DIVINAZIONE

Enciclopedia Italiana (1932)

DIVINAZIONE (fr. divination; sp. divinación; ted. Wahrsagung; ing. divination)

Umberto FRACASSINI
Aldo NEPPI MODONA
Raffaele CORSO

In origine la divinazione era un ramo della magia cosiddetta simpatica; la quale si fonda sul principio apparentemente scientifico che da simili cause si producono simili effetti. Mentre però la scienza tiene conto soltanto delle somiglianze essenziali e naturali, provandole criticamente e stabilendole obiettivamente, la magia si contenta di somiglianze superficiali e apparenti, stabilendole a piacere e fantasticamente. Come, dunque, il mago pretende di produrre effetti con mezzi naturalmente inadeguati, così l'indovino (in lat. divinus onde divinatio, in gr. μάντις onde "mantica") pretende da supposte cause prevedere determinati effetti, o da effetti realmente esistenti arguire la causa rimasta occulta (p. es. l'autore di un furto, la ragione di una malattia, ecc.).

Dalla magia la divinazione è passata nelle religioni anche di grado superiore, dove però ha cambiato di significato; cioè ha considerato certi fatti non più come cause di certi effetti futuri, ma semplicemente come segni e simboli (lat. omina), per mezzo dei quali la divinità fa conoscere i suoi voleri e quindi il futuro. Ciò poteva ordinariamente avvenire in molti modi e in qualsiasi luogo; ma in maniera speciale gli dei davano il loro responso (lat. oraculum) in qualche famoso santuario (detto anch'esso oraculum), dove i devoti venivano da ogni parte a interrogarli; quali erano in Grecia gli oracoli di Apollo a Delfi, di Zeus a Dodona, di Asclepio a Epidauro, ecc. Naturalmente non tutti erano capaci d'interpretare il linguaggio della divinità, fossero omina od oracula; ma la divinazione era considerata essa stessa un'arte divina, la quale perciò era innanzi tutto propria dei sacerdoti: ciò si riscontra anche presso gli Ebrei (I Re [Sam.], IX, XIV, XXIII, XXX). Anzi talora tra i sacerdoti si formava una classe speciale di sacerdoti indovini, come tra i Romani gli auguri e gli aruspici, e tra i Babilonesi i veggenti di molte e varie specie, che insieme costituivano un'ampia casta, con a capo un archiveggente; nella quale si tramandava l'arte di padre in figlio, non solo per tradizione orale ma anche scritta, sì da formare una vasta letteratura augurale (v. babilonia e assiria, V, pp. 749 seg. e 755 seg.). Come per altri rispetti, così per l'arte sacra divinatoria Babilonia esercitò una grande influenza all'intorno, sino ai popoli più lontani: testi ominali accademici sono stati rinvenuti presso gli Hittiti, e non è improbabile che l'epatoscopia degli Etruschi sia stata un'imitazione di quella babilonese; come nell'estremo Oriente, tra gli antichi testi della Cina e quelli di Babilonia si nota una corrispondenza così stretta, che difficilmente si può spiegare se non si ammette la dipendenza più o meno diretta dei primi dai secondi. Anche dopo la caduta dell'impero babilonese, i "Caldei" introdussero quest'arte, attraverso la Siria, in Grecia e a Roma; dove godettero grande favore, e donde furono cacciati solo quando se ne servirono per obliqui intenti politici.

Nell'epoca ellenistica la divinazione, che prima aveva avuto un fondamento magico e poi religioso, ottenne anche un fondamento filosofico. A dir vero i filosofi in generale, e gli scettici in ispecie (Carneade ecc.), mostravano di disprezzare la mantica come contraria alla ragione; ma gli stoici più recenti cercarono di giustificare, come tante altre superstizioni popolari, così anche questa, con il noto loro principio della corrispondenza e simpatia esistente tra le diverse parti dell'universo. Posidonio diede l'ultima forma alle idee stoiche in proposito, e il trattato di Cicerone De divinatione certamente in gran parte dipende da lui. Al contrario Giamblico, o forse un suo discepolo, autore del trattato neoplatonico De mysteriis, fonda la ragione della divinazione sull'illuminazione di cui viene dotata l'anima nella sua unione con la divinità.

