Domenicani

Enciclopedia Dantesca (1970)

domenicani

Innocenzo Venchi

I rapporti dei frati predicatori con D. sono compresi in un arco storico di sette secoli, e interessano sia le relazioni con D. e la famiglia Alighieri e la situazione storico-spirituale dell'ordine ai tempi di D., quanto la presenza dei d. nella Commedia, e infine la fortuna di D. nell'ordine.

Relazioni con D. e con la famiglia Alighieri. - L'unico d. con cui le relazioni di D. sono suffragate da documenti è il cardinale Niccolò Albertini. Nella primavera del 1304 il poeta, a nome dei Bianchi esiliati, gl'indirizzò una risposta (Ep I) in quanto legato e paciere in Toscana da parte di Benedetto XI, pure d. e del quale godeva piena fiducia. Se la sua missione politica in Firenze non riportò successo, è facile che questi, cui D. si rivolge come al dominorum suorum carissimo, abbia ugualmente ottenuto la simpatia di D., avendo incoronato a Roma, per autorità di Clemente V, l'imperatore Enrico VII. Niccolò da Prato è inoltre uno dei cardinali italiani destinatari di un'altra lettera di D. volta a implorare il ritorno di Clemente V a Roma (Ep XI).

In mancanza di ulteriori prove dirette, la probabilità più oggettiva di un primo contatto personale con i d. la si deduce dall'asserzione generica di essere stato ne le scuole de li religiosi (Cv II XII 7). L'ordine infatti nella seconda metà del '200 aveva a Firenze un rinomato Studio ‛ solenne ' di teologia dove insegnava Remigio de' Girolami; e annoverava tra i celebri oratori e letterati il beato Giordano da Pisa. In questa cornice di ambiente fiorentino vanno considerati i plausibili rapporti di D. con il convento di S. Maria Novella e la conoscenza della dottrina di s. Tommaso d'Aquino.

Altre relazioni si possono supporre attraverso terze persone collegate con il poeta. Guido Cavalcanti (Pg XI 97) aveva per zio paterno il vescovo Aldobrandino, già priore di S. Maria Novella, morto nel 1279; Lapo de' Salterelli (Pd XV 128) era fratello di fra Simone, anch'egli priore a Firenze nel 1300 e consacrato vescovo di Parma dal cardinale Albertini nel 1316.

Si noti ancora che esistevano conventi dell'ordine a Verona e Ravenna, il primo e l'ultimo rifugio di Dante.

Risultano infine rapporti con i familiari di Dante. Sua figlia Antonia entrò nel monastero domenicano di S. Stefano degli Olivi a Ravenna col nome di suor Beatrice; sua suocera, Maria, vedova di Manetto Donati, nel 1315 lasciò per testamento di essere sepolta nella chiesa di S. Maria Novella. Il necrologio dello stesso convento parla del priore Sinibaldo di Donato Alighieri (1379-1439), il cui trisavolo portava già questo patronimico. Tale " magister et praedicator gratissimus ac doctissimus " viene qualificato in un'aggiunta al necrologio " Dantis agnatus ".

I d. ai tempi di D. e nella Commedia. - Essi non sono designati da D. né con il nome volgare di d., né con quello ufficiale di frati predicatori. Presumibilmente caro al poeta è l'epiteto di correggier o corregger (Pd XI 138), se è da applicarsi, secondo alcuni commenti, al fondatore s. Domenico. Fuori della Commedia si ha un solo accenno all'abito e vita di s. Domenico (Cv IV XXVIII 9).

Più sicuro e interessante è il modo con cui tratta di essi: per cui si rende necessaria un'adeguata esegesi storica e testuale. Quando D. nacque, l'ordine dei predicatori contava cinquant'anni e aveva raggiunto l'apogeo del suo secolo d'oro. L'Alighieri risale lungo questo filone aureo fino, per così dire, alla preistoria dell'ordine, cioè ai genitori di s. Domenico (Pd XII 79-81) e alla visione della sua madrina di battesimo circa il mirabile frutto / ch'uscir dovea di lui e de le rede (vv. 65-66). In precedenza aveva ricordato la grande fama (IX 37-42) di Folco di Marsiglia che, da vescovo di Tolosa, nel giugno 1215 diede la prima approvazione alla predicazione di Domenico e dei compagni. Ora rievoca la sanzione definitiva concessa da Onorio III nel 1216, specificando il fine apostolico e dottrinale dell'ordine da s. Domenico stesso stabilito nel chiedere contro al mondo errante / licenza di combatter (XII 94-95).

