credibilità dei testi della parte avversa, non solo cercando di farli apparire contraddittori, ma anche colpendone la persona. Inoltre, perfino il testo delle leggi applicabili al singolo caso non è noto ai giurati, e deve essere fornito loro dalle parti nel contesto delle loro orazioni, cosicché, nell’Atene classica, le stesse norme di legge divengono mezzi di prova della bontà delle ragioni delle parti in causa, come spiega nella Retorica lo stesso Aristotele.

Naturalmente, poiché la legge è resa nota ai giurati dalle parti nel dibattimento, le stesse parti possono evitare di citare quelle leggi che sono a loro sfavore, oppure possono tentare di alterarne il dettato, spingendo verso interpretazioni lontane dall’intenzione del legislatore; il che rende necessaria molta cautela quando si fa ricorso alle orazioni dei logografi per ricostruire la sostanza del diritto attico. Come si vede, si tratta di un sistema gravemente esposto al rischio di ingiustizie; la consapevole scelta di Socrate di ribellarsi a questo modo di condurre il processo, mediante il rifiuto di qualsiasi tentativo di blandire la giuria, è molto probabilmente la prima causa della sua condanna alla pena capitale.

Retorica e diritto nel mondo romano

Fenomeni analoghi sono presenti anche nell’antica Roma, specie in età repubblicana. Infatti il più antico processo penale in uso nella repubblica (i cosiddetti iudicia populi, giudizi popolari) non è molto diverso da quello in uso ad Atene, essendo anch’esso di carattere accusatorio ed essendo fondato su una giuria popolare coincidente con l’assemblea dei cittadini atti alle armi. Anche il più sofisticato sistema di tribunali permanenti (quaestiones perpetuae) in uso a partire dal II secolo a.C., risponde al medesimo modello, essendo l’accusa aperta a qualsiasi privato cittadino e il giudizio affidato a una giuria di cittadini non togati. Così è facile trovare nella storiografia romana resoconti di processi in cui imputati certamente colpevoli sono riusciti ad andare assolti attraverso l’uso di tattiche meramente retoriche, talora muovendo a compassione la giuria, talora riuscendo a screditare la persona dell’accusatore. Tutto ciò spiega perché, specie in età repubblicana, la retorica sia rimasta parte determinante nella formazione del giurista romano; per quanto dotato di una conoscenza tecnica del diritto, la retorica gli è necessaria per ottenere il successo nel foro: tanto più che le vittorie giudiziarie contribuiscono a diffondere la fama di chi le consegue e costituiscono un buon punto di partenza per chi intende intraprendere la carriera politica. Ciò, tra l’altro, spiega perché Quintiliano nel suo manuale di retorica (Institutiones) dedichi ampio spazio alla retorica forense, indicandone il momento centrale nella fase di escussione del testimone, che deve essere preparata con cura, se è il caso esercitando personalmente il testimone a sottoporsi al fuoco di fila delle domande delle parti, in modo che egli appaia quanto più convincente possibile al giudice. Si tratta, peraltro, di una pratica ancora oggi normale negli Stati Uniti.

Va però detto che con il passaggio all’impero il sistema processuale si trasforma progressivamente grazie all’affermazione del processo per cognitio extra ordinem, nella quale il ruolo centrale non spetta più all’agone – anche retorico – fra le parti, ma a un giudice togato espressione del potere imperiale. Questo fenomeno provoca la progressiva decadenza della retorica intesa in senso gorgiano, come strumento di persuasione di un uditorio investito della funzione giudicante ma privo di conoscenze tecniche. Infatti, la presenza di un giudice tecnico unitamente all’esistenza di una scienza giuridica vera e propria, oggetto di uno studio specifico e dotata di propri criteri metodologici, fa sì che nel bagaglio culturale del giurista resti la formazione retorica, ma intesa non come tecnica psicagogica, capace di colpire l’emotività di chi ascolta, bensì come tecnica logico-razionale dell’argomentazione, arte del convincere più che arte del persuadere.

In conclusione, merita di essere ribadito che persiste ancora oggi, nei sistemi di common law e specie negli Stati Uniti, un modello accusatorio agonistico con funzione giudicante affidata a giurie di cittadini; ciò fa sì che la formazione dell’avvocato sia per certi versi più di carattere retorico che giuridico. Ad esempio, la manualistica destinata agli avvocati americani dedica largo spazio alla preparazione meramente retorica della fase di escussione dei testimoni (detta cross-examination) con il fine di persuadere i giurati delle proprie tesi.

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