Varî sono i generi di divinazione. Innanzi tutto è da distinguere la divinazione personale o diretta, quando una persona, o per una forza straordinaria e occulta che possiede o per l'azione di uno spirito divino da cui è posseduta, è capace di manifestare immediatamente e chiaramente, col mezzo della parola o di altri segni, le cose future o nascoste. Questa divinazione, che si confonde con l'ispirazione, non è degl'indovini propriamente detti, ma dei profeti o veggenti, come gli sciamani in Siberia, gl'indovini o stregoni dell'Africa, i veggenti quali Samuele in Israele, ecc. Ma la divinazione più comune è la reale o indiretta che si fonda sopra segni già esistenti, omina od oracula di cui non vuole essere altro che l'esatta interpretazione. Questa a sua volta si divide, secondo la distinzione di Cicerone (De divinatione, I, 6, 11; II, 11, 26), in naturalis e artificialis: si ha la prima quando i segni sono casuali, avvengono cioè indipendentemente dalla volontà dell'osservatore; la seconda, quando invece sono cercati e procurati dall'osservatore medesimo.

I mezzi principali della divinazione naturale sono: a) i segni celesti su cui si fonda l'astrologia (v.), che coltivata fin da tempi antichissimi a Babilonia, nell'epoca ellenistica acquistò tra i popoli civili una grande diffusione e una grande importanza, come scienza esatta, fondata sul principio che i movimenti degli astri hanno la loro inevitabile corrispondenza sopra la terra, non solo nella vita delle piante e degli animali, ma anche in quella degli uomini. Un suo ramo perciò era la genetliaca, la quale, per l'osservazione della posizione degli astri al tempo della nascita d'un bambino (oroscopo), determinava il corso fatale della sua vita.

b) I segni atmosferici, come la forma e il corso delle nuvole, gli uragani, i fulmini, i tuoni, ecc. (v. sotto, I Libri fulgurali) che però dai Babilonesi erano equiparati ai primi, onde facevano parte dell'astrologia..

c) Le azioni e i movimenti degli animali, sia domestici sia selvatici. Soprattutto osservato dagli antichi era il volo degli uccelli, da cui si prendeva l'augurio e l'auspicio; nella quale arte si distinsero i Romani (v. sotto, I Libri augurali) sebbene essa fosse conosciuta anche dai Babilonesi.

d) Le nascite mostruose degli animali e degli uomini, comunemente ritenute di cattivo augurio.

e) I segni speciali delle mani o di altre parti del corpo, onde la chiromanzia, ancora in onore ai giorni nostri.

f) Lo stormire delle foglie d'una pianta; che era p. es. il mezzo con cui si traevano gli oracoli dalla quercia di Giove a Dodona.

g) I sogni. Talora, quando essi contenevano una chiara e precisa indicazione, venivano considerati come una diretta rivelazione o ispirazione della divinità, che si cercava anche espressamente di ottenere per mezzo dell'incubazione (gr. ἐγκοίμησις) in qualche santuario. Ma il più delle volte i sogni contengono semplici segni o simboli, che hanno bisogno di essere interpretati per mezzo di un'arte, la oneiromanzia, sempre apprezzata presso tutti i popoli, come attestano i documenti, dalle collezioni babilonesi fino ai moderni libri dei sogni.