La storia del sec. XIII veniva poi a confermare la bellezza e la bontà dell'ideale della nuova famiglia religiosa, istituita da Domenico, il nostro patriarca; / per che qual segue lui, com'el comanda, / discerner puoi che buone merce carca (XI 121-123). La definizione dei frati predicatori data da s. Tommaso, li agni de la santa greggia / che Domenico mena per cammino / u' ben s'impingua se non si vaneggia (X 94-96) è fondamentale riguardo alla presenza morale dei d. nel contesto spirituale della Commedia. Essa viene anticipata, e logicamente ancora da s. Tommaso, sotto i termini correlativi di pecuglio-pecore, ovile-pastore (XI 124-131); e si riallaccia alla bolla di canonizzazione di s. Domenico (1234), che " pastor et dux inclytus in populo Dei factus, novum Praedicatorum ordinem instituit meritis, ordinavit exemplis ". Simile concetto riveste particolare originalità in D., perché esula dalla letteratura domenicana contemporanea, che preferisce applicare all'ordine la parabola del servo che fu mandato a chiamare gli invitati alla gran cena (Luc. 14, 16-17). Così l'agiografo Pietro Ferrand, e dopo di lui Costantino d'Orvieto, la cui " Legenda " divenuta ufficiale nell'ordine informò D. sui primi episodi della vita di s. Domenico (Pd XII 52-81). Tuttavia un punto comune d'incontro lo si trova, quando essi vedono nei d. i vignaiuoli dell'undecima ora (Matt. 20, 6-7), e D. elogia s. Domenico che gran dottor si feo; / tal che si mise a circüir la vigna / che tosto imbianca, se 'l vignaio è reo (Pd XII 85-87).

D. però ricorre anche ad altre metafore per illustrare la stessa realtà. Troviamo quindi il binomio di nocchiero-naviganti in barca-merce (Pd XI 118-123); di ortolano-piantagione in agricola-pianta (XII 71-72, XI 137); di fiume-ruscelli in torrente-rivi (vv. 99-105). Quest'ultimo parallelo, a giudizio dell'Orlandi, deriverebbe da un sermone di Remigio de' Girolami in onore di s. Domenico; è comunque unico nella Commedia.

Sono dunque quattro le metafore di cui D. si serve per lodare l'ordine, con prevalenza per la prima di pastore e gregge, per cui con maggior ragione si può trasferire al fondatore Domenico il titolo di archimandrita (Pd XI 99; e cfr. la chiosa di Pietro Alighieri).

Di qui scaturisce allora il motivo che muove D. a rendere concreta la sua stima per i d. sotto altre forme. Oltre, naturalmente, all'ampio panegirico del Padre, i primi ardenti soli (Pd X 76) messi in risalto nella prima corona dei dodici sapienti sono i due grandi luminari della teologia medioevale: Tommaso d'Aquino e Alberto Magno. Questa priorità rispetto all'altra corona di spiriti sapienti nel cielo del Sole (XII 1-6) ha pure una ragione storica rilevata da Pietro che commenta il testo del padre: " fingit ibi apparere aliam rotam, idest regulam sancti Francisci, et cingere rotam, idest regulam sancti Dominici subsequentis. Et merito: quia praedicatorum institutio et ordo antiquior est ".

Una seconda prova di stima verso i d. è l'abbondanza con cui il loro maestro Tommaso d'Aquino parla: più di ogni altro santo: sia direttamente (Pd X 82-138, XI 19-139, XIII 34-142), sia indirettamente, " tanto che la Divina Commedia è in frammenti quasi lo specchio poetico della Somma del Dottore Angelico "(Paolo VI, lettera Altissimi cantus, 7 dic. 1965). Con queste vanno unite le ragioni che legavano D. con altri frati: Bartolomeo di San Concordio, Domenico Cavalca, letterati minori del '300. Secondo J. Berthier (La Divine Comédie, Parigi 1921, VI-VII), D. avrebbe conosciuto la Summa virtutum et vitiorum di Guglielmo Pérault (morto verso il 1260).

