Dogma

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Nella teologia cattolica, verità rivelata da Dio e, come tale, proposta dalla Chiesa, perché sia da tutti accettata: in quanto verità soprannaturale (credibile, ma non giustificabile per la mente umana), il d. si trova in modo esplicito o implicito nella rivelazione e ha quindi valore oggettivo e immutabile; essendo necessario per la definizione dogmatica l’intervento della Chiesa docente, si riconosce l’importanza dell’elaborazione storica e teologica per esplicare tutto il contenuto della rivelazione. Dati questi presupposti, non sono d. le affermazioni del magistero ordinario della Chiesa (contenute, per es., in encicliche pontificie), come pure quelle realtà che hanno un rapporto con il d., in quanto ne costituiscono o una premessa pratica o una componente teorica, ma non sono contenute nella rivelazione (come per es. i fatti dogmatici, le conclusioni teologiche cui la Chiesa dà la sua preferenza, i concetti e i termini filosofici tradizionali con cui il d. viene espresso ecc.).

Dei due elementi che costituiscono il d. (verità rivelata e definizione ecclesiastica), il primo può dirsi condiviso da tutte le Chiese cristiane, salvo discriminare teologicamente e criticamente il rapporto fra testo scritturale e definizione dogmatica. Il riconoscimento e la definizione operata dalla Chiesa hanno invece suscitato varie polemiche e interpretazioni, tutte strettamente legate al modo d’intendere la tradizione ecclesiastica. Le Chiese fuori del cattolicesimo conservano un depositum fidei più o meno compatto e tradizionale: talune accettano le definizioni dogmatiche dei primi concili (in particolare la Chiesa greco-ortodossa e l’anglicana accettano le definizioni conciliari fino all’epoca della loro scissione dalla Chiesa cattolica), altre si limitano a essenziali nuclei dogmatici presi dal Nuovo Testamento; nella religiosità protestante, per l’appello all’adesione individuale alla Bibbia al di là della tradizione ecclesiastica e per la scarnificazione del patrimonio dogmatico a opera dell’ecumenismo, il d. tende a perdere il proprio rigore teologico per essere sostituito da più vaghe ‘professioni di fede’; e anche nel protestantesimo meno legato al luteranesimo originario, come quello aperto alla religiosità romantica, il d. resta una soggettiva e simbolica trascrizione del sentimento religioso.

Il cattolicesimo ha sempre tenuto saldo l’aspetto ecclesiale o ‘sociale’ del d., offrendone tuttavia varie interpretazioni: se per lungo tempo problema centrale è stato quello di stabilire quale fosse l’autorità preposta a definirlo solennemente, nella teologia contemporanea si è fatto più vivo quello dello sviluppo del d., vale a dire del rapporto tra rivelazione e tradizione, tra verità rivelata e storia. Su questo problema alcuni teologi tendono, con una svalutazione dell’idea di tradizione ecclesiastica, a concepire lo sviluppo del d. come la storia delle conseguenze dedotte dai teologi da certi principi della fede presenti nella rivelazione; altri, più gelosi del concetto cristiano di tradizione, vedono nelle definizioni dogmatiche l’approfondimento del patrimonio rivelato, compiuto dalla Chiesa ed espresso nei termini dell’epoca in cui la definizione è formulata: sicché, fermo restando l’elemento oggettivo e soprannaturale del d., lo sviluppo consiste nella ricerca di formulazioni sempre più adeguate, però mai esaurienti, della verità rivelata.

La teologia dogmatica è la parte della teologia che studia i d. nel loro carattere teorico. Costituisce il nucleo più importante della teologia cattolica; come teologia positiva si attribuisce il compito di trovare nelle fonti della rivelazione le verità dogmatiche; in quanto teologia speculativa (o scolastica) si preoccupa di definire le relazioni fra il d. e un certo tipo di razionalità filosofica.

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