I Libri fulgurali. - In Roma la divinazione per mezzo dei fulmini costituiva parte notevole dell'etrusca disciplina, e le norme relative erano contenute nei Libri fulgurali, attribuiti alla ninfa Begoe o Vegoe. Occorreva a tal fine conoscere da qual punto precisamente provenissero i fulmini, e perciò il cielo era diviso in 16 regioni, divisione orientata verso mezzogiorno, che serviva anche per la divinazione per mezzo degli uccelli. Fra queste regioni erano ripartiti i nove dei della folgore, ciascuno dei quali aveva la facoltà di scagliare un fulmine, salvo Giove, che ne aveva a disposizione tre: in tutto, così, 11 diverse folgori o manubiae, con speciali caratteri. Veniva inoltre osservata la direzione del fulmine e dove andava a colpire. Alla suddetta divisione del cielo si riferisce forse un frammento di disco marmoreo (conservato nell'università tedesca di Praga) che reca, in altrettante caselle - nelle quali è divisa una circonferenza - numeri romani che pare vadano da I a XVI, in rapporto con la rosa dei venti di un cerchio più esterno, proprio secondo la corrispondenza esposta da Plinio (Nat. Hist., II, 143; cfr. A. Biedl, presso A. Stein, in Bull. Comm. Arch. Com. Roma, LVI, 1928, pp. 305 segg., 325 segg. e in Philologus, n. s., XL, 1931, p. 199 segg.).

I Libri augurali. - Le norme relative erano contenute nei Libri augurali o Commentarî degli auguri: vi era l'elenco degli uccelli augurali (divisi in oscines e in alites; dei primi si osservava la voce, dei secondi il volo), col rituale per distinguere gli auspici favorevoli dagl'infausti, i quali dipendevano anche dalla direzione in cui l'uccello appariva, cosicché questa divinazione era strettamente connessa con quella fulgurale. Si teneva anche gran conto del modo con cui era ingerito il cibo e delle briciole che cadevano a terra (tripudium, lett. "scalpitio").

Fra gli antichi si occuparono della divinazione augurale specialmente il grammatico Ennio, Veranio e Varrone nel terzo libro delle sue Antiquitates rerum divinarum (v. P. Regell, Fragmenta auguralia, Progr. Hirschberg, 1882).

Mezzi della divinazione artificiale erano: a) Le sorti, onde la cleromanzia (lat. sortilegium). Per la grande facilità e varietà di modi con cui poteva essere attuato, questo mezzo era antichissimo e comunissimo (sebbene presso i Babilonesi non sia attestato direttamente ma solo da Ezechiele, XXI, 26). Ma in modo speciale era in uso nell'Italia antica, dove, diversamente dalla Grecia, era poco conosciuta l'ispirazione personale e invece si adoperava largamente questa specie di divinazione, per mezzo di stecche o piastre, con sopra una scritta (talora versi di Virgilio: sortes vergilianae), infilzate in una cordicella, dalla quale una scelta a caso doveva col motto che portava scritto illuminare sul futuro. L'operazione si faceva talora, perché avesse più sicuro effetto, in qualche tempio, in ispecie quello di Preneste (sortes praenestinae). Quale importanza avesse acquistato nel Lazio questa forma di divinazione apparisce anche da ciò, che sors divenne equivalente a fato e fortuna.

b) La coppa, in cui si versavano e agitavano liquidi diversi, in specie l'acqua e l'olio, perché dalla varietà dei loro movimenti e incontri si potessero trarre indicazioni per il futuro. Questo metodo era molto in uso presso i Babilonesi, fino dai tempi della dinastia di Hammurabi (circa 2230-1920 a. C.). Anche i Greci conoscevano la lecanomanzia, che si faceva con un bacino di metallo.

c) I movimenti prodotti da un oggetto gettato in una fontana sacra (idromanzia).

d) Le forme prese dal fuoco di un sacrificio (piromanzia), e

e) Il modo di salire del suo fumo (capnomanzia).

f) L'osservazione dei visceri di un animale sacrificato (ieroscopia o extispicio), per mezzo dei quali il dio era creduto dare il segno del suo assenso o di indicare comunque la sua volontà (v. extispicio).

g) I diversi fenomeni che presentano i cadaveri in putrefazione. A questo genere di divinazione si applica talora il nome di necromanzia, che però il più delle volte significa l'evocazione delle anime dei defunti perché rivelino ciò che è nascosto o futuro; il che ordinariamente, nella antichità, quando non si conoscevano ancora le tavole parlanti, non poteva farsi con discorsi ma solo con segni interpretati dal necromante.

h) Il "giudizio di Dio" o ordalia (v.), cioè la prova pericolosa cui si assoggetta la persona sospetta, è considerato da alcuni come una forma di divinazione, in quanto lo si ritiene rivolto a conoscere non tanto la obiettiva realtà dei fatti quanto la volontà divina di salvarla o meno.