In terzo luogo egli esalta l'apostolato e la diffusione della famiglia di s. Domenico con questa terzina: Di lui si fecer poi diversi rivi / onde l'orto catolico si riga, / sì che i suoi arbuscelli stan più vivi (Pd XII 103-105). È il compendio poetico della statistica che l'ordine presentava nel 1303, in concomitanza con l'inizio della Commedia: circa diecimila frati, 582 conventi, 18 province, in Europa e nel Medio Oriente, seguiti dalle monache di clausura, dai terziari, dai membri delle confraternite in onore della Vergine, di s. Domenico e di s. Pietro Martire.

Concludeva perciò Pietro: " Ad quod facit ille textus: canonizatus exivi de Paradiso. Dixi: rigabo hortum plantationum... " (cfr. Ecli. 24, 42).

In questo panorama dell'ordine c'è anche spazio per inscrivere un quadro negativo: aspetto che non meraviglia, né per la storia, né per l'indole di D. o il contesto della Commedia. Occorre subito notare che tale descrizione non appartiene al rango delle invettive, forti e frequenti in altri casi; ma prende il carattere di una ferma e decisa rampogna. Per artificio parallelo con s. Bonaventura, essa è autorevolmente proferita da s. Tommaso; ma dovendo costituire per antitesi l'appendice all'elogio di s. Francesco, per necessità di posizione viene a precedere l'encomio di s. Domenico e dei suoi figli. Sono finzioni poetiche che non defraudano la realtà, anteponendo il male al bene.

Ne deriva allora che verso la fine del canto XI del Paradiso, D. manifesta disappunto per le deviazioni riscontrate in seno all'ordine. In contrasto con la buona merce del v. 123, ecco che il pecuglio di nova vivanda / è fatto ghiotto, sì ch'esser non puote / che per diversi salti non si spanda; / e quanto le sue pecore remote / e vagabunde più da esso vanno, / più tornano a l'ovil di latte vòte (vv. 124-129). Bellissima metafora inerente a quella de la santa greggia / che Domenico mena per cammino / u' ben s'impingua se non si vaneggia (X 94-96).

Il nucleo dell'esegesi sta nell'interpretare quali siano i nuovi pascoli, non specificati da D. e deleteri per i domenicani. A leggere gli atti dei capitoli generali dell'ordine tra il 1300 e il 1320, anni quasi paralleli alla stesura della Commedia, si vedono richiami costanti allo studio sacro e alla povertà individuale: mezzi essenziali voluti da s. Domenico per la formazione dei religiosi e per la loro predicazione dottrinale. Di conseguenza si lamentava insufficienza qualitativa di predicatori e confessori idonei.

In contrapposizione alle pecorelle ghiotte di cibi diversi e prive di latte, D. ammira il pastore Domenico povero e dotto (Pd XII 73-75, 82-85) e per sapienza divina di cherubica luce uno splendore (XI 39). Al contrario e fatalmente li ogni de la santa greggia (X 94) non impinguano, ma vaneggiano.

Concludendo, la mancanza di scienza teologica e della povertà individuale sono le cause che fanno tralignare l'ordine e meritano il biasimo. Non sono esatte quindi le interpretazioni di alcuni commenti che giudicano nella nova vivanda la ricerca di cariche onorifiche o simili. L'esegesi più antica e insieme conforme alla storia resta quella del Buti, per il quale il pecuglio " è fatto bramoso della scienza mondana " e le pecore remote " dallo studio della santa Teologia e dal suo comandamento, tornano vuotate di fruttifera scienza all'anime loro e dei fedeli che odono la loro dottrina ".

Riferendosi per altri aspetti a frati in particolare, D. pone tra i golosi l'arcivescovo di Ravenna Bonifazio Fieschi (morto nel 1294) che pasturò col rocco molte genti (Pg XXIV 30). Però è totalmente da scartare l'opinione di chi vede nel pastor di Cosenza infamato (Pg III 124-132) il domenicano Tommaso Agni da Lentini, giacché questi fu eletto vescovo di Cosenza il 18 aprile 1267, oltre un anno dopo il triste episodio di Manfredi (v. S. De Chiara, D. e la Calabria, Città di Castello 1910, 85-117, 248).

