DISPENSA

Enciclopedia Italiana (1932)

DISPENSA (fr. dispense; sp. dispensa; ted. Dispensation; ingl. dispensation)

Arnaldo BERTOLA
Guido Zanobini

È l'atto in forza del quale una persona viene in un singolo caso esonerata dall'osservare una data disposizione di legge. Questa disposizione può essere o una norma che impone un dovere positivo (di fare o di dare) o negativo (di non fare o di sopportare che altri faccia), o una norma che determina l'impossibilità giuridica di porre in essere un dato rapporto, di acquistare un dato diritto. La dispensa appartiene così alla categoria degli atti che pongono singole persone in una posizione eccezionale e diversa da quella comune. Essa si distingue però dal privilegio, perché questo non esonera da un obbligo, né si limita a rendere possibile l'acquisto di un diritto, ma crea esso stesso diritti soggettivi non concessi alla generalità; e si distingue pure dalla grazia, perché questa non rende lecito un atto generalmente vietato, ma, intervenendo quando già l'illecito è avvenuto ed è stata applicata la relativa sanzione penale, si limita a esonerare in tutto o in parte il condannato dal subire tale sanzione. L'istituto della dispensa ha avuto la più larga applicazione e il più completo svolgimento nel diritto canonico. Anche gli ordinamenti laici, tuttavia, specie quelli degli stati assoluti, conobbero e usarono, sotto nomi diversi, delle dispense (veniae, indulgentiae, licentiae, solutiones legibus).

Il problema più importante, che sorge a proposito del diritto di dispensa, è se esso sia compreso nella funzione esecutiva, ossia nell'attuazione della norma, o se rientri invece nella funzione legislativa. Dal punto di vista storico e positivo, possiamo constatare che il potere di dispensa è stato costantemente riservato al legislatore. Così nel diritto romano antico, ove troviamo sancito ne quis nisi per populum a legibus solveretur (lex Cornelia, del 64 a. C.); così nel diritto canonico, ove il diritto di dispensare è riconosciuto solo al legislatore e alle autorità da lui espressamente delegate. Se talora i principi dell'età di mezzo esercitarono questo potere, come moderatores rigoris iuris, senza il concorso delle assemblee legislative, è noto come ciò sia stato ritenuto un abuso, come tale abuso sia stato in Inghilterra fra le cause prime della rivoluzione del sec. XVII e come il divieto al re di dispensare abbia formato oggetto di apposite disposizioni nel celebre Bill of rights del 1689. Fra le costituzioni moderne, contengono un divieto analogo la carta francese del 1830 (art. 13), quella belga del 1831 (art. 67) e lo statuto italiano del 1848 (art. 6). È stato sostenuto che il divieto espresso, fatto al potere esecutivo di dispensare dalle leggi, proverebbe, anziché il carattere legislativo della dispensa, il suo carattere di atto esecutivo. Si tratterebbe allora di un atto amministrativo riservato per ragioni politiche agli organi legislativi. Viceversa, risalendo al concetto sostanziale di legge, si può dire che un atto, che limita l'efficacia di una norma, modifica tale norma e crea una norma di eccezione accanto alla norma generale: ha quindi esso pure natura di atto legislativo. Per tale sua natura perciò, e non per ragioni contingenti, rientra nella competenza del legislatore; quanto al divieto espresso nelle carte costituzionali, esso si giustifica con la necessità, dimostrata dai ripetuti abusi, di rimuovere ogni equivoco sulla natura e sulla competenza della facoltà di dispensare.

Se, nonostante questa natura legislativa e nonostante l'espresso divieto, in caso di urgente necessità, una facoltà di dispensa sia da ammettersi eccezionalmente nel potere esecutivo, è stata questione lungamente dibattuta, come parte dell'altra più vasta se possa il potere esecutivo sostituirsi in caso di urgenza a quello legislativo. La questione generale è stata risolta per l'Italia dall'articolo 3 della legge 31 gennaio 1926, n. 100, che riconosce al potere esecutivo la facoltà di emanare atti aventi forza di legge nel caso di urgente necessità e salvo convalida del parlamento nei termini e modi dall'articolo stesso stabiliti (v. decreto, XII, p. 671 segg.).

L'incompetenza del potere esecutivo a emettere da solo atti di dispensa non è limitata alle leggi, ma si estende anche ai regolamenti: sebbene questi emanino dallo stesso potere esecutivo, pure è concorde l'opinione che esso non possa modificarli se non con norme generali, esclusa ogni facoltà di deroga e di dispensa.

Vi sono alcune materie, nelle quali espresse disposizioni di legge hanno attribuito al potere esecutivo in modo permanente la facoltà di dispensare: tali quella degl'impedimenti al matrimonio, quella delle pubblicazioni che devono precedere la celebrazione del matrimonio (articoli 68, 78 cod. civ.; legge 27 maggio 1829, n. 847, art. 2). La competenza regia per queste dispense è stata delegata ai procuratori generali, e in parte ai procuratori del re, da posteriori disposizioni (r. decr. 15 novembre 1865, n. 2602, art. 82; r. decr. 14 febbraio 1869, n. 4872; decr. legge 28 dicembre 1919, n. 2501). In questi casi, la dispensa non è atto contra legem, ma sub lege: e perciò essa non ha carattere legislativo, ma è atto amministrativo e si deve annoverare fra le autorizzazioni. Come nel caso delle altre autorizzazioni, la libertà individuale incontra nella legge una limitazione non assoluta: la legge stessa conferisce alle autorità esecutive la facoltà di rimuovere la limitazione, nei casi singoli e tenuto conto delle circostanze. La disciplina della forma e dell'efficacia di questi atti, e quella della loro validità e dei mezzi per impugnarli, è data dai principî generali riferentisi agli atti amministrativi.