La divinazione si fonda sopra una concezione meccanica della rivelazione divina, onde si oppone per sé stessa alla concezione profetica di una rivelazione personale. Quindi è che le religioni rivelate, come l'ebraismo e il cristianesimo, sono contrarie per principio alla pratica della divinazione.

Ma nell'ebraismo, prima dell'epoca dei grandi profeti, essa non solo si praticava nel popolo ma qualche sua forma veniva regolata dalla società religiosa. Come nelle altre nazioni, il pio israelita niente faceva d'importante nella vita senza consultare prima il Signore per mezzo dei sacerdoti e degl'indovini (rü'īm "veggenti"); sia che si trattasse d'una grave malattia (III [I] Re, XIV, 5; IV [II] Re, I, 2 segg.) o di un parto pericoloso (Genesi, XXV, 22), sia di un furto commesso (Giosuè, VII, 14 seg.) e molto più ciò facevano i re, quando erano assaliti dal nemico (I Re [Sam.], XXIII, 9 segg.) o volevano assalire il nemico (I Re [Sam.], XIV, 37 segg; XXIII, 2; XXX, 8 segg.; II Re [Sam.], V., 19 segg.), quando una tribù voleva trasmigrare (Giudici, I,1; XVIII, 5) o il paese era colpito da una piaga (II Re [Sam.], XXI, cfr. Gen., XII, 8). Come anche in Israele fosse praticata l'evocazione dei morti, lo dimostra il fatto della maga di Endor (I Re [Sam.], XXVIII, 7 segg.). Alla divinazione per mezzo dello stormire delle foglie doveva servire forse fino dal tempo dei Cananei, il terebinto Mürēh, o dell'indovino, presso Sichem (Genesi, XII, 6; Deuter., XI, 30; Giudici, IX, 37). Tra le forme legittime di divinazione, la più comune era quella delle sorti che si estraevano dai sacerdoti per mezzo di urīm e tummīm, posti nell'ephod (Esodo, XXVIlI, 30; Deuteronomio, XXXIII, 8; cfr. I Re, XIV, 41 nei LXX). Anche il sogno era mezzo di rivelazione di Dio molto in uso (Giudici, VII, 13 seg.; I Re [Sam.], XXVIII, 6); e probabilmente vi erano anche dei santuarî in cui si praticava l'incubazione, come quello di Beerseba (Gen., XLVI, 1 segg.), di Hebron (Gen., XV, 1 segg.), di Bethel (Gen., XXVIII, 11 segg.), di Silo (I Re [Sam.], III, 1 segg.), e di Gibeon (III [I] Re, III, 5 segg.). La storia di Giuseppe e di Daniele ci presenta questi due ebrei come interpreti valentissimi di sogni, superiori a quelli di altre nazioni. Il giudizio con la prova d'una bevanda era legittimato dalla Legge (Num., V, 11 segg.). Forme ricordate solo in casi singolari sono: l'osservazione del volo degli uccelli fatta da Abramo (Gen., XV, 1 segg.), e la divinazione per mezzo del calice adoperata da Giuseppe (Gen., XLIV, 3).

In generale tutte queste varie forme di divinazione perdettero ogni valore per opera dei profeti, che apparvero come gli unici e diretti espositori della volontà di Dio agli uomini. Talvolta ancora essi hanno avuto per la loro comunicazione con Dio visioni e perfino sogni (Num., XII, 6 segg.; Zaccaria, I, 8; Giobbe, IV, 13); ma in generale i grandi profeti hanno respinto questi mezzi come facili a ingannare (Geremia, XXIII, 25 segg.; Deut., XIII,1-3).