D. morì esattamente cento anni dopo s. Domenico. In questo periodo l'ordine da lui fondato aveva trascorso il suo secolo d'oro dando alla Chiesa, fino al 1321, 2 papi, 13 cardinali, oltre 300 vescovi, 8 santi, più di 100 beati, predicatori, missionari e martiri in gran numero. Ora s'iniziava quella parabola di declino che raggiunse la punta massima nella seconda metà del XIV secolo. Però nei primi anni del Trecento la situazione non era in prevalenza disastrosa, come a prima vista indurrebbe a pensare la terzina che chiude la rampogna di D.: Ben son di quelle che temono 'l danno / e stringonsi al pastor; / ma son sì poche, / che le cappe fornisce poco panno (Pd XI 130-132). Si tratta evidentemente di una realtà espressa con iperbole.

Infatti sui diecimila frati dell'epoca, numerosi erano ancora quelli per le cui cappe si doveva molto panno. Aimerico di Piacenza (1304-1311) ed Erveo di Nédellec (1318-1323) furono insigni maestri generali che promossero la disciplina e particolarmente lo studio. I capitoli generali del 1309 e 1313 cominciavano ad adottare come dottrina ufficiale dell'ordine quella di s. Tommaso. In Germania, con maestro Eckhart (morto nel 1327) era nata la celebre scuola di teologia mistica, illustrata da G. Taulero e dal beato Enrico Susone. Nel Medio Oriente, la società missionaria detta dei " Frati pellegrinanti per Cristo " aveva raggiunto attorno al 1330 la massima espansione tra i cristiani dissidenti e gl'infedeli.

Degna di rilievo è, infine, la lotta molto dura che l'ordine aveva intrapreso contro i soprusi di Ludovico il Bavaro in favore del papa, Giovanni XXII, che lo stesso D. preferisce bollare (cfr. soprattutto Pd XVIII 130 ss.). A condividere poi il giusto sdegno di D. per l'oltraggio di Anagni (Pg XX 85-90), si può dire che l'ordine era rappresentato nel momento dell'insulto dall'ex generale, cardinale Niccolò Boccasini, rimasto a fianco di Bonifacio VIII. Divenuto suo immediato successore con il nome di Benedetto XI, definì il mandante del misfatto, Filippo il Bello, novo Pilato (Pg XX 91).

In base quindi alla storia e al complesso dei versi riguardanti i d. nella Commedia, il giudizio di D. rimane sostanzialmente positivo.

Opposizione a Dante. - Esclusa ogni rivalità di carattere strettamente personale, l'opposizione dei d. a D. si dirige come oggetto principale contro il pensiero politico, e solo per effetto indiretto si riflette talvolta nel campo letterario o teologico. Quanto invece all'intensità, va da un massimo nella prima metà del secolo XIV fino a scomparire all'inizio del XVI. Essa tuttavia non appare mai in grado universale o ufficiale da parte dell'ordine.

In materia politica, ancora vivente D. lo storico Tolomeo Fiadoni di Lucca impugna nel 1308 la Monarchia con il trattato anonimo De Origine ac translacione et statu Romani Imperii. In maniera analoga, appena morto il poeta, Guido Vernani di Rimini attorno al 1324 redige il trattato De Reprobatione Monarchiae compositae a Dante. Il Vernani è passato alla storia come l'oppositore classico di Dante.

Nel secolo successivo s. Antonino di Firenze riprende a contestare la Monarchia circa l'indipendenza assoluta del potere temporale dallo spirituale; argomento questo ricalcato, quasi in termini identici, da G.L. Vivaldi di Mondovì (morto nel 1519) nel Tractatus de magnificentia Salomonis: " et in hoc Dantes graviter erravit " (Opus regale, Saluzzo 1507).

Sul piano letterario, invece, l'opposizione assume un certo aspetto collettivo, anche se limitato alla provincia romana, con un divieto del capitolo provinciale tenuto nel 1335 proprio a Firenze: " Ut fratres nostri ordinis, theologiae studio plus intendant, in hac parte nostris constitutionibus inhaerentes, prohibemus districte fratribus universis iunioribus et antiquis, quatenus poeticos libros sive libellos per illum qui Dante nominatur in vulgari compositos, nec tenere vel in eis studere audeant ". I trasgressori venivano privati delle opere dantesche e denunziati al priore provinciale.