Nel regime matrimoniale italiano, come in ogni altro che ammetta l'efficacia civile del matrimonio religioso, hanno indirettamente effetto nell'ordinamento dello stato alcune dispense concesse dalle autorità ecclesiastiche. La natura, i presupposti e gli effetti di tali dispense sono retti interamente dal diritto canonico.

Bibl.: C. F. Gerber, Über Privilegienhoheit u. Dispensationsgeqalt in modernen Staate, in Zeitschrift f. Staatswiss., XXVIII, Tubinga 1871, p. 430, e in Gesammelte Abh. von Gerber, Jena 1878, p. 479; J. Steinitz, Dispensationsbgriff u. Dispensationsgewal, Breslavia 1901; C. Kormann, System der rechtsgeschäftl. Staatsakte, Berlino 1910, p. 87; G. Zanobini, I poteri regi nel campo del dir. priv., Torino 1917, p. 45 segg., 63.93; id., Sul fondamento giur. della inderogabilità dei regolamenti, in Riv. di dir. pubbl., IX Milano 1917, I, p. 401; F. Ferrara, Tratt. di dir. civ., I, Roma 1921, p. 90 segg.; V. Del Giudice, Privilegio, dispensa ed epicheia nel dir. can., Perugia 1926.

Diritto canonico. - Nel linguaggio canonistico la dispensa viene definita una relaxatio legis in casit speciali (can. 80 del Codex iuris canonici). Essa ha una funzione tutta equitativa, e costituisce il mezzo di conciliare il rigore del diritto con le esigenze della vita. La dispensa può agire sia che la legge non abbia ancora spiegato la sua efficacia per il caso concreto, nella quale ipotesi si stabilisce che la norma giuridica non abbia per esso applicazione, sia che abbia già spiegato tale efficacia, ed in questa ipotesi la dispensa ha per effetto di revocare gli effetti che da tale norma possano già per avventura essere stati prodotti. Esempî del primo caso sono quelli della dispensa da impedimenti matrimoniali e da impedimenti o irregolarità dell'ordinazione, concessa prima della celebrazione del matrimonio o del conferimento dell'ordinazione; del secondo, la dispensa dall'osservanza d'un voto, quella da impedimenti matrimoniali e da difetto di forma della celebrazione, concesse dopo di essa (sanatio in radice matrimonii), e la dispensa a matrimonio rato et non consumato.

La facoltà di concedere la dispensa spetta per massima a chi fu o potrebbe essere autore della legge o ai suoi successori o al suo superiore; l'inferiore non può dispensare da una legge posta dal superiore salvo che il legislatore non gliene abbia concesso il potere. Allo stesso modo, poiché nessuna legge, neppure del supremo legislatore ecclesiastico, il papa, può andare contro il diritto divino, naturale e positivo così dalle norme di questo non si ammette dispensa da parte di alcuna autorità.

Il codice di dir. can. tratta della dispensa in un titolo a parte (Libro I, tit. V, canoni 80-86), ove però si contengono solo le norme generali relative all'istituto, mentre le dispense dalle singole norme sono considerate separatamente. La potestà di concedere dispense da leggi ecclesiastiche universali o territoriali, spettante esclusivamente alla S. Sede, viene trasmessa stabilmente e in generale agli ordinari per tutti i casi in cui sia difficile il ricorso alla S. Sede, vi sia pericolo di gran danno nel ritardo e si tratti di dispensa che la S. Sede è solita concedere (can. 81). Viene inoltre trasmessa stabilmente per le materie e nei casi fissati dal codice agli ordinarî (canoni 1245, 1313, 1320, 978 § 2, 990 § 1, 1028 § 1, 1043, 1045). e anche ai parroci (canoni 1098, 1245 § 1) e ai confessori (canone 990 § 2). Fuori dei casi preveduti dal codice la potestà di dispensare viene conferita, con speciale mandato, dalla Sede apostolica, o in perpetuo o per un determinato tempo o per un certo numero di casi.

La dispensa non può essere concessa sine iusta et rationabili causa, avuto riguardo alla gravità della legge dalla quale si dispensa; questo precetto è privo di sanzione e vale solo come ammonimento allorché chi concede la dispensa è il legislatore o il suo superiore, mentre la sua inosservanza rende illecite e invalide le dispense concesse da autorità inferiori. È valida tuttavia la dispensa chiesta e concessa nel dubbio di sufficienza della causa (can. 84).

Bibl.: M. Falco, Introduzione allo studio del "Codex Iuris Canonici", Torino 1925, pp. 113-118; V. Del Giudice, Privilegio, dispensa ed epicheia nel diritto canonico, Perugia 1926, e la bibl. ivi citata.

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