Anche il cristianesimo fin da principio ha respinto la divinazione; l'indiretta come insussistente per sé medesima, la diretta come opera del demonio (cfr. Atti, XIII, 10). Gli apostoli, nelle loro prime missionì tra i gentili, si sono incontrati con maghi e indovini che ostacolavano loro la via; e hanno mostrato la forza della nuova religione appunto col superarli: così con Simone a Samaria (Atti, VIII, 9), con Elymas a Cipro (XIII, 6), con la pitonessa a Filippi (XVI, 16) e con i cultori della magia a Efeso (XIX, 19). Ma il cristianesimo non ha potuto e nemmeno ha voluto fare sparire assolutamente la divinazione; piuttosto ha cercato di sostituire alla divinazione diabolica la vera divinazione per opera dello Spirito Santo. Già in Matteo si narra come, per mezzo di sogni, Dio manifestò i suoi voleri a S. Giuseppe (I, 20; II, 13, 20), e per mezzo di una stella e di nuovo di un sogno ai santi magi (II, z, 12); e così negli Atti si parla di visioni e di sogni come mezzi adoperati da Dio per fare le sue rivelazioni a Pietro (X, 10), a Paolo (IX, 12; XVI, 9; XXII, 17) e al discepolo Anania (IX, 10). Occasionalmente s'incontrano nel cristianesimo antico profeti e indovini, come Agabo che ad Antiochia predisse la carestia generale sotto Claudio (Atti. XI, 28), e a Cesarea la prigionia di Paolo (XXI, 10 segg.); ma nelle chiese paoline si può dire che la profezia fosse un'istituzione permanente, insieme con la glossolalia (v. carisma). Queste funzioni straordinarie erano attribuite da Paolo allo Spirito Santo; ma ciò non toglie che dessero luogo a molte confusioni e pericoli, onde egli si preoccupava soprattutto del mantenimento del buon ordine, e quindi voleva che lo spirito stesso si considerasse come soggetto alla ragione: "gli spiriti dei profeti sono soggetti ai profeti, perché Dio è un Dio non di confusione, ma di pace" (I Corinzî, XIV, 32 seg.).

Un'analoga posizione è quella presa dalla Chiesa nei secoli seguenti. Da una parte essa ha condannato come illecita qnalsiasi forma di divinazione d'origine pagana, ma dall'altra non ha potuto considerare la divinazione diretta come intrinsecamente fallace, perché altrimenti veniva a pregiudicare, presso i timidi e gli scettici, anche la realtà dell'ispirazione e profezia cristiana, e insieme a privarsi dell'aiuto di alcuni oracoli o di altri detti divinatorî che giovavano all'apologetica. Ma era naturale che questo atteggiamento portasse con sé una tal quale confusione, sia nella dottrina sia nella pratica. Clemente Alessandrino (Protrepticon, I, 2), metteva tutto in un fascio oracoli e augurî, astrologi e indovini, e considerava tutto come una volgare impostura. Invece Tertulliano (De anima) considerava la divinazione come una facoltà naturale dell'anima, ma notava che era pericolosa, perché spesso nel suo esercizio s'immischia l'opera del demonio. Origene (In Numeros, XVI, 7) asseriva più categoricamente la sua origine diabolica. Per Lattanzio (Instit. divin., II, 15, 17), sono i demonî che, sostituendosi agli dei pagani (in origine non altro che uomini divinizzati) hanno inventato l'astrologia, l'aruspicina, l'arte augurale ecc., un miscuglio di verità e di falsità allo scopo di farsi onore e guadagnare per sé l'adorazione dovuta a Dio. S. Agostino scrisse tra il 406 e il 411 il Liber de divinatione daemonum, in cui sostiene che gli spiriti delle tenebre autori della divinazione in parte imitano gli spiriti della luce, gli angeli, della cui natura partecipano, e in parte se ne allontanano per ragione della loro caduta. In particolare egli aveva un certo riguardo per l'astrologia, perché diceva che la ragione umana astrologiam genuit, magnum religiosis argumentum tormentumque curiosis (De ordine, II, 4z), onde essa è buona per sé medesima, a meno che non diventi atea e non pretenda di vedere negli astri delle cause, mentre non sono che puri segni (cfr. De civitate Dei, V.1).