L'ingiunzione è tassativa, però concerne solo gli scritti in volgare, e presenta come unico motivo il fatto che la loro lettura sottraeva i frati allo studio della teologia. Inoltre bisogna sottolineare il pregiudizio e l'apatia dell'epoca verso i testi in volgare, perché molti contenevano errori contro la fede: tipico il rituale dei catari redatto anche in lingua romanza circa un secolo prima. I d. poi, da buoni discepoli di s. Tommaso, sapevano che la teologia " alias scientias transcendit, tam speculativas quam practicas... et maxime sapientia est inter omnes sapientias humanas "; mentre la poetica " est infima inter omnes doctrinas " (Sum. theol. I I 5, 6, 9).

Eco fedele di tale ambiente si riscontra nel letterato domenicano lacopo Passavanti, che ritiene illecito per gli ecclesiastici lo studio di commedie, romanzi, e sonetti d'amore (Specchio di vera penitenza III; Della vanagloria 5). E ancora lo ritroviamo in fra Girolamo Savonarola nel commento al salmo Quam bonus: " Così fanno oggi i dottori e predicatori... con quelli belli canti di Dante e del Petrarca; e non v'è ordine... Bisogna altro che Virgilio e Aristotile a risuscitare l'anime " (Sermoni e prediche, Prato 1846, 271).

Con un'analisi quindi dello spirito più che della lettera, non è fuor dal vero concludere che, se mai, la proibizione di leggere le opere di D. in volgare, per evitare il detrimento dello studio teologico, corrispondeva in fondo al pensiero dello stesso poeta. Egli infatti aveva rimproverato l'ordine dei d. di deviare da questo dovere essenziale, in quanto di nova vivanda si era fatto ghiotto, per cui le sue pecorelle più tornano a l'ovil di latte vòte (Pd XI 124-129). D'altronde, un'analogia di concetti con il Passavanti e il Savonarola a questo proposito risulta pure dalla lettera di D. ai cardinali italiani (Ep XI 7); e suo figlio Pietro commenta (Pd X 94-96): " Fratres praedicatores in scientia praecedunt comuniter alios Fratres... Et bene impinguatur quis, si non vane et superbe procedit in dicta regula sancti Dominici ".

In terzo luogo, dal punto di vista prettamente teologico, l'ordine non sollevò mai opposizione a Dante. L'unica eccezione la rappresenta s. Antonino, ma per un solo argomento: quello del Limbo, inammissibile per i pagani adulti, anche se buoni. L'arcivescovo fiorentino non scusa D. nemmeno di finzione letteraria, preoccupato per responsabilità pastorale che i fedeli incolti restino tratti in inganno (Summ. Hist. III XXI 5 2).

Un accenno, per ultimo, alle opere di D. rispetto all'inquisizione. Una ricerca esauriente in merito finora non è stata condotta, almeno per quanto concerne l'ordine (v. H. Reusch, Der Index der verbotenen Bücher, Bonn 1883; P. Toynbee, Dante and the Index, in Dante Studies, Oxford 1921). Occorre però precisare che la prima proscrizione della Monarchia (Venezia 1554) non è dovuta a un domenicano, poiché il tribunale veneziano era affidato ai minori conventuali. È pure antistorico pensare che il cardinale Tommaso Zigliara (morto nel 1893), quando era consultore dell'Indice, sia stato proclive a una condanna della Commedia. Nel secolo scorso la congregazione dell'Indice, il cui segretario era sempre un domenicano, non procedette mai contro D., bensì condannò certi commenti e studi su D. (v. Dante e la S. Congregazione dell'Indice, in " Civiltà Cattolica " III [1923] 345-351).

Fortuna di Dante. - Già il divieto del 1335 fa supporre che le opere di D. circolassero tra i frati toscani; e le convergenze teologiche della Commedia con il tomismo contribuivano a renderla familiare nei conventi.

Un dato molto significativo in proposito può valutarsi come il trionfo di D. presso i d., in armonia con la canonizzazione di s. Tommaso avvenuta nel 1323. Intorno al 1355, la chiesa fiorentina di S. Maria Novella accoglie nella cappella Strozzi gli affreschi di Andrea e Nardo Orcagna che svolgono il tema della Commedia. Nella scena del Giudizio, D. viene ritratto con gli eletti tra due d., cioè il priore Iacopo Passavanti e Pietro Strozzi, promotori della decorazione. L'Alighieri sembra ritornar poeta e prender il cappello (Pd XXV 8-9) ne le scuole de li religiosi (Cv II XII 7), passando da antico discepolo a dottore. Contemporaneamente, si noti, viene posto sull'altare della medesima cappella un polittico di Andrea Orcagna (1357) con s. Tommaso d'Aquino.

