Attenzione, disturbi dell'

Dizionario di Medicina (2010)

attenzione, disturbi dell’


Situazione patologica caratterizzata da facile distraibilità o disattenzione, tale che un soggetto è incapace di portare a termine un compito. Nel bambino spesso questa situazione è segnata anche da impulsività e iperattività. L’attenzione è una delle funzioni esecutive, che permette di selezionare determinati stimoli provenienti dall’ambiente e ignorarne altri. Le funzioni esecutive sono processi cognitivi relativi all’organizzazione del comportamento, che si attivano al fine di raggiungere uno scopo preciso. Esse riguardano: attenzione, memoria di lavoro, pianificazione, apprendimento di strategie, flessibilità di comportamento, autocontrollo, inibizione. Nella regolazione delle funzioni esecutive è specificamente coinvolta la corteccia prefrontale, anatomicamente e funzionalmente collegata con i nuclei della base e con il sistema limbico: la parte dorsolaterale sembra essere coinvolta nelle funzioni cognitive, mentre quella ventromediale regola le emozioni e l’inibizione, e quindi ha un ruolo chiave nel regolare il comportamento orientato a uno scopo. Esistono diversi tipi di attenzione: sostenuta, ossia la capacità di mantenere l’attenzione su stimoli target per un periodo protratto di tempo; selettiva, che permette di concentrarsi su uno o più stimoli target, inibendo gli stimoli distrattori; divisa, ossia la capacità di prestare attenzione ed elaborare diverse informazioni che si presentano contemporaneamente.

Eziologia

I disturbi dell’a. sono presenti in diverse condizioni patologiche cerebrali: danni cerebrovascolari, trauma cranico, malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson, infezioni del sistema nervoso centrale. Deficit attentivi si riscontrano anche in seguito ad abuso di sostanze o esposizione a sostanze tossiche; anche diversi farmaci (per es., antiepilettici, farmaci cardiovascolari, ecc.) possono compromettere le capacità attentive e di autocontrollo. Nei bambini il disturbo dell’a. si associa a iperattività, per es., in ogni forma di deficit sensoriale, sia visivo che uditivo, nei disturbi dell’espressione linguistica, nei disturbi dell’umore, nel deficit cognitivo e nel disturbo generalizzato dello sviluppo. Il disturbo dell’a. nei bambini è uno dei tre sintomi che caratterizzano la sindrome da deficit di attenzione con iperattività.

disturbi dell'attenzione

ADHD

Acronimo di Attention Deficit Hyperactivity Disorder, comunemente utilizzato anche in Italia per indicare il disturbo da deficit attentivo con iperattività, è caratterizzato, secondo i criteri del DSM-IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, IV ed.), da due gruppi di sintomi: inattenzione e impulsività/iperattività. La disattenzione o facile distraibilità si manifesta come incapacità a portare a termine le azioni intraprese: i bambini appaiono costantemente distratti, evitano di svolgere attività che richiedano attenzione per i particolari, perdono frequentemente le loro cose. L’impulsività si manifesta come difficoltà a organizzare azioni complesse, tendenza al passaggio rapido da un’attività all’altra, difficoltà a rispettare il proprio turno nei giochi di gruppo. L’impulsività generalmente si associa a iperattività: questi bambini vengono riferiti come continuamente in moto, hanno difficoltà a rispettare le regole, a scuola trovano difficile rimanere seduti. Secondo il DSM-IV, per fare diagnosi di ADHD occorre che siano osservabili almeno sei dei nove sintomi di inattenzione e/o iperattività, che i sintomi esordiscano prima dei sette anni d’età, durino da più di sei mesi, siano evidenti in almeno due diversi contesti di vita del bambino (casa, scuola, ambienti di gioco) e, soprattutto, causino una significativa compromissione delle attività globali del bambino. Possono essere distinti tre tipi di ADHD: uno prevalentemente inattentivo, uno prevalentemente iperattivo/impulsivo e uno combinato. Il disturbo va sempre differenziato dalla normale vivacità dei bambini e dalle condizioni legate a svantaggio socioculturale, da esperienze traumatiche (per es., abuso), da atteggiamenti educativi incongrui. L’incapacità a rimanere attenti e a controllare gli impulsi fa sì che, spesso, i bambini con ADHD abbiano una minore resa scolastica e sviluppino con maggiore difficoltà le proprie abilità cognitive. Inoltre, questi bambini mostrano scarse abilità nell’utilizzazione delle norme di convivenza sociale, in partic. nel cogliere gli indici sociali non verbali che modulano le relazioni interpersonali. Questo determina una significativa interferenza nella qualità delle relazioni con i coetanei. Il difficoltoso rapporto con gli altri, le difficoltà scolastiche, i continui rimproveri da parte dei genitori e degli altri adulti di riferimento, il senso di inadeguatezza a contrastare tutto ciò con le proprie capacità, fanno sì che i bambini ADHD sviluppino un senso di demoralizzazione e di ansia, che accentua ulteriormente le loro difficoltà. Il disturbo spesso persiste in adolescenza e in età adulta, anche se con leggere modificazioni: in queste età, l’iperattività si manifesta piuttosto come senso interiore di agitazione; l’inattenzione comporta difficoltà a organizzare le proprie attività o a coordinare le proprie azioni con conseguenti difficoltà scolastiche, lavorative e sociali. Altri soggetti, divenuti adolescenti e poi adulti, mostrano disturbi psicopatologici quali alcolismo, tossicodipendenza, disturbo di personalità antisociale; in questi casi un disturbo della condotta associato all’ADHD già nell’infanzia costituisce il più importante indice predittivo di tale evoluzione.

disturbi dell'attenzione

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