Nella pratica, poi, il popolo non si poteva indurre a rinunziare a mezzi creduti capaci d'indicare il futuro, qualunque ne fosse l'origine. Di qui le misure prese dall'autorità sia civile sia religiosa per reprimere la divinazione. Gl'imperatori pagani già avevano cercato d'impedire i suoi abusi sociali e politici. Il giureconsulto Paolo nelle sue Sententiae (V. xxi, 1, 3) spiega come quelli i quali consultano gl'indovini sulla vita del principe o in genere sullo stato sono puniti di morte insieme con coloro che dànno la risposta; e che gli schiavi che domandano consulto sulla vita dei loro padroni sono condannati all'estremo supplizio. Naturalmente gl'imperatori cristiani sono andati più innanzi e hanno condannato la divinazione per sé medesima e sotto tutti gli aspetti. Costantino proibì l'aruspicina privata (Cod. theod., IX, 16,1); contrarî ad essa furono anche i suoi successori, eccetto Giuliano, che invece cercò di rimettere in onore quest'arte così cara al paganesimo. Ma quegli che menò una lotta sistematica, continua e spietata contro questa come contro tutte le altre superstizioni pagane fu Teodosio, di cui molte costituzioni ci rimangono nel suo codice (XVI, 10, 10; 12; 16), poi ricopiate in gran parte da quello di Giustiniano

Dall'altra parte i sinodi di Ancira del 314 (can. 23), di Iliberri tra il 314 e il 324 (can. 35) e di Laodicea tra il 343 e il 381 (can. 30) colpirono con pene ecclesiastiche i cultori della divinazione, finché il concilio di Roma del 721 sotto Gregorio II pronunziò l'anatema contro di loro. Nello stesso tempo la Chiesa ha sempre riconosciuto come possibile una rivelazione divina, soprattutto per mezzo di sogni e visioni, delle cose nascoste e future; ma ha rivendicato a sé esclusivamente il giudizio se una determinata previsione del futuro sia da ritenere come proveniente da Dio ovvero no, giudizio che essa pronunzia quando il bisogno delle circostanze lo richiede, e specialmente nei processi per la canonizzazione dei santi.

Bibl.: Chantepie de la Saussaye, Lehrbuch der Religionsgeschichte, 4ª ed., Tubinga 1925; Furlani, La religione babilonese e assira, II, Bologna 1929; B. Meissner, Über Genethlialogie bei den Babyloniern, in Klio, XIX; A. Ungnad, Die Deutung der Zukunft bei den Babyloniern und Assyrern, Lipsia 1909; A. Jirku, Mantik in Altisrael, 1913; A. Bouché-Leclerq, Histoire de la divination dans l'antiquité, Parigi 1882; id., art. Divinatio, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, II, Parigi 1892; H. Leclercq, art. Divination, in Dictionnaire d'Archéologie chrét., IV, Parigi 1920; W. R. Halliday, Greek Divination. A study in method and principles,Londra 1913; F. Boll, Sternglaube u. Sternbedeutung, Lipsia 1923; E. Stemplinger, Antiker Okkultismus, in Neue Fahrb. für Wissenschaft u. jugendbildung, V (1929), p. 144 segg.