In corrispondenza con la chiesa, la biblioteca di S. Maria Novella va arricchendosi delle opere dantesche. Dall'inventario del 1489 risultano tre codici con la Commedia, tre con commento, uno con postille, più un commento stampato. Si conoscono persino i nomi dei frati cui erano concessi in uso: tra questi il priore Mariano Vernacci, e il compilatore del catalogo Tommaso Sardi. Un codice del 1467 contiene la Monarchia nella traduzione italiana di Marsilio Ficino.

Anche a Milano, la biblioteca conventuale di S. Eustorgio nel 1494 possedeva tre codici, rispettivamente con la Commedia, un commento e alcune postille.

Di conseguenza, anche la predicazione del '400 attingeva a Dante. Passi della Commedia si leggono in Gabriele Barletta (morto verso il 1480), celebre oratore in Italia, che lo chiama " noster vates Dantes " (Sermonum... G. Barletae O.P., I, Venezia 1585, 3v, 34, 37, 71v, 75, 82). Caratteristica la testimonianza di un anonimo del convento di S. Maria Novella, che cita per esteso D. a conferma delle sue prediche (Firenze, Bibl. Naz. H 9-102). Così, nel discorso sull'avarizia, comincia riportando il simbolo della lupa (If I 91-99) e prosegue oltre con sedici terzine dell'incontro con Adriano V (Pg XIX 88-135); sulla tesi della predestinazione ne trascrive altre quattro (Pd XIII 130-142).

In pieno tempo di Umanesimo è sintomatico che i d. ricorrano al padre del volgare italiano. Un motivo lo si può ricavare dal giudizio su D. del beato Giovanni Dominici (morto nel 1419), riformatore dell'ordine e fiero avversario dell'Umanesimo contro Coluccio Salutati. " Plures ex nostris poetae fuere - scrive - qui sub tegminibus fictionum suarum Christianae religionis devotosque sensus commendavere: ut Dantes noster, dato materno sermone, animarum triplicem statum post hanc vitam describit... legantur buccolicum Petrarchae Dantisve... Quare hiis omnibus auroram Bibliae non praemitto, ubi simul fides, lepor, hystorica veritas habentur et metrum Christianissimum " (Lucula noctis, Parigi 1908, 94, 411).

Del resto, anche s. Antonino e G.L. Vivaldi, pur contraddicendo D. su certi punti, sono convinti che non esiste in volgare opera pari alla Commedìa. Per il primo è lecito " legere Dantem, quum moralis poeta fuerit " (R. Creytens, Les cas de conscience soumis à S. Antonin, in " Arch. Fratr. Praed. " XXVIII [1958] 211 n. 135).

Imitatori e commentatori. - Questo titolo indica il raggio d'influsso più notevole di D. tra i d., che va da elementi ispiratori fino alla fedele imitazione o commento.

Nella pittura si riscontra un certo parallelismo rappresentativo nelle due tavole (Firenze, Berlino) del Giudizio universale del beato Angelico, per gli angeli danzanti, le schiere dei beati e le bolge infernali, che comprendono ogni ceto di persone. Più ancora e meglio, il cosciente intento dogmatico di dare con il pennello nuova forma alla rappresentazione dei misteri cristiani, fa dell'angelico il divino pittore come D. fu divino poeta.

Un altro influsso c'è chi lo intravvede nell'Apparizione della Vergine a s. Bernardo, di fra Bartolomeo della Porta (morto nel 1517), messa a confronto con Pd XXXI 112-142 e XXXII 85-99.

Nella storia della letteratura va considerata la prima donna che vi appartiene, s. Caterina da Siena. A parte le esagerazioni (v. A. Fumagalli, Caterina da S. e Dante, in " Bull. Senese " 1912, 37-66), il Dialogo che tratta di tutta la vita spirituale in forma di colloquio tra Dio Padre e la scrittrice viene giudicato " la mistica controparte in prosa della Divina Commedia " (E. Gardner, Catherine of Siena, in " The Catholic Encyclopedia " [1908] 3448). Un frasario molto vicino a certi passi del Paradiso (XII, XXXIII) si nota soprattutto nell'elogio di s. Domenico e nella preghiera alla Vergine (G. Cavallini, Il Dialogo, Roma 1968, 316, 18, 50, 58, 65; 458, 60, 61, 500).

In merito alle Lettere, sono interessanti le annotazioni di N. Tommaseo che, commentatore di D. e di Caterina, più di seicento volte pone in raffronto il testo di entrambi: specialmente per il canto XIX del Paradiso e la lettera 343 (Le lettere di s. Caterina da Siena, con note di N. Tommaseo, Firenze 1860).

Veniamo così alla triade dei grandi imitatori della Commedia. Primeggia Federico Frezzi con il Quadriregio, seguito in ordine cronologico da Domenico Mercuri con il Rosarium de spinis, e da Tommaso Sardi autore di Anima peregrina. Nel secolo XV, in pieno Umanesimo, questi tre d. ritornano a D. nella forma e nel contenuto. Per maggior conoscenza si rimanda alle rispettive voci.

Pure nella Firenze del '400, due frati di S. Maria Novella commentano lodevolmente per diversi anni la Commedia sotto forma di ‛ lectura Dantis '. Si chiamano Girolamo di Giovanni e Domenico di Corella. Un terzo è a Milano, Bartolomeo Caccia, morto vescovo di Piacenza (verso il 1412). Il catalogo della biblioteca conventuale di S. Eustorgio del 1494 classifica una " Postilla super Paradiso Dantis, magistri Bartholomei de Caciis, quae incipit Quoniam et finit velut mars ", opera inedita e introvabile. Altro commento inedito di un certo fra Stefano si trova nella Biblioteca Trivulziana di Milano.

Cultori e studiosi. - Data l'indole teologico-scientifica dell'ordine, lo sviluppo del culto e dello studio di Dante si può compendiare nel giudizio dello storico domenicano Alfonso Chacón (morto nel 1601): " Dantes... in quo utique eruditio et cognitio multarum rerum, et praesertim Scholasticae ostenditur " (Bibliotheca, voce Dantes).

L'esponente più celebre di questo culto amoroso è il filosofo Tommaso Campanella, per il quale l'Alighieri " ceteris videtur esse praeferendus " (Syntagma, IV 2, De Poetis). All'erudito Vincenzo Marchese (morto nel 1891) dobbiamo due scritti: Del veltro allegorico e Saggio intorno agli antichi poeti domenicani (Scritti vari, Firenze 1855, 289-316, 367-438), dove tratta rispettivamente del papa domenicano Benedetto XI, interpretato come il veltro della Commedia, e dei celebri imitatori e commentatori di D., quali Federico Frezzi, Tommaso Sardi e Domenico di Corella. Interessanti sono anche quelli che il Marchese chiama " alcuni miei pensieri del modo di ritrarre gli spiriti beati, facendo alcuni riscontri tra Dante e l'Angelico " (op. cit., pp. 587-593).

Lo storico della marina pontificia, il frate Alberto Guglielmotti (morto nel 1893), ricorre spesso alla terminologia di D. nel suo Vocabolario marino e militare (Roma 1889).

Un particolare rilevante è che tra il secolo XIX e il XX il culto di D. incontra favore tra i d. non italiani. I principali esponenti di questa corrente teologico-dantesca sono i francesi Gioachino Berthier per i commenti scolastici e la traduzione della Commedia (Friburgo 1892, Parigi 1921), e Pietro Mandonnet per l'indagine teologica sulla vita e le opere del poeta (D. le théologien, Parigi 1935). A essi si aggiunge Bernardo Hagebaert (morto nel 1905), traduttore in prosa fiamminga e annotatore della Commedia.

Altri studiosi sono il fiammingo T. van Hoogstraten (Studiën en Kritieken, I, 1890, 277 ss.); il francese A.M. Viel con La Divine Comédie, son dessein, sa structure théologique (in " Revue Thomiste " [1909] 637-662; [1910] 321-339); lo spagnolo M. Arellano con Infierno del Dante circa le dipendenze dai classici (in " La Ciencia Tomista " [1911] VI 390-394; VIII 221-231; X 19-25); lo statunitense F. Gaffney.