Folklore. - Per intendere o conoscere preventivamente l'esito di una operazione o di un'impresa, l'uomo del popolo ricorre a espedienti, che formano spesso il segreto d'indovini, riconoscibili (si ritiene) dal segno della croce che fin dalla nascita portano sulla lingua. In pratica è divinazione ogni presagio od oracolo ricavato da segni o fenomeni speciali che si manifestano nell'uomo, nelle piante, negli animali, o da altri fatti naturali. Il singhiozzo, lo sbadiglio, il ronzio alle orecchie, il prurito alle labbra, il violento battere delle ciglia, lo starnuto, ecc. sono tra i segni più comuni; onde il volgo vi pone attenzione, rilevando le circostanze che li accompagnano; se, cioè, il ronzio si avverta all'orecchio destro o sinistro, se il battito avvenga al ciglio superiore o inferiore, ecc. Lo starnuto, che i Calabresi chiamano "segnale", è fra i segni infausti; onde non solo si scongiura esclamando: Evviva! salute! felicità! ecc., ma si osserva quante volte si ripete, la direzione in cui avviene (verso occidente è buon segno; alle spalle di una persona è cattivo), il giorno (di giovedì è triste preannunzio), e perfino l'ora.

Notevole importanza hanno alcuni animali, per il significato che si attribuisce al loro movimento (specialmente al volo degli uccelli) e al loro verso, in determinate circostanze di tempo e di luogo. L'ape che ronza attorno a un individuo, un grillo che gli salta addosso, una mosca cavallina che gli si posi sopra, un calabrone verde che penetri nell'abitazione sono segni di prosperità; di sventura invece l'uccello o il calabrone nero che entrano nella casa, il gallo che canta sostando sul limitare, la gallina che imita il verso del gallo. Si osserva se nel cantare la gallina si volga verso il monte o il mare, se sbatta le ali, se canti di notte, nel primo caso annunzia rovina, nel secondo guadagni, nel terzo avverte di non fare il nome del capo della famiglia, nel quarto significa sventura. Il cuculo è l'uccello indovino per eccellenza; ond'esso viene interrogato in cento maniere dalle nubili e dalle maritate per sapere, le prime, fra quanti anni passeranno a nozze; le seconde, quanti figli avranno o quante misure di grano. Talvolta si esaminano le interiora degli animali macellati o alcune loro ossa.

Numerose e varie sono le pratiche che le popolane mettono in opera per trarre gli auspici nei loro amori, nelle nozze, e in altre evenienze della vita: così l'uso delle Marchigiane di porre in croce sulla cenere calda del focolare, dove arde il ceppo nella vigilia dell'Epifania, due foglie di olivo bagnate di saliva. Altri prognostici si sogliono trarre dall'efflorescenza di alcune piante e specialmente dal fiorire del cardo nella festa di S. Giovanni. I sogni manifestano ai dormienti in forma figurata e per simboli ciò che sta per succedere, e non di rado per bocca dei morti o dei santi. Così pure si fanno ordalie pratiche: le quali tutte, a bene considerarle, non sono che residui di riti magici spesso di carattere primitivo.

Per le cosiddette sortes biblicae, v. bibbia, VI, p. 910.

Bibl.: Una trattazione sistematica e sintetica della divinazione popolare manca, mentre abbondano le informazioni di carattere particolare sulle singole pratiche. Utili repertori sono: Hastings, Encyclop. of relig. and ethics, Edimburgo 1908 segg.; Encyclop. of superst., folklore and occult sciences, Chicago 1903; A. Wuttke, Der deutsche Volksaberglaube der Gegenwart, 3ª ed., Berlino 1900; A. Chéruel, Dictionn. hist. des instit., moeurs et coutumes de la France, 6ª ed., Parigi 1884; E. Hoffmann-Krayer e H. Baechtold-Staubli, Handwörterbuch des deutschen Aberglaubens, Berlino-Lipsia 1927; E. Hoffmann-Krayer, Volkskundl. Bibliographie (1917-1925), Berlino 1918-1929. Per l'Italia, v. G. Pitrè, Bibliografia delle tradiz. pop. italiane, Torino 1894.

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