Ma è soprattutto in occasione di centenari che la memoria di D. viene celebrata dai frati predicatori.

Nel 1865 Pio G. Caprì, con uno studio su La Vergine Maria nella D.C., collabora con i cattolici italiani in Omaggio a D.A. nel 6° centenario dalla nascita, Roma 1865, 435-490.

Nel 1916, ricorrendo il settimo centenario dell'approvazione dell'ordine, la rivista fiorentina " Memorie Domenicane " dedica articoli di Mariano Cordovani, Giuseppe Benelli su Contemplazioni mariane nella D.C., pp. 421-434; e la monografia ufficiale di I. Taurisano, Il culto di D. nell'Ordine Domenicano (ibid., pp. 689-692, 712-738).

Nel 1921 il sesto centenario della morte di D. coincideva con il settimo della morte di s. Domenico, dando origine a commemorazioni reciproche in clima di rapporti familiari. Per volere del maestro generale L. Theissling l'ordine si era preparato con il Corso Dantesco svolto per un biennio (1919-1921) all'ateneo Angelicum di Roma da M. Cordovani.

Dante en de Dominikanen (in " De Beiaard " 1921, 222-252) è la monografia commemorativa di B. Ilario Molkenboer, autore anche del volume Dante, Roermond 1921. J. Ernesto Jansen pubblica Dante A., zijn leven, en zijn werken, Antwerpen 1921; invece V. de Groot è presidente del " Nederlandsch Katholiek Dante-Comité ", e segretario lo stesso Molkenboer.

Mentre i fiamminghi primeggiano per le pubblicazioni, in Italia i più rinomati oratori tengono conferenze su D. e l'ordine. Così R. Giuliani, P. Ciuti, M. Cordovani, F. Robotti, M. Righi, R. Fei, A. Grifoni, L. Ferretti, compositore di alcune terzine S. Tommaso e Dante, Firenze 1903. La figura di Federico Frezzi viene commemorata a Foligno; Mariano Cantalini redige Ascetica e mistica nella Divina Commedia (in " L'Arcadia " IV [1921] estratto).

In Francia J. Berthier dà alle stampe La Divine Comédie (Parigi 1921), con dedica a s. Domenico tutta ispirata a Dante.

Infine, per il centenario del 1965, settimo della nascita del poeta, si segnalano le conferenze tenute da G. Meersseman e le indagini di Stefano Orlandi su Fra Remigio de' Girolami e D., con ottime informazioni sull'ambiente domenicano contemporaneo. Si aggiunga l'esposizione-commento Paradiso Dantesco (Milano 1968) di Damiano Zago.

Bibl. - X. Kraus, Dante. Sein Leben und sein Werke, Berlino 1897, 647-650; Acta capitulorum gen. O.P., II, Roma 1899, 1-26; C. DI Pierro, I Domenicani e D., in " Bull. " XII (1905) 41-42; A. Mortier, Histoire des Maîtres géneraux des Frères Prêcheurs, II, Parigi 1905; " Analecta Ord. Fr. Praed. " XXIX (1921) 115-116, 230-232, 398, 406; XXX (1922) 66-68, 75-77, 147-148; Monumenta historica S. Dominici, II, Roma 1935, 193, 209, 287-288, 369; P. Chiminelli, Beatrice Alighieri, suora domenicana, in " Memorie Domenicane " LVI (1939) 251-254; T. Kaeppeli, Acta capitulorum provinciae Romanae, Roma 1941, 286; R. Ridolfi, Vita di G. Savonarola, II, ibid. 1952, 15-16, 231; S. Orlandi, La biblioteca di S. Maria Novella, Firenze 1952, 23-25, 50, 66-67, 72-74, 109; ID., Necrologio di S. Maria Novella, i, ibid. 1955, 35-36, 154-155, 276-307, 467; II, 196-199; T. Kaeppeli, La bibliothèque de Saint Eustorge à Milan, in " Arch. Fratr. Praed. " XXV (1955) 19-20, 34-35; S. Orlandi, Fra Remigio de' Girolami e D., in " Memorie Domenicane " LXXXIII (1966) 137-151, 201-226; LXXXIV (1967) 8-43, 90-127; L.A. Redigonda, Secoli Domenicani, Bologna 1967.